TRIBUNALE DI FORLI MALASANITA’ FORLI RAVENNA RESPONSABILITA’ STRUTTURA
RAPPORTO DI RESPONSABILITA’ TRA CASA DI CURA E MEDICO CHE ESEGUE INTERVENTO E REGRESSO
Risarcimento del danno – Necessità – Esclusione – Natura contrattuale della responsabilità – Affermazione – Onere della prova – Grava sul medico Responsabilità professionale – Attività sanitaria – Consenso informato – Indicazione dei rischi connessi alla scorretta esecuzione dell’intervento – Necessità – Esclusione – Natura contrattuale della responsabilità – Affermazione – Onere della prova – Grava sul medico
RISOLVI ORA IL TUO DANNO DA MALASANITA’ .
IN CASO DI GRAVISSIMI DANNI DA MALASANITA’ QUALE MORTE PER ERRORE MEDICO CHIAMA SUBITO L’AVVOCATO SERGIO ARMAROLI NON ESITARE.
AVVOCATO ESPERTO TROVA LA SOLUZIONE PER IL TUO DANNO, RICORRENDO IN PRIMO LUOGO A PERIZIA DI VALIDI MEDICI LEGALI CHE SONO LA BASE PER LA RESPONSABILITA’ SANITARIA E MEDICA
DEVI CHIAMARE SUBITO E PRENDERE APPUNTAMENTO CON L’AVVOCATO SERGIO ARMAROLI 051 6447838
Risarcimento del danno – Necessità – Esclusione – Natura contrattuale della responsabilità – Affermazione – Onere della prova – Grava sul medico Responsabilità professionale –
Attività sanitaria – Consenso informato – Indicazione dei rischi connessi alla scorretta esecuzione dell’intervento – Necessità – Esclusione – Natura contrattuale della responsabilità –
Affermazione – Onere della prova – Grava sul medico
AVVOCATO SERGIO ARMAROLI AVVOCATO ESPERTO MALASANITA’ BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA VICENZA MILANO PAVIA ROVIGO PADOVA TREVISO PORDENONE 051 6447838 FISSA TUO APPUNTAMENTO
Il medico-chirurgo viene meno all’obbligo di informare adeguatamente il paziente ed ottenerne il consenso all’atto medico, ove non gli fornisca, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità. La mancanza di consenso può assumere rilievo a fini risarcitori quando siano configurabili conseguenze pregiudizievoli derivate dalla violazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione in sé considerato, del tutto a prescindere dalla lesione incolpevole della salute del paziente.
Cass. civ., Sez. III, Ordinanza, 07/06/2022, n. 18275
Alla stregua dell’art. 2043 c.c., è legittimato attivo ad agire contro la Cassa di assistenza sanitaria, colui che ha provveduto ad elaborare tutta l’attività, anche contrattuale, mirata a garantirsi la gratuità dell’intervento in favore della convivente, e che a seguito della condotta colposa dei dipendenti della Società di assistenza sanitaria è colui sul quale ricadono totalmente le conseguenze dannose dell’evento in quanto soggetto che ha anticipato di tasca propria somme che invece riteneva coperte dall’indennizzo, atteso che quest’ultimo, ove non avesse avuto le opportune e sostanziali assicurazioni, sulla operatività della polizza, certamente avrebbe optato per l’esecuzione della prestazione sanitaria presso altra casa di cura convenzionata con il servizio pubblico. Dunque il soggetto direttamente danneggiato dalla predetta attività illecita è colui che, a seguito del fatto, ha subito la lesione della autonoma sfera patrimoniale e quindi il danno risarcibile.
Cass. civ., Sez. III, Ordinanza, 10/05/2022, n. 14748
In materia di danni derivanti da emotrasfusioni, soltanto a partire dalla pubblicazione della L. n. 592 del 1967, sono risultati integrati gli obblighi di cautela la cui violazione consente di considerare colposa l’omissione della vigilanza e del controllo da parte del Ministero della Salute; peraltro, tenuto conto del lasso di tempo ragionevolmente occorrente per organizzare le attività di vigilanza e controllo, può individuarsi nel 1° gennaio 1968 la data oltre la quale è predicabile la responsabilità del Ministero in relazione a patologie correlate all’impiego di sangue infetto.
In tema di responsabilità per colpa medica di tipo omissivo, il riconoscimento del necessario nesso di causalità tra condotta ed evento, se da una parte non può basarsi su dati meramente statistici in ordine alle ipotetiche probabilità di successo dei mancati interventi diagnostici o terapeutici, non può, d’altra parte, neppure postulare il conseguimento di una certezza oggettiva risultante da elementi probatori assolutamente inconfutabili, dovendosi invece ritenere necessaria e sufficiente una certezza processuale, che il giudice può conseguire valorizzando tutte le circostanze del caso concreto, secondo un procedimento logico analogo a quello che presiede alla valutazione della prova indiziaria, prevista dall’art. 192, comma 2, c.p.p., si da poter affermare la validità del proprio convincimento “al di là di ogni ragionevole dubbio” (Cass. pen., sez. IV, 3.10.2003, n. 38334).
(Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che correttamente fosse stata affermata la sussistenza del nesso di causalità tra la ritardata diagnosi di una formulazione tumorale e la morte del paziente che, pur se inevitabile, sarebbe stata apprezzabilmente ritardata da una diagnosi tempestiva, seguita dagli opportuni interventi terapeutici).
Al fine di stabilire la sussistenza del nesso di causalità, occorre verificare se, ipotizzandosi come avvenuta l’azione doverosa omessa o al contrario non compiuta la condotta commissiva assunta a causa dell’evento, esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilità razionale, non si sarebbe verificato, oppure sarebbe avvenuto molto dopo, o avrebbe comunque avuto minore intensità lesiva (Cass. pen., sez. IV, 12.02.2014, n. 9695).
Cass. civ., Sez. VI – Lavoro, Ordinanza, 06/04/2022, n. 11227
In presenza di un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione di una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, anche personalizzato, e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi (definibili come danni morali) che non hanno fondamento medico-legale, perchè non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore.
Con il primo motivo le ricorrenti sostengono che illegittimamente sarebbe stato evocato l’art. 2049 c.c. e non l’art. 2055 c.c. che disciplina l’ipotesi di concorso nel fatto dannoso. Tuttavia argomentano solo su circostanze di fatto, dalle quali si ricaverebbe che fosse configurabile anche una responsabilità diretta della clinica, per fatto proprio, nel cattivo esito della operazione chirurgica.
Con il secondo motivo lamentano che la corte d’appello avrebbe violato la regola sulla distribuzione degli oneri probatori, avendo posto in capo al medico l’onere di provare in cosa consisteva la corresponsabilità della clinica.
Il motivo è effettivamente fondato.
Laddove la struttura sanitaria, correttamente evocata in giudizio dal paziente che, instaurando un rapporto contrattuale, si è sottoposto ad un intervento chirurgico all’interno della struttura stessa, sostenga che l’esclusiva responsabilità dell’accaduto non è imputabile a sue mancanze tecnico-organizzative ma esclusivamente alla imperizia del chirurgo che ha eseguito l’operazione, agendo in garanzia impropria e chiedendo di essere tenuta indenne di quanto eventualmente fosse condannata a pagare nei confronti della danneggiata, ed in regresso nei confronti del chirurgo, affinchè, nei rapporti interni si accerti l’esclusiva responsabilità di questi nella causazione del danno, è sul soggetto che agisce in regresso a fronte di una responsabilità solidale che grava l’onere di provare l’esclusiva responsabilità dell’altro soggetto. Non rientra invece nell’onere probatorio del chiamato l’onere di individuare precise cause di responsabilità della clinica in virtù delle quali l’azione di regresso non potesse essere, in tutto o in parte, accolta. AVVOCATO SERGIO ARMAROLI AVVOCATO ESPERTO MALASANITA’ BOLOGNA RAVENNA FORLI CESENA VICENZA MILANO PAVIA ROVIGO PADOVA TREVISO PORDENONE 051 6447838 FISSA TUO APPUNTAMENTO
Cassazione Civile
sez. VI – 3
Ordinanza 27/09/2019, n. 24167
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20163-2018 proposto da:
P.F., B.S., nella qualità di eredi di P.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ASOLONE 8, presso lo studio dell’avvocato MILENA LIUZZI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIOLA LIUZZI;
– ricorrenti –
contro
OSPEDALI PRIVATI FORLI’ SPA già OSPEDALE PRIVATO VILLA SERENA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO MAMBELLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1135/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 30/04/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 11/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa RUBINO LINA.
RILEVATO
che:
- B.S. e P.F. hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, contro l’Ospedale Privato Villa Serena s.p.a., avverso la sentenza n. 1135/2018, emessa dalla Corte d’Appello di Bologna il 30 aprile 2018, con la quale in parziale accoglimento dell’appello della casa di cura, il de cuius degli attuali ricorrenti, P.G., veniva condannato a pagare alla struttura ospedaliera l’importo di Euro 73.409,65 2. La Ospedali Privati Forlì s.p.a. resiste con controricorso illustrato da memoria.
- Anche i ricorrenti hanno depositato memoria.
- Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di inammissibilità dello stesso. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati.
CONSIDERATO
che:
Il Collegio, tenuto conto anche delle osservazioni contenute nelle memorie, condivide solo in parte le conclusioni contenute nella proposta del relatore nel senso della inammissibilità del ricorso.
Questi i fatti, per quanto qui ancora rileva:
una paziente conveniva in giudizio la casa di cura ove era stata operata per l’inserimento di una protesi all’anca chiedendone la condanna al risarcimento dei danni riportati a seguito della non corretta esecuzione dell’intervento chirurgico, eseguito presso la casa di cura stessa dal Dott. P.
Chiamato in causa il P. da parte della struttura ospedaliera, che proponeva domanda di manleva e di regresso, il Tribunale di Forlì accoglieva la domanda dell’attrice, dichiarava la responsabilità in solido della casa di cura e del medico e li condannava a risarcire i danni alla paziente nella misura di Euro 122.000,00 circa. Nulla diceva circa la manleva e il regresso.
La casa di cura proponeva appello, deducendo che il tribunale non si fosse pronunciato sulla propria domanda di regresso e manleva, pur emergendo dalla ricostruzione dei fatti che il verificarsi del danno alla paziente fosse riconducibile esclusivamente alla imperizia con la quale il P. aveva eseguito l’intervento chirurgico, e chiedeva la condanna del P. al rimborso di quanto pagato alla paziente in esecuzione della sentenza di primo grado.
La corte d’appello accoglieva l’impugnazione puntualizzando che alla responsabilità esterna della struttura, ex art. 1228 c.c., prevista a miglior tutela dei terzi danneggiati, ben potesse associarsi, nei rapporti interni, l’ammissibilità del regresso anche per l’intera somma che il responsabile ex art. 1228 c.c. era stato condannato a pagare, qualora fosse stato accertato che il danno fosse riconducibile unicamente alla condotta colposa di un altro obbligato; che tale circostanza era stata accertata in primo grado; che il P.non avesse provato, e neppure evidenziato adeguatamente, quale fosse il profilo di responsabilità ascrivibile alla clinica.
Come indicato nella proposta, il ricorso, introdotto dalle eredi del medico ritenuto esclusivo responsabile del danno, è inammissibile quanto al primo motivo perchè le contestazioni in esso contenute sono in effetti esclusivamente fattuali.
Con il primo motivo le ricorrenti sostengono che illegittimamente sarebbe stato evocato l’art. 2049 c.c. e non l’art. 2055 c.c. che disciplina l’ipotesi di concorso nel fatto dannoso. Tuttavia argomentano solo su circostanze di fatto, dalle quali si ricaverebbe che fosse configurabile anche una responsabilità diretta della clinica, per fatto proprio, nel cattivo esito della operazione chirurgica.
Con il secondo motivo lamentano che la corte d’appello avrebbe violato la regola sulla distribuzione degli oneri probatori, avendo posto in capo al medico l’onere di provare in cosa consisteva la corresponsabilità della clinica.
Il motivo è effettivamente fondato.
Laddove la struttura sanitaria, correttamente evocata in giudizio dal paziente che, instaurando un rapporto contrattuale, si è sottoposto ad un intervento chirurgico all’interno della struttura stessa, sostenga che l’esclusiva responsabilità dell’accaduto non è imputabile a sue mancanze tecnico-organizzative ma esclusivamente alla imperizia del chirurgo che ha eseguito l’operazione, agendo in garanzia impropria e chiedendo di essere tenuta indenne di quanto eventualmente fosse condannata a pagare nei confronti della danneggiata, ed in regresso nei confronti del chirurgo, affinchè, nei rapporti interni si accerti l’esclusiva responsabilità di questi nella causazione del danno, è sul soggetto che agisce in regresso a fronte di una responsabilità solidale che grava l’onere di provare l’esclusiva responsabilità dell’altro soggetto. Non rientra invece nell’onere probatorio del chiamato l’onere di individuare precise cause di responsabilità della clinica in virtù delle quali l’azione di regresso non potesse essere, in tutto o in parte, accolta.
Il primo motivo deve essere quindi dichiarato inammissibile, ma il secondo deve essere accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione affinchè riesamini i fatti conformandosi al principio di diritto sopra enunciato.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 11 aprile 2019.
Depositato in cancelleria il 27 settembre 2019
Cass. civ., Sez. III, 13/07/2022, n. 22136
In tema di risarcimento del danno alla salute conseguente ad attività sanitaria, la norma contenuta all’art. 3, comma 3, D.L. n. 158 del 2012 (conv. nella L. n. 189 del 2012), sostanzialmente riprodotta all’art. 7, comma 4, L. n. 24 del 2017 – la quale prevede il criterio equitativo di liquidazione del danno non patrimoniale fondato sulle tabelle elaborate in base agli artt. 138 e 139 D.Lgs. n. 209 del 2005 – trova applicazione anche nelle controversie relative ad illeciti commessi e a danni prodotti anteriormente alla sua entrata in vigore, nonché ai giudizi pendenti a tale data, con il solo limite del giudicato interno sul quantum, in quanto non incidendo retroattivamente sugli elementi costitutivi della fattispecie legale della responsabilità civile, la disposizione non intacca situazioni giuridiche precostituite ed acquisite al patrimonio del soggetto leso ma si rivolge direttamente al giudice, delimitandone l’ambito di discrezionalità e indicando il criterio tabellare quale parametro equitativo nella liquidazione del danno.
Cass. pen., Sez. IV, Sentenza, 19/07/2017, n. 50975 (rv. 271533)
REATO – Causalità (rapporto di) – In genere – Colpa medica – Ritardo diagnostico – Decesso del paziente – Possibile allungamento della vita – Responsabilità per omissione – Sussistenza del nesso causale – Fattispecie
In tema di omicidio colposo, sussiste il nesso di causalità tra l’intempestiva diagnosi di una malattia tumorale e il decesso del paziente, anche a fronte di una prospettazione della morte ritenuta inevitabile, laddove dal giudizio controfattuale risulti l’alta probabilità logica che la diagnosi tempestiva avrebbe consentito il ricorso a terapie atte a incidere positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che la morte si sarebbe verificata in epoca posteriore o con minore intensità lesiva. (Annulla senza rinvio, App. Bari, 11/07/2016)
Cass. pen., Sez. IV, Sentenza, 15/03/2019, n. 26568 (rv. 276340-01)
REATO – Causalita’ (rapporto di) – In genere – Colpa medica – Responsabilità per omissione – Nesso di causalità – Criteri di individuazione – Fattispecie
In tema di responsabilità medica, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità è necessario individuare tutti gli elementi concernenti la causa dell’evento, in quanto solo la conoscenza, sotto ogni profilo fattuale e scientifico, del momento iniziale e della successiva evoluzione della malattia consente l’analisi della condotta omissiva colposa addebitata al sanitario onde effettuare il giudizio controfattuale e verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta, l’evento lesivo sarebbe stato evitato al di là di ogni ragionevole dubbio. (Fattispecie in tema di omicidio colposo, in cui la Corte ha ritenuto esente da censure la sentenza di assoluzione dei medici cui era stato addebitato un ritardo nella diagnosi di un infarto intestinale, non essendosi accertato che il tempestivo espletamento dell’esame radiologico omesso avrebbe comunque permesso di evitare l’evento mortale). (Rigetta, CORTE APPELLO SEZ.DIST. SASSARI, 30/05/2018)
3.1) la responsabilità del debitore:
- a) profili generali:
– correttezza e buona fede;
Sez. U, Sentenza n. 28056 del 25/11/2008 (Rv. 605685)
Il principio di correttezza e buona fede – il quale, secondo la Relazione ministeriale al codice civile, “richiama nella sfera del creditore la considerazione dell’interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all’interesse del creditore” – deve essere inteso in senso oggettivo ed enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 della Costituzione, che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva condannato il Consiglio Nazionale delle Ricerche – CNR – al pagamento, in favore di un proprio dipendente, della somma corrispondente agli interessi maturati sulle quote annualmente accantonate di trattamento di fine rapporto a causa degli investimenti delle stesse in buoni postali fruttiferi, secondo quanto previsto dal d.p.c.m. 8 giugno 1946, effettuati tardivamente rispetto alle scadenze fissate da delibere della Giunta amministrativa dello stesso CNR).
tribunale Roma, Sez. XIII, 19/05/2022, n. 7827
L’inadempimento rilevante, nell’ambito dell’azione di responsabilità medica, per il risarcimento del danno nelle obbligazioni, così dette, di comportamento non è, dunque, qualunque inadempimento, ma solo quello che costituisce causa (o concausa) efficiente del danno.
Cass. pen., Sez. IV, Sentenza, 15/12/2021, n. 9705 (rv. 282855-01)
REATO – Causalita’ (rapporto di) – In genere – Colpa medica – Ritardata diagnosi di malattia tumorale – Decesso del paziente – Nesso causale – Condizioni – Fattispecie
In tema di responsabilità medica, l’accertamento del nesso causale tra la diagnosi intempestiva di una malattia tumorale e il decesso del paziente postula il ricorso ad un giudizio controfattuale ipotetico, sulla base del modello probabilistico e multifattoriale che richiede di valutare l’incidenza del comportamento alternativo lecito, ossia se la diagnosi tempestiva avrebbe impedito ovvero significativamente ritardato, con alto grado di probabilità logica ed in assenza di decorsi causali alternativi, l’esito infausto. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per omicidio colposo del medico che abbia ritardato la diagnosi di sarcoma a cellule chiare, in quanto, per la particolare aggressività del tumore, con una percentuale di sopravvivenza a cinque anni non superiore al 25%, anche nel caso di diagnosi e cure tempestive, si sarebbe verificata una elevata probabilità di morte della paziente). (Annulla con rinvio, CORTE APPELLO BRESCIA, 14/05/2020)
Cassazione civile sez. VI, 26/07/2021, n.21404
La responsabilità della struttura sanitaria per i danni da perdita del rapporto parentale, invocati “iure proprio” dai congiunti di un paziente deceduto, è qualificabile come extracontrattuale, dal momento che, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente col paziente, e dall’altro i parenti non rientrano nella categoria dei “terzi protetti dal contratto”, potendo postularsi l’efficacia protettiva verso terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l’interesse, del quale tali terzi siano portatori, risulti anch’esso strettamente connesso a quello già regolato sul piano della programmazione negoziale.
Cassazione civile sez. III, 11/11/2020, n.25288
È quanto affermato dalla Terza Sezione della Corte di Cassazione che nell’affermare tale principio prende le mosse dal duplice nesso causale che, a mente dell’art. 1218 c.c., connota il giudizio sulla responsabilità contrattuale declinata al sottosistema della responsabilità sanitaria: l’uno relativo all’evento dannoso (fatto costitutivo), l’altro attinente alla impossibilità di adempiere per una causa imprevedibile ed inevitabile (fatto estintivo) operante in termini esonerativi per la struttura sanitaria.
Cassazione civile sez. III, 09/07/2020, n.14615
Il rapporto contrattuale tra il paziente e la struttura sanitaria o il medico esplica i suoi effetti tra le sole parti del contratto, sicché l’inadempimento della struttura o del professionista genera responsabilità contrattuale esclusivamente nei confronti dell’assistito, che può essere fatta valere dai suoi congiunti “iure hereditario”, senza che questi ultimi, invece, possano agire a titolo contrattuale “iure proprio” per i danni da loro patiti. In particolare, non è configurabile, in linea generale, in favore di detti congiunti, un contratto con effetti protettivi del terzo, ipotesi che va circoscritta al contratto concluso dalla gestante con riferimento alle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione che, per la peculiarità dell’oggetto, è idoneo ad incidere in modo diretto sulla posizione del nascituro e del padre, sì da farne scaturire una tutela estesa a tali soggetti. (Nella specie, la S.C. ha escluso la spettanza dell’azione contrattuale “iure proprio” agli eredi di un soggetto ammalatosi e poi deceduto a causa di infezione da HCV contratta a seguito di emotrasfusioni eseguite presso un ospedale, precisando che essi avrebbero potuto eventualmente beneficiare della tutela aquiliana per i danni da loro stessi subiti).
Cassazione civile sez. VI, 22/04/2021, n.10592
Nella controversia tra il paziente che assuma di avere contratto un’infezione in conseguenza di un’emotrasfusione e la struttura sanitaria ove è stata eseguita, è onere non del medesimo paziente di allegare e provare che l’ospedale abbia tenuto una condotta negligente o imprudente nell’acquisizione e nella perfusione del plasma, ma della menzionata struttura di dedurre e dimostrare di avere rispettato le norme giuridiche e le “leges artis” che presiedono alle dette attività.
Cassazione civile sez. III, 23/02/2021, n.4864
In applicazione dei principi sul riparto dell’onere probatorio in materia di responsabilità sanitaria elaborati dalla Suprema Corte, secondo cui spetta al paziente provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre alla struttura sanitaria compete la prova di aver adempiuto esattamente la prestazione o la prova della causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione, con riferimento specifico alle infezioni nosocomiali, spetterà alla struttura provare di:
1) aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l’insorgenza di patologie infettive;
2) dimostrare di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico.
Cassazione civile sez. I, 13/02/2020, n.3660
In tema di trattamento sanitario obbligatorio, sebbene il sistema di tutela giurisdizionale contro il provvedimento che lo dispone non contempli la partecipazione necessaria dell’azienda sanitaria,
non si può escludere l’interesse di colui che è sottoposto alla procedura, e di chiunque abbia interesse ad impugnare, di convenire in giudizio anche l’azienda per accertare eventuali profili di responsabilità connessi all’attività compiuta dai medici della struttura sanitaria pubblica nel promovimento, nel compimento e nella conclusione della procedura, sussistendo in queste ipotesi anche l’interesse qualificato dell’azienda a partecipare al giudizio per difendere il proprio operato.
Cassazione civile sez. III, 08/01/2020, n.122
In materia di responsabilità medica, ai fini della responsabilità della struttura sanitaria, il ritardo nell’esecuzione del taglio cesareo può essere considerato causa esclusiva dei danni subiti dalla partoriente, soltanto all’esito di una valutazione complessiva delle condizioni della paziente all’ingresso nella struttura.
Cassazione civile sez. VI, 02/09/2019, n.21939
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare – secondo il criterio del “più probabile che non” – l’esistenza del nesso causale tra l’azione o l’omissione dei sanitari e l’evento di danno (aggravamento della patologia esistente o insorgenza di una nuova malattia).
Cassazione civile sez. III, 31/05/2018, n.13752
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari.
Cassazione civile sez. III, 29/01/2018, n.2061
La responsabilità per attività medico chirurgica deve essere ricondotta al paradigma di cui all’articolo 1218. Deriva da quanto precede, pertanto, che il paziente creditore (e, per esso i suoi congiunti, in caso di malpractice medica che abbia comportato il decesso del primo) ha il mero onere di provare il contratto (o il contatto sociale) intercorso con la struttura e/o con il sanitario, nonché quello soltanto di allegare il relativo inadempimento o inesatto adempimento, e cioè la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza, non essendo invece tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria, nonché la relativa gravità. Nei giudizi risarcitori, in particolare, si delinea un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle. Il primo, quello relativo all’evento dannoso, deve essere provato dal creditore/danneggiato, il secondo, relativo alla possibilità di adempiere, deve essere provato dal debitore/danneggiante. Mentre il creditore deve provare il nesso di causalità fra l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e la condotta del sanitario (fatto costitutivo del diritto), il debitore deve provare che una causa imprevedibile e inevitabile ha reso impossibile la prestazione (fatto estintivo del diritto).
Cassazione civile sez. III, 23/10/2018, n.26700
In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dalla paziente e dai suoi stretti congiunti, in relazione a un ictus cerebrale che aveva colpito la prima a seguito di un esame angiografico, sul rilievo che era mancata la prova, da parte degli attori, della riconducibilità eziologica della patologia insorta alla condotta dei sanitari, ed anzi la CTU espletata aveva evidenziato l’esistenza di diversi fattori, indipendenti dalla suddetta condotta, che avevano verosimilmente favorito l’evento lesivo).
Cassazione civile sez. III, 13/07/2018, n.18567
In tema di responsabilità sanitaria, il principio della vicinanza della prova, fondato sull’obbligo di regolare e completa tenuta della cartella clinica, le cui carenze e omissioni non possono andare a danno del paziente, non può operare in pregiudizio del medico per la successiva fase di conservazione: dal momento in cui l’obbligo di conservazione si trasferisce sulla struttura sanitaria, l’omessa conservazione è imputabile esclusivamente a essa. La violazione dell’obbligo di conservazione non può riverberarsi direttamente sul medico determinando un’inversione dell’onere probatorio.
Cassazione civile sez. III, 21/06/2018, n.16324
In tema di responsabilità sanitaria la dimostrazione dell’assolvimento dell’obbligo (di avere posto il paziente nelle condizioni) di prestare il consenso informato, che si qualifica quale obbligo contrattuale ex articolo 1218 del codice civile grava sulla struttura ospedaliera. La violazione di tale obbligo ha potenzialmente rilievo a prescindere dall’esito favorevole o meno della prestazione medica, in quanto in grado di incidere sulla capacità di autodeterminazione del paziente. La dimostrazione – invece – di un nesso causale tra la lesione del diritto di autodeterminazione e danno effettivamente subito, spetta al paziente, rientrando tale elemento tra gli oneri in capo all’attore qui dicet.
Come indica correttamente Cassazione penale sez. IV, 04/03/2020, n.10175
Pe rla colpa medica , il rispetto di linee guida accreditate presso la comunità scientifica non determina, di per sé, l’esonero dalla responsabilità penale del sanitario ai sensi dell’art. 3 d.l. 13 settembre 2012 n. 158, conv. in l. 8 novembre 2012 n. 189 (cosiddetta legge Balduzzi), dovendo comunque accertarsi se la specificità del quadro clinico del paziente imponesse un percorso terapeutico diverso rispetto a quello indicato da dette linee guida (nella specie, da questa premessa la Corte ha fatto discendere la conseguenza che, a fronte di due pareri discordanti dei consulenti dell’accusa e della difesa su circostanze non espressamente valutate dalle linee guida, ma che hanno, tuttavia, caratterizzato il caso esaminato dal medico, la decisione dei giudici di merito che scelga tra le due posizioni non può fondarsi sul mero rinvio alle linee guida, che non contemplano e non valutano dette circostanze e che, proprio perché elaborate in via astratta, non possono esaurire tutte le situazioni concrete).
Per l’applicabilità dell’art 590-sexies del Cp, come chiarito da Cassazione penale sez. IV, 21/03/2019, n.28102
in mancanza di linee-guida approvate ed emanate mediante il procedimento di cui all’articolo 5 della legge n. 24 del 2017, può farsi richiamo alle linee-guida attualmente vigenti, considerandole alla stregua di buone pratiche clinico-assistenziali, pur nella consapevolezza che si tratta di una opzione ermeneutica non agevole ove si consideri che le linee guida differiscono notevolmente, sotto il profilo concettuale, prima ancora che tecnico-operativo, dalle buone pratiche clinico-assistenziali, sostanziandosi in raccomandazioni di comportamento clinico, sviluppate attraverso un processo sistematico di elaborazione concettuale, volto a offrire indicazioni utili ai medici nel decidere quali sia il percorso diagnostico-terapeutico più appropriato in specifiche circostanze cliniche.
In tema di responsabilità medica, le raccomandazioni contenute nelle linee guida definite e pubblicate ai sensi dell’art. 5, legge 8 marzo 2017, n. 24, benché non costituiscano veri e propri precetti cautelari vincolanti, tali da integrare, in caso di violazione rimproverabile Cassazione penale sez. IV, 30/01/2019, n.9447 , ipotesi di colpa specifica, rappresentano i parametri precostituiti a cui il giudice deve tendenzialmente attenersi nel valutare l’osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza e perizia, cosicché, in caso di accertata violazione di linee guida adeguate al caso concreto, la verifica del grado della colpa non rileva ai fini dell’affermazione della responsabilità, ma può rilevare ai fini del trattamento sanzionatorio ed ai fini delle conseguenze civilistiche di tipo risarcitorio.
Alla luce del disposto dell’articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall’articolo 6 della legge 8 marzo 2017 n. 24 (cosiddetta legge “Gelli-Bianco”), l’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medicoCassazione penale sez. IV, 16/11/2018, n.412
. Pertanto, la distinzione tra colpa lieve e colpa grave per imperizia, nell’ambito della fase esecutiva delle raccomandazioni contenute nelle linee-guida che risultino adeguate al caso di specie, mantiene una sua attuale validità: ciò in quanto la colpa lieve per imperizia esecutiva delimita l’ambito di irresponsabilità penale del professionista sanitario. In questo sistema normativo, il professionista è tenuto ad attenersi alle raccomandazioni previste dalle linee-guida, sia pure con gli adattamenti propri della fattispecie concreta (cfr. articolo 5 della legge n. 24 del 2017) e, per converso, lo stesso professionista ha la legittima, coerente pretesa a vedere giudicato il proprio comportamento alla stregua delle medesime direttive impostegli. Ne deriva che la motivazione della sentenza di merito deve indicare se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, valutare il nesso di causa tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri, specificare di quale forma di colpa si tratti (se di colpa generica o specifica, e se di colpa per imperizia, o per negligenza o imprudenza), appurare se e in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata da linee-guida o da buone pratiche clinico-assistenziali.
In tema di responsabilità medica, poiché con la legge 8 marzo 2017, n. 24, il legislatore ha inteso costruire un sistema istituzionale, pubblicistico, di regolazione dell’attività sanitaria, che ne assicuri lo svolgimento in modo uniforme e conforme ad evidenze scientifiche controllate, rappresentate dalle linee guida, è viziata la motivazione della sentenza che abbia recisamente escluso la rilevanza di queste ultime per non aver l’imputato soddisfatto il relativo onere di allegazione.
In materia di responsabilità professionale del medico, il disposto dell’articolo 590-sexies, introdotto dalla legge 8 marzo 2017 n. 24 (cosiddetta “legge Gelli-Bianco”) è subordinato, nella sua operatività all’emanazione di lenee-guida “come definite e pubblicate ai sensi di legge”. La norma richiama, infatti, l’articolo 5 della stessa legge, che detta un articolato iter di elaborazione e di emanazione delle linee-guida, di guisa che, in mancanza di lenee-guida approvate ed emanate mediante il procedimento di cui al citato articolo 5, non può farsi riferimento all’articolo 590-sexies de codice penale, se non nella parte in cui questa norma richiama le “buone pratiche clinico-assistenziali”.
Cassazione penale sez. IV, 22/06/2018, n.47748
In tema di responsabilità colposa per morte o lesioni in ambito medico, alla luce della nuova disciplina introdotta dalla L. n. 24/2017, c.d. legge Gelli-Bianco, occorre distinguere tra una condotta del medico connotata da colpa per imperizia, per negligenza o per imprudenza Cassazione penale sez. IV, 22/06/2018, n.37794
prendendo come parametro per la valutazione dell’operato del sanitario le linee-guida o, in mancanza, le buone pratiche clinico-assistenziali. (Sulla base di questo principio la S.C. ha ritenuto non conforme alle finalità della legge la motivazione della pronuncia impugnata che non aveva indicato in modo specifico il grado di colpa del sanitario, omettendo di verificare la misura dello scostamento della sua condotta dalle linee-guida o dalle buone prassi).
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