Tradimento coniuge separazione addebito avvocato matrimonialista divorzista famigliarista bologna sergio armaroli
GLI ARTICOLI LE FONTI
ART . 587 Codice Civile
Il testamento(1) è un atto revocabile [679 ss. c.c.] con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse(2).
Le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto che ha la forma del testamento [601 c.c.], anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale(3)(4).
ART 588 CODICE CIVILE
Le disposizioni testamentarie(1), qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale [637 c.c.] e attribuiscono la qualità di erede [625 c.c.], se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore(2) [674 c.c.]. Le altre disposizioni sono a titolo particolare [631 c.c.] e attribuiscono la qualità di legatario(3) [649 c.c.].
L’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio(4) [734 c.c.]
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Avvocato separazioni Bologna Budrio pianoro Secondo la giurisprudenza consolidata della Cassazione, però, deve sussistere un nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, ossia il tradimento deve essere stata la causa della rottura dell’unione. L’esistenza di un rapporto causale deve essere individuato mediante una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, al fine di stabilire se anche prima della violazione sia presente una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale (Cass. Civ. n. 27730/2013, n. 2059/2012 e n. 9074/2011).
Avvocato separazioni Bologna Budrio pianoroil fondamento della separazione personale dei coniugi è costituito dall’intollerabilità della prosecuzione della convivenza
E’ opportuno premettere che, nonostante qualche imprecisione rinvenibile occasionalmente in giurisprudenza (Cass. 27 giugno 2006 n. 14840, influenzata dall’inesatta massimazione di Cass. 11 giugno 2005 n. 12383), il fondamento della separazione personale dei coniugi è costituito dall’intollerabilità della prosecuzione della convivenza (art. 151 c.c., comma 1), e non già dalla “irreversibile” crisi della comunione spirituale e materiale dei coniugi (presupposto invece della pronuncia di scioglimento e di cessazione degli effetti civili del matrimonio: L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 1). Ora, l’art. 151 cpv. c.c. stabilisce che il giudice, pronunciando sulla separazione, dichiara, ove ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza (o il grave pregiudizio che questa comporta all’educazione della prole), in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri del matrimonio.
Occupandosi di fattispecie simili a quella oggetto del presente ricorso, questa corte ha ripetutamente affermato che, in tema di separazione tra coniugi, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile (Cass. 12 aprile 2006 n. 8512; 12 giugno 2006 n. 13592; 19 settembre 2006 n. 20256; 7 dicembre 2007 n. 25618; Cass. 8512/2006 e 25618/2007 sono espressamente richiamate – nella parte in cui affermano che la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, particolarmente grave in quanto di regola rende intollerabile la prosecuzione della convivenza, giustifica ex se l’addebito della separazione al coniuge responsabile – in motivazione dalla più recente e conforme Cass. 14 ottobre 2010 n. 21245, non massimata).
in tema di separazione personale tra i coniugi, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento, il giudice del merito deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo indipendentemente dalla percezione di detto assegno e, in caso di esito negativo di questo esame, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione. In quest’ambito, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti attraverso l’acquisizione di dati numerici, in quanto è necessaria, ma anche sufficiente, un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi, in relazione alle quali sia possibile pervenire a fissare l’erogazione, in favore di quello più debole, di una somma corrispondente alle sue esigenze (cfr, tra le altre, cass n. 13592 del 2006). A questi principi i giudici di appello si sono ineccepibilmente attenuti, avendo pure tenuto conto, comparandoli, dei redditi fruiti da ciascuna delle parti, quali risultanti dalla documentazione fiscale, e dunque non solo di quelli d’indole retributiva, oltre che dell’entità dei rispettivi patrimoni immobiliari, conclusivamente, motivatamente ed attendibilmente evidenziando la minore consistenza delle condizioni economiche della B. rispetto a quelle del coniuge e l’insufficienza delle stesse a consentirle di mantenere, in termini evidentemente tendenziali, l’emerso, agiato tenore della pregressa vita coniugale.
RICHIESTA ADDEBITO ALTRO CONIUGE PROVE Avvocato separazioni Bologna Budrio pianoro
Da queste premesse deriva che sulla parte, la quale richieda l’addebito della separazione all’altro coniuge, grava l’onere di provare sia la contrarietà del comportamento di questi ai doveri che derivano dal matrimonio, e sia l’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza (su queste affermazioni di principio, in genere, cfr. Cass. 27 giugno 2006 n. 14840; 11 giugno 2005 n. 12383); ma che, laddove la ragione dell’addebito sia costituita dall’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, questo comportamento, se provato, fa presumere che abbia reso la convivenza intollerabile, sicchè, da un lato, la parte che lo ha allegato ha interamente assolto l’onere della prova per la parte su di lei gravante, e dall’altro la sentenza che su tale premessa fonda la pronuncia di addebito è sufficientemente motivata.
E’ poi altrettanto vero che questa corte ha costantemente chiarito (v., oltre alle sentenze già citate, Cass. 20 aprile 2011 n. 9074) che la regola appena ricordata viene meno quando si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. In tal caso trovano peraltro applicazione le comuni regole in tema di onere della prova, per cui (art. 2967 cpv.) chi eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda (nella specie, dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza) deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà. E’ di conseguenza contraria ai principi generali in tema di onere della prova, oltre che alla logica e al comune buon senso, la tesi che sulla parte che allega un fatto del quale sia riconosciuta, in via generale, l’idoneità a determinare l’intollerabilità della convivenza gravi l’onere ulteriore, di dimostrare che la prosecuzione della convivenza non fosse già in precedenza intollerabile; e ciò perchè le prove non possono avere ad oggetto delle valutazioni giuridiche (qual è la precedente “non intollerabilità” della convivenza), ma solo dei fatti, e perchè questi fatti, se contrari a quelli posti a fondamento della domanda di addebito, devono essere allegati e provati da chi resista alla domanda medesima, non occorrendo al riguardo neppure richiamare la vecchia tesi dell’inammissibilità della prova negativa.
Avvocato separazioni Bologna Budrio pianoro Non costituiscono precedenti contrari alle conclusioni appena esposte le sentenze di questa corte 11 giugno 2005 n. 12383 e 27 giugno 2006 n. 14840, le quali affermano che la dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la crisi coniugale sia ricollegabile “esclusivamente” al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia, coitì è del resto contestualmente precisato, che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell’intollerabilità della ulteriore convivenza. Nel primo caso, il giudice di merito aveva svolto un esame di tutti gli elementi della fattispecie emersi nel corso del giudizio, pervenendo ad escludere che nel caso concreto i comportamenti contrari ai doveri del matrimonio tenuti dal marito fossero stati la causa della crisi familiare, con una motivazione in fatto che la ricorrente – per aver confuso il piano della valutazione dei comportamenti con quello della loro efficienza causale – non aveva adeguatamente censurato. Nel secondo caso il giudice di merito aveva escluso, anche qui con accertamento in fatto giudicato dalla corte di legittimità esente da vizi, che fossero stati provati dei comportamenti contrari ai doveri derivanti dal matrimonio che avessero determinato la disgregazione familiare, affermando che dalla lettura degli atti di causa si coglieva solo una diversità morfologica, intellettuale, sensibile delle diverse nature dei coniugi (dal ricorrente erano state allegate, in particolare, turbe psichiche e caratteriali della moglie, le quali peraltro potrebbero in astratto rilevare soltanto per i comportamenti ai quali abbiano dato luogo, nonchè comportamenti quali il rifiuto di liberarsi della convivenza con la famiglia di origine o infamanti denunce contro il marito ed il suocero). Nella fattispecie in esame, invece, la corte non ha accertato elementi idonei a retrodatare la crisi a data anteriore all’infedeltà del marito.
La denunciata violazione degli artt. 143 e 151 c.c., nell’impugnata sentenza, deve dunque essere esclusa in base al principio che, in tema di addebito della separazione personale, l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile, mentre i fatti che escludono il nesso di causalità tra la violazione accertata e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, ove non emergano dagli atti del processo, devono essere allegati, e occorrendo provati dalla parte che resiste alla domanda di addebito della separazione.
La violazione dell’obbligo di coabitazione (art. 143 cpv. c.c.)Avvocato separazioni Bologna Budrio pianoro
non si connota, infatti, soltanto per la sua particolare gravità, comportando la sospensione del diritto all’assistenza morale e materiale nei confronti del coniuge che, allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare, rifiuti di tornarvi (art. 146 c.c., comma 1: il dovere di assistenza ha un ruolo centrale nell’economia della solidarietà matrimoniale). Essa, piuttosto, non si lascia ridurre al rango delle altre violazioni cui fa riferimento l’art. 151 cpv. c.c., non essendo predicabile per essa, come conseguenza, l’intollerabilità della prosecuzione di una convivenza, alla quale essa pone invece direttamente fine, in forza di una decisione unilaterale. Per questa ragione, l’abbandono del domicilio coniugale ha sempre ricevuto, nel codice civile e nella giurisprudenza, una considerazione speciale nell’accertamento delle condizioni della separazione personale.
ipotesi di separazione consensuale di fatto Avvocato separazioni Bologna Budrio pianoro
Vero è che, anche fuori dell’ipotesi di separazione consensuale di fatto, la decisione unilaterale di interrompere la coabitazione può avere gravi giustificazioni, non sempre facili da dimostrare. La Novella del 9 maggio 1975 n. 171 ha affrontato anche questo tema, integrando la disciplina dell’art. 146 c.c. con l’espressa previsione che la proposizione della domanda di separazione costituisce giusta causa dell’allontanamento dalla residenza familiare. La norma legittima in tal modo un comportamento in precedenza giudicato di regola illecito, perchè in violazione dell’art. 143 c.c., e consente al coniuge che giudichi anche solo soggettivamente intollerabile la prosecuzione della convivenza di sottrarsi ad essa con decisione unilaterale, all’unica condizione di proporre la domanda di separazione. Ma tale agevolazione comporta, con riferimento al tema che qui interessa, conseguenze di rilievo nel caso in cui, immotivatamente, quella condizione non sia stata soddisfatta.
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