SUPERBONUS 110 E COMPEnSAZIONE CREDITI SANZIONI AVVOCATO ESPERTO
Parti: Agenzia delle Entrate c. Ho.Ve.Ta. di S.C. & C s.n.c.
In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, il discrimine ai fini dell’applicazione della sanzione del 30%, ovvero della sanzione dal 100% al 200% del credito indebitamente utilizzato, come previste dall’art. 13, commi 4 e 5, del D.Lgs. n. 471/1997 va individuato, rispettivamente, nell’utilizzo di un credito “non spettante” ovvero di un credito “inesistente“, per tale ultimo dovendo intendersi – ai sensi dello stesso art. 13, comma 5, terzo periodo, D.Lgs. cit. – il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, “reale “) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 e all’art. 54-bis del D.P.R. n. 633/19
Cass. civ., Sez. V, Sentenza, 16/11/2021, n. 34443 (rv. 663029-01)
TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI (RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1972) – Imposta sul valore aggiunto (i.v.a.) – Obblighi dei contribuenti – Pagamento dell’imposta – Rimborsi – Credito d’imposta – Compensazione – Credito “non spettante” ovvero credito “inesistente” – Sanzione del 30% ovvero dal 100% al 200% ex art. 13, commi 4 e 5, d.lgs. n. 471 del 1997 – Discrimine – Credito “inesistente” – Nozione – Fattispecie
In tema di compensazione da parte del contribuente di crediti fiscali (nella specie credito IVA), il discrimine ai fini dell’applicazione della sanzione del 30 per cento, ovvero della sanzione dal 100 al 200 per cento del credito indebitamente utilizzato, come previste dall’art. 13, commi 4 e 5, d.lgs. n. 471 del 1997 (introdotti dal d.lgs. n. 158 del 2015, con contestuale abrogazione dell’art. 27, comma 17, d.l. n. 185 del 2008, conv., con modif., in l. n. 2 del 2009 e succ. modif.), va individuato, rispettivamente, nell’utilizzo di un credito “non spettante”, ovvero di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi – ai sensi dello stesso art. 13, comma t, terzo periodo, d.lgs. n. 471 cit. – il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (cioè il credito che non è “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli formali di cui agli artt. 36-bis e 36-ter d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis d.P.R. n. 633 del 1972. (Rigetta, COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. SALERNO, 06/11/2012)
Lo prevede espressamente il decreto rilancio, al comma 5 dell’art.121 del DM34/2020, che recita “Qualora sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione d’imposta, l’Agenzia delle entrate provvede al recupero dell’importo corrispondente alla detrazione non spettante”.
Al riguardo, può dunque affermarsi che il credito fiscale illegittimamente utilizzato dal contribuente può dirsi “inesistente” quando manca il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente) e quando tale mancanza sia evincibile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso o in possesso dell’anagrafe tributaria, banca dati pubblica disciplinata dal D.P.R. n. 605 del 1973, su cui detti controlli anche si fondano.
Così stando le cose, ritiene la Corte che l’affermazione secondo cui sarebbe priva di senso la distinzione tra “credito inesistente” e “credito non spettante” – come sostenuto, nel solco di Cass. n. 10112/2017, da Cass. n. 19237/2017 (di recente confermata da Cass. n. 24093/2020 e da Cass. n. 354/2021) – vada necessariamente contestualizzata, non solo perchè riferita a problematica diversa da quella qui in esame (le citate pronunce concernono, infatti, il termine di decadenza per gli accertamenti dell’ufficio ai fini del recupero dei crediti d’imposta indebitamente compensati), ma soprattutto perchè comunque superata dalla citata novella.
Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute e’ applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11850-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
xxxxxxxxxx;
– intimata –
avverso la sentenza n. 574/2012 della COMM.TRIB.REG.CAMPANIA SEZ.DIST. di SALERNO, depositata il 06/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/05/2021 dal Consigliere Dott. SALVATORE SAIJA;
lette le conclusioni scritte del pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. BASILE TOMMASO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
In data 17.11.2009, l’Ufficio di Eboli notificò a xxxxxxxxx un avviso di recupero con cui si contestava l’indebito utilizzo in compensazione di un credito IVA maturato nel 2008, dell’importo di Euro 68.577,36, procedendo altresì all’irrogazione della sanzione pari al 200% del credito, ai sensi del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 18, conv. in L. n. 2 del 2009. La società impugnò l’avviso con ricorso dinanzi alla C.T.P. di Salerno, che con sentenza n. 230/08/11 lo accolse parzialmente, rideterminando l’importo indebitamente portato in compensazione in Euro 57.787,84 e riducendo la sanzione al 30% del credito, in considerazione del fatto che la maggior percentuale prevista dall’art. 27 cit. concerne unicamente l’ipotesi della inesistenza tout court del credito d’imposta. Avverso detta sentenza propose appello l’Agenzia delle Entrate, ma la C.T.R. della Campania, sez. st. di Salerno lo rigettò con decisione del 6.11.2012, in particolare ribadendo la correttezza della rideterminazione della sanzione al 30% del credito indebitamente portato in compensazione, in applicazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 così come ritenuto dal primo giudice.
L’Agenzia delle Entrate ricorre ora per cassazione, affidandosi a due motivi. La società è rimasta intimata. Con ordinanza interlocutoria resa a seguito dell’adunanza camerale del 26.1.2021, il ricorso è stato rimesso all’odierna udienza pubblica, in ragione dell’interesse nomofilattico inerente alla questione della distinzione, ai fini dell’applicazione della sanzione, tra “credito inesistente” e “credito non spettante”. Il P.G. ha quindi rassegnato conclusioni scritte, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. in L. n. 176 del 2020, chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 18, secondo periodo, conv. in L. n. 2 del 2009, come modificato dal D.L. n. 5 del 2009, art. 7, comma 2, conv. in L. n. 33 del 2009, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 La ricorrente evidenzia che, a far data dall’11.2.2009, la sanzione irrogabile in caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per importo superiore a cinquantamila Euro è pari al 200% del credito indebitamente utilizzato, sicchè ha errato la C.T.R. nel diversamente opinare, in quanto, ai sensi del D.P.R. n. 435 del 2001, art. 11, comma 5, (nel testo applicabile ratione temporis), per il credito IVA maturato nel periodo infrannuale del 2009 (primo, secondo e terzo trimestre), la compensazione può effettuarsi previa presentazione di apposita dichiarazione all’Agenzia delle Entrate, adempimento che la società non ha espletato, con conseguente disconoscimento dei crediti relativi, da considerarsi appunto inesistenti.
1.2 – Con il secondo motivo, proposto in subordine, si denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 La ricorrente ripropone i medesimi argomenti prima evidenziati, sotto il profilo del preteso vizio motivazionale, assumendo che la C.T.R. ha omesso di valutare quanto dedotto con l’appello.
2.1 – Il primo motivo è infondato.
Il D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 18, conv. in L. n. 2 del 2009, è stato abrogato dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 32, comma 2, lett. b), a decorrere dal 1 gennaio 2016 (data così anticipata per effetto della L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 133). Di ciò si dirà infra.
In ogni caso la disposizione, nel testo all’epoca in vigore, così recitava: “L’utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è punito con la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. E’ punito con la sanzione del duecento per cento della misura dei crediti compensati chiunque utilizza i crediti di cui al primo periodo per il pagamento delle somme dovute per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun anno solare”.
Per quanto qui interessa, la fattispecie rientra oggi nella previsione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 5, introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15 che così stabilisce: “Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16, comma 3, e art. 17, comma 2. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 36-bis e 36-ter e al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54-bis”.
Come è evidente, l’originaria previsione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 18, secondo periodo, che commina la sanzione “secca” del 200% per l’indebito utilizzo di crediti superiori a cinquantamila Euro, è stata senz’altro abrogata, sicchè la tesi agenziale non può comunque trovare accoglimento, potendo al più discutersi di una sanzione compresa tra il 100% e il 200% del credito, e ciò in applicazione del principio del favor rei, D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 3.
Tuttavia, del D.Lgs. n. 471 del 1997, il “nuovo” art. 13, comma 5, terzo periodo, come appunto introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15 si spinge a dettare la definizione normativa di credito “inesistente” ai fini che interessano, tale essendo il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36-bis e 36-ter e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis.
Al riguardo, può dunque affermarsi che il credito fiscale illegittimamente utilizzato dal contribuente può dirsi “inesistente” quando manca il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente) e quando tale mancanza sia evincibile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso o in possesso dell’anagrafe tributaria, banca dati pubblica disciplinata dal D.P.R. n. 605 del 1973, su cui detti controlli anche si fondano.
Così stando le cose, ritiene la Corte che l’affermazione secondo cui sarebbe priva di senso la distinzione tra “credito inesistente” e “credito non spettante” – come sostenuto, nel solco di Cass. n. 10112/2017, da Cass. n. 19237/2017 (di recente confermata da Cass. n. 24093/2020 e da Cass. n. 354/2021) – vada necessariamente contestualizzata, non solo perchè riferita a problematica diversa da quella qui in esame (le citate pronunce concernono, infatti, il termine di decadenza per gli accertamenti dell’ufficio ai fini del recupero dei crediti d’imposta indebitamente compensati), ma soprattutto perchè comunque superata dalla citata novella.
Ne discende, ulteriormente, che nella specie – posto che il maggior credito disconosciuto dall’Agenzia non è utilizzabile per soli motivi formali, come accertato dalla C.T.R. con apprezzamento di merito non adeguatamente censurato e come sostanzialmente riconosciuto dalla stessa ricorrente (v. ricorso, passim) – non si pone alcun problema di applicazione del principio del favor rei, giacchè, anche per effetto della descritta definizione normativa di credito inesistente, non si rientra in tale ultima ipotesi. Del resto, costituisce riprova di ciò la previsione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, comma 4, anch’esso introdotto dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15 secondo cui “Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato”.
Detto ultimo intervento normativo, in verità, mira a meglio delimitare i contorni della definizione normativa di cui s’è detto e non ha portata realmente innovativa in subiecta materia, essendosi già da tempo affermato, nella giurisprudenza di questa Corte, che “In tema di IVA, la dichiarazione di cui al D.P.R. n. 542 del 1999, art. 8, comma 3, contenente i dati richiesti per l’istanza di rimborso, fin dal momento della sua introduzione e prima ancora della previsione di uno specifico termine per il suo espletamento, integra un presupposto della compensazione, sicchè, pur non escludendo, in presenza delle altre condizioni, l’esistenza di un credito d’IVA suscettibile comunque di rimborso e non determinando conseguentemente il suo recupero da parte dell’amministrazione finanziaria, la sua omissione giustifica l’applicazione della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, commi 1 e 2, in quanto strumentale a controlli di tipo sostanziale” (Cass. n. 33102/2019) e ancora “In tema di agevolazioni tributarie, il superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 così come accade ogniqualvolta sia utilizzata,Ú compensazione in assenza dei relativi presupposti” (Cass. n. 18080/2017). Il che è quanto, nella sostanza, ha ritenuto il giudice d’appello.
Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, il discrimine ai fini dell’applicazione della sanzione del 30%, ovvero della sanzione dal 100% al 200% del credito indebitamente utilizzato, come previste dal D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, commi 4 e 5, (introdotti dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15 con contestuale abrogazione del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 18, conv. in L. n. 2 del 2009, come modificato dal D.L. n. 5 del 2009, art. 7, comma 2, conv. in L. n. 33 del 2009) va individuato, rispettivamente, nell’utilizzo di un credito “non spettante” ovvero di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi – ai sensi dello stesso art. 13, comma 5, terzo periodo, D.Lgs. cit. – il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36-bis e 36-ter e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis”.
3.1 – Il secondo motivo, proposto in subordine, è inammissibile.
La ricorrente ha infatti denunciato il vizio di omessa motivazione ai sensi del previgente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, senza però tener conto che nella specie era applicabile il nuovo disposto della norma processuale (che, al riguardo, prevede la proponibilità del ricorso per cassazione per “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”, su cui si veda in generale Cass., Sez. un., n. 8053/2014), la sentenza essendo stata depositata in data successiva all’11.9.2012, data di entrata in vigore della modifica apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012.
4.1 – In definitiva, il ricorso è rigettato. Nulla va disposto sulle spese, l’intimata non avendo svolto difese.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 12 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2021
Crediti d’imposta “inesistenti”
I crediti d’imposta inesistenti rappresentano la fattispecie più insidiosa e, al tempo stesso, più grave, che si manifesta al verificarsi di due condizioni contemporanee:
Deve esserci un illecito consistente nella mancanza di “uno o più” dei presupposti costitutivi del credito fiscale
La violazione, ovvero l’inesistenza, di “uno o più” degli elementi costitutivi del credito, non deve essere rilevabile in sede di controlli automatizzati o formali di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del DPR 600/1973 e dall’art. 54-bis del DPR 633/1972.
Si tratta di una fattispecie descritta dall’art.13 comma 5 del D.Lgsl. 471/1997: “Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute e’ applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”.
La Corte di Cassazione, con le sentenze 34443/4/5 del 2021, ha fatto un po’ di chiarezza sul quadro sanzionatorio connesso ai crediti d’imposta “inesistenti” o “non spettanti”. Lo ha fatto spiegando, con riferimento a tre casi pratici, che cosa si deve intendere per mancanza del “presupposto costitutivo”: per la Cassazione deve intendersi che “il credito non è reale”. Sono queste le testuali parole utilizzate, sintetiche ma efficaci.
Qualora il credito fiscale sia inesistente la sanzione applicata al contribuente infedele (o presunto tale), va da un minimo del 100 a un massimo del 200% del credito fiscale portato in detrazione. Una bella botta, a cui deve aggiungersi la restituzione del capitale e gli interessi. Tradotto in pratica significa che, ad esempio, chi ha fatto 96.000euro di lavori antisismici (in assenza dei requisiti) può trovarsi a doverne dare indietro circa 300.000, comprendendo gli interessi che, a distanza di anni, sono tutt’altro che trascurabili.
In merito alle tempistiche il D.L. n. 185 del 1998, art. 27, al comma 16, prevede che “(…) l’atto di cui alla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 421, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo”.
La ratio che, nel caso dei crediti d’imposta inesistenti, determina queste sanzioni così severe e un termine decadenziale così lungo discende dall’attività di indagine e di approfondimento che l’Amministrazione Finanziaria deve compiere per “scovare” questa tipologia di violazioni.
Purtroppo, laddove vengano rilevati crediti inesistenti è facile che vi siano anche conseguenze di natura penale per i contribuenti e, probabilmente, anche per i soggetti (fornitori e professionisti) che hanno rilasciato attestazioni infedeli.
Crediti d’imposta “non spettanti”
Diverso è il caso dei crediti d’imposta “non spettanti”. Questa fattispecie, meno grave della precedente, può concretizzarsi nel momento in cui il Fisco, nell’ambito dei controlli formali di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del DPR 600/1973, rileva in automatico una incongruenza nei dati forniti dal contribuente rispetto a quelli contenuti nelle banche dati. L’illecito può anche concretizzarsi nella mancanza di “uno o più” dei presupposti costitutivi del credito, quindi può essere anche un fatto importante, ma se viene rilevato d’ufficio esso configura comunque un credito “non spettante” e non quindi “inesistente”.
Si tratta, in generale, di una fattispecie descritta dall’art.13 comma 4 del D.Lgsl. 471/1997: “Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato”.
In questo caso il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, prevede che “(…) gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione”.
Anche in questo caso, oltre alla sanzione che, ripeto, può arrivare al 30%, il beneficiario dovrà restituire l’importo indebitamente fruito e gli interessi maturati.
Quindi la stessa persona di prima che ha fatto 96.000euro di lavori antisismici (commettendo errori formali riscontrati dall’AdE in fase di controllo automatico) può trovarsi a doverne dare indietro circa 125.000, oltre agli interessi.
Sanzione ridotta, ma i problemi conseguenti restano comunque grandi, perché inevitabilmente nascerà un contenzioso tra committente, professionisti asseveratori, imprese, fornitori, assicurazioni e vistatori della conformità.
Per fortuna, a parere dello scrivente, buona parte dei crediti d’imposta non spettanti verrà sterilizzata dal Fisco attuando i controlli previsti dal freschissimo provvedimento del 1 dicembre 2021, il num.340450.
Esempi di crediti d’imposta “inesistenti”
Fin qui questioni giuridiche, piene di sfumature e di rimandi normativi, che ho cercato di sintetizzare al massimo perché sono difficili da comprendere. Tuttavia il concetto di fondo lo abbiamo capito.
Gli eventuali “sbagli” che si possono commettere nelle pratiche di Superbonus, tranne quelli “meramente formali”, insieme a quelli riparati spontaneamente e quelli intercettati sul nascere dall’Agenzia delle Entrate, generano crediti fiscali classificabili in due categorie molto differenziate e soggette a un quadro sanzionatorio blando in un caso e severo in un altro.
Il problema è capire quando si ricade nell’una o nell’altra fattispecie e non è semplice fare degli esempi perché le casistiche sono davvero infinite.
Ripetiamo. Un credito d’imposta è inesistente quando si verificano insieme due condizioni:
mancano “uno o più” dei presupposti costitutivi del credito
tali mancanze non devono essere rilevabili in sede di controlli automatizzati.
Per tradurre in pratica tutto ciò bisogna chiedersi quale sia il presupposto costitutivo del credito derivante dal Sismabonus o dall’Ecobonus. Penso saremo tutti d’accordo che esso coincide rispettivamente con l’aumento della sicurezza sismica e con la riduzione dei consumi energetici.
Vediamo dunque un esempio concreto riferito al Sisma, tralasciando il caso, ovvio, dei crediti derivanti da lavori non eseguiti.
Riferendoci quindi a un intervento edilizio che, a seguito di controlli, viene giudicato inadeguato per la riduzione del rischio sismico. In tal caso manca di sicuro uno dei presupposti costitutivi che stanno alla base del Superbonus. E questa circostanza non può essere rilevata dal Fisco in sede di controlli automatizzati, quindi siamo certamente di fronte a un credito inesistente.
Non è un esempio qualunque quello che ho fatto. È un esempio onnicomprensivo, nel quale si può ricadere per una miriade di sotto casi scatenanti. Pensiamo solo a cosa succede se non si identifica correttamente l’unità strutturale… Si rischia di fare un progetto perfetto e dei lavori perfetti ma riferiti a una struttura diversa da quella che dovrebbe essere e quindi, rifacendo i calcoli, potrebbe emergere una definizione della classe di rischio non veritiera, poiché migliorata sulla parte di edificio presa in esame ma non su quella restante. Va da se che cambiando l’oggetto dell’analisi (l’unità strutturale), i parametri che identificano la classe di rischio potrebbero addirittura peggiorare a seguito degli interventi previsti e spesati col 110%.
E ciò sfugge a qualunque software dell’Agenzia delle Entrate, perché ci vuole come minimo un altro ingegnere per capirlo, che entri nel merito tecnico della questione.
Quindi ecco che si configura un credito inesistente, con sanzioni ai massimi livelli e 8 anni di tempo per essere messo in luce.
Esempio di credito d’imposta “non spettante”
Qui ci sta un po’ tutto.
Casi tipici possono essere quelli del tecnico che sbaglia a fare il computo metrico, oppure che utilizza un prezzario non ammesso, oppure che detrae al 110% dei lavori che dovevano essere detratti al 50 oppure che considera parti comuni di un edificio condominiale quelle che in realtà non lo sono.
Sta qui dentro addirittura il caso del contribuente che fa i lavori sulla casa che non è sua. È un fatto grave, d’accordo, ma è facilmente riscontrabile dall’AdE in sede di verifica formale dei requisiti soggettivi, poiché risulterà che le fatture sono state pagate da Caio ma l’edificio è di proprietà di Sempronio.
Poi ci sono i casi dubbi, ovviamente. Le famose zone grigie, che sono molto ampie, ovviamente.
Tempistiche
A volte, si dice, “non so cosa farò domani”… Figurarsi dover prefigurare le conseguenze di un illecito commesso oggi e contestato fra 5, oppure fra 8 anni, oppure come dicono alcuni fra 5+8 anni, dove 5 è la durata del frazionamento della detrazione e 8 il termine decadenziale dell’AdE. In assenza di prassi specifica sui bonus edilizi è difficile prevedere cosa accadrà. Quel che è certo è che si tratta di una materia complessa anche da sottoporre a controllo e quindi non ci sarebbe da stupirsi se l’orientamento giurisprudenziale sarà tutelante nei confronti dello Stato.
Anno più o anno meno, quando inizieranno ad arrivare le cartelle di recupero fiscale è ovvio che si apriranno contenziosi in sede civile e denunce, con strascichi giudiziari che si chiuderanno con i tempi lumaca della giustizia italiana.
Stiamo parlando quindi di problemi che, tra una cosa e un’altra, potranno durare anche un ventennio.
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