TREVISO INCIDENTE MORTALE L’ASSOLUZIONE PENALE E RISARCIMENTO CIVILE
TREVISO INCIDENTE MORTALE L’ASSOLUZIONE PENALE E RISARCIMENTO CIVILE
secondo la Suprema Corte – in tema di successioni mortis causa, la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione, mediante aditio oppure per effetto di pro herede gestio oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 cod. civ.
Sul rilievo, nel presente giudizio, della pronuncia penale di assoluzione e delle prove raccolte nel relativo procedimento
Preliminarmente deve darsi atto dell’intervenuta assoluzione, in sede penale, del signor S. per il reato di omicidio colposo ai danni di C.L.G..
Tale pronuncia è stata valorizzata dall’attore al fine di escludere la sussistenza di qualsiasi profilo colposo nella propria condotta che potesse avere qualche rilievo ai sensi dell’art. 1227 cod. civ.
A tal proposito, deve da subito evidenziarsi il principio di sostanziale autonomia e separazione dei procedimenti civili e penali sancito nel nostro ordinamento.
La disciplina del codice di procedura penale in tema di efficacia della sentenza penale nel giudizio civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno distingue tra la condanna dell’imputato (art. 651 cod. proc. pen.) e l’assoluzione (art. 652 cod. proc. pen.).
Nella seconda ipotesi, il legislatore – ben conscio del fatto che tale disciplina costituisce un eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penali e civili – ha stabilito delle limitazioni all’esplicarsi dell’efficacia di giudicato della sentenza di assoluzione nei casi in cui il danneggiato non si sia costituito parte civile nel processo penale.
Ciò perché la sentenza di assoluzione, pregiudizievole per il danneggiato, pronunciata in un procedimento che non ha visto la partecipazione di quest’ultimo, produrrebbe effetti anche in relazione al diritto dello stesso al risarcimento del danno.
La sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha, infatti, efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile promosso dal danneggiato, sempreché il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75, comma secondo, cod. proc. pen.
In altri termini, l’efficacia della sentenza irrevocabile
è esclusa se il danneggiato dal reato – posto in condizione di costituirsi parte civile – promuove l’azione in sede civile prima della pronuncia penale di primo grado, perché in tal caso vige l’autonomia dei due giudizi sancita dall’art. 75, secondo comma, cod. proc. pen. (Cass. pen., sez. II, 7 novembre 2001, n. 43248). Dalla combinazione degli artt. 75 e 652 cod. proc. pen. emerge come l’efficacia della sentenza assolutoria nel giudizio di danno sia direttamente correlata alla condotta processuale del danneggiato, cioè rimessa in sostanza alla sua scelta preventiva di esercitare la pretesa risarcitoria in sede civile, solo in caso negativo determinandosi il vincolo del giudicato, il tutto in funzione disincentivante della costituzione di parte civile.
Al contrario, il danneggiato può sempre usufruire della sentenza di condanna
quali che siano state le sue scelte. Il favor legislativo per il danneggiato si evince dal testo dell’art. 651 cod. proc. pen., che non prevede le limitazioni all’efficacia del giudicato penale introdotte invece dall’art. 652 cod. proc. pen.
Nel caso di specie, è evidente come non sussistano i presupposti per l’esplicazione di efficacia da parte della sentenza assolutoria in merito all’accertamento dei fatti e delle responsabilità.
Peraltro, in questo caso la convenuta G.I. S.p.A. non aveva nemmeno partecipato al procedimento penale in quanto non legittimata.
La documentazione acquisita e formatasi nel procedimento penale – come correttamente ha osservato il procuratore di parte attrice – può trovare ingresso nel procedimento civile in qualità di prova atipica ed essere utilizzata a livello indiziario dal Giudice, a sostegno degli elementi probatori già emersi nel giudizio civile.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TREVISO
SEZIONE PRIMA CIVILE
in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa Giulia Civiero, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio iscritto al R.G. n. 574/2015 promosso da:
S.I.
rappresentato e difeso dall’avv. Antonino Di Pietro e dall’avv. Giordano Dorigo, giusta mandato a margine dell’atto di citazione ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Giordano Dorigo sito in Treviso, via Monterumici n. 8;
– attore –
contro
G.I. S.P.A. quale impresa designata per il Veneto alla gestione del Fondo di G.V.
in persona del legale rappresentante pro tempore
rappresentata e difesa dall’avv. Michele Balduzzi, per procura alle liti allegata alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso sito in Treviso, Galleria Rialto n. 10/12;
– convenuta –
e contro
G.M.
rappresentata e difesa dall’avv. Stefania Rondini, giusta mandato allegato telematicamente alla comparsa di costituzione e risposta ed elettivamente domiciliata presso lo studio della stessa sito in Roma, via Amiterno n. 5;
– convenuta –
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
ex art. 132, comma secondo, n. 4), cod. proc. civ.
Con atto di citazione notificato in data 19.1.2015, il signor I.S. conveniva in giudizio la compagnia di assicurazione G.I. S.p.A., quale impresa designata per il Veneto alla gestione del Fondo di G.V., nonché la signora M.G. – nella sua qualità di mandataria di tutti gli eredi di C.L.G. – affinché venissero condannati in solido al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale patito dall’attore.
In particolare, l’attore riferiva che in data 24.9.2011, attorno alle ore 17: 00, era rimasto coinvolto in un incidente stradale in località M., dal quale gli erano derivati danni patrimoniali e non patrimoniali.
Dopo aver effettuato rifornimento presso una stazione di servizio, il signor S. si rimetteva in carreggiata ma veniva tamponato dal motociclo di proprietà e condotto dal signor G. che, a detta dell’attore, aveva appena effettuato un soprasso e stava procedendo a velocità particolarmente sostenuta. Il signor G. veniva sbalzato via dalla moto e, con il proprio corpo, sfondava l’abitacolo dell’autovettura condotta dal signor S., decedendo sul colpo.
L’attore, invece, riportava nell’incidente un grave trauma cranico e toracico e veniva trasportato d’urgenza al più vicino ospedale, dove rimaneva ricoverato fino al 13.10.2011.
La responsabilità del sinistro, secondo le prospettazioni attoree, sarebbe da addebitare interamente alla condotta del signor G., anche in ragione del fatto che – a seguito del decesso del motociclista – era stato instaurato il procedimento penale a carico del signor S. per il reato di omicidio colposo, terminato però con assoluzione dello stesso per non aver commesso il fatto.
La moto su cui viaggiava il signor G. non era assicurata, come attestato dalle autorità intervenienti e dalla CONSAP.
Il signor S. chiedeva, pertanto, il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti al sinistro (individuati nella somma di Euro 111.371,66) da parte del Fondo di G. e degli eredi del signor G..
Si costituiva la compagnia G.I. S.p.A., quale impresa designata dal F.G.V.S., contestando l’addebito integrale della responsabilità in capo al motociclista ed anzi riconducendo alla condotta dell’attore la causa tecnica del sinistro e dei danni conseguenti.
Chiedeva quindi il rigetto delle pretese azionate in quanto infondate ex art. 1227, primo comma, cod. civ.
La compagnia di assicurazione formulava, inoltre, domanda di rivalsa ex art. 292 cod. ass. priv. nei confronti di M.G., quale erede di C.L.G. e mandataria degli ulteriori eredi (genitori e nonni) residenti in R., giusta mandato notarile conferitole dagli stessi, per il caso di condanna del F.G.V.S.
Si costituiva anche la signora G., rilevando il proprio difetto di legittimazione passiva sotto molteplici profili. In primo luogo, sottolineava che attore e convenuta G.I. S.p.A. non avevano fornito prova della qualità di erede della G. stessa nonché dei genitori e dei nonni residenti in R..
In secondo luogo, evidenziava che il mandato conferito dai parenti – nella loro qualità di prossimi congiunti del defunto e non di suoi eredi – era volto ad ottenere il risarcimento dei danni iure proprio patiti dai parenti, e non poteva ritenersi esteso anche al presente giudizio.
Infine, rilevava come l’azione di regresso esercitata dal Fondo di garanzia era stata esperita nei propri confronti senza alcun riferimento alla sua qualità di erede, bensì doveva intendersi rivoltale in proprio. Da ultimo, la signora G. contestava in fatto ed in diritto ogni pretesa attorea, sostenendo la tesi della responsabilità esclusiva dell’attore nella causazione del sinistro.
Integrato il contraddittorio, le parti chiedevano ed ottenevano la concessione dei termini per il deposito di memorie ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ.
La causa veniva istruita mediante l’assunzione delle testimonianze dei signori L.M. e R.T. (testi di parte attrice) nonché mediante l’acquisizione del rapporto integrale redatto dagli organi di P.G. e relativo all’incidente.
All’esito, veniva disposta consulenza tecnica d’ufficio medico-legale sulla persona dell’attore, con incarico a tal fine conferito al dott. Ermes Covre.
Ritenuta quindi la causa matura per la decisione, il Giudice fissava l’udienza di precisazione delle conclusioni.
Previa assegnazione a questo Giudice del presente procedimento in data 14.5.2018, le parti precisavano le proprie conclusioni all’udienza del 18.4.2019. Il Giudice tratteneva la causa in decisione, assegnando i termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.
1) Sul rilievo, nel presente giudizio, della pronuncia penale di assoluzione e delle prove raccolte nel relativo procedimento
Preliminarmente deve darsi atto dell’intervenuta assoluzione, in sede penale, del signor S. per il reato di omicidio colposo ai danni di C.L.G..
Tale pronuncia è stata valorizzata dall’attore al fine di escludere la sussistenza di qualsiasi profilo colposo nella propria condotta che potesse avere qualche rilievo ai sensi dell’art. 1227 cod. civ.
A tal proposito, deve da subito evidenziarsi il principio di sostanziale autonomia e separazione dei procedimenti civili e penali sancito nel nostro ordinamento.
La disciplina del codice di procedura penale in tema di efficacia della sentenza penale nel giudizio civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno distingue tra la condanna dell’imputato (art. 651 cod. proc. pen.) e l’assoluzione (art. 652 cod. proc. pen.).
Nella seconda ipotesi, il legislatore – ben conscio del fatto che tale disciplina costituisce un eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penali e civili – ha stabilito delle limitazioni all’esplicarsi dell’efficacia di giudicato della sentenza di assoluzione nei casi in cui il danneggiato non si sia costituito parte civile nel processo penale.
Ciò perché la sentenza di assoluzione, pregiudizievole per il danneggiato, pronunciata in un procedimento che non ha visto la partecipazione di quest’ultimo, produrrebbe effetti anche in relazione al diritto dello stesso al risarcimento del danno.
La sentenza penale irrevocabile di assoluzione ha, infatti, efficacia di giudicato, quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile promosso dal danneggiato, sempreché il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato dal reato abbia esercitato l’azione in sede civile a norma dell’articolo 75, comma secondo, cod. proc. pen.
In altri termini, l’efficacia della sentenza irrevocabile è esclusa se il danneggiato dal reato – posto in condizione di costituirsi parte civile – promuove l’azione in sede civile prima della pronuncia penale di primo grado, perché in tal caso vige l’autonomia dei due giudizi sancita dall’art. 75, secondo comma, cod. proc. pen. (Cass. pen., sez. II, 7 novembre 2001, n. 43248). Dalla combinazione degli artt. 75 e 652 cod. proc. pen. emerge come l’efficacia della sentenza assolutoria nel giudizio di danno sia direttamente correlata alla condotta processuale del danneggiato, cioè rimessa in sostanza alla sua scelta preventiva di esercitare la pretesa risarcitoria in sede civile, solo in caso negativo determinandosi il vincolo del giudicato, il tutto in funzione disincentivante della costituzione di parte civile.
Al contrario, il danneggiato può sempre usufruire della sentenza di condanna, quali che siano state le sue scelte. Il favor legislativo per il danneggiato si evince dal testo dell’art. 651 cod. proc. pen., che non prevede le limitazioni all’efficacia del giudicato penale introdotte invece dall’art. 652 cod. proc. pen.
Nel caso di specie, è evidente come non sussistano i presupposti per l’esplicazione di efficacia da parte della sentenza assolutoria in merito all’accertamento dei fatti e delle responsabilità.
Peraltro, in questo caso la convenuta G.I. S.p.A. non aveva nemmeno partecipato al procedimento penale in quanto non legittimata.
La documentazione acquisita e formatasi nel procedimento penale – come correttamente ha osservato il procuratore di parte attrice – può trovare ingresso nel procedimento civile in qualità di prova atipica ed essere utilizzata a livello indiziario dal Giudice, a sostegno degli elementi probatori già emersi nel giudizio civile.
Nel caso di specie, tuttavia, la documentazioni in atti (e, in particolare, il rapporto redatto dagli agenti intervenuti, acquisito nella sua versione integrale) risulta adeguata e sufficiente alla ricostruzione dei fatti e all’applicazione delle norme dettate dal codice civile per la disciplina del risarcimento dei danni conseguenti alla circolazione stradale.
2) Sulla dinamica del sinistro e sull’applicabilità dell’art. 2054 cod. civ.
L’attore ha sostenuto, nel proprio atto di citazione, l’esclusiva responsabilità del signor G. nella causazione del sinistro. Ha motivato tale considerazione sulla base delle risultanze del procedimento penale.
Le convenute, al contrario, hanno ricondotto alla condotta del signor S. – che avrebbe “tagliato la strada” al motociclista – la causa tecnica del sinistro, con ciò escludendo la responsabilità del signor G. o, comunque, riconoscendo la sussistenza di un prevalente concorso di colpa dell’attore (in ragione del 70%).
Si è già detto come l’assoluzione in sede penale non possa avere alcun rilievo, in questa sede, allo scopo di escludere il concorso di colpa del signor S.. Come correttamente osservato dalla G., infatti, il signor S. è stato assolto ai sensi dell’art. 530, secondo comma, cod. proc. pen. e, comunque, le regole enucleate in tema di causalità penale sono molto differenti rispetto a quelle individuate ed utilizzate in ambito civilistico.
In ogni caso, dall’istruttoria orale è emerso che il signor G., in occasione del sinistro, avesse tenuto una condotta altamente pericolosa, con velocità di marcia senza dubbio superiore ai limiti previsti in quel tratto di strada.
La teste M., della cui attendibilità non v’è ragione di dubitare, ha confermato che la moto condotta dal signor G. aveva sorpassato l’autovettura guidata dall’amica a velocità particolarmente sostenuta, salvo poi impuntarsi e sbalzare via il conoscente a ridosso del veicolo condotto dal signor S..
Dal verbale redatto dagli Agenti intervenuti, inoltre, si ricavano dati inequivocabili circa l’andatura superiore ai limiti di velocità del signor G. (come, ad esempio, le tracce di frenata protratti per ben 14 metri).
Tuttavia, dalla relazione integrale prodotta su ordine del Giudice si evince che anche al signor S. è stata contestata la violazione delle norme sulla circolazione dei veicoli, in particolare per aver egli posto in essere un’immissione che cagionava una condizione di pericolo ed intralcio per la circolazione, interferendo con la traiettoria ed omettendo di cedere la dovuta precedenza al motociclo Y. condotto dal signor G..
Peraltro, è rilevante il fatto che la collisione sia avvenuta nelle immediate vicinanze del distributore presso cui il signor S. si era rifornito.
In presenza di un quadro connotato da condotte colpevoli e imprudenti di entrambi i protagonisti, non è possibile ritenere che la responsabilità del sinistro sia da ascrivere ad uno solo di loro, con conseguente esclusione di profili colposi in capo all’altro.
Tuttavia, in assenza di elementi certi che permettano di ricostruire le percentuali di responsabilità (e a nulla valgono i precedenti giurisprudenziali citati dalla convenuta G., dal momento che ogni sinistro ha peculiarità proprie che non consentono alcuna standardizzazione), deve farsi ricorso alla presunzione di cui all’art. 2054 cod. civ.
La presunzione di eguale concorso di colpa stabilita dall’art. 2054, secondo comma, cod. civ. ha, infatti, funzione sussidiaria, operando nel caso in cui le risultanze probatorie non consentano di accertare in modo concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l’evento dannoso (ex multis: Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2018, n. 3696).
La norma mira a risolvere la questione della responsabilità in caso di scontro, eliminando le difficoltà di prova circa la ricostruzione delle precise modalità del sinistro.
Per il superamento della presunzione di uguale colpa, spetta al danneggiato attore l’onere di fornire tale prova, con la conseguenza che, ove non venga sufficientemente provata la determinante influenza della colpa del convenuto, quest’ultimo non può essere condannato al risarcimento, oltre i limiti posti dalla citata norma.
Soltanto l’accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti e della regolare condotta di guida dell’altro (condizione che, come si è visto, non caratterizza il presente giudizio), libera quest’ultimo dalla presunzione di concorrente responsabilità.
Il concorso di colpa può essere escluso non solo quando il conducente abbia fornito la prova d’aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ma anche quando risulti con certezza, dalle modalità del fatto, che non vi era, da parte sua, una reale possibilità di evitare l’incidente.
Per contro, l’accertamento in concreto della colpa di uno dei soggetti non esclude la presunzione di colpa concorrente dell’altro, ove non sia stata da questo fornita la prova liberatoria, che non può derivare dal maggior grado di certezza raggiunto in ordine alla colpa del conducente antagonista ma richiede il positivo accertamento, in concreto, della assenza di ogni possibile addebito (Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 2010, n. 24860).
E’ evidente che l’applicazione di tali principi al caso di specie non consenta di superare la presunzione di cui all’art. 2054 cod. civ., pertanto il risarcimento del danno eventualmente riconosciuto in favore del signor I.S. dovrà essere ridotto del 50% in ragione della sua percentuale di colpa nella causazione del sinistro.
3) Sul risarcimento del danno
3.1) Sul danno non patrimoniale
Il danno non patrimoniale si identifica con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica.
Va esaminata, in primo luogo, la lesione permanente o temporanea dell’integrità psico-fisica del soggetto in sé considerata e il correlativo pregiudizio alla possibilità di esplicazione della personalità in tutti gli ambiti della vita individuale e sociale.
Tale voce di danno, suscettibile di accertamento medico-legale (v. artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005, sostanzialmente ricognitivi degli indirizzi giurisprudenziali in materia) va determinata, ai fini del risarcimento integrale del danno alla persona e della sua personalizzazione, con riferimento sia alle componenti a prova scientifica medico-legale, sia a quelle relative all’incidenza negativa sulle attività quotidiane (c.d. inabilità totale o parziale), sia a quelle che incidono sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, che attengono anche alla perdita della capacità lavorativa generica e di attività socialmente rilevanti ovvero anche meramente ludiche, ma comunque essenziali per la salute o la vita attiva (cfr. Cass. civ., sez. III, 18 febbraio 2010, n. 3906). Occorre avere riguardo, cioè, alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sportiva, e a ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità, ovvero a tutte le attività realizzatrici della persona umana (cfr. Corte Cost., 18 luglio 1991, n. 356, Corte Cost., 14 luglio 1986, n. 184).
Dalla documentazione clinica in atti e dalla relazione del c.t.u. nominato nel presente giudizio, dott. Ermes Covre (qui da intendersi integralmente richiamata), emerge che l’attore ha riportato nel sinistro un trauma cranico commotivo ed un trauma fratturativo che ha interessato più coste a carico dell’emigabbia toracica di destra nonché la frattura della scapola omolaterale (pag. 24 dell’elaborato peritale).
Ne è conseguito – secondo la ricostruzione del c.t.u. – un periodo di temporanea compromissione dello stato di salute (ovvero un danno biologico temporaneo) di complessivi 115 giorni, con un’inabilità assoluta per 25 giorni, inabilità temporanea parziale al 75% per 60 giorni e inabilità temporanea parziale al 50% per ulteriori 30 giorni.
Sussistono, inoltre, postumi permanenti in misura pari ad un danno biologico del 25%, che ricomprendono entrambi gli ambiti di lesione (trauma cranico e trauma toracico).
Ciò premesso, la quantificazione del danno va operata in via equitativa, in considerazione della sua specifica natura: in concreto appare congruamente determinabile assumendo come parametro le “tabelle” in uso presso il Tribunale di Milano alla data della decisione, personalizzando il risultato sulla base delle peculiarità del caso concreto e della reale entità del danno.
La Suprema Corte, infatti, ha spiegato che nella liquidazione del danno non patrimoniale, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo in quanto esaminati da differenti uffici giudiziari.
Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, in conseguenza dell’ampia diffusione sul territorio nazionale, ed al quale la Suprema Corte, in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono.
Nel caso di specie, avuto riguardo alla misura percentuale di invalidità permanente, individuata dal c.t.u. nel 25%, alla stregua della tabella milanese compete la liquidazione di un importo pari ad Euro 75.178,00 (con punto base pari ad Euro 5.275,62 ed adeguato abbattimento con riferimento all’età della persona danneggiata al momento del sinistro).
Con riferimento all’inabilità temporanea, assumendo come punto base l’attuale valore tabellare medio, ovvero Euro 98,00, dev’essere liquidata la somma di Euro 2.450,50 per i 25 giorni di invalidità temporanea totale, Euro 4.410,00 per i 60 giorni di invalidità temporanea parziale al 75% ed infine Euro 1.470,50 per i 30 giorni di invalidità temporanea parziale al 50%.
Conclusivamente, per il danno biologico temporaneo compete la complessiva somma di Euro 8.330,00.
Gli importi sopra indicati, come già anticipato, si riferiscono alla componente lesione della salute e possono essere adattati e individualizzati al fine di prendere in considerazione eventuali conseguenze dei postumi sulla complessiva vita di relazione dell’attore.
Come chiarito dalla Corte di Cassazione nelle storiche sentenze San Martino, nell’ambito della categoria generale del danno non patrimoniale le formule “danno morale” e “danno esistenziale” non individuano una autonoma sottocategoria di danno, ma hanno una valenza meramente descrittiva, individuando, tra i vari possibili pregiudizi non patrimoniali, quelli costituiti, nel primo caso, dalla sofferenza soggettiva cagionata dal reato in sé considerata e, nel secondo caso, dalla lesione dei diritti inviolabili inerenti la persona non aventi natura economica.
Nella liquidazione del danno devono, quindi, essere presi in considerazione tutti i pregiudizi di carattere non patrimoniale che connotano il caso concreto. Solo così facendo il Giudice potrà garantire l’integrale risarcimento del danno, evitando però duplicazioni risarcitorie.
Nello specifico, dovranno essere considerate nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso e il pregiudizio di altri interessi costituzionalmente protetti, compreso il pregiudizio del fare aredittuale del soggetto determinante una modifica peggiorativa della personalità da cui consegue uno sconvolgimento dell’esistenza, e in particolare delle abitudini di vita, con alterazione del modo di rapportarsi con gli altri nell’ambito della comune vita di relazione, sia all’interno che all’esterno del nucleo familiare (v. Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972; Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2006, n. 13546; Cass., Sez. Un., 24 marzo 2006, n. 6572).
Va peraltro rimarcato che il valore del punto previsto dalla tabella milanese, così come determinato dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano, ricomprende e prevede già l’incidenza media della sofferenza soggettiva in ragione di una certa percentuale di danno anatomo-funzionale, oltre che la compromissione che tipicamente ne consegue in ordine agli aspetti relazionali.
Nel caso concreto oggetto del presente procedimento, non possono ritenersi sussistenti le condizioni per una personalizzazione dell’importo, non avendo l’attore fornito alcuna prova in merito a pregiudizi peculiari alla vita di relazione o specifici aspetti della sofferenza soggettiva che non fossero già stati considerati dalle tabelle milanesi nella valutazione del danno non patrimoniale globalmente inteso.
Infatti, non risulta allegato né provato che il signor S. abbia patito quei particolari riflessi nella vita di relazione o sofferenze soggettive che legittimano una personalizzazione del risarcimento risultante dall’applicazione delle tabelle milanesi, né tali circostanze sono state indicate dal c.t.u. Quest’ultimo, al contrario, ha escluso che la menomazione abbia inciso negativamente sulla sfera relazionale, mentre ha prospettato la possibilità – rimessa, tuttavia, all’onere della prova dell’attore stesso (non adempiuto) – di ripercussioni negative sulla sfera individuale.
Il complessivo danno non patrimoniale subito dall’attore deve, quindi, essere liquidato nella misura di Euro 83.508,00, cui deve essere detratto il 50% in ragione del concorso di colpa riconosciuto in capo all’attore.
L’importo da risarcire equivale, pertanto, a complessivi Euro 41.754,00.
3.2) Sul danno patrimoniale
Come correttamente osservato dal c.t.u. dott. Covre, l’attore non ha documentato alcuna spesa medica o di altra natura che possa ritenersi risarcibile.
Nulla pertanto potrà riconoscersi con riguardo a tale voce di danno.
3.3) Sulla rivalutazione e sugli interessi
Sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno spetteranno rivalutazione monetaria ed interessi secondo i criteri di seguito esplicati.
Il danno non patrimoniale liquidato deve intendersi in termini monetari attuali. Su tale somma, devalutata alla data del sinistro e anno per anno rivalutata secondo gli indici Istat, spettano gli interessi compensativi al tasso legale dalla data del sinistro alla data della presente sentenza e gli interessi legali da tale ultima data al saldo.
Con riferimento, invece, al danno patrimoniale, come si è detto, nulla è stato provato dall’attore. Non spetterà, pertanto, alcunché a titolo di interessi o rivalutazione monetaria.
4) Sul difetto di legittimazione passiva sollevato da M.G.
La convenuta M.G. ha sollevato il proprio difetto di legittimazione passiva sotto molteplici profili.
In primo luogo – e tale motivo risulta assorbente rispetto ai successivi – la signora G. ha negato la propria qualità di erede di C.L.G. e ha evidenziato il difetto di prova di tale circostanza da parte dell’attore (per la domanda di risarcimento, in solido con il F.G.V.S.) e da parte del Fondo di G. (per la domanda ex art. 292 cod. ass. priv.).
Tale censura coglie nel segno, anche se la conseguenza non può riconoscersi nel difetto di legittimazione passiva quanto, piuttosto, nel difetto di titolarità della posizione giuridica.
Infatti, in via preliminare, deve ricordarsi che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2951 del 16 febbraio 2016, in riferimento alla titolarità della posizione soggettiva attiva o passiva fatta valere in giudizio, hanno precisato che, trattandosi di un elemento costitutivo della domanda, riguarda il merito della decisione e si distingue dalla legittimazione attiva o passiva.
La legittimazione ad agire consiste nella titolarità del diritto azionato, la quale non deve essere concretamente accertata, bensì solo affermata dall’attore in senso sostanziale (legittimazione attiva) nei confronti del convenuto in senso sostanziale (legittimazione passiva).
La carenza della legittimazione ad agire è rilevabile in ogni grado e stato del giudizio, anche d’ufficio dal giudice, mentre la questione attinente alla titolarità del rapporto (tanto attiva che passiva) attiene al merito della decisione e quindi alla fondatezza della domanda in concreto proposta.
La legittimazione ad agire, perciò, mancherà tutte le volte in cui dalla stessa prospettazione della domanda emerga che il diritto vantato in giudizio non appartiene all’attore o, dal lato passivo, al convenuto; la titolarità del diritto sostanziale attiene, invece, al merito della causa cioè alla fondatezza della domanda.
Nel caso di specie, la signora G. (ma anche i genitori e i nonni del defunto) è destinataria della domanda solidale di risarcimento nonché quella di regresso da parte del F.G.V.S. in ragione della sua qualità di erede di C.L.G..
Ma tale qualità, secondo la prospettazione della convenuta G., non sussisterebbe.
M.G. ha, infatti, negato di aver accettato l’eredità del fratello, e parimenti avrebbero fatto i genitori ed i nonni. Del resto – come correttamente osservato – il risarcimento ottenuto dalla compagnia assicurativa del signor S. è volto al ristoro dei danni patiti iure proprio dai prossimi congiunti, che non presuppone necessariamente la qualità di erede. La circostanza è peraltro pacifica dal momento che non è stata mai contestata da attore e convenuta G..
Orbene, a tal proposito deve osservarsi che – secondo la Suprema Corte – in tema di successioni mortis causa, la delazione che segue l’apertura della successione, pur rappresentandone un presupposto, non è di per sé sola sufficiente all’acquisto della qualità di erede, essendo a tale effetto necessaria anche, da parte del chiamato, l’accettazione, mediante aditio oppure per effetto di pro herede gestio oppure per la ricorrenza delle condizioni di cui all’art. 485 cod. civ.
Ne consegue che, in ipotesi di giudizio instaurato nei confronti del preteso erede per debiti del de cuius, incombe su chi agisce, in applicazione del principio generale di cui all’art. 2697 cod. civ., l’onere di provare l’assunzione da parte del convenuto della qualità di erede, la quale non può desumersi dalla mera chiamata all’eredità, non essendo prevista alcuna presunzione in tal senso, ma consegue solo all’accettazione dell’eredità, espressa o tacita, la cui ricorrenza rappresenta, quindi, un elemento costitutivo del diritto azionato nei confronti del soggetto evocato in giudizio nella predetta qualità.
Né l’attore né la convenuta hanno fornito prova della qualità di eredi dei signori M.G., D.G., I.G., V.B. ed E.B., limitandosi a richiamare il mandato da questi ultimi conferito alla signora M.G. per la gestione del/dei procedimento/i conseguente/i al sinistro nel quale è deceduto C.L.G., loro prossimo congiunto.
Tuttavia, l’obbligazione risarcitoria solidale e il regresso ex art. 292 cod. ass. priv. presuppongono la qualità di eredi, con onus probandi a carico di chi agisce.
Pertanto, nei confronti dei signori M.G., D.G., I.G., V.B. ed E.B. difetta la prova della titolarità passiva del rapporto giuridico dedotto in giudizio.
5) Sulla condanna solidale al risarcimento dei danni
Il signor S. ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni conseguenti al sinistro (quantificati, nel corso del presente giudizio, nella somma di Euro 41.754,00) della G.I. S.p.A. nella sua qualità di impresa designata per il Veneto alla gestione del Fondo di G.V. e degli eredi di C.L.G., individuati sulla base del mandato conferito a M.G..
Tali soggetti non sono gli eredi del motociclista deceduto o comunque, in ogni caso, l’attore non ha assolto al relativo onus probandi.
Per tale ragione, la domanda risarcitoria dovrà essere accolta nei sono confronti del F.G.V.S.
6) Sulla rivalsa ex art. 292 cod. ass. priv.
In forza dell’art. 283, comma 1 lett. b) il Fondo di G.V. risarcisce i danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è l’obbligo di assicurazione, nel caso in cui il veicolo o natante non risulti coperto da assicurazione. In particolare lo stesso articolo, al comma 2, stabilisce che il risarcimento è dovuto per i danni alla persona nonché per i danni alle cose il cui ammontare sia superiore all’importo di Euro 500,00, per la parte eccedente tale ammontare.
Nella presente sede, la convenuta G.I. S.p.A., quale impresa designata alla gestione del Fondo di G.V. per la regione Veneto, ha formulato domanda di rivalsa ex art. 292, comma 1, del D.Lgs. n. 209 del 2005 nei soli confronti di M.G., nella sua qualità di erede di C.L.G., per quanto eventualmente corrisposto ai sensi della presente sentenza per indennizzo, interessi e spese.
Si è però visto come difetti, in capo alla signora G., la qualità di erede del de cuius, che costituisce presupposto indispensabile per una condanna in regresso.
La domanda di G.I. S.p.A., indirizzata nei soli confronti di M.G., non può quindi trovare accoglimento.
7) Sulle spese di lite e di c.t.u.
Con riguardo alle spese di lite sostenute dall’attore, esse devono essere poste a carico della convenuta G.I. S.p.A., quale impresa designata per la Regione Veneto alla gestione del Fondo di G.V., in ragione della soccombenza. Le spese processuali sono liquidate come da dispositivo e sono state calcolate sulla base dell’importo effettivamente liquidato, con applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, valori medi.
Con riguardo alle spese di lite sostenute dalla convenuta M.G., esse devono essere poste a carico dell’attore, dal momento che non è stata fornita prova della sua qualità di erede. Anche in questo caso, le spese processuali sono liquidate come da dispositivo e sono state calcolate sulla base dell’importo effettivamente liquidato a titolo di risarcimento del danno, con applicazione dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, valori medi.
Le spese di c.t.u. e di c.t.p. (queste ultime se debitamente documentate), nella misura già liquidata con decreto del 17.1.2018, sono definitivamente poste a carico di G.I. S.p.A. in ragione della soccombenza, con condanna a restituire all’attore le spese a tal fine anticipate.
P.Q.M.
il Tribunale di Treviso, composizione monocratica, in persona della dott.ssa Giulia Civiero, disattesa ogni altra domanda, eccezione o istanza, definitivamente pronunciando, così provvede:
– accertata la responsabilità concorrente di I.S. e di C.L.G. nella determinazione del sinistro, condanna la compagnia assicuratrice G.I. S.p.A., quale impresa designata alla gestione del Fondo di G.V., a pagare all’attore I.S. la somma di Euro 41.754,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, oltre rivalutazione e interessi calcolati sulla base dei criteri esposti in motivazione;
– rigetta l’azione di regresso della convenuta G.I. S.p.A.;
– condanna la compagnia assicuratrice G.I. S.p.A., quale impresa designata alla gestione del Fondo di G.V., alla rifusione, in favore dell’attore I.S., delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 786,00 per esborsi, Euro 7.254,00 per compensi, oltre rimborso forfetario, i.v.a. e c.p.a. se dovuti per legge;
– condanna I.S. alla rifusione, in favore della convenuta M.G., delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 7.254,00 oltre rimborso forfetario, i.v.a. e c.p.a. se dovuti per legge, con distrazione in favore dell’avv. Stefania Rondini degli onorari, ex art. 93 cod. proc. civ., in considerazione della dichiarazione di procuratore antistatario dalla stessa effettuata;
– pone definitivamente a carico della convenuta G.I. S.p.A., quale impresa designata alla gestione del Fondo di G.V., le spese di c.t.u. nella misura già liquidata con decreto del 17.1.2018, nonché quelle di c.t.p. (se debitamente documentate), con condanna a restituire all’attore le spese a tal fine anticipate.
Conclusione
Così deciso in Treviso, il 16 agosto 2019.
Depositata in Cancelleria il 16 agosto 2019.
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