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Separazione consensuale prevede l’assistenza legale dei coniugi che non intendano, per ragioni varie, iniziare un procedimento giudiziale.

Sono i casi in cui i coniugi hanno entrambi la volontà di separarsi ovvero si sono resi conto che non risulta possibile continuare nel rapporto matrimoniale anche per il bene dei figli, oltre che delle parti stesse. In questi casi le parti possono rivolgersi entrambi ad un unico avvocato che provvederà a stimolare la riflessione su quegli elementi da risolvere prima di predisporre il ricorso per separazione, ovvero a puntualizzare in una scrittura privata gli accordi raggiunti o a suggerire accordi opportuni caso per caso.

Separarsi consensualmente riduce i costi per le parti e i tempi di raggiungimento dell’accordo. È possibile, e in alcuni casi preferibile, che i coniugi si rivolgano a due avvocati diversi che provvederanno a redigere il ricorso per separazione consensuale secondo i desiderata dei propri clienti dopo attenta analisi delle reciproche richieste e mediazione tra le varie pretese.

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La separazione giudiziale prevede l’assistenza legale di un solo coniuge che non ha raggiunto un accordo per la separazione, ovvero non ha nessuna intenzione di separarsi sebbene sia stato convenuto nel procedimento, ovvero ritiene opportuno instaurare un procedimento litigioso con il partner per la richiesta di addebito, mantenimento, assegnazione casa coniugale e altro.

 

 

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La separazione dei coniugi

  1. La separazione di fatto dei coniugi

  2. Avvocato separazioni dei coniugi: consensuale e giudiziale

  3. Il ricorso congiunto per la separazione consensuale

  4. La separazione giudiziale

  5. La convenzione di Negoziazione assistita

  6. I vantaggi della negoziazione assistita

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La giurisprudenza ha costantemente affermato il principio in base al quale “il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole secondo il precetto contenuto nell’art. 147 c.c. impone ai genitori di far fronte ad una molteplicità di esigenze dei figli, certamente non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma inevitabilmente estese all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione, fin quando l’età dei figli stessi lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione” (Cass. civ. Sez. I, 18 settembre 2013, n. 21273; Cass. civ. Sez. I, 6 novembre 2009, n. 23630; Cass. civ. Sez. I, 22 marzo 2005, n. 6197; Cass. civ. Sez. I, 19 marzo 2002, n. 3974; Cass. civ. Sez. I, 8 novembre 1997, n. 11025).
L’ampiezza delle obbligazioni genitoriali verso i figli è oggi riaffermata a livello normativo nell’art. 315-bis c.c. (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 8, della legge 10 dicembre 2012, n. 219 di riforma della filiazione) dove – nella prospettiva del diritto dei figli, più che dei doveri dei genitori – si afferma che il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
II L’obbligo di previsione dell’onere di pagamento e di distribuzione tra i genitori delle spese straordinarie
Un problema di natura preliminare che la giurisprudenza ha affrontato e risolto in tema di spese straordinarie è se tale quota di contribuzione debba necessariamente essere prevista.

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Conseguentemente se le spese straordinarie concordate danno sicuramente diritto al rimborso, nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, dovra’, verificarsi in sede giudiziale (cfr. Cass. civ. sezione 1 n. 10174 del 20 giugno 2012, in tema di rilevanza relativa dell’accordo dei genitori sul contributo al mantenimento dei figli che non assume carattere vincolante dovendo il giudice ispirarsi all’esclusivo interesse del minore), la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione, riservata al giudice del merito, della commisurazione dell’entita’ della spesa rispetto all’utilita’ per il minore e della sostenibilita’ della spesa stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori. Giudizio che nella specie e’ stato accuratamente effettuato dal Tribunale di Taranto in sede di appello e che il ricorrente ha contestato per non aver il giudice dell’appello valutato la mancata concertazione preventiva (che peraltro il giudice di appello ha ritenuto implicitamente raggiunta nell’avere il (OMISSIS) prestato il proprio consenso all’espatrio della figlia (OMISSIS)) e introducendo una censura relativa alla differenza concettuale fra spese e scelte straordinarie che appare del tutto estranea alla ratio decidendo seguita dal Tribunale di Taranto.

Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 05/07/2022, n. 21245

L’obiettivo del mantenimento del tenore di vita va perseguito nei limiti consentiti dalle condizioni economiche del coniuge obbligato e dalle altre circostanze richiamate dall’art. 156 c.c., comma 2, con la precisazione che, in ogni caso, la determinazione di tali limiti è riservata al giudice di merito, cui spetta la valutazione comparativa delle risorse dei due coniugi al fine di stabilire in quale misura l’uno debba integrare i redditi insufficienti dell’altro.

– Cessazione degli effetti civili.

Sez. U, Sentenza n. 1271 del 07/05/1974 (Rv. 369333)

La diversità delle formule normative impiegate rispettivamente nell’art. 5 della legge n. 847 del 1929 e nell’art. 11 della legge n. 1159 del 1929 non sta a significare che il matrimonio concordatario – a differenza di quello celebrato secondo i riti dei culti ammessi – sia stato ricevuto nell’ordinamento statale con gli attributi – tra cui l’indissolubilità del vincolo – propri dell’ordinamento canonico.

Sez. U, Sentenza n. 1097 del 20/04/1974 (Rv. 369070)

Deve ritenersi manifestamente infondata l’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, in relazione agli artt. 7 e 138 della Costituzione, con riferimento all’art. 34 del concordato tra l’Italia e la Santa Sede e agli artt. 5 e 17 della legge 27 maggio 1929 n. 847. Pertanto il giudice italiano ha giurisdizione in ordine alle domande di cessazione degli effetti civili dei matrimoni concordatari.

Sez. U, Sentenza n. 1060 del 19/04/1974 (Rv. 369005)

Poiché non sussiste per lo stato italiano, in dipendenza delle norme concordatarie, alcun obbligo di lasciare immutata la struttura del matrimonio civile, ed avendo il legislatore affermato, nella sua piena sovranità, il diverso principio della dissolubilità del matrimonio civile, questo, in quanto afferente al matrimonio civile, si applica anche al matrimonio canonico (cosiddetto concordatario) quanto agli effetti civili.

Sez. U, Sentenza n. 1060 del 19/04/1974 (Rv. 369006)

A seguito della sentenza della Corte costituzionale 6 dicembre 1973 n. 176 deve ribadirsi che la riserva di giurisdizione a favore dei tribunali ecclesiastici in materia matrimoniale riguarda soltanto le cause di nullità del matrimonio concordatario e quelle di dispensa per matrimonio rato e non consumato, mentre non riguarda le cause di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, previste dalla legge 1 dicembre 1970 n. 898.

  1. b) Matrimonio celebrato davanti all’ufficiale dello stato civile:

– Matrimonio contratto all’estero;

Sez. U, Sentenza n. 1056 del 14/02/1980 (Rv. 404530)

L’esame della questione di giurisdizione, ancorché pregiudiziale ad ogni altra questione di rito o di merito, presuppone pur sempre l’instaurazione di un contraddittorio effettivo, e non meramente apparente, per essere stato il rapporto processuale costituito fra soggetti investiti della qualità di parte, in relazione alla natura del rapporto sostanziale. Pertanto, con riguardo alla domanda diretta all’accertamento della nullità di un matrimonio contratto all’estero, e dell’illegittimità della relativa trascrizione nei registri dello stato civile, che risulti avanzata nei soli confronti di un comune e di amministrazioni pubbliche (nella specie, ministero degli esteri, della difesa e del tesoro, in relazione ai riflessi di detti accertamenti su autonoma controversia in materia di pensione di riversibilità), ogni indagine sulla giurisdizione resta preclusa dal preliminare riscontro dell’improponibilità della domanda stessa, per non essere stato chiamato in giudizio alcuno dei legittimi contraddittori.

– Nullità del matrimonio.

Sez. U, Sentenza n. 19809 del 18/07/2008 (Rv. 604842)

Non ogni vizio del consenso accertato nelle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio consente di riconoscerne l’efficacia nell’ordinamento interno, dandosi rilievo nell’ordinamento canonico, come incidenti sull'”iter” formativo del volere, anche a motivi e al foro interno non significativo in rapporto al nostro ordine pubblico, per il quale solo cause esterne e oggettive possono incidere sulla formazione e manifestazione della volontà dei nubendi, viziandola o facendola mancare. Conseguentemente, l’errore, se indotto da dolo, che rileva nell’ordinamento canonico ma non in quello italiano, se accertato come causa d’invalidità in una sentenza ecclesiastica, potrà dar luogo al riconoscimento di questa in Italia, solo se sia consistito in una falsa rappresentazione della realtà, che abbia avuto ad oggetto circostanze oggettive, incidenti su connotati stabili e permanenti, qualificanti la persona dell’altro nubendo. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione della Corte d’Appello che aveva ritenuto non delibabile per contrarietà assoluta all’ordine pubblico, una sentenza ecclesiastica che, nella formazione della volontà dei nubendi, aveva dato rilievo all’errore soggettivo, nel quale era incorso un coniuge per dolo dell’altro, che aveva negato una relazione prematrimoniale con altre persone).

Sez. U, Sentenza n. 19809 del 18/07/2008 (Rv. 604843)

Con riferimento alle sentenze di annullamento del matrimonio di altri Stati, il riconoscimento dell’efficacia è subordinata alla mancanza di incompatibilità con l’ordine pubblico interno, che è assoluta e relativa rispetto a tutti gli Stati, mentre è solo assoluta per le sentenza ecclesiastiche atteso che – in ragione del favore particolare al loro riconoscimento che lo Stato italiano si è imposto con Protocollo addizionale del 18/2/1984 modificativo del concordato – per queste la delibazione è possibile in caso di incompatibilità relativa, ravvisabile tutte le volte che la divergenza possa superarsi, sulla base di una valutazione di circostanze o fatti (anche irrilevanti per il diritto canonico), individuati dal giudice della delibazione, idonei a conformare la pronuncia ai valori o principi essenziali della coscienza sociale desunti dalle fonti normative costituzionali ed alla norma inderogabile, anche ordinaria, nella materia matrimoniale.

  1. c) Scioglimento del matrimonio e separazione dei coniugi:

– Questioni di giurisdizione:

1) Sui provvedimenti “de potestate”;

Sez. U, Sentenza n. 16864 del 02/08/2011 (Rv. 618779)

In tema di giurisdizione sui provvedimenti “de potestate”, l’art. 1 della Convenzione dell’Aja dà rilievo unicamente al criterio della residenza abituale del minore, quale determinata in base alla situazione di fatto esistente all’atto dell’introduzione del giudizio, non consentendo, quindi il mutamento della competenza, in ossequio al diverso principio di “prossimità”, poiché questo è evocabile solo in tema di competenza interna; pertanto, in caso di trasferimento di un minore (nella specie dalla Svizzera all’Italia) permane la giurisdizione del giudice di residenza abituale, ancorché l’autorità giudiziaria adita a seguito del trasferimento abbia emesso provvedimenti interinali per ragioni d’urgenza.

Sez. U, Sentenza n. 22238 del 21/10/2009 (Rv. 610006)

In tema di giurisdizione sui provvedimenti “de potestate”, il trasferimento all’estero o il mancato rientro in Italia di minori figli di genitori separati non è qualificabile come illecita sottrazione all’altro genitore, allorché l’allontanamento avvenga ad opera dell’affidatario, con la conseguenza che in tale ipotesi è inapplicabile la Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli effetti civili della sottrazione internazionale di minori, resa esecutiva in Italia con la legge n. 64 del 1994; tuttavia, qualora la mobilità internazionale e la mutabilità della residenza abituale sia stata convenzionalmente esclusa dai coniugi nelle condizioni di separazione, trova applicazione l’art. 10 del Regolamento CE n. 2201 del 27 novembre 2003, con la conseguenza che competente a decidere della responsabilità genitoriale resta il giudice della pregressa residenza abituale, finché non sia decorso un anno da quando chi aveva diritto a chiedere il ripristino del diritto di visita o il rientro ha avuto conoscenza del cambio di residenza.

2) Regolamento CE n. 1347 del 2000;

Sez. U, Ordinanza n. 11001 del 12/05/2006 (Rv. 588766)

Proposto ricorso rivolto ad ottenere la separazione personale dal coniuge con addebito al medesimo, una volta che il giudice – ritenuta superata, a seguito della intervenuta sentenza del giudice straniero (nella specie tedesco), la fase della verifica della litispendenza internazionale (in funzione dell’accertamento dell’obbligo, imposto dal regolamento CE 29 maggio 2000, n. 1347, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale, di attenersi alla pronuncia del giudice straniero preventivamente adito, dichiarando la propria incompetenza) – abbia affrontato e risolto la questione di giurisdizione, ravvisando quella del giudice italiano per mancanza del requisito della identità o connessione tra le due cause (e ciò per essere quella proposta in Germania unicamente diretta alla tutela provvisoria dei figli ed alla presa d’atto della separazione di fatto instaurata tra i coniugi), avverso questa pronuncia è proponibile, non già il regolamento di competenza, né il regolamento preventivo di giurisdizione, ma esclusivamente l’impugnazione dinanzi al giudice processualmente sovraordinato, secondo l’ordinario svolgimento del processo.

3) Ubicazione all’estero della residenza;

Sez. U, Sentenza n. 9655 del 06/11/1996 (Rv. 500353)

Con riguardo a giudizio di separazione personale di coniugi entrambi cittadini italiani (introdotto prima dell’entrata in vigore della legge n. 218 del 1995 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato e al quale, pertanto, non sono applicabili le disposizioni della stessa), sussiste la giurisdizione del giudice italiano, in forza del principio dell’assoggettamento del cittadino alla giurisdizione italiana, senza che rilevi l’ubicazione all’estero della residenza o del domicilio di uno dei coniugi, trattandosi di circostanza influente solo al diverso fine della competenza territoriale del giudice adito. L’indicata giurisdizione non viene meno né per il fatto che siano state formulate, con quella di separazione, domande circa l’affidamento dei figli di cittadinanza straniera, in quanto la giurisdizione va determinata con riferimento ai criteri di collegamento relativi alle parti del giudizio (qualità che la prole non ha nel giudizio di separazione), né per il fatto che sia stata previamente proposta ad un giudice straniero domanda di scioglimento del matrimonio, in quanto tra quest’ultima causa e quella di separazione personale tra i medesimi coniugi, introdotta in Italia non sussiste alcun rapporto di litispendenza o di continenza.

4) Litispendenza internazionale nel procedimento di separazione personale.

Sez. U, Ordinanza n. 16862 del 02/08/2011 (Rv. 618802)

In tema di litispendenza internazionale, tra il procedimento di separazione personale, previsto dagli artt. 150 e seg. cod. civ. ed il procedimento, vertente tra le stesse parti, per la sospensione della comunione domestica, di cui all’art. 175 cod. civ. svizzero, vi è identità di “petitum” e di “causa petendi”, posto che anche quest’ultimo procedimento mira ad autorizzare i coniugi a vivere separati ed abilita il giudice a stabilire i contributi pecuniari dell un coniuge nei confronti dell’altro; a prendere le misure riguardanti l’abitazione e le suppellettili domestiche, nonché quelle nell’interesse dei figli. Nè rileva che il codice civile svizzero contempli anche un vero e proprio procedimento di separazione coniugale, perché esso, non necessario per chiedere il divorzio, non ha effetti sostanzialmente diversi rispetto a quelli che derivano dal provvedimento giudiziale di sospensione della comunione domestica, eccezion fatta per la separazione dei beni.

– Richiesta di addebito della separazione;

Sez. U, Sentenza n. 15279 del 04/12/2001 (Rv. 550818)

Nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito, pur essendo proponibile solo nell’ambito del giudizio di separazione, ha natura di domanda autonoma; infatti, la stessa presuppone l’iniziativa di parte, soggiace alle regole e alle preclusioni stabilite per le domande, ha una “causa petendi” (la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio in rapporto causale con le ragioni giustificatrici della separazione, intollerabilità della convivenza o dannosità per la prole) ed un “petitum” (statuizione destinata a incidere sui rapporti patrimoniali con la perdita del diritto al mantenimento e della qualità di erede riservatario e di erede legittimo) distinti da quelli della domanda di separazione; pertanto, in carenza di ragioni sistematiche contrarie e di norme derogative dell’art. 329, secondo comma cod. proc. civ., l’impugnazione proposta con esclusivo riferimento all’addebito contro la sentenza che abbia pronunciato la separazione ed al contempo ne abbia dichiarato l’addebitabilità, implica il passaggio in giudicato del capo sulla separazione, rendendo esperibile l’azione di divorzio pur in pendenza di detta impugnazione.

– Impugnabilità dei provvedimenti di revisione sulla misura dell’assegno;

Sez. U, Sentenza n. 22238 del 21/10/2009 (Rv. 610005)

Il decreto emesso in camera di consiglio dalla corte d’appello a seguito di reclamo avverso i provvedimenti emanati dal tribunale sull’istanza di revisione delle disposizioni accessorie alla separazione, in quanto incidente su diritti soggettivi delle parti, nonché caratterizzato da stabilità temporanea, che lo rende idoneo ad acquistare efficacia di giudicato, sia pure “rebus sic stantibus”, è impugnabile dinanzi alla Corte di cassazione con il ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., e, dovendo essere motivato, sia pure sommariamente, può essere censurato anche per carenze motivazionali, le quali sono prospettabili in rapporto all’ultimo comma dell’art. 360 cod. proc. civ., nel testo novellato dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che qualifica come violazione di legge il vizio di cui al n. 5 del primo comma, alla luce dei principi del giusto processo, che deve svolgersi nel contraddittorio delle parti e concludersi con una pronuncia motivata.

– Riconoscimento dell’assegno divorzile e della pensione di reversibilità;

Sez. U – , Sentenza n. 22434 del 24/09/2018 (Rv. 650460 – 01)

Ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la titolarità dell’assegno di cui all’art. 5 della l. n. 898 del 1970, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno periodico divorzile al momento della morte dell’ex coniuge e non già come titolarità astratta del diritto all’assegno divorzile già definitivamente soddisfatto con la corresponsione in unica soluzione. In quest’ultimo caso, infatti, difetta il requisito funzionale del trattamento di reversibilità, che è dato dal medesimo presupposto solidaristico dell’assegno periodico di divorzio, finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell’ex coniuge, mentre nel caso in cui sia stato corrisposto l’assegno “una tantum” non esiste una situazione di contribuzione economica che viene a mancare.

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Sez. U – , Sentenza n. 18287 del 11/07/2018 (Rv. 650267 – 01)

Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

Sez. U – , Sentenza n. 18287 del 11/07/2018 (Rv. 650267 – 02)

All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate.

Sez. U – , Sentenza n. 18287 del 11/07/2018 (Rv. 650267 – 03)

La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

Con la pronuncia sopra riportata le Sezioni Unite hanno risolto la questione di massima di particolare importanza sulla natura dell’assegno divorzile e sui criteri per i relativi riconoscimento e liquidazione. In precedenza sul tema si era espressa in termini parzialmente divergenti Cass. n. 11504 del 2017 – rv. 644019 – 01; sul tema cfr. anche, in tempi più risalenti Cass., SS.UU., n. 2008 del 1974 – rv. 370270 – 01 e Cass., SS.UU., n. 11490 del 1990 Rv. 469963 – 01, nonché Cass. n. 20582 del 2010 – rv. 614657 – 01

 e Cass. n. 19339 del 2016 Rv. 641861 – 01.

– Audizione del minore;

Sez. U, Sentenza n. 22238 del 21/10/2009 (Rv. 610007)

L’audizione dei minori, già prevista nell’art. 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è divenuta un adempimento necessario, nelle procedure giudiziarie che li riguardino, ed in particolare in quelle relative al loro affidamento ai genitori, ai sensi dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata con la legge n. 77 del 2003, e dell’art. 155-sexies cod. civ., introdotto dalla legge n. 54 del 2006, salvo che l’ascolto possa essere in contrasto con gli interessi superiori del minore. Costituisce, pertanto violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto che non sia sorretto da espressa motivazione sull’assenza di discernimento che ne può giustificare l’omissione, in quanto il minore è portatore d’interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore, in sede di affidamento e diritto di visita e, per tale profilo, è qualificabile come parte in senso sostanziale.

– Assegnazione giudiziale dell’abitazione.

Sez. U, Sentenza n. 20448 del 29/09/2014 (Rv. 633004)

Il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi (salva la concentrazione del rapporto in capo all’assegnatario, ancorché diverso) il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare. Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., sorge per un uso determinato ed ha – in assenza di una espressa indicazione della scadenza – una durata determinabile “per relationem”, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall’insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (nella specie, relative a figli minori) che avevano legittimato l’assegnazione dell’immobile.

Con la pronuncia sopra riportata, le Sezioni Unite hanno esaminato e risolto la questione di particolare importanza posta dalla Terza Sezione civile in ordine alla possibile rimeditazione dell’orientamento in precedenza espresso con la sentenza della stesse SS.UU. n. 13603 del 2004 (sotto riportata) in punto di disciplina applicabile all’assegnazione della casa familiare già oggetto di precedente comodato. Si rinvia alla giurisprudenza citata a commento della sotto riportata decisione del 2004; v., inoltre, Cass. n. 16769 del 2012 – rv. 624104

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Sez. U, Sentenza n. 13603 del 21/07/2004 (Rv. 575656)

Quando un terzo (nella specie: il genitore di uno dei coniugi) abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento – pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio – di assegnazione in favore del coniuge (nella specie: la nuora del comodante) affidatario di figli minorenni o convivente con figlio maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, atteso che l’ordinamento non stabilisce una “funzionalizzazione assoluta” del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale, con il conseguente ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario. Infatti, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dalla utilizzazione in atto e a “concentrare” il godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Di conseguenza, ove il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato (diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale), il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809, secondo comma, cod. civ.

Cass. civ., Sez. I, 28/07/2022, n. 23583

Parti: R.V. c. C.V.

La tutela degli interessi morali e materiali della prole è sottratta all’iniziativa ed alla disponibilità delle parti ed è sempre riconosciuto al giudice il potere di adottare d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli, sussistendo l’obbligo dei genitori di mantenere la prole per il solo fatto di averla generata, anche a prescindere da ogni statuizione del giudice al riguardo. È anche vero, peraltro, che l’obbligo di mantenimento del figlio minore che grava su ciascun genitore (artt. 316 bis e 337 ter c.c.), separato o divorziato, si configura in termini di rimborso della quota dovuta da uno dei genitori a favore dell’altro genitore che ha provveduto per intero al mantenimento del figlio. Ne consegue che nel caso (e per il periodo) in cui il figlio sia stato collocato in affidamento etero-familiare presso i servizi sociali di un comune, non rientra tra i poteri del giudice pronunciare, d’ufficio, la condanna dei genitori a corrispondere somme a titolo di mantenimento (a copertura delle spese anticipate per l’accoglienza, l’accudimento e l’educazione in ambiente comunitario) a favore di terzi, cioè, ad esempio, dei servizi sociali del Comune se questi non hanno proposto una domanda in tal senso e non hanno nemmeno partecipato al giudizio. Nè sarebbe utile richiamare, in senso contrario, il R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 25, (sostituito dalla L. 25 luglio 1956, n. 888), istitutivo del Tribunale per i minorenni, il cui comma 3, dispone che le spese di affidamento o di ricovero, da anticiparsi dall’Erario, sono a carico dei genitori, in mancanza dei quali sono tenuti a rimborsare tali rette gli esercenti la tutela, in quanto, sulla base di tale disposizione, l’ente pubblico può far valere, nell’ambito di un apposito procedimento, la pretesa di rimborso nei confronti dei genitori, nella misura corrispondente ai costi effettivamente sostenuti per l’affidamento del figlio ai servizi sociali ma ciò, tuttavia, non autorizza la condanna dei genitori ad adempiere all’obbligo di mantenimento in favore direttamente dell’ente pubblico nel giudizio, al quale l’ente sia rimasto estraneo, avente ad oggetto la definizione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi successivamente al divorzio o alla separazione, in misura indifferente a quei costi e senza una domanda dell’ente che ne avrebbe interesse.

Cass. civ., Sez. II, Ordinanza, 02/08/2022, n. 23907

Ai fini dell’individuazione della natura definitiva o non definitiva di una sentenza che abbia deciso su una delle domande cumulativamente proposte dalle parti stesse, deve aversi riguardo agli indici di carattere formale desumibili dal contenuto intrinseco della stessa sentenza, quali la separazione della causa e la liquidazione delle spese di lite in relazione alla causa decisa. Qualora il giudice, con la pronuncia intervenuta su una delle domande cumulativamente proposte, abbia liquidato le spese e disposto per il prosieguo del giudizio in relazione alle altre domande, al contempo qualificando come non definitiva la sentenza emessa, in ragione dell’ambiguità derivante dall’irriducibile contrasto tra indici di carattere formale che siffatta qualificazione determina e al fine di non comprimere il pieno esercizio del diritto di impugnazione, deve ritenersi ammissibile l’appello in concreto proposto mediante riserva.

Cass. civ., Sez. I, 28/07/2022, n. 23583

La tutela degli interessi morali e materiali della prole è sottratta all’iniziativa ed alla disponibilità delle parti ed è sempre riconosciuto al giudice il potere di adottare d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli, sussistendo l’obbligo dei genitori di mantenere la prole per il solo fatto di averla generata, anche a prescindere da ogni statuizione del giudice al riguardo. È anche vero, peraltro, che l’obbligo di mantenimento del figlio minore che grava su ciascun genitore (artt. 316 bis e 337 ter c.c.), separato o divorziato, si configura in termini di rimborso della quota dovuta da uno dei genitori a favore dell’altro genitore che ha provveduto per intero al mantenimento del figlio. Ne consegue che nel caso (e per il periodo) in cui il figlio sia stato collocato in affidamento etero-familiare presso i servizi sociali di un comune, non rientra tra i poteri del giudice pronunciare, d’ufficio, la condanna dei genitori a corrispondere somme a titolo di mantenimento (a copertura delle spese anticipate per l’accoglienza, l’accudimento e l’educazione in ambiente comunitario) a favore di terzi, cioè, ad esempio, dei servizi sociali del Comune se questi non hanno proposto una domanda in tal senso e non hanno nemmeno partecipato al giudizio. Nè sarebbe utile richiamare, in senso contrario, il R.D.L. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 25, (sostituito dalla L. 25 luglio 1956, n. 888), istitutivo del Tribunale per i minorenni, il cui comma 3, dispone che le spese di affidamento o di ricovero, da anticiparsi dall’Erario, sono a carico dei genitori, in mancanza dei quali sono tenuti a rimborsare tali rette gli esercenti la tutela, in quanto, sulla base di tale disposizione, l’ente pubblico può far valere, nell’ambito di un apposito procedimento, la pretesa di rimborso nei confronti dei genitori, nella misura corrispondente ai costi effettivamente sostenuti per l’affidamento del figlio ai servizi sociali ma ciò, tuttavia, non autorizza la condanna dei genitori ad adempiere all’obbligo di mantenimento in favore direttamente dell’ente pubblico nel giudizio, al quale l’ente sia rimasto estraneo, avente ad oggetto la definizione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi successivamente al divorzio o alla separazione, in misura indifferente a quei costi e senza una domanda dell’ente che ne avrebbe interesse.

 

 

 

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Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 30 luglio 2015, n. 16175
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI PALMA Salvatore – Presidente
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), rappresentato e difesa dall’avv. (OMISSIS), per procura speciale a margine del ricorso che dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo al fax n. (OMISSIS) e all’indirizzo p.e.c. (OMISSIS);
diritti dei conviventi, fine della convivenza rapporti di ocnvivenza

FAMIGLIA AVVOCATO ESPERTO diritti dei conviventi, fine della convivenza rapporti di ocnvivenza

– ricorrente –
nei confronti di:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) che la rappresenta e difende per procura speciale a margine del controricorso e dichiara di voler ricevere le comunicazioni relative al processo al fax n. (OMISSIS) e all’indirizzo p.e.c. (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1013/13 del Tribunale di Taranto, emessa il 6 maggio 2013 e depositata il 13 maggio 2013, n. R.G. 6158/11;
Rilevato che in data 6 febbraio 2013 e’ stata depositata relazione ex articolo 380 bis c.p.c. che qui si riporta.
RILEVATO
Che:
  1. (OMISSIS) ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 827/2010 del Giudice di pace di Taranto emesso su ricorso di (OMISSIS) per il pagamento della somma di 1.098 euro relativa a spese straordinarie sostenute per la figlia (OMISSIS) (spese di arredamento della sua cameretta, stage per l’apprendimento della lingua inglese) e dovute in base al provvedi mento di modifica delle condizioni della separazione del 5 dicembre 2002. L’opponente ha contestato di essere obbligato al rimborso della sua quota pari al 50% della spesa complessiva in quanto, pur non trattandosi di spese urgenti o indifferibili, le stesse non erano state concordate preventivamente tra gli ex coniugi.
  2. Il Giudice di pace, con sentenza n. 1981/2011, ha respinto l’opposizione.
  3. Il Tribunale di Taranto ha respinto l’appello.
  4. Ricorre per cassazione (OMISSIS) deducendo violazione di legge e contraddittorieta della motivazione.
  5. Si difende con controricorso (OMISSIS) che eccepisce l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO
che:
  1. Le eccezioni di inammissibilita’ del ricorso sono fondate. Il nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 prevede infatti esclusivamente che il ricorso sia proposto in caso di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti. L’impugnazione per violazione di legge ex articolo 360 c.p.c., n. 3 deve avvenire mediante l’indicazione delle norme che si assumono violate e mediante la deduzione delle ragioni per cui il fondamento giuridico della decisione sia in contrasto con tali norme o con l’interpretazione che di tali norme viene data dalla giurisprudenza di legittimita’ (Cass. civ. n. 19973/2013).
  2. Nessuno di questi requisiti di ammissibilita’ e’ rispettato dal ricorso.
  3. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verra’ condivisa dal Collegio per la dichiarazione di inammissibilita’ o eventualmente il rigetto del ricorso.
La Corte, condivide tale relazione e, letta la memoria difensiva del ricorrente, ribadisce quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimita’ (in relazione proprio a una controversia avente ad oggetto il rimborso delle spese di soggiorno negli U.S.A. per la frequentazione di corsi di lingua) e cioe’ che non e’ configurabile a carico del coniuge affidatario o collocatario un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro, in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, compatibili con i mezzi economici di cui i genitori dispongono trattandosi di decisione “di maggiore interesse” per il figlio, e sussistendo, pertanto, a carico del coniuge non affidatario un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso (cfr. Cass. civ. sezione 1, n. 19607 del 26 settembre 2011). Conseguentemente se le spese straordinarie concordate danno sicuramente diritto al rimborso, nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, dovra’, verificarsi in sede giudiziale (cfr. Cass. civ. sezione 1 n. 10174 del 20 giugno 2012, in tema di rilevanza relativa dell’accordo dei genitori sul contributo al mantenimento dei figli che non assume carattere vincolante dovendo il giudice ispirarsi all’esclusivo interesse del minore), la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione, riservata al giudice del merito, della commisurazione dell’entita’ della spesa rispetto all’utilita’ per il minore e della sostenibilita’ della spesa stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori. Giudizio che nella specie e’ stato accuratamente effettuato dal Tribunale di Taranto in sede di appello e che il ricorrente ha contestato per non aver il giudice dell’appello valutato la mancata concertazione preventiva (che peraltro il giudice di appello ha ritenuto implicitamente raggiunta nell’avere il (OMISSIS) prestato il proprio consenso all’espatrio della figlia (OMISSIS)) e introducendo una censura relativa alla differenza concettuale fra spese e scelte straordinarie che appare del tutto estranea alla ratio decidendo seguita dal Tribunale di Taranto.
La Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione. Il giudizio, esente dall’applicazione del contributo unificato, non consente l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 900 euro di cui 100 per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.
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Separazione o divorzio sono momenti delicati della storia personale. L’avvocato matrimonialista è sì un consulente legale, ma anche un punto di riferimento in un momento delicato per le scelte personali. Rivolgersi ad un avvocato divorzista può essere utile anche solo per conoscere i propri diritti all’interno dell’unione matrimoniale o in previsione di una futura separazione o divorzio.
Nello specifico, l’ avvocato divorzista si occupa di cause di separazione, divorzio, stipula di accordi di convivenza e modifiche delle condizioni di separazione.
L’avvocato divorzista deve innanzitutto avere una elevata esperienza e specializzazione e sarà pertanto utile sapere da quanti anni lo Studio legale si occupa di diritto di famiglia.
È inoltre utile conoscere il numero e l’importanza dei casi trattati.
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L’avvocato Sergio Armaroli divorzista Bologna può gestire al meglio casi di separazione e divorzi e fornisce la più ampia assistenza processuale in tutti i casi di diritto famigliare ai coniugi, ai figli, ai parenti ed agli eredi, attraverso lo studio approfondito delle loro necessità legali, la predisposizione dei relativi atti giudiziari e la partecipazione diretta alle relative udienze, il tutto per la più tempestiva ed adeguata tutela dei loro interessi in ogni sede giudiziaria di competenza.
  • Con riguardo alla tutela dei diritti degli individui nella famiglia lo studio avvocato Sergio Armaroli divorzista Bologna si occupa di:
  • Separazione consensuale. AVVOCATO MATRIMONIALISTA SPESE STRAORDINARIE
  • Separazione giudiziale. AVVOCATO MATRIMONIALISTA SPESE STRAORDINARIE
  • Modifica delle condizioni di separazione. AVVOCATO MATRIMONIALISTA SPESE STRAORDINARIE
  • Divorzio congiunto. AVVOCATO MATRIMONIALISTA SPESE STRAORDINARIE
  • Divorzio contenzioso. AVVOCATO MATRIMONIALISTA SPESE STRAORDINARIE
  • Modifica delle condizioni di divorzio.
  • Affidamento e mantenimento dei figli. AVVOCATO MATRIMONIALISTA SPESE STRAORDINARIE
  • Protezione e tutela del minore. AVVOCATO MATRIMONIALISTA SPESE STRAORDINARIE
  • Amministrazione e cura dei beni del minore.
  • Riconoscimento di minori.
  • Disconoscimento di minori. AVVOCATO MATRIMONIALISTA SPESE STRAORDINARIE
  • Violazione degli obblighi di assistenza familiare.
L’avvocato familiarista dovrà inoltre essere costantemente aggiornato sulle novità legislative e giurisprudenziali in tema di famiglia ma anche di diritto processuale ed internazionale.
La separazione (CC artt. 150 e ss.) non pone fine al matrimonio, né fa venir meno lo status giuridico di coniuge. La separazione incide solo su alcuni effetti propri del matrimonio (cessano gli obblighi di fedeltà e di coabitazione, si scioglie la comunione legale dei beni, ).
La separazione, a differenza del divorzio, ha inoltre carattere transitorio
Quanti di voi si saranno detti: “Se l’avessi saputo prima di sposarmi….”, o chiesti: “Cosa mi aspetta se mi separo?”
La separazione legale può essere consensuale o congiunta, quando c’è accordo dei coniugi su tutte le condizioni. È giudiziale, quando non c’è accordo sulle condizioni e può essere presentata anche da un solo coniuge.
Le condizioni riguardano:
  • il consenso alla separazione/divorzio
  • la scelta del coniuge presso il quale sarà fissata la residenza dei figli minori
  • il calendario delle visite per il genitore non convivente, considerati anche i periodi di vacanza e le festività
  • l’assegnazione della casa coniugale
  • il contributo economico mensile o periodico, rivalutabile anno per anno secondo gli indici ISTAT
L’accordo dovrà infatti regolamentare gli effetti tipici della separazione, quali l’affidamento della prole (affidamento condiviso o, solo in casi eccezionali, affidamento monogenitorale), il mantenimento dei figli, l’assegnazione della casa coniugale, l’assegno di mantenimento a favore di un coniuge (ove sussistano i presupposti).
Nelle condizioni possono essere altresì inserite clausole relative al trasferimento dei beni da un coniuge all’altro, ivi compresi beni immobili, l’assunzione di obbligazioni per disciplinare i rapporti tra le parti o per adempiere all’obbligazione di mantenimento, lo scioglimento della comunione e/o la divisione del patrimonio comune.
L’accordo di separazione dei coniugi dovrà essere omologato dal Tribunale.
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Attraverso l’assistenza legale dell’avvocato matrimonialista SERGIO ARMAROLI DI BOLOGNA  è possibile superare tali controversie in modo chiaro ed efficace e comprendere quale strada percorrere per chi decide di porre fine alla propria unione mediante una separazione consensuale o giudiziale o la negoziazione assistita. 
Attraverso l’assistenza legale dell’avvocato matrimonialista SERGIO ARMAROLI DI BOLOGNA  mette a disposizione la sua profonda conoscenza della legge a tutti coloro che si trovano ad affrontare questioni legali concernenti la loro famiglia, che si tratti dell’affidamento o dell’adozione di un minore, dell’attribuzione o del disconoscimento di paternità, o delle problematiche relative allo scioglimento di un vincolo coniugale, dai rapporti patrimoniali all’affidamento dei figli.
Inoltre, forniamo consulenza e assistenza per tutte le questioni relative alle donazioni all’interno della famiglia, tra coniugi, ai figli o in riguardo di matrimonio, e quelle riguardanti la successione, legittima o testamentaria.
La separazione consensuale è la via più breve per la soluzione delle problematiche connesse alla crisi del rapporto coniugale.
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Trattasi di un accordo sottoscritto dai coniugi in merito alle questioni principali che vanno regolate all’atto della separazione: assegnazione casa coniugale, affidamento dei figli minori, assegno di mantenimento al coniuge e ai figli.
Tale accordo viene depositato in Tribunale e nell’arco circa di quattro mesi si ottiene l’omologa, se ed in quanto l’accordo è conforme alla legge.
Se i coniugi non raggiungono un accordo, è necessario incardinare un procedimento contenzioso che è la separazione giudiziale i cui tempi e costi sono considerevolmente superiori.
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Con la riforma sul divorzio breve, si è voluto dunque ridurre le tempistiche per lo scioglimento del vincolo matrimoniale, ma non è stato compiuto il passo decisivo di eliminare la fase intermedia della separazione dei coniugi per giungere all’immediato scioglimento del matrimonio.
 
L’art. 1 della nuova legge modifica l’art. 3 comma 1 lett. b n. 2 della Legge n. 898/1970, disciplinante i casi di scioglimento del matrimonio. Il cambiamento più significativo riguarda proprio la riduzione dei tempi necessari per ottenere il divorzio (e, di conseguenza, anche delle spese correlate): non più 3 anni; si potrà divorziare in un lasso di tempo da 6 mesi ad 1 anno.
In assenza di complicazioni,
Se c’è stata una separazione giudiziale:
 
riduce da tre anni a dodici mesi la durata minima del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che legittima la domanda di divorzio;
fa decorrere tale termine – come attualmente già previsto – dalla comparsa dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale.
Se c’è stata una  separazione consensuale:
riduce a sei mesi la durata del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi che permette la proposizione della domanda di divorzio;
riferisce il termine più breve anche alle separazioni che, inizialmente contenziose, si trasformano in consensuali;
fa decorrere tale termine anche in tal caso dalla comparsa dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale.

. L’art. 337 ter c.c., comma 4, stabilisce: “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”. La nuova disciplina, quindi, prevede che ciascun genitore debba provvedere direttamente al soddisfacimento dei bisogni della prole per quanto gli è consentito dai propri mezzi e che, in caso di crisi del rapporto tra i genitori, coniugati e non, un assegno a carico dell’uno o dell’altro per il mantenimento del figlio vada determinato in funzione di riequilibrio dei rispettivi contributi: la relativa determinazione è quindi affidata, anzitutto, all’autonomia negoziale e agli accordi dei genitori e, in caso di conflitto, al giudice, sulla base di precisi parametri ora individuati dal legislatore, improntati comunque sempre a fare emergere l’interesse del minore, che rappresenta l’obiettivo vero ed unico da salvaguardare. E, invero, anche in caso di separazione consensuale o divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza realizza ormai solo un controllo esterno sull’accordo tra i coniugi, in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli, attesa la natura negoziale dello stesso, stante “il superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti”, cosicchè i coniugi “possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l’affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori” (Cass. 18066/2014). Questa Corte ha, in proposito, più volte affermato che l’obbligo di mantenimento dei figli minori, o maggiorenni non autosufficienti, può essere adempiuto dai genitori, in sede di separazione personale o divorzio, mediante un accordo – formalmente rientrante nelle previsioni, rispettivamente, dell’art. 155 c.c., comma 7, art. 158 c.c., comma 2 e dell’art. 711 c.c., comma 3 e della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 8 e art. 6, comma 9 – il quale, anzichè attraverso una prestazione patrimoniale periodica, od in concorso con essa, attribuisca o li impegni ad attribuire ai figli la proprietà di beni mobili od immobili, e che tale accordo non realizza una donazione, in quanto assolve ad una funzione solutoria-compensativa dell’obbligazione di mantenimento e costituisce applicazione del principio, stabilito dall’art. 1322 c.c., della libertà dei soggetti di perseguire con lo strumento contrattuale interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CRISTIANO Magda – Presidente – Dott. MARULLI Marco – Consigliere – Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere – Dott. SCALIA Laura – Consigliere – Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere – ha pronunciato la seguente: ORDINANZA sul ricorso 16670/2017 proposto da: S.G., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Bainsizza n. 10, presso lo studio dell’avvocato Casamento Giovanni Maria, rappresentato e difeso dall’avvocato Fodaro Francesco, giusta procura in calce al ricorso; – ricorrente – contro C.C.; – intimata – avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositato il 08/02/2017; udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/12/2021 dal Cons. Dott. GIULIA IOFRIDA. Svolgimento del processo Che: Il Tribunale di Cosenza dichiarò inammissibile la domanda proposta da C.C. nei confronti di S.G., volta ad ottenere il riconoscimento di un assegno mensile di mantenimento per il figlio, S.I.G., nato nel (OMISSIS) dalla sua convivenza more uxorio col convenuto, stante il mancato mutamento delle condizioni economiche delle parti in data successiva alla stipula, il 30/10/2012, di un accordo, valido ed eseguito, in forza del quale il padre aveva trasferito al figlio la proprietà di un immobile, ottenendo in cambio l’esonero da obblighi di contribuzione “salve spese scolastiche e di abbigliamento”; il giudice si limitò a precisare che il resistente doveva contribuire alle spese di vestiario ed a quelle straordinarie sostenute dalla ricorrente per il figlio, documentate e concordate, nella misura del 50%. La Corte d’appello di Catanzaro, in accoglimento del reclamo proposto dalla C. contro la decisione, ed in parziale riforma della stessa, ha stabilito che S.G. sia tenuto a contribuire al mantenimento del figlio anche con un assegno mensile di Euro 250,00. I giudici d’appello hanno ritenuto che l’accordo negoziale del 2012, trascendendo dagli interessi disponibili delle parti, fosse inefficace in mancanza di un controllo giudiziario – del tipo di quello che interviene in sede di omologazione della separazione consensuale o di divorzio a seguito di istanza congiunta – necessario a verificarne la conformità all’interesse morale e materiale del figlio e, premesso che l’effettivo trasferimento della proprietà di un immobile di consistente valore economico (oltre Euro 122.000,00) e potenzialmente produttivo di reddito, era di per sè insufficiente a risolvere le maggiori necessità economiche contingenti del minore, ormai in età adolescenziale, hanno determinato l’entità dell’assegno tenuto conto della professione svolta dai genitori (avvocato e medico) e del fatto che dal 2002, epoca di cessazione della convivenza, e sino al 2012, il padre aveva versato a titolo di mantenimento del figlio l’importo mensile di Euro 413,00. Avverso la suddetta pronuncia, S.G. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi e illustrato da memoria. C.C. non svolge difese. Motivi della decisione Che: 1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, artt. 112, 739 e 116 c.p.c., per avere la corte del merito pronunciato ultra petita, accogliendo un eccezione di invalidità/inefficacia della scrittura privata del 2012 non proposta in primo grado dalla C., ma avanzata inammissibilmente per la prima volta solo in sede di reclamo; b) con il secondo motivo, sia l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, costituito dal suo mancato esonero dall’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio, atteso che la scrittura in oggetto poneva a suo carico le spese scolastiche e di abbigliamento, sia la motivazione contraddittoria e/o apparente ed il travisamento della prova; c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, artt. 100 e 112 c.p.c., non avendo la corte di merito rilevato la formazione del giudicato interno, per mancata impugnazione della reclamante, dell’accertamento del tribunale circa l’insussistenza di mutamenti della situazione economica delle parti sopravvenuti rispetto alla stipula della scrittura, ritenuta dal primo giudice unica condizione idonea a consentire la rivisitazione delle pattuizioni in essa contenute; d) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, artt. 158, 160 c.c, art. 337 ter c.c., comma 2, art. 1322 c.c., artt. 210 e 711 c.p.c., per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto inefficace l’accordo da lui raggiunto con la C. in ordine alle modalità di sua contribuzione al mantenimento del figlio solo perchè non sottoposto al preventivo vaglio del tribunale. 2. Il primo e il terzo motivo, da trattare unitariamente in quanto connessi, sono infondati. Va in primo luogo ricordato che nei procedimenti regolati dall’art. 337 ter c.c., il giudice, nell’assumere i provvedimenti che reputa idonei ad assicurare l’interesse morale e materiale della prole, non è vincolato al rispetto dei principio dispositivo o del principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (Cass. 25055/2017). Come più avanti meglio si dirà, l’esistenza di un accordo valido ed efficace fra le parti in ordine alle modalità attraverso le quali S. avrebbe dovuto contribuire al mantenimento del figlio non era dunque impeditivo di una diversa regolamentazione, ritenuta dal giudice maggiormente corrispondente all’interesse del minore. La validità ed efficacia inter partes dell’accordo negoziale dell’ottobre 2012 era peraltro stata invocata, in primo grado, dallo stesso S. (il quale, costituendosi nel procedimento, aveva eccepito l’inammissibilità/infondatezza della domanda della C. proprio in ragione dell’intervenuta stipula della scrittura) ed aveva formato specifico oggetto della pronuncia di primo grado, avendo il Tribunale di Cosenza, in accoglimento dell’assunto difensivo dell’odierno ricorrente, per l’appunto rigettato detta domanda sul rilievo dell’immodificabilità dei patti validamente intercorsi fra le parti, in assenza di sopravvenuti mutamenti delle loro condizioni economiche. Va dunque escluso che, impugnando la prima statuizione, rispetto alla quale era indubbiamente soccombente, C. abbia introdotto in giudizio una nuova eccezione o un nuovo tema di indagine sui quali il giudice del reclamo non avrebbe potuto pronunciare; nè si comprende come l’esame della questione di diritto (della validità in sè dell’accordo) potesse essere precluso dal giudicato interno formatosi sull’accertamento in fatto del tribunale concernente l’immutata posizione economica delle parti. 3. Il quarto motivo, che, in ordine logico, va esaminato con precedenza sul secondo, deve essere respinto, anche se va corretta, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la motivazione in base alla quale la corte del merito ha ritenuto, conformemente a diritto, che l’avvenuta stipula fra le parti dell’accordo non potesse di per sè esonerare il padre dal versamento di un assegno di mantenimento per il figlio. L’art. 337 ter c.c., comma 4, stabilisce: “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”. La nuova disciplina, quindi, prevede che ciascun genitore debba provvedere direttamente al soddisfacimento dei bisogni della prole per quanto gli è consentito dai propri mezzi e che, in caso di crisi del rapporto tra i genitori, coniugati e non, un assegno a carico dell’uno o dell’altro per il mantenimento del figlio vada determinato in funzione di riequilibrio dei rispettivi contributi: la relativa determinazione è quindi affidata, anzitutto, all’autonomia negoziale e agli accordi dei genitori e, in caso di conflitto, al giudice, sulla base di precisi parametri ora individuati dal legislatore, improntati comunque sempre a fare emergere l’interesse del minore, che rappresenta l’obiettivo vero ed unico da salvaguardare. E, invero, anche in caso di separazione consensuale o divorzio congiunto (o su conclusioni conformi), la sentenza realizza ormai solo un controllo esterno sull’accordo tra i coniugi, in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli, attesa la natura negoziale dello stesso, stante “il superamento della concezione che ritiene la preminenza di un interesse, superiore e trascendente, della famiglia rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti”, cosicchè i coniugi “possono concordare, con il limite del rispetto dei diritti indisponibili, non solo gli aspetti patrimoniali, ma anche quelli personali della vita familiare, quali, in particolare, l’affidamento dei figli e le modalità di visita dei genitori” (Cass. 18066/2014). Questa Corte ha, in proposito, più volte affermato che l’obbligo di mantenimento dei figli minori, o maggiorenni non autosufficienti, può essere adempiuto dai genitori, in sede di separazione personale o divorzio, mediante un accordo – formalmente rientrante nelle previsioni, rispettivamente, dell’art. 155 c.c., comma 7, art. 158 c.c., comma 2 e dell’art. 711 c.c., comma 3 e della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 8 e art. 6, comma 9 – il quale, anzichè attraverso una prestazione patrimoniale periodica, od in concorso con essa, attribuisca o li impegni ad attribuire ai figli la proprietà di beni mobili od immobili, e che tale accordo non realizza una donazione, in quanto assolve ad una funzione solutoria-compensativa dell’obbligazione di mantenimento e costituisce applicazione del principio, stabilito dall’art. 1322 c.c., della libertà dei soggetti di perseguire con lo strumento contrattuale interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. E si è espressamente ritenuto che “la convenzione intervenuta tra i coniugi in sede di separazione consensuale, con la quale essi pattuiscono un trasferimento patrimoniale ai figli, a titolo gratuito e in funzione di adempimento dell’obbligo genitoriale di mantenimento, non è nulla, qualora garantisca il risultato solutorio, non essendo in contrasto con norme imperative, nè con diritti indisponibili” (Cass. 21736/2013). E ancora (Cass. 24621/2015) che “l’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto al giudice per l’omologazione”. Si è ulteriormente ritenuto, in tema di accordi conclusi in vista del divorzio, valido “il patto stipulato tra i coniugi per la disciplina della modalità di corresponsione dell’assegno di mantenimento, che preveda il versamento da parte del genitore obbligato direttamente al figlio di una quota del contributo complessivo di cui risulta beneficiario l’altro genitore” (Cass. 5065/2021). Le Sezioni Unite (Cass. 21761/2021) hanno, poi, di recente, affermato che sono pienamente valide le clausole dell’accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni – mobili o immobili – o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli al fine di assicurarne il mantenimento. Si deve quindi ritenere, in ciò correggendosi la motivazione del provvedimento impugnato, che anche un accordo intervenuto alla cessazione di un rapporto di convivenza di fatto, al fine di disciplinare le modalità di contribuzione dei genitori ai bisogni e necessità della prole, deve essere riconosciuto valido come atto espressivo dell’autonomia privata, pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un’omologazione o controllo giudiziale preventivo. Tuttavia, tale accordo ha ad oggetto l’adempimento di obbligo ex lege (si è parlato, con riguardo alla separazione consensuale, di “negozio familiare a contenuto essenziale”, Cass. n. 9034/1997, Cass. 24321/2007, Cass. 11342/2004, Cass. 16909/2015), cosicchè l’autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite, sotto il profilo della perdurante e definitiva vincolatività ed efficacia fra le parti del negozio concluso, nella corrispondenza delle pattuizioni in esso contenute alle effettive esigenze del figlio. Invero, come già ripetutamente affermato da questa Corte, “l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole può essere adempiuto con l’attribuzione definitiva di beni, o con l’impegno ad effettuare detta attribuzione, piuttosto che attraverso una prestazione patrimoniale periodica, sulla base di accordi costituenti espressione di autonomia contrattuale, con i quali vengono, peraltro, regolate solo le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta”, cosicchè “la pattuizione conclusa in sede di separazione personale dei coniugi non esime il giudice chiamato a pronunciare nel giudizio di divorzio dal verificare se essa abbia avuto ad oggetto la sola pretesa azionata nella causa di separazione ovvero se sia stata conclusa a tacitazione di ogni pretesa successiva, e, in tale seconda ipotesi, dall’accertare se, nella sua concreta attuazione, essa abbia lasciato anche solo in parte inadempiuto l’obbligo di mantenimento nei confronti della prole, in caso affermativo emettendo i provvedimenti idonei ad assicurare detto mantenimento” (Cass. 2088/2005; Cass. 2004/11342; Cass. 9500/1987). In sostanza, l’accordo, benchè valido, e pure in assenza di un sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche dei genitori, non preclude al giudice che sia chiamato a valutarne la rispondenza agli obblighi di mantenimento del figlio, e che lo reputi inidoneo o insufficiente allo scopo, di integrarlo e/o di modificarlo. Nell’operare la valutazione richiestagli il giudice deve infatti ispirarsi al criterio fondamentale dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole (art. 337 ter c.c., comma 2); sicchè l’adozione dei provvedimenti ritenuti opportuni ad assicurare detto interesse non solo non incontra, come si è già detto, i limiti processuali – costituiti dal dovere di rispetto del principio della domanda e del principio dispositivo – di cui all’art. 112 c.p.c., ma, a maggior ragione, non può ritenersi subordinata alla salvaguardia dei patti liberamente stipulati dai genitori nell’esercizio della loro autonomia negoziale, il cui contenuto e la cui congruità formano per l’appunto oggetto di delibazione. Devono essere quindi affermati i seguenti principi di diritto: “In tema di mantenimento dei figli nati da genitori non coniugati, alla luce del disposto di cu all’art. 337 ter c.c., comma 4, anche un accordo negoziale intervenuto tra i genitori non coniugati e non conviventi, al fine di disciplinare le modalità di contribuzione degli stessi ai bisogni e necessità dei figli, è riconosciuto valido come espressione dell’autonomia privata e pienamente lecito nella materia, non essendovi necessità di un’omologazione o controllo giudiziale preventivo; tuttavia, avendo tale accordo ad oggetto l’adempimento di un obbligo ex lege, l’autonomia contrattuale delle parti assolve allo scopo solo di regolare le concrete modalità di adempimento di una prestazione comunque dovuta ed incontra un limite, sotto il profilo della perdurante e definitiva vincolatività fra le parti del negozio concluso, nell’effettiva corrispondenza delle pattuizioni in esso contenute all’interesse morale e materiale della prole”. 4. Anche il secondo motivo è infondato. Va innanzitutto escluso che la corte d’appello abbia omesso di valutare il fatto – in tesi decisivo – rappresentato dalla previsione, nella scrittura dell’ottobre 2012, di un obbligo del padre di contribuire, oltre che con l’impegno al trasferimento della proprietà di un immobile, alle spese scolastiche e di abbigliamento del figlio. La corte di merito, invero, ha fatto espresso riferimento a tale impegno, a pag. 4, allorchè ha descritto il contenuto dell’accordo in oggetto, contemplante il trasferimento di immobile, “con esonero del padre dal versamento di qualsiasi ulteriore prestazione economica, ad eccezione delle spese scolastiche e di abbigliamento”, nonchè a pag. 5, quando ha ritenuto di dovere imporre al padre il versamento dell’ulteriore importo di Euro 250,00 mensili, “ferma restando la corresponsione delle spese di vestiario e straordinaria nella misura del 50%”, già concordata tra le parti. Nè ricorre il denunciato vizio di contraddittorietà insanabile della motivazione, avendo il giudice del reclamo operato una valutazione di congruità dell’intero contenuto dell’accordo, ritenuto inidoneo a soddisfare l’interesse del minore alla luce di tutte le circostanze del caso (in particolare, delle accresciute esigenze economiche correlate all’età adolescenziale raggiunta da I.G.) e perciò implicitamente (ma del tutto correttamente) escluso che l’assegno di mantenimento possa sostanziarsi in un generico obbligo di partecipazione del genitore a determinate spese. 5. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. La mancata costituzione della parte intimata esonera il collegio dal provvedere sulle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e degli altri soggetti in esso menzionati. Conclusione Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 dicembre 2021. Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2022

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