Violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia
La Corte d’appello, nel riformare la decisione assolutoria del primo giudice, ha, infatti, evidenziato l’identità della descrizione del fatto da parte della persona offesa in occasione della descrizione dello stesso a diversi soggetti e in differenti contesti (sia nella prima rivelazione ai vicini di casa, sia nelle successive confidenze alla propria compagna, sia nella denuncia, sia nell’esame in primo e in secondo grado), spiegando la mancanza di segni esteriori della violenza subita con lo stato di paura in cui la vittima era venuta a trovarsi a seguito della aggressione a scopo sessuale da parte dell’imputato, che le aveva impedito una concreta opposizione, anche in considerazione della maggior prestanza fisica dell’imputato (grazie alla quale questi la aveva sollevata, portata su un lettino posto nello spogliatoio della palestra nella quale entrambi lavoravano e la aveva bloccata con il peso del proprio corpo), traendone, in modo logico, la prova della attendibilità della vittima e così superando, in modo motivato, l’opposta valutazione compiuta dal Tribunale. Altrettanto logicamente la Corte territoriale ha spiegato il comportamento della vittima successivo alla violenza (allorquando accettò di farsi accompagnare a casa in automobile dall’imputato), giudicato dal Tribunale logicamente incompatibile con un rapporto non consensuale, sottolineando, a sostegno della attendibilità della persona offesa e della compatibilità tra tale condotta e la violenza appena prima subita, la portata traumatica dell’episodio e le conseguenze psicologiche che lo stesso aveva prodotto sulla vittima.
La violenza sessuale, in quanto reato comune, può realizzarsi a prescindere dalla qualifica del soggetto attivo e dal rapporto di coniugio sussistente con la vittima, dovendosi escludere categoricamente l’esistenza di un diritto del marito a soddisfare le proprie pretese sessuali nei confronti della moglie.
Violenza sessuale: il mancato esplicito dissenso
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