Sinistro stradale mortale – Congiunti – Risarcimento

TREVISO

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Tribunale|Treviso|Sezione 1|Civile|Sentenza|7 novembre 2018| n. 2189

 

INCIDENTE MORTALE ,FERITI AUTOSTRADA AVVOCATO DANNI

INCIDENTE MORTALE ,FERITI AUTOSTRADA AVVOCATO DANNI

 

 

Sinistro stradale mortale – Congiunti – Risarcimento danno non patrimoniale – Danno da morte fatto valere iure proprio – Fondamento costituzionale – Prova – Onere – Presupposti

AIII2

INCIDENTE MORTALE VERCELLI, INCIDENTE MORTALE RAVENNA RESPONSABILITA’ PER OMICIDIO COLPOSO

Secondo consolidata giurisprudenza, anche il lavoro domestico svolto da parte di un familiare costituisce danno patrimoniale risarcibile qualora esso venga a mancare per morte imputabile ad altro soggetto (cfr. Cass. 24 agosto 2007, n. 17977), come nel caso di specie, ma tale danno non può considerarsi in re ipsa, ossia non può desumersi automaticamente dalla perdita del familiare convivente, bensì deve essere analiticamente ed adeguatamente provato.

Dagli atti di causa, risulta che Pa.Br. era un carabiniere e lavorava a tempo pieno. In assenza di sufficiente prova circa l’entità del lavoro domestico da questi svolto, la domanda deve essere respinta.

  1. Gli attori allegano un danno da perdita delle elargizioni erogate dal defunto pari ad Euro 31.452,00, calcolati, in via equitativa, sulla base della considerazione che la vittima destinasse alle esigenze di vita comune della famiglia una somma mensile pari ad Euro 500,00 e che avrebbe continuato a convivere con la famiglia (e, quindi, a contribuire) fino al compimento del 35esimo anno d’età, circostanza determinata sulla base dell’id quod plerumque accidit.
    ACAMION-INCIDENTE-SCRITTA

    ACAMION-INCIDENTE-SCRITTA

La domanda deve essere respinta in quanto il danno non risulta provato.

La giurisprudenza prevalente considera risarcibile non solo il danno patito dai creditori del defunto, ma anche il pregiudizio economico sofferto da tutti coloro che, pur non vantando alcun diritto di credito nei confronti della vittima, godevano comunque di una stabile e periodica contribuzione da parte dello stesso, in adempimento di un dovere anche solo morale (cfr. Cass. 19 agosto 2003, n. 12124).

La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha interpretato in maniera espansiva l’onere di provare il danno da perdita delle elargizioni domestiche, consentendo al giudice del merito di fare ricorso alla nozione di fatto notorio, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 115, comma secondo, cod. proc. civ., e alla prova per presunzioni, di cui all’art. 2727 cod. civ.

Nel caso di specie, la domanda deve essere tuttavia respinta poiché, anche ammettendo in via presuntiva la sussistenza dell’an, non è possibile procedere alla liquidazione del quantum, la quale consta di tre fasi.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI TREVISO

SEZIONE PRIMA CIVILE

in composizione monocratica, in persona del dott. Alberto Barbazza, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio iscritto al R.G. n. 2123/2015 promosso da

BR.AN.

LE.AL.

LE.PA.,

tutti rappresentati e difesi dall’avv. Elettra Bruno, per mandato a margine dell’atto di citazione, e domiciliati presso lo studio della stessa in Formia (LT);

– ATTORI –

contro

  1. S.P.A., quale impresa designata Fondo Garanzia Vittime della Strada, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Lu.Ve., per procura generale alle liti, e domiciliata presso lo studio dello stesso in Treviso;
  2. S.r.l. (già EL. S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa dall’avv. An.To., per mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta, e domiciliata presso lo studio dello stesso in Avellino;

– CONVENUTE –

e

con l’intervento di

  1. S.r.l. (già EL. S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore

AN.SA.,

entrambi rappresentati e difesi dall’avv. An.To., per mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta, e domiciliati presso lo studio dello stesso in Avellino;

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– TERZI CHIAMATI –

CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

ex art. 132, comma secondo, n. 4), cod. proc. civ.

Con atto di citazione, gli odierni attori convenivano in giudizio Ge. S.p.A. quale impresa designata Fondo Garanzia Vittime della Strada (in seguito, per brevità, anche solo “Ge.”), ed El. s.r.l. (in seguito, per brevità, anche solo “El.”), al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti in seguito alla morte di Pa.Br., figlio degli attori An.Br. e Pa.Le. e nipote dell’attore Al.Le., suo avo materno.

Specificavano che in data 20 giugno 2013, intorno alle ore 18.00, Pa.Br. guidava un motociclo ed era preceduto, nel medesimo senso di marcia, dal veicolo (…) condotto da An.Sa. e di proprietà di El., privo di copertura assicurativa. La suddetta automobile, in prossimità di un’intersezione, effettuava una

repentina e non segnalata svolta a sinistra nel momento in cui il motociclo condotto dal Br. si trovava in fase di sorpasso, a velocità di poco superiore a quella massima consentita. In conseguenza dell’urto fra il motociclo e l’autoveicolo, il Br. subiva gravi lesioni personali che ne cagionavano il decesso.

Gli attori allegavano, come conseguenza della morte del loro parente, di aver sofferto un danno di natura non patrimoniale nonché le seguenti voci di danno patrimoniale: spese funerarie e di successione, danno da perdita del lavoro domestico, danno da perdita delle elargizioni erogate dal defunto e danno da ritardato adempimento.

Gli attori chiedevano, inoltre, che venisse accertato l’inadempimento da parte di Ge. dell’offerta di cui all’art. 148 cod. ass., con le conseguenze di ordine amministrativo, civilistico e processuale da essi prospettate, inclusa la necessità di condannare la convenuta ai sensi dell’art. 96, comma primo e terzo, cod. proc. civ.

Con comparsa di costituzione e risposta, Ge. si costituiva contestando le allegazioni di parte attorea e, in particolare, la sussistenza dei presupposti di coinvolgimento dell’impresa quale Fondo Garanzia Vittime della Strada (in seguito, per brevità, anche solo “FGVS”) ai sensi dell’art. 283 cod. ass. Inoltre, negava la sussistenza di responsabilità alcuna in capo al conducente del veicolo, opponendosi sia all’accertamento dell’an debeatur, sia alla ricostruzione di parte attorea circa il quantum debeatur e contestando, infine, la pretesa violazione dell’art. 148 cod. ass. e 96, comma primo e terzo, cod. proc. civ.

Ge. chiamava inoltre in causa El. e il Sa. per essere da questi tenuta indenne nell’ipotesi di soccombenza.

Con comparsa di costituzione e risposta, El. si costituiva contestando tutto quanto dedotto da parte attrice. In via preliminare, eccepiva l’incompetenza territoriale del Tribunale di Treviso, per essere competente il Tribunale di Udine e/o il Tribunale di Gorizia, l’improcedibilità della domanda per omesso esperimento del tentativo di conciliazione nei confronti delle parti convenute e la nullità dell’atto di citazione ex artt. 163 e 164 cod. proc. civ. per assoluta genericità ed erroneità nella descrizione del fatto. Nel merito, contestava la dinamica dell’incidente così come descritto da parte attrice, sostenendo l’assenza di responsabilità in capo al Sa., nonché l’arbitrarietà dell’individuazione delle voci di danno e della loro quantificazione.

Con comparsa di costituzione e risposta, An.Sa. si costitutiva aderendo alle contestazioni, istanze e conclusioni di El.

In data 19 novembre 2015, le parti comparivano e, a seguito della discussione delle questioni di natura processuale, il Giudice disponeva che le eccezioni di incompetenza e nullità della domanda fossero decise unitamente al merito della controversia mentre, ritenuto fondata l’eccezione di improcedibilità per mancanza della condizione prevista dall’art. 5 D.lgs. 28/2010, assegnava alle parti termine di giorni quindici per instaurare il procedimento di conciliazione obbligatoria.

In data 21 aprile 2016, le parti davano atto concordemente dell’esperimento infruttuoso del tentativo di mediazione. Il Giudice, su loro richiesta, concedeva i termini di cui all’art. 183, comma sesto, cod. proc. civ.

In data 16 marzo 2017, il Giudice disponeva procedersi preliminarmente a consulenza tecnica dinamico – ricostruttiva del sinistro, nominando a tal fine il perito industriale Alberto Conte.

In data 9 maggio 2017, l’avv. To. chiedeva che venisse sospeso il procedimento in attesa della definizione del procedimento penale instaurato presso il Tribunale di Gorizia. Il Giudice rigettava l’istanza per carenza dei presupposti di cui all’art. 295 cod. proc. civ.

Nella medesima udienza, il CTU prestava giuramento e si impegnava a rispondere al seguente quesito: “Accerti il CTU, quale sia la dinamica del sinistro avvenuto il 20 giugno 2013 e di cui alla presente causa. In particolare dica il CTU a chi sia imputabile la responsabilità dello stesso anche in termini percentuali. Specifichi il CTU le caratteristiche tecniche dei mezzi e quali siano state le condotte dei conducenti al momento della causazione del sinistro”.

In data 30 gennaio 2018, venivano sentiti come testi Da.De., amica e vicina di casa di Pa.Br., e Ma.De., vicina di casa degli attori.

In data 28 giugno 2018, le parti precisavano le conclusioni e il giudice concedeva, su loro concorde richiesta, i termini di cui all’art. 190 cod. proc. civ.

  1. L’eccezione di incompetenza territoriale deve essere respinta in quanto infondata. L’art. 19 cod. proc. civ.dispone che “Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora sia convenuta una persona giuridica, è competente il giudice del luogo dove essa ha sede. È competente altresì il giudice del luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda”.

Come d’altronde riconosciuto dalle parti El. e Sa., le quali hanno sollevato l’eccezione di incompetenza per territorio, la convenuta Ge. ha sede legale in Mogliano Veneto (TV) e il Tribunale di Treviso risulta dunque territorialmente competente.

A nulla, pertanto, vale la considerazione che l’altra convenuta in via principale, ossia El., abbia sede a Cervigiano del Friuli (UD), poiché l’art. 33 cod. proc. civ. dispone che “Le cause contro più persone che a norma degli artt. 18 e 19 dovrebbero essere proposte davanti a giudici diversi, se sono connesse per l’oggetto o per il titolo possono essere proposte davanti al giudice del luogo di residenza o domicilio di una di esse, per essere decise nello stesso processo”. Nel caso di specie, le domande sono connesse tanto per l’oggetto quanto per il titolo, quindi trova applicazione la disposizione sopra citata.

  1. L’eccezione di nullità dell’atto di citazione ai sensi degli artt. 163 e 164 cod. proc. civ.deve essere respinta in quanto infondata.

La Suprema Corte ha spiegato che “la declaratoria di nullità della citazione per omissione o assoluta incertezza del petitum postula una valutazione da compiersi caso per caso, nel rispetto di alcuni criteri di ordine generale, occorrendo, da un canto, tener conto che l’identificazione dell’oggetto della domanda va operata avendo riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nell’atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, dall’altro, che l’oggetto deve risultare “assolutamente” incerto; in particolare, quest’ultimo elemento deve essere vagliato in coerenza con la ragione ispiratrice della norma che impone all’attore di specificare sin dall’atto introduttivo, a pena di nullità, l’oggetto della sua domanda, ragione che, principalmente, risiede nell’esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese (prima ancora che di offrire al Giudice l’immediata contezza del thema decidendum); con la conseguenza che non potrà prescindersi, nel valutare il grado di incertezza della domanda, dalla natura del relativo oggetto e dalla relazione in cui, con esso, si trovi eventualmente la controparte” (cfr. Cass. 29 gennaio 2015, n. 1681).

Nel caso di specie, non può essere ragionevolmente sostenuto che il petitum risulti “assolutamente incerto” né che la ricostruzione del fatto di parte attrice, contenuta nell’atto di citazione, abbia in alcun modo compromesso la facoltà del convenuto di apprestare adeguate e puntuali difese, con conseguente compromissione del principio del contraddittorio. Pertanto, l’eccezione deve essere respinta.

  1. L’eccezione di carenza di legittimazione passiva del Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada, sollevata da parte convenuta Ge. in comparsa di costituzione e risposta, deve essere rigettata in quanto non contestato dalle parti che il veicolo di proprietà di El. e guidato dal Sa. fosse privo di copertura assicurativa. Pertanto, risulta integrata l’ipotesi di cui all’art. 283, n. 1, let. b cod. ass.
  2. Nel merito, gli attori chiedono il risarcimento dei danni subiti iure proprio in seguito all’illecito aquiliano rappresentato dalla morte di Pa.Br. nel sinistro stradale sopra descritto.

Ai sensi dell’art. 2043 c.c., ai fini del risarcimento del danno è necessario che il danneggiato provi tutti gli elementi costitutivi dell’illecito extracontrattuale, ossia il fatto illecito, il danno, l’elemento soggettivo, il nesso di causalità materiale fra la condotta e la lesione dell’interesse giuridico tutelato (c.d. danno – evento) e il nesso di causalità giuridica tra l’evento dannoso e il pregiudizio lamentato (c.d. danno – conseguenza).

4.1 Per quanto riguarda il profilo fattuale, l’elemento soggettivo e il nesso di causalità materiale, ad espletamento dell’incarico peritale il CTU rassegnava le seguenti conclusioni: “L’incidente si è verificato verso le ore 18:50 del giorno 20 giugno 2013, in un tratto extraurbano del Comune di Gradisca d’Isonzo (GO), lungo la (…) e all’altezza dell’intersezione con la S.P. 18, in quel tratto denominata via F.lli Ro.

La (…) è strada prioritaria sulla quale esiste limite di velocità di 70 km/h e segnale verticale che presegnala un’intersezione a “T” con strada subordinata.

Via F.lli Ro. è strada secondaria e, in prossimità dell’intersezione, vi sono tre aiuole spartitraffico con cordolo rialzato che formano quattro bretelle di collegamento con la (..).

Al momento del fatto il manto stradale era asfaltato, asciutto e in buone condizioni di manutenzione, il cielo era sereno, la visibilità ottima, l’illuminazione era diurna e il traffico era normale.

Il sig. Sa.An. alla guida dell’autovettura (…) targata (…) con a bordo, in qualità di trasportata, la moglie Pin Paola, percorreva la (…) con direzione di marcia Cervignano del Friuli – Gradisca d’Isonzo.

Giunto in prossimità dell’intersezione, alla velocità di circa 40 km/h, avviava manovra di svolta a sinistra nell’intento di accedere in via F.lli Ro. e dirigersi verso (…).

Nel contempo da tergo sopraggiungeva il sig. Pa.Br. che, in sella al proprio motociclo (…) targato (…), era in fase di sorpasso della vettura.

Il sig. Br., al momento della percezione della turbativa costituita dalla (…) in deviazione, si trovava appena al di là della striscia di mezzeria, dunque sulla corsia di sinistra, e transitava ad una velocità di circa 80 km/h.

Percepito il pericolo, dapprima deviava bruscamente a sinistra e poi frenava lasciando impressa sul manto stradale una traccia di frenata, prodotta dal pneumatico posteriore, lunga 0,5 metri e ad una distanza di 1,05 m dal margine della corsia di sinistra.

Si verificava così la collisione tra i due veicoli che si concretizzava tra il fianco centro anteriore sinistro della (…) e la parte anteriore e laterale destra della (…). L’urto avveniva circa 1,6 m oltre il termine della traccia di frenata, in prossimità del margine sinistro della (…) e in corrispondenza dell’asse della seconda bretella di via F.lli Ro. (sagome in rosso sulla planimetria).

La (…) giungeva all’impatto ad una velocità di circa 28 km/h mentre la (…) possedeva una velocità di circa 73 km/h.

Il sig. Br. percepiva la situazione di pericolo quando si trovava arretrato di circa 28 m dalla collisione (sagoma in blu sulla planimetria) e dopo 0,7 secondi dalla percezione iniziava la deviazione a sinistra, ovvero quando si trovava a circa 12 m

dalla collisione (sagoma in magenta sulla planimetria).

La (…) al momento della percezione del pericolo da parte del motociclista si trovava invece arretrata di 12 m dal punto d’urto e a cavallo della striscia di mezzeria (sagoma in blu sulla planimetria).

Dopo la collisione la vettura subiva una leggera deviazione oraria, quindi avanzava per almeno 22 metri e verosimilmente si arrestava in posizione trasversale all’interno dell’ultima bretella che collega la (…) con via F.lli Ro. (sagoma in verde sulla planimetria). In tale posizione la vettura costituiva un ostacolo alla circolazione ed è il probabile motivo per il quale il sig. Sa. istintivamente spostava il veicolo e, in retromarcia, lo accostava al margine sinistro della carreggiata, all’interno dell’aerea zebrata (sagoma in nero sulla planimetria).

Motociclista e motociclo dopo l’urto si separavano.

Il sig. Br. veniva dapprima scaraventato contro il parafango della vettura e poi sbalzato sul manto stradale di via F.lli Ro., dopo aver compiuto un volo di circa 7 metri. Da questa posizione avanza strisciando sull’asfalto e, dopo aver colpito con il casco il cordolo dell’aiuola spartitraffico, si arrestava all’interno della aiuola al termine di un ulteriore tragitto di 8 m (sagoma in blu e rosso sulla planimetria).

Il motociclo dopo l’impatto subiva una deviazione verso sinistra e, percorsi presumibilmente alcuni metri in piedi, cadeva a terra lasciando evidenti incisioni sul manto stradale in prossimità della aiuola spartitraffico. Dopodiché urtava il cordolo e superava l’aiuola arrestandosi all’interno dell’ultima bretella di via F.lli Ro. dopo aver percorso uno spazio di 20 m (sagoma in nero sulla planimetria) “.

“In merito alle condotte al momento della causazione del sinistro, da quanto ricostruito, è emerso che il conducente della vettura:

– ha avviato la svolta a sinistra anticipando la manovra, così operando ha oltrepassato la striscia di mezzeria in un tratto dove era continua;

– ha intrapreso la svolta a sinistra senza prima accertarsi, per mezzo degli specchietti retrovisori (laterale o centrale), se da dietro non sopraggiungessero dei veicoli in fase di sorpasso. Dalla ricostruzione è infatti emerso che all’avvio della deviazione il motociclo era già in fase di sorpasso e si trovava, sebbene di poco, nell’opposta corsia di marcia, in una posizione dalla quale poteva essere agevolmente avvistato attraverso l’uso degli specchietti retrovisori.

Per quanto concerne la condotta del motociclista è emerso che:

– al momento della percezione del pericolo transitava ad una velocità di 80 km/h, andatura questa superiore al limite di 70 km/h vigente in loco.

– si è posto in sorpasso in prossimità di un’intersezione stradale per di più presegnalata.

– nel compiere il sorpasso si è portato nell’opposta corsia di marcia oltrepassando la striscia di mezzeria in un tratto dove la stessa era continua.

In merito alla responsabilità e alla sua ripartizione, si è ritenuto inizialmente opportuno fare riferimento alla tabella A allegata al D.P.R n. 254 del 18 luglio 2006, che per la modalità del sinistro indica la corresponsabilità paritetica (50%) dei due conducenti.

La stessa tabella indica pure una varianza della corresponsabilità dal 30 al 70% per il mancato rispetto del limite di velocità e delle modalità previste dal Codice della Strada per le svolte a destra e a sinistra.

La tabella non contempla però il caso in cui il sorpassante esegua la manovra in un luogo non consentito.

Nel caso de quo, la causa tecnica principale del verificarsi dell’evento va proprio

In primo luogo, l’onere della prova del fatto risulta soddisfatto dalla allegazione del verbale redatto dalla Polizia Stradale di Gorizia (cfr. doc. 1 di parte attrice) alla luce del disposto di cui all’art. 2054, comma secondo, cod. civ., il quale stabilisce che “Nel caso di scontro tra veicoli si presume, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli”.

In secondo luogo, la Corte di Cassazione ha in più occasioni chiarito che la consulenza tecnica d’ufficio “può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, quando si risolva in uno strumento, oltre che di valutazione tecnica, anche di accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo con il ricorso a determinate cognizioni tecniche e percepibili con l’ausilio di specifiche strumentazioni tecniche” (cfr. ex multis Cass. 12 febbraio 2015, n. 2761).

Per questi motivi, il fatto illecito, il nesso di causalità materiale e l’elemento soggettivo del Sa., consistente quest’ultimo nell’imprudenza e nel mancato rispetto delle norme di circolazione stradale devono essere accertati nel senso determinato dal CTU, e la responsabilità del sinistro deve essere attribuita per il 40% al Sa. e per il 60% al Br., come da consulenza tecnica.

  1. Le voci di danno allegate da parte attrice vanno in primo luogo divise nelle due componenti del danno non patrimoniale e del danno patrimoniale, il primo regolato dal principio della tipicità, di cui all’art. 2059 cod. civ., il secondo dal principio dell’atipicità, così come dettato dall’art. 2043 cod. civ.

5.1 Per quanto riguarda la prima componente, gli attori allegano di aver sofferto un danno di natura non patrimoniale a seguito della morte del Br.. Ai fini di una più efficace trattazione della domanda, deve essere premessa una breve analisi diacronica del danno non patrimoniale da perdita parentale.

La giurisprudenza anche costituzionale aveva in un primo momento qualificato il danno da perdita del congiunto come “danno da rimbalzo”, ossia un danno non immediatamente riconducibile all’evento dannoso, bensì mediato dalla vittima “primaria” dell’illecito, cioè il congiunto deceduto (cfr. Corte Costituzionale 27 ottobre 1994, n. 372). Tale qualificazione portava necessariamente ad escludere la risarcibilità del danno biologico sofferto dal parente del soggetto deceduto per mancanza dell’elemento dell’ingiustizia del danno costitutivo della fattispecie di cui all’art. 2043 cod. civ., ferma la risarcibilità del danno patrimoniale patito dai congiunti legati alla vittima da un rapporto di dipendenza economica.

Con un successivo revirement, tuttavia, la Corte di Cassazione consacrava la natura plurioffensiva dell’illecito aquiliano come illecito in grado di ledere in via diretta e immediata non solo la vita di un individuo, ma anche l’integrità delle relazioni familiari. A tal fine, si parlava di “propagazione intersoggettiva” delle conseguenze di uno stesso fatto illecito, dal quale potevano generarsi pregiudizi non solo di carattere patrimoniale, ma anche non patrimoniale (cfr. Cass. 31 maggio 2003, n. 8828).

Con la medesima giurisprudenza, peraltro confermata successivamente (cfr. Cass. 17 novembre 2011, n. 24082), veniva chiarito che il principio di tipicità del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 cod. civ. non doveva essere interpretato restrittivamente limitandolo alle sole norme incriminatrici, di cui al combinato disposto con l’art. 185 cod. pen., ma che i precetti costituzionali, sancendo i diritti inviolabili dell’individuo, potevano costituire essi stessi il fondamento positivo del risarcimento del danno non patrimoniale richiesto dall’art. 2059 cod. civ.

Si concludeva, alla luce di tali considerazioni, che se per il danno patrimoniale era sufficiente la prova dell’ingiustizia del danno, per il danno non patrimoniale doveva al contrario sussistere la duplice prova della tipicità del danno e dell’ingiustizia dello stesso, potendo in ogni caso la prima risolversi nell’accertamento della violazione di un principio costituzionalmente garantito quale, ad esempio, il diritto alla salute o il diritto alla libertà e alla segretezza della corrispondenza.

Con riguardo alle conseguenze non patrimoniali della morte del congiunto, la giurisprudenza distingueva fra il danno fatto valere iure proprio dai parenti dello stesso e il c.d. danno tanatologico, fatto al contrario valere iure hereditatis in quanto sofferto direttamente dalla vittima del sinistro.

Per quanto riguarda la prima tipologia, tale danno può esplicarsi sia nella forma del danno morale, consistente nel dolore e nelle sofferenze subite da una persona come conseguenza della morte del parente, sia nella forma del danno biologico qualora il prossimo congiunto soffra, come conseguenza del medesimo evento, un danno alla propria salute ed integrità psico-fisica medicalmente accertabile.

La Suprema Corte chiariva, peraltro, che costituisce indebita duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, non altrimenti specificato, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita, e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita, altro non sono che componenti del medesimo pregiudizio complessivo, che va ristorato integralmente ma unitariamente (cfr. Cass. 17 dicembre 2015, n. 25351). Inoltre, la Cassazione chiariva che il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale patito iure proprio dai familiari del deceduto deve essere ridotto in misura corrispondente alla parte di danno cagionato da quest’ultimo a se stesso. Ciò non in quanto l’art. 1227, comma primo, cod. civ. si applichi direttamente, bensì in quanto la lesione del diritto alla vita, colposamente cagionata da chi la vita la perde, non integra un illecito della vittima nei confronti dei propri congiunti, atteso che la rottura del rapporto parentale ad opera di una delle sue parti non può considerarsi fonte di danno nei confronti dell’altra per mancanza del requisito dell’ingiustizia del danno (Cass. 12 aprile 2017, n. 9349).

Per quanto concerne il danno iure hereditatis, o danno tanatologico, esso consiste nella sofferenza patita dal defunto prima di morire a causa delle lesioni fisiche derivanti da un’azione illecita di terzi. Ai fini della risarcibilità di tale voce di danno, la giurisprudenza ha costantemente richiesto il riscontro di un apprezzabile lasso di tempo fra la lesione del danneggiato e la sua morte, argomentando che altrimenti non potrebbe essere individuato nemmeno un istante in cui il soggetto leso possa “godere” del risarcimento per essersi reso conto di andare incontro alla morte e, per l’effetto, di trasferirlo a titolo ereditario. Quanto alla natura giuridica di tale voce di danno, inoltre, trattasi di danno morale, dovendo inquadrarsi il danno tanatologico come un turbamento e una sofferenza interiore del morituro.

5.2 Alla luce di queste considerazioni, il danno non patrimoniale lamentato dagli attori deve essere qualificato come danno da morte fatto valere iure proprio e attinente alla sfera del danno morale, non avendo essi allegato alcun pregiudizio biologico patito conseguentemente al decesso del Br. Il fondamento positivo di tale tipologia di danno va individuato nel combinato disposto di cui agli artt. 2 e 29 della Costituzione. Per quanto concerne l’onere della prova, l’evoluzione giurisprudenziale ha portato a richiedere la sussistenza di un duplice presupposto: il primo, di diritto, consistente nell’esistenza di un vincolo riconosciuto dall’ordinamento giuridico fra la vittima e l’attore, e il secondo, di fatto, richiedendosi la sussistenza di un vincolo affettivo intenso e tangibile fra gli stessi.

5.3 Il presupposto di diritto è certamente integrato con riguardo a tutti gli attori, rientrando genitori e ascendenti pacificamente nella nozione codicistica di parentela desumibile, fra gli altri, dall’art. 572, comma secondo, cod. civ.

5.4 Per quanto riguarda il presupposto di fatto, devono invece esaminarsi separatamente le posizioni di An.Br. e Pa.Le., genitori, rispetto a quella di Al.Le., nonno materno.

5.4.1 Con riguardo ai genitori, il danno non patrimoniale causato dalla morte del figlio va presunto ex art. 2727 cod. civ., potendo infatti desumersi, dal fatto noto del rapporto di ascendenza, il fatto ignoto che i genitori abbiano patito un pregiudizio di natura non patrimoniale per la morte del figlio.

Non si ravvisa tuttavia alcun motivo per personalizzare tale risarcimento, come richiesto dagli attori, aumentando il quantum del risarcimento in misura non inferiore al 33% della misura standard individuata dalle Tabelle del Tribunale di Milano. La c.d. personalizzazione, infatti, deve essere giustificata da circostanze anomale, inusuali ed eccezionali (cfr. Cass. 17 dicembre 2014, n. 26590Cass. 9 maggio 2011, n. 10107). Nel caso di specie, gli attori non hanno allegato né provato alcuna di queste circostanze, e il solo fatto che a morire sia stato il figlio e non il genitore, come normalmente dovrebbe avvenire in natura, e che gli stessi convivessero, non può essere ritenuta circostanza idonea a giustificare l’aumento dell’importo del risarcimento richiesto in atto di citazione.

Pertanto, tenendo presente che la responsabilità del sinistro va ascritta per il 60% al Br. e che quindi, per i motivi sopra evidenziati, il risarcimento va ridotto della misura corrispondente, il danno subito da An.Br. e da Pa.Le. deve essere quantificato nella somma finale di Euro 66.384,00 oltre interessi moratori calcolati al tasso legale dal 20 giugno 2013 al saldo, per ciascun genitore, calcolata in base alla misura prevista dalle Tabelle di Milano, pari ad Euro 165.960,00, moltiplicato per il coefficiente del 40%.

5.4.2 Con riguardo all’avo materno Al.Le., la Cassazione ha di recente affermato che “non (è) condivisibile limitare la “società naturale ” della famiglia cui fa riferimento l’art. 29 della Costituzione all’ambito ristretto della sola c.d. “famiglia nucleare “, incentrata su coniuge, genitori e figli, e non può ritenersi che le disposizioni civilistiche che specificamente concernono i nonni non siano tali “da poter fondare un rapporto diretto, giuridicamente rilevante, fra nonni e nipoti ” ma piuttosto individuino un “rapporto mediato dai genitori – figli o di supplenza dei figli”, evidenziandosi, a tale riguardo, che il nostro ordinamento non solo include i discendenti in linea retta fra i parenti e riconosce tra nonni e nipoti uno stretto vincolo di parentela (…), ma prevede nei confronti dei discendenti e viceversa una serie di diritti, doveri e facoltà (…) da cui risulta l’innegabile rilevanza anche giuridica, oltre che affettiva e morale, di tale rapporto” (cfr. Cass. 20 ottobre 2016, n. 21239).

Secondo l’orientamento maggioritario, dalla summenzionata giurisprudenza e, in particolare, dall’uso da parte della Suprema Corte dell’espressione “stretto vincolo di parentela”, con riferimento al rapporto fra nonni e nipoti, si deve concludere che, come per i genitori, la sussistenza del presupposto di fatto possa essere dedotta in via presuntiva ex art. 2727 cod. civ., salvo il convenuto fornisca prova che nonno e nipote non si frequentavano o non versavano comunque in buoni rapporti.

Nel caso di specie, dall’istruttoria risulta che Pa.Br. e Al.Le. non vivevano insieme ma che mantenevano comunque buoni rapporti (secondo la teste Del Favaro, il Br. andava a trovare il nonno almeno tre volte all’anno; secondo la teste De Sabbata, “quando poteva, compatibilmente con il lavoro”).

Pertanto, il danno subito da Al.Le. deve essere riconosciuto nella somma complessiva di Euro 9.608,00 oltre interessi moratori calcolati al tasso legale dal 20 giugno 2013 al saldo, calcolata in base alla misura prevista dalle Tabelle di Milano, pari ad Euro 24.020,00, moltiplicata per il coefficiente del 40%.

  1. Esaurita la liquidazione del danno non patrimoniale, possono essere singolarmente esaminate le voci di danno patrimoniale allegate dagli attori.
  2. L’attore An.Br. dichiara, in atto di citazione, di aver speso la somma di Euro 6.752.20 per oneri funerari, “da rivalutare in base all’indice ISTAT-FOI trattandosi di credito di valore”, e che spenderà, in futuro, Euro 300,00 all’anno per 20 anni “per adempiere quegli atti che la pietas verso i defunti ha sempre suggerito a tutti gli esseri umani” (cfr. atto di citazione, pag. 8).

La domanda deve essere accolta in parte in quanto parzialmente fondata.

Le spese funerarie rientrano, per giurisprudenza maggioritaria, fra i danni patrimoniali risarcibili come conseguenza della morte di un parente (cfr., explurimis, Cass. 14 marzo 1996, n. 2117). L’importo allegato dal Br. e riguardante le spese finora sostenute, pari ad Euro 6.752,20, risulta provato in via documentale (cfr. doc. 8 di parte attrice). Trattandosi di credito di valuta e non di valore, l’importo non deve essere soggetto a rivalutazione ISTAT. Pertanto, al Br. dovrà essere corrisposto l’importo di Euro 6.752.20 oltre interessi moratori calcolati al tasso legale dalla data di ricezione della notifica della domanda giudiziale al saldo, a titolo di risarcimento del danno da spese funerarie conseguenti alla morte del parente.

Le spese future allegate dall’attore e da questi quantificate in Euro 300,00 all’anno per 20 anni, tuttavia, non sono risarcibili poiché allegate in termini generici e non provate.

  1. Gli attori An.Br. e Pa.Le. allegano un danno da perdita del lavoro domestico precedentemente svolto dal figlio, quantificato da essi nella misura di Euro 9.000,00, per il periodo compreso fra il sinistro e la data di redazione dell’atto di citazione, ed Euro 26.706,00, per il periodo compreso fra il sinistro e il presumibile distacco del Br. dal nucleo familiare.

La domanda deve essere respinta in quanto il danno non risulta provato.

Secondo consolidata giurisprudenza, anche il lavoro domestico svolto da parte di un familiare costituisce danno patrimoniale risarcibile qualora esso venga a mancare per morte imputabile ad altro soggetto (cfr. Cass. 24 agosto 2007, n. 17977), come nel caso di specie, ma tale danno non può considerarsi in re ipsa, ossia non può desumersi automaticamente dalla perdita del familiare convivente, bensì deve essere analiticamente ed adeguatamente provato.

Dagli atti di causa, risulta che Pa.Br. era un carabiniere e lavorava a tempo pieno. In assenza di sufficiente prova circa l’entità del lavoro domestico da questi svolto, la domanda deve essere respinta.

  1. Gli attori allegano un danno da perdita delle elargizioni erogate dal defunto pari ad Euro 31.452,00, calcolati, in via equitativa, sulla base della considerazione che la vittima destinasse alle esigenze di vita comune della famiglia una somma mensile pari ad Euro 500,00 e che avrebbe continuato a convivere con la famiglia (e, quindi, a contribuire) fino al compimento del 35esimo anno d’età, circostanza determinata sulla base dell’id quod plerumque accidit.

La domanda deve essere respinta in quanto il danno non risulta provato.

La giurisprudenza prevalente considera risarcibile non solo il danno patito dai creditori del defunto, ma anche il pregiudizio economico sofferto da tutti coloro che, pur non vantando alcun diritto di credito nei confronti della vittima, godevano comunque di una stabile e periodica contribuzione da parte dello stesso, in adempimento di un dovere anche solo morale (cfr. Cass. 19 agosto 2003, n. 12124).

La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha interpretato in maniera espansiva l’onere di provare il danno da perdita delle elargizioni domestiche, consentendo al giudice del merito di fare ricorso alla nozione di fatto notorio, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 115, comma secondo, cod. proc. civ., e alla prova per presunzioni, di cui all’art. 2727 cod. civ.

Nel caso di specie, la domanda deve essere tuttavia respinta poiché, anche ammettendo in via presuntiva la sussistenza dell’an, non è possibile procedere alla liquidazione del quantum, la quale consta di tre fasi.

In primo luogo, deve essere accertato il reddito netto annuo del defunto, tenendo conto anche dei presumibili incrementi futuri.

Dalla somma così ottenuta bisogna sottrarre la c.d. quota sibi, ossia la parte di reddito che il defunto teneva per sé, non devolvendola ai bisogni della famiglia.

In terzo luogo, deve essere capitalizzata la quota di reddito così accertata, in base a un coefficiente per la costituzione delle rendite vitalizie (cfr. Cass 14 luglio 2003, n. 11003; Cass. 19 febbraio 2007, n. 3758Cass. 2 marzo 2004, n. 4186).

In assenza di prova, da parte degli attori, circa i redditi del Br., è evidentemente impossibile procedere alla liquidazione del danno e la domanda, pertanto, deve essere respinta, non potendo fare ricorso ai parametri prospettati dagli attori in quanto del tutto astratti e slegati al caso concreto.

  1. Gli attori allegano un danno da ritardato adempimento consistente nel mancato godimento della somma liquidata a titolo di risarcimento che, ove posseduta ex tunc, sarebbe stata presumibilmente investita per ricavarne un lucro finanziario. A tal fine, essi ritengono equo un saggio del 5%, pari al rendimento medio dei titoli di Stato dalla data del sinistro alla data dell’atto di citazione.

La domanda deve essere respinta in quanto infondata.

Il pregiudizio patrimoniale da ritardato adempimento di un’obbligazione di natura risarcitoria può senz’altro essere risarcito nell’ipotesi in cui il danneggiato provi che, qualora il risarcimento fosse avvenuto tempestivamente, egli avrebbe potuto investire la somma così ottenuta per ricavarne un lucro economico. Ad esempio, deve essere risarcito il danno da ritardato adempimento patito dell’attore il quale provi che, a causa

della mancata disponibilità della somma di denaro oggetto del risarcimento, non ha potuto acquistare un bene immobile a condizioni obiettivamente vantaggiose.

Tuttavia, tale voce di danno non può essere riconosciuta e liquidata sulla base della considerazione, del tutto eventuale e presuntiva, e nella presente fattispecie non dimostrata, che la somma di denaro tempestivamente ricevuta sarebbe stata investita per ricavarne un lucro finanziario.

  1. Gli attori lamentano una responsabilità di Ge. per mala gestio, consistente nella violazione dell’obbligo di proporre al danneggiato congrua e motivata offerta per il risarcimento del danno ex art. 148 cod. ass.

Sulla base di tale allegazione, gli attori chiedono la trasmissione all’IVASS della sentenza, per l’avvio del procedimento amministrativo ex art. 315 cod. ass., la condanna al risarcimento del danno patito dagli odierni attori anche oltre il massimale di polizza, ovvero nella misura del massimale rivalutato e con gli interessi dal 21 giugno 2013, nonché la condanna ai sensi dell’art. 96, comma primo e terzo, cod. proc. civ.

La domanda deve essere accolta in parte in quanto parzialmente fondata.

Ai sensi dell’art. 148, n. 2 cod. ass., nei casi di lesioni personali o morte derivante da sinistro, il danneggiato o gli aventi diritto possono fare istanza di risarcimento alla compagnia assicurativa, la quale dovrà, a seguito di tale richiesta, presentare una congrua e motivata offerta per il risarcimento del danno o comunicare i motivi per i quali non intende effettuare tale offerta entro il termine di 90 giorni.

La richiesta ex art. 148, n. 2 cod. ass. veniva presentata dagli attori in data 16 maggio 2014 (cfr. doc. 14 di parte attrice) e, a seguito della mancata risposta da parte di Ge. nel termine di 90 giorni (provata dalla mancata contestazione da parte di Ge. della circostanza in comparsa di costituzione e risposta), gli stessi sporgevano reclamo all’IVASS (cfr. doc. 15 di parte attrice).

Gli attori esponevano, in atto di citazione, che Ge. rispondeva solo a seguito del reclamo all’IVASS comunicando che: “poiché pende un processo penale non possiamo fornire informazioni e dobbiamo rinviare qualsiasi considerazione all’esito del procedimento penale”, con lettera datata 2 ottobre 2014. Tale lettera non è stata allegata agli atti di causa, ma l’esistenza della stessa deve desumersi dalla mancata contestazione da parte di Ge. in comparsa di costituzione e risposta, ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ.

La domanda degli attori di trasmissione della presente sentenza all’IVASS, ai sensi dell’art. 148, n. 10, cod. ass., deve essere dunque accolta non avendo Ge. adempiuto all’obbligo ex art. 148, n. 2 cod. ass.

Tuttavia, le ulteriori domande proposte da parte attrice, come conseguenza di tale violazione, vanno rigettate.

In primo luogo, ogni questione riguardante la condanna al risarcimento del danno oltre il massimale di polizza è irrilevante, in quanto il risarcimento del danno liquidato con la presente sentenza è di importo nettamente inferiore al massimale del FGVS in caso di danni alle persone a seguito di sinistro (pari ad Euro 6.070.000,00).

In secondo luogo, la violazione da parte di Ge. dell’obbligo di esperire offerta tempestiva ex art. 148, n. 2, cod. ass., oppure di comunicare le ragioni per le quali non si intende procedere, non è indice di temerarietà ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 96, comma primo e terzo, cod. proc. civ. poiché, nel caso di specie, le dinamiche del sinistro erano effettivamente dubbie e, peraltro, a seguito della consulenza tecnica d’ufficio dinamico – ricostruttiva, emergeva una corresponsabilità della vittima per il 60%.

  1. Infine, deve essere accolta la domanda di esercizio del diritto di regresso e di surroga ex art. 292 cod. ass. promossa da Ge. nei confronti di El. e del Sa. per via della sussistenza del presupposto di cui all’art. 283, n. 1, let. b cod. ass.
  2. Le spese di CTU, nella misura già liquidata con decreto del 2 marzo 2018, devono essere poste in via definitiva solidalmente a carico delle parti del presente giudizio in conseguenza degli esiti dello stesso.
  3. Le spese di lite devono essere interamente compensate in virtù della soccombenza parziale reciproca.

P.Q.M.

Il Tribunale di Treviso, in composizione monocratica, in persona del dott. Alberto Barbazza, in parziale accoglimento delle domande proposte dagli attori, rigettata ogni altra domanda, eccezione o istanza, definitivamente pronunciando, così provvede:

  1. Condanna GE. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, ed EL. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento in favore di AN.BR. e PA.LE. dei danni non patrimoniali subiti, liquidati nella somma di Euro 66.384,00 oltre interessi moratori calcolati al tasso legale dal 20 giugno 2013 al saldo, per ciascuno di essi;
  2. Condanna GE. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, ed EL. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento in favore di AL.LE. dei danni non patrimoniali subiti, liquidati nella somma di Euro 9.608,00 oltre interessi moratori calcolati al tasso legale dal 20 giugno 2013 al saldo;
  3. Condanna GE. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, ed EL. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, al risarcimento in favore di AN.BR. delle spese inerenti agli oneri funerari da questi sostenute pari ad Euro 6.752,20 oltre interessi moratori calcolati al tasso legale dalla data di ricezione della notifica della domanda giudiziale al saldo;
  4. Condanna AN.SA. ed EL. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, a corrispondere a GE. S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, a titolo di regresso ex art. 292 cod. ass., quanto quest’ultima verserà a parte attrice in dipendenza dei punti 1, 2 e 3 del dispositivo della presente sentenza;
  5. Ordina la trasmissione all’IVASS della presente sentenza ai sensi dell’art. 148, n. 10, cod. ass.;
  6. Rigetta per il resto;
  7. Pone in via definitiva le spese di CTU, nella misura già liquidata con decreto del 2 marzo 2018, a carico solidale delle parti;
  8. Spese di lite compensate.

Così deciso in Treviso il 6 novembre 2018.

Depositata in Cancelleria il 7 novembre 2018.

 

 

TREVISO Sinistro stradale mortale – Congiunti – Risarcimento

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Originally posted 2021-08-25 18:34:34.

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