GENERAL CONTRACTOR RISCHI  RESPONSABILITA’ AVVOCATO ESPERTO

COSA FA E CHI E’ IL GENERAL CONTRACTOR

E’ COLUI CHE SI ASSUME VERSO IL REALE COMMITTENTE TUTTI I LAVORI –

a info appalto

CONTRATTO APPALTO

SUPERBONUS GENERAL CONTRACTOR RISCHI  RESPONSABILITA’ AVVOCATO ESPERTO

a info superbonus 1

“il General Contractor non è altro che un soggetto a cui il contribuente affida l’appalto delle opere, dalla progettazione alla realizzazione delle stesse”

Si tratta, nella generalità dei casi, di imprese o professionisti che su incarico dei committenti (persone fisiche, condomini) gestiscono:

i rapporti con le imprese

nonché, in taluni casi, con i professionisti e i tecnici, che rilasciano le prescritte asseverazioni, 

e con i Caf o i professionisti che rilasciano il visto di conformità ai fini dell’opzione per il c.d. sconto in fattura o per la cessione del credito corrispondente alla detrazione spettante al committente.

Molto frequentemente il general contractor è un’impresa già operante nei settori della riqualificazione energetica ed edilizia che, in taluni casi, subappalta la gestione di una parte o dell’intero intervento gestendo, comunque, anche i rapporti con i professionisti e i tecnici. 

n un caso di questo tipo è facile che i lavori vengono appaltati a una impresa generale di costruzioni.

Tuttavia, per motivi organizzativi, magari anche solo per gestire altri lavori in contemporanea, quest’ultima potrebbe decidere di subappaltare le singole lavorazioni a ditte specializzate di sua fiducia.

Prima di tutto, diamo una definizione di General Contractor: 

il General Contractor non è altro che un soggetto a cui il contribuente affida l’appalto delle opere, dalla progettazione alla realizzazione delle stesse. E nel caso specifico dell’Ecobonus 110% gestirà i vari contatti con professionisti e imprese che prenderanno parte alla ristrutturazione e riqualificazione energetica dell’edificio. 

Leggendo l’art. 194 del codice di contratti pubblici (dlgs 50/2016) abbiamo una definizione dei compiti e responsabilità del general contractor; al riguardo si riportano le principali attività:

la predisposizione del progetto esecutivo e le attività tecnico amministrative occorrenti al soggetto aggiudicatore per pervenire all’approvazione dello stesso;

l’acquisizione delle aree di sedime;

poteri espropriativi (attribuiti per delega dall’Ente titolare ai sensi dell’art. 6 comma 8, dpr 327/2001) in assenza di commissario;

l’esecuzione con qualsiasi mezzo dei lavori;

il prefinanziamento, in tutto o in parte, dell’opera da realizzare;

l’individuazione delle modalità gestionali dell’opera e di selezione dei soggetti gestori, ove richiesto;

l’indicazione, al soggetto aggiudicatore, del piano degli affidamenti, delle espropriazioni, delle forniture di materiale e di tutti gli altri elementi utili a prevenire le infiltrazioni della criminalità, secondo le forme stabilite tra quest’ultimo e gli organi competenti in materia.

COSA INSERIRE NEL CONTRATTO CON IL GENERAL CONTERACTOR PER TUTELARSI E NON PERDERE IL SUPERBONUS?

La risposta a questa domanda non è semplice, atteso che come già detto, essendo il contratto d’appalto stipulato tra general contract e committente, atipico, le forme di tutela variano a seconda della scelta contrattuale e del contenuto dello stesso.

In questo clima di mancata regolamentazione della materia potrebbe accadere che vengano tralasciati aspetti rilevanti nel rapporto in essere.

A tal proposito al fine di evitare spiacevoli situazioni e per bilanciare gli interessi in gioco, è opportuno inserire nel contratto delle clausole che contemplino le ipotesi di mancato completamento dei lavori e perdita dell’agevolazione fiscale imputabile al contraente generale, con l’inserimento, ad esempio, di penali nel caso di ritardi nell’esecuzione dei lavori.

Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 13/10/2022) 08/11/2022, n. 42009

  • Sentenza

IntestazioneSvolgimento del processoMotivi della decisioneP.Q.M.Conclusione

Intestazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente –

Dott. ACETO Aldo – Consigliere –

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere –

Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere –

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., n. (Omissis);

avverso l’ordinanza del 29/03/2022 del Tribunale del riesame di Napoli;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

sentita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;

udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Cimmino Alessandro, che riportandosi alle conclusioni scritte del proprio Ufficio, già versate in atti, ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avv. Francesco Murgia, che, nell’illustrare i motivi di ricorso, ne ha chiesto l’accoglimento.

Svolgimento del processo

  1. Con ordinanza 29.03.2022, il tribunale del riesame di Napoli confermava il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP in data 3.03.2022 nei confronti di A.A., in via diretta, fino alla concorrenza della somma pari ad Euro 83.517.108,40 corrispondente al profitto del reato di cui all’art. 640c.p., comma 1 e comma 2, n. 1 da rinvenirsi nella disponibilità, tra gli altri indagati, dello A.A. nella sua qualità di L.R. della Work&Solution Srl all’epoca dei fatti oggetto di imputazione cautelare.
  2. Propone ricorso per cassazionelo A.A., a mezzo del difensore fiduciario, deducendo quattro motivi, di seguito illustrati.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, art. 321 c.p.p., art. 324 c.p.p., comma 7 e art. 309 c.p.p., comma 9, quanto alla sussistenza del fumus, presupposto strutturale del vincolo cautelare applicato.

In sintesi, premesso che i beni assoggettati a vincolo sono fondi, somme di denaro e saldi attivi esistenti su rapporti di c/c personali intestati allo A.A. per un importo di 79.216,72 Euro, la difesa lamenta che l’ordinanza di convalida del sequestro d’urgenza eseguito dal PM e il relativo decreto di sequestro emesso dal GIP non contenevano alcun vaglio del fumus del delitto di truffa in relazione alla posizione dello A.A.. Il GIP si sarebbe limitato a riportare la motivazione del decreto 18.01.2022, emesso a carico di diversi soggetti e in relazione al delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, provvedimento, quest’ultimo, che non conterrebbe alcuna valutazione circa il fumus del reato contestato allo A.A., in relazione al quale era stata trascritta la condotta oggetto di contestazione richiamando le dichiarazioni rese dai denuncianti, che tuttavia non si riferivano allo A.A., nemmeno indicato dal GIP nella sua qualità di L.R. della Work&Solution Srl Di ciò si era doluta la difesa dinanzi ai giudici del riesame, eccependo la mancanza di motivazione, in quanto apparente, del decreto di sequestro quanto alla posizione dell’indagato. Peraltro, il rinvio alla motivazione del decreto 18.01.2022 non consentiva nemmeno di valutare se il GIP avesse proceduto ad un’autonoma valutazione degli elementi, in quanto nè il provvedimento d’urgenza del PM nè il decreto del GIP erano stati notificati allo A.A.. I giudici del riesame non avrebbero potuto integrare la motivazione perchè assente e carente degli elementi che consentissero di ricondurre l’evento punito dall’art. 640 c.p. alla condotta del reo.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 111 Cost., comma 6, art. 125 c.p.p., comma 3, art. 321 c.p.p., art. 324 c.p.p., comma 7 e art. 309 c.p.p., comma 9, quanto alla sussistenza del fumus costituente presupposto strutturale del vincolo cautelare applicato.

In sintesi, premessa una breve descrizione fattuale del meccanismo fraudolento posto in essere nella odierna vicenda processuale, la difesa sostiene che il giudice del riesame avrebbe espressamente individuato l’inizio del piano criminale nella fase di realizzazione dei lavori e riconosciuto l’attività falsificatoria posta in essere dagli asseveratori e dai tecnici abilitati al rilascio dei visti di conformità, il fumus del reato di truffa. Rispetto a tali premesse, però, le successive conclusioni sarebbero incoerenti, in quanto i giudici del riesame avrebbero ravvisato il fumus quanto all’indagato A.A. pur affermando che quest’ultimo, ossia la società da egli rappresentata, fosse deputata all’esclusivo procacciamento dei potenziali clienti, condotta che tuttavia si sarebbe posta nel segmento chiaramente distinto ed antecedente rispetto alla fase del piano criminoso come individuata dal tribunale, a ben vedere collocandosi in realtà in epoca anteriore alla stipulazione dell’accordo con il General contractor (consorzio SGAI), e allo studio di prefattibilità da quest’ultimo realizzato per verificare i presupposti di concedibilità del bonus, che lo stesso tribunale aveva ritenuto non partecipare neppure alla fase iniziale del piano criminoso. Detta incoerenza argomentativa emergerebbe per la difesa anche sotto il profilo dell’individuazione dei destinatari della condotta fraudolenta, ossia i cessionari dei crediti di imposta generati dal Consorzio SGAI con l’emissione delle fatture per lavori non eseguiti, mediante false asseverazioni e visti di conformità non corrispondenti al vero. Orbene, proprio la genericità ravvisata nei documenti di preanalisi compilati dalla società rappresentata dall’indagato e valorizzata dal tribunale risulterebbe avulsa rispetto allo schema del fumus delineato in precedenza, trattandosi di documenti di preanalisi precedenti e distinti sia rispetto alla conclusione del contratto con il consorzio SGAI che dello studio di fattibilità, i quali avrebbero indotto in errore i committenti. A fronte di quanto sopra, irragionevole, per la difesa, si appaleserebbe il passaggio della motivazione relativo alla posizione dello A.A. rispetto al quale non si comprende quale sia l’itinerario logico seguito dal tribunale per ravvisare la sussistenza del fumus del reato di truffa, rispetto alla ricostruzione operata dagli stessi giudici del tribunale della condotta fraudolenta.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 240, c.p. e all’art. 125 c.p.p., comma 3, art. 321 c.p.p., commi 1 e 2, art. 324 c.p.p., comma 7 e art. 309 c.p.p., comma 9, quanto all’individuazione del destinatario della misura cautelare, individuato nell’indagato e non nella società W&S. – In sintesi, si duole la difesa per aver il tribunale del riesame indicato la persona dell’indagato A.A. quale soggetto attivo del reato quale L.R. della W&S Srl , pur riconoscendo quest’ultima quale unica beneficiaria dell’asserito profitto conseguito dal reato. I giudici del riesame, sul punto, non avrebbero fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali in tema di sequestro e confisca diretta del profitto, secondo cui nel caso di delitti posti in essere dal L.R. nell’interesse dell’impresa, è possibile aggredire solo le somme nella disponibilità dell’ente persona giuridica che ha beneficiato dell’arricchimento, non potendo aggredire le somme nella disponibilità del L.R. ancorchè questi si sia reso autore del reato, principio analogamente applicabile ai compensi percepiti legittimamente dal L.R. in virtù della carica rivestita in quanto tali non considerabili quale profitto del reato, non rientrandosi nell’eccezione prevista (società quale mero schermo formale privo di propria consistenza). Ne discende che la misura non avrebbe potuto essere applicata all’indagato solo perchè L.R. della società, reale beneficiaria dell’arricchimento ritenuto conseguente al reato, come lo stesso tribunale del riesame afferma a pag. 20 dell’ordinanza.

2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione agli artt. 110 e 240 c.p. e art. 125 c.p.p., comma 3, art. 321 c.p.p., comma 2, art. 324 c.p.p., comma 7 e art. 309 c.p.p., comma 9, in relazione all’erronea applicazione del principio solidaristico e circa l’omessa motivazione circa il materiale conseguimento del profitto.

In sintesi, la difesa si duole per aver il tribunale del riesame confermato il provvedimento di sequestro che aveva disposto l’applicazione della misura cautelare indistintamente in capo a tutti gli indagati sino alla concorrenza della somma ritenuta profitto della truffa, ciò in ragione della natura concorsuale del reato e ritenendo inconferente la giurisprudenza citata nell’istanza di riesame perchè relativa al delitto associativo. Sul punto, premessa l’erroneità dei precedenti richiamati dal collegio cautelare, sostiene la difesa che con riferimento al sequestro funzionale alla confisca diretta l’applicazione del principio solidaristico risulterebbe contrastata dalla portata della confisca ex art. 240 c.p. cui tende la misura cautelare, essendo preordinata a evitare che il soggetto destinatario del profitto possa lucrare dello stesso; richiamata la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 38034/2021), rileva la difesa che il GIP aveva applicato il sequestro preventivo a norma dell’art. 321 c.p.p., comma 2, ossia funzionale alla confisca diretta, con la conseguenza che sarebbe evidente l’errore di diritto consistito nell’aver confermato il sequestro preventivo in capo indistintamente a tutti i soggetti fino alla concorrenza della somma, a prescindere peraltro dal materiale conseguimento del profitto in capo allo A.A.. Proprio in relazione a tale ultimo profilo, infine, il ricorso denuncia il vizio di omessa motivazione, per non aver risposto alla relativa censura contenuta nell’istanza di riesame, evidenziandosi come il riferimento alle fatture emesse dal Consorzio SGAI nei confronti della società rappresentata dall’indagato non sarebbe rappresentativo della materiale apprensione del profitto da parte della società, rilievo che non verrebbe meno in ragione della natura fungibile dell’oggetto del sequestro, ossia il denaro, come affermato da Sez. Un, 42415/2021.

  1. Con requisitoria scritta del 31.08.2022, il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso.

In particolare, in relazione al primo motivo, deve rilevarsi che il provvedimento genetico descrive la condotta dell’indagato e riporta le dichiarazioni dei denuncianti che fanno riferimento a fatti nei quali risulta implicato anche l’indagato che procacciava clienti al consorzio SGAI e che sapeva che i lavori non erano realizzati. In ogni caso, deve darsi continuità all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in tema di motivazione delle ordinanze cautelari, il requisito dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, previsto espressamente dall’art. 292 c.p.p., comma 1, lett. c), così come modificato dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, deve riferirsi alla motivazione del provvedimento nel suo complesso e non a ciascuna contestazione e ad ogni singolo indagato, poichè con esso si esprime l’esito finale della verifica compiuta dal giudice sulla richiesta cautelare (Sez. 5, n. 11985 del 07/12/2017, dep. 2018, Rv. 272939 – 01).

In ordine al secondo motivo, come è noto, ai sensi dell’art. 325 c.p.p., comma 1, il ricorso per cassazione contro i provvedimenti emessi in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv. 248129). Nessuna mancanza di motivazione o motivazione apparente è ravvisabile con riguardo alla integrazione del fumus boni iuris in ordine all’incolpazione elevata nei confronti del ricorrente, solidamente poggiata dai giudici della cautela reale sulle denunce e su plurimi elementi documentali, tra cui le mail di protesta dei clienti. Il Tribunale ha rilevato che “i suddetti elementi fanno ritenere che la società, e per essa il legale rappresentante A.A., fossero consapevoli del meccanismo illecito che concorrevano a creare, procacciando al consorzio clienti, nonostante i lavori non fossero eseguiti… ed emettendo fatture in ordine al compenso ricevuto, ben sapendo che il compenso veniva dal consorzio subordinato alla cessione del credito”.

Quanto al terzo motivo, nel caso di specie, trattandosi di un provvedimento di sequestro inserito in un contesto molto ampio in cui sono stati sottoposti al vincolo giuridico, con provvedimenti convalidati dal GIP, anche beni appartenenti ad enti (cfr. pag. 3 del provvedimento impugnato con riguardo al sequestro nei confronti del consorzio SGAI), pare sia stata tentata l’esecuzione del sequestro anche nei confronti della società di cui l’indagato è stato il legale rappresentante.

In ogni caso, il Tribunale ha precisato che “il reato di truffa è ascrivibile al legale rappresentante della società e, quindi, correttamente è stato sottoposto a sequestro il provento di tale attività da lui percepito in tale qualità”. Si tratta, dunque, della confisca diretta del profitto del reato, nella parte rinvenuta nella disponibilità dell’autore del reato, profitto da egli percepito nella qualità di legale rappresentate della società. Sul punto, il Tribunale, richiamando anche un recente arresto delle Sezioni unite, ha precisato che la confisca del denaro costituente profitto del reato, rinvenuto nel patrimonio dell’autore dello stesso, va sempre qualificata come diretta (Sez. U, 42415 del 27/05/2021). Le somme che il consorzio SGAI ha fatturato alla società di cui l’indagato è il legale rappresentante, invece, sono state indicate dal tribunale solo per determinare il quantum del profitto. Nel provvedimento, infatti, è stato precisato che “le fatture rinvenute dalla Guardia di Finanza danno conto di una parte dei profitti ricevuto grazie alle truffe perpetrate e questa è in ogni caso superiore rispetto alla somma rinvenuta e sequestrata sui conti dello A.A.”.

In relazione al quarto motivo, deve osservarsi per il PG che il provvedimento impugnato è conforme all’indirizzo secondo cui in caso di concorso di persone nel reato, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato può essere disposto nei confronti di ciascuno dei concorrenti, non per l’intero importo del profitto, ma in relazione a quanto materialmente conseguito da ognuno (Sez. 1, n. 38034 del 09/07/2021 Rv. 282012 – 01). E’ stato già precisato che le fatture rinvenute danno conto di una parte dei profitti, in ogni caso superiore rispetto alla somma rinvenuta e sequestrata sui conti dello A.A.. 4. La difesa, con richiesta depositata telematicamente in data 7.09.2022, ha chiesto ed ottenuto la trattazione orale del ricorso.

Motivi della decisione

  1. Il ricorso, trattato oralmente D.L. n. 137 del 2020, e successive modifiche ed integrazioni, ex art. 23, comma 8, è complessivamente infondato.
  2. Il primo motivo è infondato.

Conformemente alle conclusioni del PG, deve rilevarsi che il provvedimento genetico descrive la condotta dell’indagato e riporta le dichiarazioni dei denuncianti che fanno riferimento a fatti nei quali anche questi risulta implicato, occupandosi il medesimo di procacciare clienti al consorzio SGAI e, per dipiù, essendo pienamente consapevole del fatto che i lavori non erano realizzati.

In particolare, il provvedimento impugnato (pag. 3) evidenzia chiaramente che lo stesso “attiene al profitto del solo reato di truffa aggravata”, precisando peraltro che, per una sua valutazione, non potesse prescindersi dall’esaminare la complessa vicenda nella sua interezza, atteso che tutti i reati in contestazione (oltre alla truffa aggravata, per cui il provvedimento è stato emesso, anche per il reato di falso, contestato nel medesimo capo 2), nonchè per il delitto associativo contestato al capo 1) nonchè per il delitto di tentata indebita compensazione contestato al capo 4), tutti ascritti parimenti allo A.A.) sono tra loro collegati, essendo i reati finanziari ed i reati di falso finalizzati, tra l’altro, anche alla commissione della truffa ai danni dei cessionari dei crediti di imposta inesistenti.

La stessa struttura del provvedimento impugnato, del resto, rende ragione della valutazione del fumus del reato di cui si discute (truffa aggravata), di cui in particolare si occupa alle pagg. 3 ss. dell’ordinanza qui ricorsa, sottolineandone la sussistenza non solo in termini di fumus, ma persino di qualificata gravità indiziaria, idonea come è noto a giustificare anche l’emissione di un provvedimento custodiale, ricostruendo nel dettaglio la vicenda criminosa che ha dato avvio alle attività di indagine della Guardia di Finanza.

Con particolare riferimento, poi, alla posizione dell’indagato A.A., l’ordinanza impugnata dedica uno specifico approfondimento alle pagg. 17 ss.; in particolare dopo aver elencato i motivi di riesame proposti (sostanzialmente riprodotti dal ricorrente senza alcun apprezzabile elemento di novità critica dinanzi a questa Corte in sede di legittimità), l’ordinanza si focalizza sul fumus del reato contestato allo A.A., evidenziandone la piena sussistenza, sia in chiave oggettiva che soggettiva. In particolare, risulta dall’ordinanza impugnata come le indagini, compendiate nelle informative di Pg in atti e, da ultimo, nella nota del 25 marzo 2022 depositata in udienza dal PM, avevano accertato che la Work & Solution Srl , rappresentata dallo A.A., aveva sottoscritto un contratto di collaborazione commerciale con il Consorzio SGAI in data 1.12.2020, in virtù del quale la società si impegnava a procacciare clienti al consorzio e che la provvigione sarebbe consistita in una percentuale variabile a seconda dei ricavi derivanti dalle cessioni di crediti correlate ai contratti da lei procacciati. Tale contratto è espressamente richiamato nelle fatture emesse dalla W&S nei confronti del Consorzio SGAI n. 811 in data 10.5.2021 e n. 1044 del 15.6.2021 di 61.000 Euro ciascuna, n. 1245 in data 13.7.2021 di 244.000 Euro e n. 1461 in data 13.8.2021 di 50.000 Euro.

Le predette fatture, come emerge nell’ordinanza, presentano elementi di anomalia, in quanto in tre di esse sono indicati gli stessi nominativi di clienti. Inoltre, sono state rinvenute altre due fatture emesse dalla W&S: una relativa a soggetti indicati come consorziati (tale B.B. e tale C.C.), sebbene costoro non risultino, dalla documentazione del Consorzio, come tali e una seconda fattura, immediatamente stornata, relativa al primo rateo di cui al “contratto scrittura privata e allegato 2 del 25/10/2021 di cessione rete commerciale di W&S del superbonus 110%”.

L’ordinanza segnala anche il rinvenimento di una comunicazione del 23.12.2020, recante il timbro della società, con la quale A.A. chiedeva di entrare a far parte del Consorzio SGAI, dichiarando di essere disponibile a versare la quota consortile di 3.000 Euro. Ebbene, anche di tale adesione, si legge nell’ordinanza, non si rinveniva traccia sui documenti del consorzio e tuttavia le indagini condotte dalla Guardia di Finanza hanno evidenziato che il Consorzio SGAI ha “rilevato nella propria contabilità il versamento di quote consortili da parte di vari soggetti, tra i quali la Work & Solution (3.000 Euro versate il 5.3.2021).

Dunque, per i giudici del riesame, contrariamente a quanto asserito dalla difesa, è evidente che le attività che legano la W&S al Consorzio che rilevano ai fini della indagine sono relative ad atti che sono stati tutti sottoscritti dallo A.A. e sono relativi al periodo in cui l’indagato era legale rappresentante della società. Non v’è dubbio, quindi, per il tribunale, che sia stato proprio l’indagato a tenere i legami tra la società e il consorzio, sia in quanto firmatario del contratto di procacciamento, sia in quanto rappresentante della società al momento in cui questa emetteva le fatture (sopra menzionate) nei confronti del Consorzio. Non v’è dubbio, dunque, che l’attività in questione, in quanto legale rappresentante della società, fosse a lui penalmente imputabile.

Ciò premesso, l’ordinanza impugnata prosegue individuando molteplici elementi dai quali si evince la consapevolezza in capo allo A.A. della falsità della documentazione relativa ai contratti procacciati dalla società ai fini della cessione del credito. Anzitutto, all’esito dell’attività di cui al contratto denominato pre-analisi, stipulato dalla W&S e dai vari clienti, si rilevavano sempre informazioni estremamente generiche, senza che fossero specificate le caratteristiche dell’immobile sul quale dovevano essere eseguiti i lavori ed anche le conclusioni alle quali giungeva lo studio di fattibilità erano estremamente generiche, limitandosi la società ad affermare che “l’immobile ha le caratteristiche per poter accedere all’agevolazione sismabonus o superbonus 110%”. Inoltre, sia nel documento di analisi preliminare redatto dalla W&S sia nel successivo contratto stipulato tra il cliente ed il consorzio SGAI, al soggetto committente dei lavori di cui al superbonus 110% veniva ricondotta la mail della W&S e non la sua mail. Pertanto, come sottolinea l’ordinanza, alla società erano inoltrate tutte le comunicazioni destinate al cliente. Nella nota della Guardia di Finanza in atti, aggiunge poi il tribunale, sono indicati i molteplici casi in cui tale dato è stato riscontrato e, in particolare, sono state acquisite le mail nelle quali i clienti segnalavano le inadempienze del Consorzio, inoltrate dalla W&S al Consorzio stesso, a dimostrazione del fatto che la società era pienamente consapevole del fatto che le opere edili commissionate non venivano effettuate. Ancora, l’ordinanza impugnata evidenzia che, dal raffronto tra le fatture emesse dalla W&S nei confronti del Consorzio (relative a lavori eseguiti e, si ricorda, da pagarsi secondo contratto solo dopo la relativa cessione del credito) e le mail di protesta dei clienti, risulta che in molti casi la società abbia ricevuto il compenso nonostante i lavori non fossero stati eseguiti e la W&S, per avere ricevuto le mail di protesta, ne fosse pienamente consapevole (il riferimento, nel provvedimento impugnato, è all’allegato 23 alla nota del 25.3.2022 – e non 3033, chiaramente un refuso – della Guardia di Finanza, in atti). I suddetti elementi, proseguono i giudici del riesame, fanno ritenere che la società, e per essa il legale rappresentante A.A., fossero consapevoli del meccanismo illecito che concorrevano a creare, procacciando al consorzio clienti, nonostante i lavori non fossero eseguiti (come documentato dalle mail di protesta) ed emettendo fatture in ordine al compenso ricevuto, ben sapendo che il compenso veniva dal consorzio subordinato alla cessione del credito, rinviando, sul punto, il provvedimento impugnato a quanto affermato in precedenza in ordine al rinvenimento delle fatture pro forma.

Tutto ciò, concludono sul punto i giudici del riesame, consente di ritenere sussistente il fumus in ordine alla partecipazione dello A.A. al sistema illecito in contestazione, atteso che il suo è senza dubbio un ruolo fondamentale per la riuscita del piano criminoso e la realizzazione della truffa ordita dal Consorzio, valorizzandosi in particolare la presenza in atti della richiesta avanzata dallo A.A. di partecipare al Consorzio. Precisa, infine, il tribunale che il reato di truffa è ascrivibile al legale rappresentante della società e, quindi, correttamente è stato sottoposto a sequestro il provento di tale attività da lui percepito in tale qualità.

2.1. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze difensive circa la asserita assenza di qualsiasi argomentazione in ordine al fumus del reato ipotizzato a carico dello A.A. perdono di qualsiasi spessore argomentativo, avendo diversamente i giudici del riesame focalizzato attentamente la propria attenzione sul ruolo assunto dalla W&S nel meccanismo fraudolento ed individuando anche il ruolo assunto dall’indagato nella vicenda, segnalando tutti gli indici di “anomalia” che rendevano evidente la compartecipazione della società, e per essa del suo legale rappresentante pro tempore, nella vicenda criminosa descritta.

Quanto, poi, alla presunta assenza di un’autonoma valutazione della posizione dello A.A., è sufficiente richiamare il corretto riferimento giurisprudenziale operato dal PG, dovendosi pertanto dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in tema di motivazione delle ordinanze cautelari, il requisito dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, previsto espressamente dall’art. 292 c.p.p., comma 1, lett. c), così come modificato dalla L. 16 aprile 2015, n. 47, deve riferirsi alla motivazione del provvedimento nel suo complesso e non a ciascuna contestazione e ad ogni singolo indagato, poichè con esso si esprime l’esito finale della verifica compiuta dal giudice sulla richiesta cautelare (Sez. 5, n. 11985 del 07/12/2017, dep. 2018, Rv. 272939 – 01).

  1. Anche il secondo motivo si appalesa infondato.

Sul punto, concordemente con le conclusioni del PG, merita di essere ribadito che, ai sensi dell’art. 325 c.p.p., comma 1, il ricorso per cassazione contro i provvedimenti emessi in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916; Sez. 5, n. 35532 del 25/06/2010, Angelini, Rv. 248129).

Nessuna mancanza di motivazione o motivazione apparente è, in particolare, ravvisabile con riguardo alla integrazione del fumus boni iuris in ordine all’incolpazione elevata nei confronti del ricorrente, che, come sottolinea lo stesso rappresentante della PG nelle sue conclusioni, risulta solidamente poggiata dai giudici della cautela reale sulle denunce e su plurimi elementi documentali, tra cui le mail di protesta dei clienti. Il Tribunale ha rilevato che “i suddetti elementi fanno ritenere che la società, e per essa il legale rappresentante A.A., fossero consapevoli del meccanismo illecito che concorrevano a creare, procacciando al consorzio clienti, nonostante i lavori non fossero eseguiti… ed emettendo fatture in ordine al compenso ricevuto, ben sapendo che il compenso veniva dal consorzio subordinato alla cessione del credito”.

Nè rileva la circostanza, dedotta dal ricorrente, secondo cui la condotta della W&S, e per essa del suo legale rappresentante, si sarebbe manifestata in un momento storico antecedente a quello, invece ritenuto dalla difesa rilevante, della effettiva realizzazione della condotta fraudolenta, in sostanza non potendosi ritenere che lo studio di prefattibilità da quest’ultimo realizzato per verificare i presupposti di concedibilità del bonus integrasse una condotta rilevante rispetto all’attività fraudolenta. Trattasi, infatti, di ricostruzione suggestiva che mira, contrariamente all’indissolubile legame, emergente dall’ordinanza impugnata, tra tutti i segmenti delle condotte ascritte a vario titolo a titolo di concorso a ciascun partecipe (segnatamente, quanto allo A.A., quale intermediario, unitamente ad altri soggetti, con il compito di promuovere nei territori di competenza la sottoscrizione con il consorzio SGAI da parte di ignari cittadini, di contratti di appalto lavori di cui al D.L. n. 34 del 2000), ed oggetto di volontà comune, a parcellizzare le condotte medesime, tentando di far apparire come penalmente irrilevante il contributo dell’intermediario rispetto al complessivo proposito fraudolento.

Sul punto, peraltro, proprio la dettagliata ricostruzione della vicenda, del ruolo della W&S (e per essa del L.R. attuale ricorrente) e della rilevanza causale assunta dall’apporto dell’intermediario nel meccanismo fraudolento, per come operati dall’ordinanza impugnata, rendono evidente come i giudici del riesame abbiano fatto assoluto buongoverno del principio, secondo cui in tema di concorso di persone nel reato, il contributo causale del concorrente può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa non solo in caso di concorso morale ma anche in caso di concorso materiale, fermo restando l’obbligo del giudice di merito di motivare sulla prova dell’esistenza di una reale partecipazione e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dagli altri concorrenti (tra le tante: Sez. 4, n. 1236 del 16/11/2017 – dep. 12/01/2018. Raduano, Rv. 271755 – 01).

  1. Il terzo motivo presta invece il fianco al giudizio di manifesta infondatezza. Ed invero, come evidenzia il PG nella sua requisitoria scritta, nel caso di specie, trattandosi di un provvedimento di sequestro inserito in un contesto molto ampio in cui sono stati sottoposti al vincolo giuridico, con provvedimenti convalidati dal GIP, anche beni appartenenti ad enti (cfr. pag. 3 del provvedimento impugnato con riguardo al sequestro nei confronti del consorzio SGAI), è possibile far leva sul provvedimento di esecuzione del sequestro preventivo 24.03.2022 in cui si dà atto che il PM ha disposto nei confronti delle “persone fisiche e/o giuridiche indicate nel citato provvedimento” (ossia del provvedimento con cui veniva disposto in via d’urgenza il sequestro in via diretta fino a concorrenza della somma di oltre 83 mln di Euro corrispondente al profitto del reato di truffa).

In definitiva, il ricorrente non poteva dolersi del fatto che il sequestro fosse stato eseguito nei suoi confronti quale persona fisica, in quanto originariamente il provvedimento di sequestro era stato disposto anche nei confronti della persona giuridica. Essendo stato disposto in via diretta nei confronti della persona giuridica, il ricorrente avrebbe potuto dolersi solo del fatto che il profitto si trovasse presso la persona giuridica, censura che non è stata dedotta nel ricorso. Ad escludere la positiva valutabilità della doglianza mossa dall’indagato, è del resto sufficiente sul punto ricordare come è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, che è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato, sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nei confronti dell’ente, nel caso in cui, successivamente alla imposizione del vincolo cautelare, dallo stesso soggetto non siano indicati i beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta (Sez. 3, n. 40362 del 06/07/2016 – dep. 28/09/2016, D’Agostino, Rv. 268587 – 01; Sez. 3, n. 42966 del 10/06/2015 – dep. 26/10/2015, Klein, Rv. 265158 – 01).

A tale onere di indicazione, come emerge dallo stesso tenore del motivo di ricorso, l’indagato non ha tuttavia assolto, con la conseguenza che il motivo dev’essere dichiarato inammissibile.

  1. Nemmeno l’ultimo motivo di doglianza merita accoglimento.

Ed invero, per destituirne di qualsiasi fondamento la asserita rilevanza, è sufficiente qui sottolineare, come bene il PG evidenzia, che il provvedimento impugnato è conforme all’indirizzo secondo cui in caso di concorso di persone nel reato, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato può essere disposto nei confronti di ciascuno dei concorrenti, non per l’intero importo del profitto, ma in relazione a quanto materialmente conseguito da ognuno (Sez. 1, n. 38034 del 09/07/2021, Rv. 282012 – 01).

E, su tale aspetto, è stato già precisato che le fatture rinvenute danno conto di una parte dei profitti, in ogni caso superiore rispetto alla somma rinvenuta e sequestrata sui conti dello A.A.. 6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2022

IL SUPERBONUS HA PORTATO A UN CONSIDEREVOLE AUMENTO DELLA FIGURA PROFESSIONALE DEL GENERAL CONTRACTOR

 

 

 

 

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