Truffa – Aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità – Broker e consulente finanziario 

 

SEPARAZIONI E DIVORZI BOLOGNA

 

La Corte di Appello di Genova, con sentenza in data 19/07/2017, ha confermato la condanna alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento del danno cagionato alle parti civili costituite, pronunciata dal Tribunale di Savona in data 8/10/2015, nei confronti di (OMISSIS), in relazione a tre episodi di truffa aggravata dal danno patrimoniale di rilevante gravita’.

Si addebita all’imputato di avere, presentandosi falsamente come broker e consulente finanziario, prospettato alle singole persone offese la possibilita’ di ottenere ingenti finanziamenti o di effettuare vantaggiose operazioni finanziarie, richiedendo al contempo cospicue somme di denaro, destinate a coprire le spese relative all’istruzione delle pratiche di finanziamento, mai attivate, cosi’ procurandosi un ingiusto profitto.

 

 

COME-SI-CALCOLA-DANNO-BIOLOGICO-

Corte di Cassazione|Sezione 2|Penale|Sentenza|11 aprile 2018| n. 16065

Truffa – Aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità – Broker e consulente finanziario – Operazioni finanziarie truffaldine – Dolo del reato – Ingiusto profitto – Trattamento sanzionatorio

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente

Dott. TADDEI Margherita – Consigliere

Dott. BORSELLINO Maria D. – rel. Consigliere

Dott. PACILLI Giuseppina A. R – Consigliere

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 19/7/2017 della CORTE di APPELLO di Genova;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MARIA DANIELA BORSELLINO;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ROMANO Giulio, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;

Udito l’avv. (OMISSIS) che ha insistito nel ricorso.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

La Corte di Appello di Genova, con sentenza in data 19/07/2017, ha confermato la condanna alla pena ritenuta di giustizia e al risarcimento del danno cagionato alle parti civili costituite, pronunciata dal Tribunale di Savona in data 8/10/2015, nei confronti di (OMISSIS), in relazione a tre episodi di truffa aggravata dal danno patrimoniale di rilevante gravita’.

Si addebita all’imputato di avere, presentandosi falsamente come broker e consulente finanziario, prospettato alle singole persone offese la possibilita’ di ottenere ingenti finanziamenti o di effettuare vantaggiose operazioni finanziarie, richiedendo al contempo cospicue somme di denaro, destinate a coprire le spese relative all’istruzione delle pratiche di finanziamento, mai attivate, cosi’ procurandosi un ingiusto profitto.

Propone ricorso per cassazione l’imputato, tramite il suo difensore deducendo i seguenti motivi:

1) vizio di motivazione e violazione degli articoli 129, 530 e 533 c.p.p., sul rilievo che la corte di appello avrebbe fondato il giudizio di colpevolezza solo sulle dichiarazioni delle persone offese, ritenute pienamente attendibili, senza considerare che, in assenza di accertamenti bancari, manca un qualsivoglia riscontro oggettivo a quanto riferito dalle stesse.

La difesa deduce altresi’ il vizio di travisamento del fatto (sic in ricorso), poiche’ la corte territoriale ritiene che l’avere incassato le somme dalle persone offese e il non avere procurato alcun finanziamento costituirebbe di per se’ la prova dell’artificio e raggiro, dell’induzione in errore e dell’ingiusto profitto. La difesa lamenta, in particolare, che non vi sarebbe prova in atti dell’acquisizione da parte dell’imputato delle somme versate dalle persone offese e che, al contrario, l’istruttoria avrebbe evidenziato come le parti civili, (OMISSIS) e (OMISSIS), fossero perfettamente consapevoli di partecipare ad una operazione finanziaria ad alto rischio. Deduce, altresi’, la mancanza di motivazione su uno specifico motivo di gravame, risultante da un atto del processo e precisamente dai verbali d’udienza dell’11 giugno 2013 e del 29 gennaio 2014, al cui contenuto rinvia per relationem.

2) Violazione di legge e vizio di motivazione poiche’ la corte di appello avrebbe omesso ogni valutazione in ordine alle doglianze difensive sollevate con l’atto di impugnazione in merito all’assenza di prova relativa all’elemento soggettivo del reato; all’insufficienza o incertezza del nesso causale tra la condotta dell’agente e l’evento verificatosi; alla mancanza di elementi sufficienti per superare il ragionevole dubbio. Di contro la corte di appello si e’ riportata alle considerazioni del tribunale, omettendo di effettuare quella valutazione autonoma, idonea ad escludere la fondatezza dell’ipotesi difensiva. Il ricorrente denuncia pertanto carenza di motivazione sui punti indicati sub IV, V e VI dell’atto di impugnazione al cui contenuto rinvia per relationem;

3) Vizio di motivazione in ordine alla condanna al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali, che deve essere revocata per effetto dell’accoglimento del ricorso.

4) Violazione di norme processuali stabilite a pena di nullita’ e vizio di motivazione, poiche’ nella determinazione della pena la corte di appello ha ritenuto che la contestata recidiva potesse essere giustificata dalla mera lettura del casellario giudiziale e che la omessa menzione della stessa nel dispositivo di primo grado non potesse considerarsi come mancata applicazione della detta aggravante. Sul punto il ricorrente deduce, ribadendo la doglianza gia’ formulata in sede di appello, che nel dispositivo del Tribunale non e’ stata espressamente indicata la detta recidiva e che tale omissione dovrebbe considerarsi come mancata applicazione, con inevitabili refluenze sulla determinazione della pena.

Il ricorrente rileva inoltre che la recidiva reiterata e’ facoltativa sia nell’an che nel quantum, mentre i giudici di merito si sarebbero limitati, nell’applicarla, a fare riferimento ai precedenti penali indicati nel casellario giudiziale, senza formulare adeguata motivazione sul punto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso e’ inammissibile.

In ordine al primo motivo, occorre ribadire che non puo’ dedursi violazione dell’articolo 192 c.p.p. al fine di censurare la valutazione degli elementi di prova operata dal giudice di merito, poiche’ tale patologia rientra nel vizio di motivazione, che puo’ dedotto solo se manifestamente illogico e contraddittorio. Ed infatti secondo un consolidato orientamento che il collegio condivide “Le doglianze relative alla violazione dell’articolo 192 c.p.p.riguardanti l’attendibilita’ dei testimoni dell’accusa, non possono essere dedotte con il motivo di violazione di legge di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c), ma soltanto nei limiti indicati dalla lettera e) della medesima norma, ossia come mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione, quando il vizio risulti dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame”. (Sez. 1, n. 42207 del 20/10/2016 – dep. 15/09/2017, Pecorelli e altro, Rv. 27129401).

Deve altresi’ rilevarsi che il dedotto vizio di “travisamento del fatto”, espressione con cui la difesa vuole verosimilmente denunziare il travisamento della prova, non rientra tra i motivi di censura che possono essere sollevati dinanzi a questa corte, in quanto, nel caso di cosiddetta doppia conforme, tale vizio puo’ essere dedotto con il ricorso per cassazione, solo nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice,o quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi; Sez.4, n. 44765 del 22/10/2013, Buonfine).

Nel caso in esame, in assenza dei detti presupposti, i vizi dedotti costituiscono un evidente sintomo della pretesa da parte del ricorrente di ottenere da questa corte una rivalutazione nel merito del compendio probatorio, gia’ oggetto di adeguate argomentazioni immuni da vizi e da censure.

Quanto al rinvio per relationem ai motivi di censura dedotti con i verbali di udienza celebratasi dinanzi al Tribunale, deve evidenziarsi che i detti verbali risultano inseriti in un elenco di allegati, che non sono stati prodotti unitamente al ricorso, e non possono formare oggetto di valutazione, in ragione del principio di autosufficienza del ricorso.

A cio’ si aggiunga che “E’ inammissibile il ricorso per cassazione i cui motivi si limitino a lamentare l’omessa valutazione, da parte del giudice dell’appello, delle censure articolate con il relativo atto di gravame, rinviando genericamente ad esse, senza indicarne il contenuto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimita’, dovendo l’atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica. (In motivazione, la Corte ha evidenziato che l’applicazione del principio e’ ancor piu’ necessaria laddove, come nel caso di specie, la sentenza di appello, al cospetto di motivi che si limitano a riproporre questioni gia’ articolatamente esaminate e risolte dal primo giudice, rinvii per “relationem” alla sentenza di questi, poiche’ in tal caso l’onere deduttivo del ricorrente non puo’ ritenersi assolto dolendosi di una tale fisiologica evenienza processuale, che diventa patologica solo allorquando la conforme valutazione dissimuli la totale mancanza di motivazione su questioni specifiche all’epoca eccepite in sede di appello e che vanno chiaramente allegate) (Sez. 3, n. 35964 del 04/11/2014 – dep. 04/09/2015, B e altri, Rv. 26487901).

Cio’ posto, i primi tre motivi di ricorso sono inammissibili perche’ assolutamente privi di specificita’ in tutte le loro articolazioni, in quanto il difensore, dopo una lunga e dettagliata esposizione di quanto accaduto nel processo, ha reiterato censure gia’ dedotte in appello e gia’ non accolte (Sez. 4, n. 15497 del 22/02/2002, RV. 221693; Sez. 6, n. 34521 del 27/06/2013, RV. 256133). Solo formalmente, infatti, vengono evocati vizi di legittimita’: in concreto le doglianze sono articolate sulla base di rilievi che tendono ad una rivalutazione del merito delle statuizioni della Corte territoriale, e riproducono pedissequamente gli argomenti prospettati nel gravame, ai quali la Corte d’appello ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera ne’ specificatamente censura.

Le critiche formulate, inoltre, si palesano del tutto assertive e, comunque, manifestamente infondate.

In relazione alla pretesa mancanza di riscontri alle accuse delle persone offese, non va trascurato che dalla motivazione del provvedimento impugnato emerge che l’imputato, presente all’udienza di appello del 13/7/2017, ha ammesso di avere personalmente ricevuto dagli imprenditori (OMISSIS) e (OMISSIS) le somme dagli stessi riferite, e ha precisato che quando si recava all’estero, costoro provvedevano a pagargli tutte le spese, e che le operazioni finanziarie non erano mai state svolte.

Le parziali ammissioni dell’imputato non solo confermano il giudizio di piena attendibilita’ formulato dal Tribunale, ma riscontrano l’appropriazione da parte del predetto delle cospicue somme di denaro, ricevute al fine di intraprendere fantomatiche operazioni finanziarie, palesando l’infondatezza delle censure avanzate con il ricorso.

I giudici di merito hanno evidenziato che anche in favore della persona offesa Razeto l’imputato aveva rilasciato un riconoscimento di debito, che riscontra le specifiche accuse a suo carico. Solo le dichiarazioni del teste (OMISSIS) non risultano confortate da riscontri documentali, ma nel rispetto della consolidata giurisprudenza di legittimita’, i giudici hanno ritenuto convincente l’assunto accusatorio della persona offesa, valorizzando la precisione e la ricchezza di dettagli della sua deposizione e il fatto che non si fosse neppure costituito parte civile, a riprova dell’assoluto disinteresse delle sue accuse.

La corte ha, poi, correttamente affermato che il carattere rischioso delle operazioni finanziarie proposte dall’imputato non consente di escludere la frode comunque sottesa alla condotta, integrata sia dalla falsa attribuzione della qualifica di broker finanziario, sia da un abile minimizzazione degli stessi rischi e dalle convincenti rassicurazioni circa la disponibilita’ futura di provviste finanziarie ad opera dell’imputato.

  1. Inammissibile per estrema genericita’ la censura relativa alla statuizione di condanna dell’imputato al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese processuali in favore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS), disposta sulla base dell’affermazione di responsabilita’ e della comprovata condotta fraudolenta e pregiudizievole dell’imputato.
  2. Il quarto motivo di ricorso relativo alla recidiva e’ manifestamente infondato, poiche’ correttamente la corte territoriale ha escluso che la mancata previsione della recidiva nel dispositivo equivalga ad una sua esclusione.

Ed infatti la recidiva non si sottrae alla regola generale relativa alle aggravanti, in forza della quale “Qualora una circostanza aggravante sia stata ritualmente contestata nel dibattimento, la sentenza non e’ nulla se nella sua intestazione non venga riportata la circostanza stessa e nel dispositivo l’imputato venga dichiarato “responsabile di tutti i reati a lui ascritti”. Detta formula, infatti, non esclude ma comprende l’aggravante perche “i reati” vanno intesi con le relative circostanze regolarmente contestate”. (Sez. 3, n. 14210 del 17/05/1976 – dep. 23/12/1976, Tognella, Rv. 13503301).

Ma il ricorrente non prende nemmeno in considerazione la specifica motivazione assunta dalla corte, limitandosi a ribadire la tesi gia’ esposta nei motivi di appello e confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata. Relativamente alla lamentata carenza di motivazione sulla sussistenza di detta circostanza aggravante, deve convenirsi che il primo giudice non ha motivato adeguatamente, limitandosi a richiamare le risultanze del certificato penale, quasi si trovasse in presenza di una recidiva obbligatoria. Tuttavia la corte territoriale ha integrato la detta motivazione, facendo esplicito riferimento alla pericolosa propensione del soggetto a delinquere nel settore delle frodi, anche per escludere le attenuanti generiche.

Se e’ vero che “In tema di recidiva facoltativa, e’ richiesto al giudice uno specifico dovere di motivazione, sia ove egli ritenga sia ove egli escluda la rilevanza della stessa” (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011 – dep. 15/02/2012, Marciano’, Rv. 25169001), e’ stato tuttavia precisato, secondo un orientamento che il collegio ritiene di condividere, che il rigetto della richiesta di esclusione della recidiva facoltativa, pur richiedendo l’assolvimento di un onere motivazionale, non impone al giudice un obbligo di motivazione espressa, ben potendo quest’ultima essere anche implicita. (Fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto implicita la motivazione sul diniego della richiesta di esclusione della recidiva facoltativa, desumendola dalla disamina della personalita’ dell’imputato, emergente dalla dettagliata descrizione delle condotte criminose dallo stesso tenute, dalla gravita’ dei fatti, dal suo inserimento in un contesto di criminalita’ organizzata). (Sez. 2, n. 40218 del 19/06/2012 – dep. 12/10/2012, Fatale e altri, Rv. 25434101).

Nel caso in esame la corte territoriale ha richiamato le pregresse nutritissime condanne che rivelano la pericolosita’ del (OMISSIS): tanto basta per ritenere assolto l’obbligo della motivazione avendo la Corte negato anche le attenuanti generiche, basandosi sulla negativa personalita’ dell’imputato e sui suoi precedenti penali specifici nel settore delle frodi.

Non va peraltro trascurato che in sede di legittimita’, non e’ censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame, quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (Sez. 1, sent. n. 27825 del 22/05/2013, dep. 26/06/2013, Caniello ed altri, Rv. 256340).

Per le considerazioni sin qui esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

  1. Alla inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ emergenti dal ricorso (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Motivazione semplificata.

 

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