SEPARAZIONI PER COLPA adulterio separazione con addebito, adulterio separazione addebito
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adulterio separazione con addebito, adulterio separazione addebito
L’addebito in una separazione coniugale è una situazione legale in cui uno dei coniugi viene ritenuto responsabile della fine del matrimonio o delle cause della separazione. Le ragioni per cui viene assegnato l’addebito possono variare da giurisdizione a giurisdizione, ma di solito includono comportamenti come l’adulterio, la violenza domestica, l’abbandono del coniuge o il rifiuto di contribuire finanziariamente al matrimonio.
Alcune cause comuni per cui può essere assegnato l’addebito includono:
- Adulterio: Se uno dei coniugi ha una relazione extraconiugale, questo può essere considerato motivo sufficiente per l’addebito della separazione.
- Violenza domestica: Se uno dei coniugi è stato violento o ha abusato fisicamente, psicologicamente o emotivamente dell’altro coniuge o dei figli, ciò può essere motivo di addebito.
- Abbandono: Se uno dei coniugi lascia il matrimonio senza una valida ragione e senza prendersi cura delle proprie responsabilità finanziarie o familiari, ciò può portare all’addebito della separazione.
- Rifiuto di contribuire finanziariamente: Se uno dei coniugi non contribuisce in modo equo alla sostenibilità finanziaria del matrimonio, ad esempio attraverso il lavoro o il sostegno finanziario, ciò potrebbe essere considerato motivo di addebito.
- Dipendenza da sostanze stupefacenti o alcol: Se uno dei coniugi ha un problema di dipendenza da droghe o alcol e questo ha un impatto negativo sulla relazione o sulla famiglia, potrebbe essere considerato un motivo di addebito.
È importante notare che le leggi sulla separazione e il concetto di addebito possono variare significativamente da paese a paese o anche da stato a stato all’interno di uno stesso paese. Pertanto, se si è coinvolti in una situazione di separazione e si desidera capire meglio le implicazioni legali, è consigliabile consultare un avvocato specializzato in diritto di famiglia nella propria giurisdizione.
IL TRADIMENTO AL FINE DELL’ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE VA VALUTATO, SE LA CRISI DEL RAPPORTO DURAVA DA ANNI IL TRADIMENTO NON PER FORZA PORTA ALL’ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE :
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L’esame comparativo delle condotte di entrambi i coniugi e la sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento oggettivamente trasgressivo ed il determinarsi dell’intollerabilità della convivenza sono pertanto elementi imprescindibili.
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Il tradimento non rileva se interviene in una situazione già compromessa : In tema di separazione dei coniugi il presunto tradimento non assume alcuna rilevanza ai fini dell’addebito della stessa, laddove risulti intervenuto a situazione ormai compromessa, quando cioè già da mesi, con la scoperta della mala gestio del patrimonio familiare da parte del coniuge infedele, risultasse già maturata l’intollerabilità della convivenza.
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La presunta gestione per fini personali dei risparmi di famiglia, invece, rileva ai fini dell’addebito solo se la parte dimostri che essa abbia comportato la concreta violazione degli obblighi di assistenza economica-materiale e di contribuzione ai bisogni della famiglia cui ciascun coniuge è obbligato in via primaria ai sensi dell’art. 143 c.c. (Trib. Genova Sez. IV, 29/03/2012).
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Mentre può rilevare se offende la diginità e l’onore dell’altro coniuge per le sue modalità : “la relazione intrattenuta da un coniuge con terzi, qualora, considerati gli aspetti esteriori caratterizzanti la stessa nell’ambiente in cui i coniugi vivono, sia idonea a dar luogo a plausibili sospetti di infedeltà, è tale da costituire causa di addebito della separazione ex 151 c.c. anche qualora di fatto non si sostanzi in un vero e proprio tradimento, poiché in ogni caso tale da determinare l’offesa alla dignità ed all’onore dell’altro coniuge”. (Trib. Trieste, 24/03/2011)
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Tuttavia nella giurisprudenza più recente si osservano una diversa valutazione delle circostanze ed una modifica della prospettiva di partenza ritenendo che in talune ipotesi sussista una presunzione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza ed in particolare in caso di tradimento, onerando l’altro coniuge della prova contraria.
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Il richiedente l’addebito non dovrà neppure provare il nesso causale sopra accenntato.
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La Cassazione n. 11516 del 23/05/2014 ha statuito che : “in tema di separazione giudiziale dei coniugi, si presume che l’inosservanza del dovere di fedeltà, per la sua gravita, determini l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, giustificando così, di per sè, l’addebito al coniuge responsabile, salvo che questi dimostri che l’adulterio non sia stato la causa della crisi familiare, essendo questa già irrimediabilmente in atto, sicchè la convivenza coniugale era ormai meramente formale (da ultimo, 14 febbraio 2012, n. 2059; Cass. 7 dicembre 2007, n. 25618). Ciò vuoi dire che, a fronte dell’adulterio, il richiedente l’addebito ha assolto all’onere della prova su di lui gravante, non essendo egli onerato anche della dimostrazione dell’efficienza causale dal medesimo svolta; spetta, di conseguenza, all’altro coniuge di provare, per evitare l’addebito, il fatto estintivo e cioè che l’adulterio sopravvenne in un contesto familiare già disgregato, al punto che la convivenza era mero simulacro; ne deriva parimenti che, una volta accertato l’adulterio, la sentenza che su tale premessa fonda la pronuncia di addebito è sufficientemente motivata (così ancora la citata Cass. 14 febbraio 2012, n. 2059).
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Dall’altro lato, l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà non è stata positivamente accertata dalla corte del merito, la quale, dopo attento esame di tutti gli elementi della fattispecie emersi nel corso del giudizio, ha infine escluso che nel caso concreto i fatti dalla responsabile allegati (litigi e l’abitudine di dormire in camere separate) fossero indizi concludenti ed inequivoci della pregressa situazione di intollerabilità della convivenza e della natura di mero simulacro ed apparenza della medesima, posto che comunque essi non impedirono la prosecuzione anche dei rapporti fra di loro.”
A tale giudizio la Corte di appello è stata indotta dalla valutazione del comportamento generale della S. come rispettoso dei suoi doveri coniugali, anche nella fase del matrimonio caratterizzata da una forte conflittualità fra i coniugi, e dalla constatazione della dedotta insorgenza di un rapporto sentimentale extra-coniugale da parte della S. prima della definitiva rottura quando la profonda crisi del rapporto coniugale si era manifestata e durava da anni. È palesemente insussistente pertanto il dedotto vizio di ultrapetizione basato su una infondata prospettazione meccanicistica del dovere di esame da parte del giudice del merito della domanda di addebito.
L’articolo 151 del Codice Civile, al comma 2, tratta espressamente la separazione con addebito:
Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.
L’articolo 143 del C.C. riporta invece i diritti e doveri reciproci dei coniugi nel matrimonio:
Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.
Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
In tema di separazione personale tra i coniugi, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento, il giudice del merito deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo indipendentemente dalla percezione di detto assegno e, in caso di esito negativo di questo esame, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione. In quest’ambito, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti attraverso l’acquisizione di dati numerici, in quanto è necessaria, ma anche sufficiente, un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi, in relazione alle quali sia possibile pervenire a fissare l’erogazione, in favore di quello più debole, di una somma corrispondente alle sue esigenze (cfr, tra le altre, cass n. 13592 del 2006). A questi principi i giudici di appello si sono ineccepibilmente attenuti, avendo pure tenuto conto, comparandoli, dei redditi fruiti da ciascuna delle parti, quali risultanti dalla documentazione fiscale, e dunque non solo di quelli d’indole retributiva, oltre che dell’entità dei rispettivi patrimoni immobiliari, conclusivamente, motivatamente ed attendibilmente evidenziando la minore consistenza delle condizioni economiche della B. rispetto a quelle del coniuge e l’insufficienza delle stesse a consentirle di mantenere, in termini evidentemente tendenziali
A tali conclusioni, che rendono superflui ulteriori approfondimenti sulla relativa incidenza, peraltro compiutamente esclusa, sulla compromissione del rapporto coniugale, la Corte distrettuale è pervenuta con puntuale e motivata analisi e valutazione delle risultanze processuali, orali e documentali, ove pure si consideri che il potere di valutazione da parte del giudice di appello del materiale probatorio in ordine ai fatti formanti oggetto di riesame, ha contenuto ed estensione uguali a quello del potere del giudice di primo grado e non è vincolato dagli eventuali diversi criteri seguiti dal primo giudice, che, perciò, nell’esercizio di tale potere, il giudice del merito è soggetto al solo limite legale di dovere dare, delle determinazioni prese, congrua ed esatta motivazione che consenta il controllo del criterio logico seguito e che quest’obbligo di motivazione è compiutamente soddisfatto quando, come nella specie, anche senza confutare espressamente e singolarmente tutte le argomentazioni svolte dalle parti e tutte le risultanze di causa e valorizzando solo gli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti, dia adeguata motivazione del conseguito convincimento.
Di contro le censure del ricorrente si risolvono in inammissibili, generici rilievi di errori valutativi in ordine agli elementi assunti, da cui non è dato desumere illogicità o carenze motivazionali decisive, e che essenzialmente appaiono volti ad un diverso ed aderente alla sua tesi, apprezzamento dei medesimi dati, non consentito in questa sede di legittimità. In particolare le circostanze emerse dalla deposizione resa dalla teste S. non risultano tralasciate ma doverosamente esaminate ed inquadrate nel contesto degli ulteriori dati istruttori e conclusivamente ritenute non decisive ai fini della prova dell’adulterio, con valutazione argomentata e plausibile, solo confortata dall’esito del giudizio di separazione personale tra la teste ed il M..
Del pari da disattendere è il quinto motivo del ricorso.
In tema di separazione personale tra i coniugi, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento, il giudice del merito deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo indipendentemente dalla percezione di detto assegno e, in caso di esito negativo di questo esame, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione. In quest’ambito, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti attraverso l’acquisizione di dati numerici, in quanto è necessaria, ma anche sufficiente, un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi, in relazione alle quali sia possibile pervenire a fissare l’erogazione, in favore di quello più debole, di una somma corrispondente alle sue esigenze (cfr, tra le altre, cass n. 13592 del 2006). A questi principi i giudici di appello si sono ineccepibilmente attenuti, avendo pure tenuto conto, comparandoli, dei redditi fruiti da ciascuna delle parti, quali risultanti dalla documentazione fiscale, e dunque non solo di quelli d’indole retributiva, oltre che dell’entità dei rispettivi patrimoni immobiliari, conclusivamente, motivatamente ed attendibilmente evidenziando la minore consistenza delle condizioni economiche della B. rispetto a quelle del coniuge e l’insufficienza delle stesse a consentirle di mantenere, in termini evidentemente tendenziali, l’emerso, agiato tenore della pregressa vita coniugale.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del soccombente R. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della B.
SEPARAZIONI PER COLPA adulterio separazione con addebito, adulterio separazione addebito
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 17 gennaio – 12 aprile 2013 n. 8929
Svolgimento del processo
Con sentenza del 27.4-3.5.2006 il Tribunale di Forlì dichiarava la separazione personale dei coniugi M.P.B. (ricorrente) e L.R., addebitandola alla prima per infedeltà, ed imponendo al secondo di corrispondere alla moglie la somma di Euro 700,00 mensili, a titolo di mantenimento per il figlio minore B.R., affidato ad entrambi con residenza presso la madre. Con sentenza del 20.07-22.08.2007 la Corte di appello di Bologna, nel contraddittorio delle parti ed in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla B., revocava l’addebito a quest’ultima della separazione e dichiarava il R. tenuto a versarle anche l’assegno per il suo mantenimento, quantificato in Euro 300,00 mensili, da rivalutare annualmente in base agli indici ISTAT.
La Corte territoriale osservava e riteneva che:
– con il primo motivo di gravame la B. aveva impugnato l’addebito a sé della separazione, motivata dal Tribunale con la relazione extraconiugale da lei intrattenuta a partire dal 2000-2001, con tale M. e provata dalla deposizione della teste S., moglie del M. e per mezzo di una missiva di tenore amoroso, da lui inviatale via internet, nel gennaio 2003;
– non vi era prova certa della infedeltà coniugale, intesa nel senso di relazione adulterina della B., la quale aveva sempre negato la circostanza, posto che né dalla deposizione della S., né nella citata e-mail si faceva chiaro cenno a rapporti sessuali, occasionali o ripetuti, tra l’appellante e il M., con il quale risultavano esservi stati certamente molti contatti virtuali a mezzo del telefono o via internet (come ammesso dalla stessa B. e ricavabile anche dalla deposizione della S.), ma non con altrettanta certezza molteplici incontri personali né tantomeno congressi carnali;
– nella citata e-mail, risalente al gennaio 2003, il M. aveva manifestato chiari sentimenti amorosi nei confronti della B., riferendosi anche al perdurare dei rapporti interpersonali, così come la S. aveva riferito che il marito ammise di avere frequentato la B. da diverso tempo e di avere intrattenuto corrispondenza e telefonate con ella, ma in nessun atto del procedimento si ricavava con certezza che l’attrazione fosse sfociata in rapporti sessuali, tanto più che nella e-mail in questione il M. pareva addirittura avere avvalorato la tesi di un definitivo distacco dalla donna avvenuto da diverso tempo;
– non erano state acquisite prove in ordine all’eventuale corrispondenza dei sentimenti della B. verso il M., non potendo certo l’addebito derivare da una mera infatuazione non corrisposta di un altro soggetto, e d’altra parte, la relazione platonica di un coniuge con estranei rendeva addebitabile la separazione soltanto quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui era coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivevano, avesse dato luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si fosse sostanziata in un adulterio, avesse comportato offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge;
– non poteva essere condivisa la valenza data dal Tribunale alla deposizione della S., moglie del M., la quale aveva riferito esclusivamente in relazione al proprio menage familiare, individuando nella presunta relazione del marito il fallimento del proprio matrimonio e la causa della separazione (si badi bene, consensuale e, quindi, senza addebito), ma naturalmente nulla era stata in grado di dire sulla reale natura dei rapporti tra il marito e la B. e tanto meno sulla connessione causale tra la condotta della appellante e la separazione dal R.. Invero, la deposizione della S. era stata sistematicamente incentrata sulle propria situazione e sui riflessi della vicenda nell’ambito del proprio matrimonio, e contraddittoriamente il giudice di primo grado aveva poi trasfuso le dichiarazioni della donna nell’ambito del matrimonio R.B., con un ingiustificato parallelismo automatico di conoscenze ed effetti; la S., invero, si era limitata a deporre sul fatto di avere sorpreso il marito mentre telefonava di nascosto (non si sa a chi), di avere notato sul suo personal computer vari contatti telefonici con la B. (senza ovviamente essere a conoscenza del loro contenuto), di avere appreso sempre dal marito che frequentava la B. ma non aveva mai sorpreso il coniuge con la appellata, non era stata in grado di precisare in che cosa consistesse la presunta relazione del marito, né quale effetti questa avesse avuto nella situazione matrimoniale dell’appellante;
– del tutto apodittica si rivelava inoltre l’affermazione della sussistenza del nesso di causalità tra l’infedeltà della B. e la compromissione del suo rapporto coniugale, affidata al contenuto della deposizione resa dalla figlia maggiore delle parti, dalla quale poteva evincersi solo che dal 2001 la madre aveva manifestato maggiori esigenze di autonomia sociale ed assunto uno stile di vita più libero ed indipendente, ciò considerando anche la condotta del R. che, pur essendo venuto a conoscenza dei fatti sin dal 2000-2001, aveva tollerato la situazione per oltre due anni, essendosi limitato a contattare la S. nel 2001 per renderla edotta del comportamento del marito;
– s’imponeva pertanto anche la riconsiderazione e l’accoglimento della richiesta di assegno per sé svolta dalla B., fermi restando il regime di affidamento del figlio minore dei coniugi ed il contributo paterno per il suo mantenimento, assegno che avuto riguardo alle condizioni delle parti, alle adottate statuizioni per il figlio ed al tenore della pregressa vita matrimoniale, caratterizzato da tratti agiati ma non particolarmente dispendiosi, poteva essere quantificato in Euro 300,00 mensili, rivalutabile a norma di legge.
Avverso questa sentenza il R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, illustrati da memoria, e notificato alla B., che ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
A sostegno del ricorso il R. denunzia:
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“Art. 360, n. 3, c.p.c.: Violazione o falsa applicazione degli artt. 143 e 151 c.c. – art. 360, n. 5, c.p.c.: Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai fini dell’addebito alla moglie della responsabilità della separazione”.
Contesta che ai fini dell’addebito l’infedeltà coniugale debba sostanziarsi in rapporti sessuali, che inoltre presupposto dell’addebito sia l’esternazione pubblica del rapporto extraconiugale e conclusivamente formula i seguenti quesiti di diritto “Una relazione extraconiugale, non connotata da rapporti sessuali, è idonea a configurare violazione del dovere di fedeltà ai fini dell’addebitabilità della separazione?”
“Ai fini dell’addebitabilità della responsabilità della separazione per violazione dell’obbligo di fedeltà, è sufficiente che la relazione extraconiugale intrattenuta dal coniuge sia portata a conoscenza solamente dell’altro coniuge oppure è indispensabile che la stessa sia portata a conoscenza anche dell’ambiente sociale in cui i coniugi vivono?”
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“Art. 360 n. 5 c.p.c.: Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio al fini dell’addebito alla moglie della responsabilità della separazione”. in merito alla valutazione della deposizione resa dalla teste S.. Formula il seguente quesito “È tenuto il Giudice di appello a motivare l’omessa valutazione – ancorché conducente a conclusioni difformi dalla sentenza di primo grado – di un documento che il Giudice a quo aveva esplicitamente posto a base del proprio convincimento?”.
Sostiene, tra l’altro, che non si doveva valorizzare la definizione consensuale della separazione personale intervenuta tra la S. ed il M. ed iniziata come contenziosa ma il contenuto del ricorso introduttivo, invece non esaminato.
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“Art. 360, n. 5, c.p.c.: Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio al fini dell’addebito alla moglie della responsabilità della separazione, art. 360, n. 3, c.p.c.: Violazione o falsa applicazione della norma di cui all’art. 244 c.p.c.”, in merito di nuovo alla valutazione della deposizione resa dalla teste S.. Formula il seguente quesito “La testimonianza de relato in ordine ad un fatto appreso da persona estranea al processo in cui si depone, pur presentando una forza probante affievolita perché comunque indiretta, può concorrere alla formazione convincimento del giudice se compatibile e coerente con gli altri elementi probatori acquisiti al processo?”.
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“Art. 360, n. 3, c.p.c.: Violazione o falsa applicazione degli artt. 143 e 151 c.c. – art. 360, n. 5, c.p.c.: Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio al fini dell’addebito alla moglie della responsabilità della separazione” in merito al negato nesso di causalità.
Conclusivamente formula i seguenti quesiti di diritto:
“Attesa l’imperatività e l’alto valore morale dell’obbligo di fedeltà prescritto dall’art. 143 c.c., in presenza di un’acclarata relazione extraconiugale, ed in difetto di un rigoroso accertamento di altre, concomitanti o pregresse, cause di crisi del rapporto coniugale, il Giudice a tanto richiesto è tenuto a pronunciare l’addebito della separazione a carico del coniuge infedele?”
“L’inerzia giudiziaria del coniuge tradito, al pari della sua disponibilità a continuare la coabitazione col coniuge infedele può, in sé costituire motivo di esclusione tra la violazione del dovere di fedeltà del coniuge infedele e la definitiva crisi coniugale, nonché la successiva separazione dei coniugi?”
“Incombe sul coniuge che domandi l’addebito della separazione a carico dell’altro coniuge resosi infedele l’onere di provare di avere, da parte sua, fatto di tutto per salvare il matrimonio?”
“Ferma restando la libertà del Giudice di merito di attingere il proprio convincimento dalle risultanze istruttorie ritenute più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso, senza essere in alcun modo tenuto a confutare esplicitamente le altre risultanze probatorie non accolte, nel caso in cui il Giudice formi la propria decisione sulla base di una considerazione che non trova riscontro in alcuno degli atti e dei documenti di causa, sussiste un Suo obbligo motivazionale in ordine all’omessa valutazione di prove oggettive acquisite al processo di segno opposto alla suddetta considerazione?”.
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“Art. 360, n. 3, c.p.c.: Violazione o falsa applicazione dell’art. 156 c.c.; art. 360, n 5, c.p.c., Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.” Formula il seguente quesito “Ai fini della determinazione, sia dell’an che del quantum, dell’assegno di mantenimento a favore di un coniuge ed a carico dell’altro, occorre previamente operare una quantificazione – approssimativa – del costo mensile del pregresso tenore di vita goduto in costanza di rapporto, al fine di parametrare in concreto la differenza necessaria al beneficiario, rispetto alla portata complessiva dei suoi redditi – sia retributivi che patrimoniali, che di qualunque altro genere – per mantenere il tenore di vita precedente?”
I motivi di ricorso, pur ammissibili, non meritano favorevole apprezzamento. Quanto ai primi quattro, inerenti al diniego di addebito della separazione alla B. e suscettibili di esame congiunto, questa Corte ha ripetutamente affermato che la relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione, ai sensi dell’art. 151 cod. civ., non solo quando si sostanzi in un adulterio ma anche quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e comporti offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge. Nella specie, i giudici d’appello hanno, in aderenza alle regole normative ed ai relativi principi giurisprudenziali, ineccepibilmente escluso che lo scambio interpersonale, extraconiugale, avesse potuto assumere i concreti connotati di una relazione sentimentale adulterina e, comunque, quelli di una relazione atta a suscitare plausibili sospetti di infedeltà coniugale da parte della B., traducibili o tradottisi in contegni offensivi per la dignità e l’onore del R., dal momento che il legame intercorso tra la B. ed il M. si era rivelato platonico, essenzialmente concretatosi in contatti telefonici o via internet, data anche la notevole distanza tra i luoghi di rispettiva residenza, e non connotato da reciproco coinvolgimento sentimentale, con condivisione e ricambio di lei dell’eventuale infatuazione di lui.
A tali conclusioni, che rendono superflui ulteriori approfondimenti sulla relativa incidenza, peraltro compiutamente esclusa, sulla compromissione del rapporto coniugale, la Corte distrettuale è pervenuta con puntuale e motivata analisi e valutazione delle risultanze processuali, orali e documentali, ove pure si consideri che il potere di valutazione da parte del giudice di appello del materiale probatorio in ordine ai fatti formanti oggetto di riesame, ha contenuto ed estensione uguali a quello del potere del giudice di primo grado e non è vincolato dagli eventuali diversi criteri seguiti dal primo giudice, che, perciò, nell’esercizio di tale potere, il giudice del merito è soggetto al solo limite legale di dovere dare, delle determinazioni prese, congrua ed esatta motivazione che consenta il controllo del criterio logico seguito e che quest’obbligo di motivazione è compiutamente soddisfatto quando, come nella specie, anche senza confutare espressamente e singolarmente tutte le argomentazioni svolte dalle parti e tutte le risultanze di causa e valorizzando solo gli elementi ritenuti più attendibili e pertinenti, dia adeguata motivazione del conseguito convincimento.
Di contro le censure del ricorrente si risolvono in inammissibili, generici rilievi di errori valutativi in ordine agli elementi assunti, da cui non è dato desumere illogicità o carenze motivazionali decisive, e che essenzialmente appaiono volti ad un diverso ed aderente alla sua tesi, apprezzamento dei medesimi dati, non consentito in questa sede di legittimità. In particolare le circostanze emerse dalla deposizione resa dalla teste S. non risultano tralasciate ma doverosamente esaminate ed inquadrate nel contesto degli ulteriori dati istruttori e conclusivamente ritenute non decisive ai fini della prova dell’adulterio, con valutazione argomentata e plausibile, solo confortata dall’esito del giudizio di separazione personale tra la teste ed il M..
Del pari da disattendere è il quinto motivo del ricorso.
In tema di separazione personale tra i coniugi, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento, il giudice del merito deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo indipendentemente dalla percezione di detto assegno e, in caso di esito negativo di questo esame, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione. In quest’ambito, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti attraverso l’acquisizione di dati numerici, in quanto è necessaria, ma anche sufficiente, un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi, in relazione alle quali sia possibile pervenire a fissare l’erogazione, in favore di quello più debole, di una somma corrispondente alle sue esigenze (cfr, tra le altre, cass n. 13592 del 2006). A questi principi i giudici di appello si sono ineccepibilmente attenuti, avendo pure tenuto conto, comparandoli, dei redditi fruiti da ciascuna delle parti, quali risultanti dalla documentazione fiscale, e dunque non solo di quelli d’indole retributiva, oltre che dell’entità dei rispettivi patrimoni immobiliari, conclusivamente, motivatamente ed attendibilmente evidenziando la minore consistenza delle condizioni economiche della B. rispetto a quelle del coniuge e l’insufficienza delle stesse a consentirle di mantenere, in termini evidentemente tendenziali, l’emerso, agiato tenore della pregressa vita coniugale.
Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del soccombente R. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della B..
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il R. al pagamento in favore della B. delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 3.000,00 ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori come per legge.
SEPARAZIONI PER COLPA adulterio separazione con addebito, adulterio separazione addebitoRichiesta Addebito e Onere della Prova
Come abbiamo visto, la richiesta di addebito deve essere espressamente formulata da parte di uno dei due coniugi. Inoltre spetta al coniuge che richiede al giudice l’addebito l’onere di fornire proveche dimostrino il nesso di causalità tra il comportamento dell’altro coniuge e la sopraggiunta intollerabilità della convivenza. Sarà poi il giudice, analizzando la situazione e le prove fornite dalla parte lesa, a deciderese concedere o meno l’addebito e a che condizioni.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 26 marzo 2013, n. 7581
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –
Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –
Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 19843/2011 proposto da:
I.E. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 97, presso l’avvocato LEONE GENNARO, che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
F.V. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIBULLO 16, presso l’avvocato PATRIZIA VELLETRI, rappresentato e difeso dall’avvocato BRACCIALE FRANCO, giusta procura in calce al controricorso;
P.B. (C.F. (OMISSIS)), I.S. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA ACHILLE PAPA 21, presso l’avvocato PAGANO MARIA TERESA, che le rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA ADRIANA 15, presso l’avvocato VALERIA CAMPISI, rappresentato e difeso dall’avvocato TUCCITTO VINCENZO, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
contro
IA.SI., PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 2828/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/06/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2013 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA CULTRERA;
udito, per il ricorrente, l’Avvocato GENNARO LEONE che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per le controricorrenti P.B. e I.S., l’Avvocato MARIA TERESA PAGANO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito, per il controricorrente F., l’Avvocato FRANCO BRACCIALE che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
I.E. con citazione del 10.10.2002, ha proposto innanzi al Tribunale di Latina domanda di disconoscimento della paternità dei figli minori I.S. e Ia.Si., nati rispettivamente l'(OMISSIS) ed il (OMISSIS) dal matrimonio con P.B., da cui intanto si era separato, e di dichiarazione giudiziale di paternità nei confronti di G.V. e F.V., assumendo di non essere il padre naturale dei minori in quanto all’epoca del loro concepimento la moglie aveva intrattenuto relazioni extraconiugali prima con il G. e poi col F., nei cui confronti ha altresì chiesto pronuncia di condanna unitamente a P.B. al risarcimento dei danni morali e materiali subiti. Con sentenza n. 849/2006, il Tribunale adito ha dichiarato inammissibile la domanda di disconoscimento essendo la I. decaduto dall’azione in quanto promossa oltre l’anno dalla conoscenza delle distinte relazioni della moglie, da farsi risalire già alle date di nascita dei figli o al più tardi all'(OMISSIS); ha dichiarato inammissibile anche la domanda di dichiarazione giudiziale di paternità, ed ha rigettato le domande risarcitorie. I.E. ha impugnato la decisione innanzi alla Corte d’appello di Roma deducendo d’aver avuto antecedentemente all’anno previsto per l’instaurazione del giudizio un mero sospetto, che divenne consapevolezza circa le relazioni extraconiugali della moglie da cui erano nati i minori S. e Si., solo nel (OMISSIS), allorchè aveva reperito un biglietto anonimo che lo informava del fatto, aveva ricevuto le confidenze della conoscente Pa.Ma.An., aveva assunto informazioni da un investigatore privato ed infine aveva acquisito il risultato negativo dell’esame del dna dei minori, lamentando altresì di non aver potuto fornire esauriente prova del suo assunto per non aver il primo giudice ammesso la prova contraria da lui articolata sui capitoli dedotti dalle controparti, sì che si era trovato nell’impossibilità di dimostrare il mendacio delle testimoni I.A., sua sorella e moglie del F., e F.A., congiunta di quest’ultimo, da lui denunciate per falsa testimonianza, in ordine alla loro conoscenza delle relazioni intrattenute dalla moglie, e che comunque il Tribunale avrebbe dovuto dare ingresso alla prova genetica. Gli appellati, ciascuno dei quali si è ritualmente costituito, hanno chiesto il rigetto del gravame. F. V. ha dedotto altresì in linea preliminare la carenza della propria legittimazione passiva in relazione alla domanda di disconoscimento della paternità del presunto figlio Si., posto che litisconsorti necessari erano questi, la madre ed il padre, quest’ultimo peraltro sprovvisto di legittimazione attiva in relazione all’azione di riconoscimento della paternità di Si.
in capo allo stesso F. Si è inoltre costituita l’Avv. Carmela Docimo, quale curatore speciale dei minori, che ha chiesto il rigetto del gravame. In corso di giudizio si è infine costituita I.S., divenuta maggiorenne, che ha dedotto l’infondatezza delle domande. La Corte territoriale, ritualmente instauratosi il contraddittorio nei confronti di tutti gli appellati che si sono costituiti per chiedere il rigetto del gravame, ha confermato la precedente statuizione con sentenza n. 2828 depositata il 30 giugno 2010. Avverso la decisione I.E. ha proposto infine ricorso per cassazione articolato in tre motivi resistiti da G. V., F.V., P.B. e I.S.
Il ricorrente ed i resistenti F.V. e P.B. e I.S. hanno altresì depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
L’altra intimata non ha invece svolto difese.
Motivi della decisione
In linea preliminare va dichiarato il difetto della legittimazione passiva dei convenuti G.V. e F.V., secondo quanto del resto quest’ultimo ha dedotto con eccezione sottoposta al giudice d’appello e ribadita in questa sede, in ordine all’azione di disconoscimento della paternità esperita dall’attore anche nei loro confronti per l’asserita qualità di padri naturali dei figli S. e Si. Osserva a riguardo il collegio che questa Corte, con consolidato orientamento a cui si intende in questa sede dare continuità (per tutte da ultimo n. 430/2012), ha già affermato che “la sentenza che accolga la domanda di disconoscimento della paternità, in quanto pronunciata nei confronti del pubblico ministero e di tutti gli altri contraddittori necessari, assume autorità di cosa giudicata erga omnes, essendo inerente allo status della persona (Cass. 1985/194). In particolare, la paternità legittima non può essere messa in discussione e neppure difesa da colui che è indicato come padre naturale, il quale, allorchè deduca che l’esito positivo dell’azione di disconoscimento di paternità si riverbera sull’azione di riconoscimento della paternità intentata nei suoi confronti, si limita in realtà a far valere un pregiudizio di mero fatto, tanto da non poter agire contro la sentenza di disconoscimento neppure con l’opposizione di terzo, atteso che il rimedio contemplato dall’art. 404 c.p.c., presuppone in capo all’opponente un diritto autonomo la cui tutela sia però incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza impugnata (Cass. 2005/12167)”. La questione, rilevabile peraltro anche in via officiosa non essendosi su di essa formato il giudicato in assenza di statuizione del giudice d’appello, pur investito sul punto,va risolta pertanto nei sensi prospettati.
Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 235 c.c., comma 3, dell’art. 244 c.c., comma 2, e correlato vizio d’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo. Lamenta che la Corte territoriale, facendo altresì malgoverno degli enunciati pur riferiti in sentenza, avrebbe erroneamente assunto a dato decisivo, ai fini dello scrutinio dell’ammissibilità dell’azione da lui esperita di disconoscimento della paternità, la dimostrata esistenza del mero sospetto da lui nutrito sulle relazioni extraconiugali intrattenute con i due convenuti dalla P., e non già la scoperta del loro rapporto adultero, da intendersi quale acquisizione della conoscenza di una relazione ovvero di un incontro che comunque avesse investito la sfera sessuale, sì da determinare il concepimento dei figli che intendeva disconoscere. Il giudice dell’appello avrebbe in sostanza equiparato alla conoscenza dell’adulterio, da cui decorre il termine di decadenza posto dalla norma in rubrica, il mero dubbio circa la frequentazione della P. con gli altri uomini, desunto dalla condotta concretatasi nello stretto rapporto con G. e dall’episodio del massaggio non terapeutico del F.. La decisione sarebbe pertanto affetta dal denunciato error juris laddove equipara il sospetto, emerso dal compendio istruttorio acquisito, alla scoperta degli adulteri della moglie, e risulterebbe illogicamente argomentata nella parte in cui desume tale conoscenza dai riferiti, pur criticabili episodi, riguardanti i presunti padri naturali dei figli. Il ricorrente formula infine conclusivo ma superfluo quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., abrogato dalla L. n. 69 del 2009, in relazione alle decisioni pronunciate successivamente alla data del 4 luglio 2009 della sua entrata in vigore.
Tutti i resistenti deducono l’inammissibilità ovvero l’infondatezza del motivo.
Il motivo espone censura priva di pregio.
La Corte del merito, premesso che il termine decadenziale previsto dall’art. 244 c.c., va correlato alla conoscenza non già del concepimento del figlio bensì dell’adulterio della moglie che, secondo orientamento giurisprudenziale citato, deve concretarsi nella cognizione di un legame a sfondo sessuale della donna, ha ritenuto acquisita in giudizio la relativa prova anzitutto alla luce dalle stesse affermazioni contenute nell’atto di citazione – l’intenzione più volte manifestata dalla P. di andarsene con la figlia S. ed il G. e le scenate di gelosia del F. per la relazione intrattenuta tra la predetta e E.V.-, correttamente ritenute dal primo giudice aventi contenuto confessorio circa la certezza e non già il semplice sospetto delle relazioni della moglie con i due convenuti, attestanti durata ed intensità affettiva di quegli stretti legami. Indi ne ha tratto conferma dalla deposizione di I.A., sorella dell’attore e moglie di F.V., che, escussa a prova diretta, dichiarò che il fratello, affetto sin dal (OMISSIS) da oligospermia, accettò i figli come suoi pur sapendo di non averli generati. Ha infine concluso che il coerente quadro istruttorio emerso, non validamente contrastato dalle deposizioni degli altri testi R. e Pa., ammantano di conclusiva univocità l’intempestività dell’azione promossa dallo I. L’approdo richiama puntualmente nella motivazione il quadro normativo che regola il caso di specie alla stregua del disposto dell’art. 235 comma 1, n. 3, che prevede che l’azione per il disconoscimento della paternità del figlio concepito durante il matrimonio è consentita “se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio —“, in combinato con l’art. 244 c.c., corretto a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale con sentenza n. 134 del 1985 che estese all’adulterio la soluzione prevista per il celamento della nascita, che al comma 3 legittima l’azione entro un anno dal momento della conoscenza del fatto che la rende ammissibile, vale a dire dell’adulterio. E citandolo in parte, si uniforma all’orientamento consolidato di questa Corte – cfr. Cass. n. 5248/2000, n. 1264/01, n. 14887/02, n. 6477/2003, n. 4090/2005, n. 15777/2010- che il collegio condivide ed al quale intende in questa sede dare continuità, secondo cui il dies a quo del termine annuale va collocato nel momento della scoperta dell’adulterio, intesa quale conoscenza della relazione o dell’incontro di carattere sessuale della donna con altro uomo, idonei a determinare il concepimento del figlio che s’intende disconoscere. Nel solco di questo contesto esegetico ed in assoluta coerenza, ha dunque criticamente vagliato il compendio istruttorio acquisito in giudizio, apprezzando l’idoneità dei fatti da esso emersi a rendere noto allo I. il duplice adulterio, consumato della moglie prima con l’uno e poi con l’altro dei convenuti nei periodi concomitanti con il concepimento dei figli Si. e S.
Il percorso logico che ne sostiene la conclusione è all’evidenza immune dal vizio denunciato. La valutazione delle evenienze istruttorie e la sintesi ricostruttiva da essa desunta, esaustivamente e logicamente argomentate, ineriscono al merito e, risultando argomentate sulla base di puntuale tessuto motivazionale, non sono sindacabili da parte di questa Corte cui è preclusa la rivisitazione della vicenda fattuale. Ne discende il rigetto del motivo.
Il secondo motivo, con cui il ricorrente ribadisce analoga censura anche in relazione all’art. 116 c.p.c., verte sull’attendibilità della deposizione della sorella I.A., moglie del F., a suo avviso con questo compiacente. Ed invero, la Corte d’appello, secondo il ricorrente, non avrebbe tenuto conto del testo della telefonata nel corso della quale ella gli disse che avrebbe dovuto schierasi con la P. e purtroppo “fare le cose contro di lui”, nè che la deposizione non era decisiva poichè non ineriva all’adulterio ma alla sua situazione clinica di impotentia generarteli. Gli altri testi, anch’essi inattendibili, non avrebbero smentito che egli apprese dell’adulterio solo all’esito delle prove genetiche, dunque entro l’anno dall’introduzione del giudizio.
Il motivo, di cui i resistenti chiedono il rigetto, è inammissibile laddove induce palesemente alla rilettura della deposizione della testa I.A., preclusa a questa Corte, e richiama in senso assolutamente generico le altre deposizioni senza trascriverne il contenuto. E’ infondato laddove in senso inconferente richiama la dichiarazione d’illegittimità costituzionale dell’art. 235 c.c., comma 1, n. 3, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 2006/266 con riguardo alla parte che, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina l’esame delle prove tecniche da cui risulta che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie.
Con la citata sentenza n. 15777/2010, che si richiama e si condivide, si è chiarito che tale pronuncia, correggendo l’interpretazione che della norma era stata data da questa Corte, che subordinando all’indagine sul verificarsi dell’adulterio la prova della sussistenza o meno del rapporto procreativo comportava che questa, anche se espletata contemporaneamente alla prova dell’adulterio, poteva essere esaminata solo subordinatamente al raggiungimento di quest’ultima, e al diverso fine di stabilire il fondamento del merito della domanda, sicchè, in difetto di prova dell’adulterio, non poteva pronunciarsi il disconoscimento neppure se fosse risultata dimostrata l’incompatibilità genetica o del gruppo sanguigno del figlio rispetto al presunto padre, afferma che la norma consente l’accesso alle prove ematiche anche a prescindere dalla previa prova dell’adulterio perchè la contraria interpretazione viola i principi di libero accesso alla prova e della pienezza del diritto di difesa.
Il corollario, che ammette la possibilità di dimostrare lo stesso adulterio anche ricorrendo alla prova tecnica, non incide però sul momento iniziale del decorso del termine previsto dall’art. 244 c.c., e non interferisce dunque sulla disciplina dettata in tema di decadenza per la quale rilevano solo la scoperta del fatto “adulterio” ed il momento in cui il padre ne sia venuto a conoscenza, quale che sia stata la fonte che lo abbia reso edotto, prescindendo dall’accertamento della sua corrispondenza alla verità, che egli ha semplicemente il potere processuale di dimostrare senza incorrere in preclusioni, dunque attraverso ogni opportuna indagine tesa ad accertare le incompatibilità idonee a dimostrare l’adulterio” Col terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2043 c.c., e art. 567 c.p., e lamenta che la Corte del merito, nel contesto di una motivazione omessa o insufficiente, ne avrebbe fatto malgoverno avendo rigettato la sua domanda risarcitoria avendola ritenuta dipendente da quella principale – rigettata -, pur in presenza della prova acquisita in atti dell’illecito penale rappresentato dalla falsa attestazione di stato dei figli.
I resistenti chiedono il rigetto della censura.
Il motivo deve essere dichiarato inammissibile. Statuito il rigetto della domanda risarcitoria, attesa la sua stretta correlazione con la domanda di disconoscimento, la Corte territoriale ha dichiarato nel contempo inammissibile la prospettazione della nuova causa petenti, siccome assunta a fondamento della domanda risarcitoria solo in sede d’appello in violazione dell’art. 345 c.p.c., laddove è stata riferita al disposto dell’art. 567 c.p. Trattasi di autonoma ratio decidendi contro cui il mezzo in esame non agita critica alcuna.
Tutto ciò premesso, il ricorso devesi rigettare con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidandole in favore di P.B. e I.S. nell’importo di Euro 3.000,00, per compensi, ed Euro 200,00 per spese, in favore di F.V. in egual misura ed in favore di G.V. nell’importo di Euro 2.500,00 per compensi e di Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2013.
Separazione, adulterio, addebito, CAUSA DI SEPARAZIONE, adulterio separazione addebito, adulterio separazione con addebito, adulterio e addebito separazione, separazione con adulterio, adulterio causa di separazione, separazione adulterio moglie, prova adulterio separazione, adulterio separazione, separazione x adulterio giudiziale, adulterio in caso di separazione, tradimento separazione per colpa, tradimento e addebito separazione, separazione tradimento affidamento figli, separazione alimenti tradimento, tradimento dopo separazione consensuale, tradimento coniugale e separazione, tradimento causa di separazione, tradimento dopo separazione consensuale, come superare tradimento e separazione, tradimento matrimonio separazione, adulterio separazione con addebito adulterio separazione addebito
/ separazione / adulterio / addebito /
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 15 giugno – 4 dicembre 2012, n. 21660
(Presidente Fioretti – Relatore Bisogni)
Svolgimento del processo
1. il Tribunale di Roma con sentenza del 27 settembre – 2 dicembre 2003, che aveva già dichiarato la separazione personale dei coniugi S.F. e C.M., ha respinto le domande di addebito proposte, ha affidato alla madre la figlia minorenne C.P., ha assegnato alla S. la casa coniugale, ha posto a carico del C. l’obbligo di corrispondere due assegni mensili di mantenimento di 820 Euro, ciascuno, in favore della S. e della figlia minore.
2. Avverso la predetta sentenza ha interposto appello C.M. chiedendo la sua riforma nella parte in cui ha rigettato la sua domanda di addebito della separazione alla moglie e accolto le domande della S. di assegnazione della casa coniugale e di assegno di mantenimento in suo favore.
3. La Corte di appello di Roma ha ritenuto cessata la materia del contendere quanto alla assegnazione della casa coniugale avendo provveduto in merito la sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio n. 4296/2005 passata in giudicato il 20 maggio 2005. Ha ritenuto infondato l’appello relativo alla dichiarazione di addebito della separazione non riscontrando nelle acquisizioni istruttorie la prova della attribuibilità alla S. di comportamenti contrari ai doveri del matrimonio tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza mentre ha rilevato che, al momento della proposizione da parte della S. del giudizio di separazione, la crisi coniugale era in atto da tempo esistendo già da molti anni un’elevata conflittualità fra le parti. Infine ha ritenuto congrua la misura dell’assegno di mantenimento fissata dal Tribunale di Roma con riferimento al periodo intercorrente fra l’inizio del procedimento di separazione e l’emanazione dei provvedimenti provvisori da parte del giudice del divorzio.
4. Ricorre per cassazione C.M. affidandosi a quattro motivi di impugnazione.
5. Si difende con controricorso S.F.
Motivi della decisione
6. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 143 e 151 del codice civile, dell’art. 29 della Costituzione, il tutto in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. Il ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se in caso di accertata infedeltà in capo ad un coniuge in costanza di matrimonio, debba essere pronunciata la separazione con addebito al coniuge responsabile e se la scriminante della mancanza del nesso di causalità tra l’infedeltà e la crisi coniugale possa essere legittimamente adottata quando, nello specifico, siano stati omessi sia accertamenti rigorosi sia una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi in epoca antecedente e successiva alla richiesta di separazione.
7. Il motivo è inammissibile a causa di una formulazione del quesito di diritto del tutto astratta. Quanto alla deduzione di un vizio denunciabile ex art. 360 n. 5 c.p.c, il motivo appare invece infondato e generico perché, da un lato, deduce la mancata valutazione del comportamento processuale della controparte che è del tutto irrilevante al fine di accertare un fatto storico pregresso al giudizio. Per altro verso si limita a ribadire una diversa lettura dei fatti senza argomentare sulla insufficienza o illogicità della motivazione che invece risulta esaurientemente argomentata e logicamente congrua quanto alla valutazione di inattendibilità dei testimoni sentiti sul fatto decisivo e controverso della dedotta relazione extra-coniugale della S.
8. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 115, 116 del codice di procedura civile, dell’art. 2697 del codice civile, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. nonché omessa motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. Il ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se in caso di accertata infedeltà in capo ad un coniuge in costanza di matrimonio possa essere pronunciata la scriminante della mancanza del nesso di causalità tra l’infedeltà e la crisi coniugale “ex officio” dal giudice, ovvero senza specifica richiesta domanda e/o eccezione della parte interessata e se ciò costituisca violazione dei principi di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e di quello dell’onere probatorio in un processo, come quello civile, improntato a un rigido principio dispositivo.
8. Il motivo è infondato. La Corte di appello investita del gravame sul mancato accoglimento della richiesta di addebito della separazione al comportamento della S. ha valutato le deduzioni e le prove acquisite nel processo pervenendo a un giudizio di esclusione della responsabilità della S. per la crisi coniugale causata dalla violazione dei suoi doveri coniugali. A tale giudizio la Corte di appello è stata indotta dalla valutazione del comportamento generale della S. come rispettoso dei suoi doveri coniugali, anche nella fase del matrimonio caratterizzata da una forte conflittualità fra i coniugi, e dalla constatazione della dedotta insorgenza di un rapporto sentimentale extra-coniugale da parte della S. prima della definitiva rottura quando la profonda crisi del rapporto coniugale si era manifestata e durava da anni. È palesemente insussistente pertanto il dedotto vizio di ultrapetizione basato su una infondata prospettazione meccanicistica del dovere di esame da parte del giudice del merito della domanda di addebito.
9. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 156 del codice civile, dell’art. 112 del codice di procedura civile, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. Il ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se la decisione relativa alle questioni di natura patrimoniale della separazione fino alla data di pronuncia del divorzio, spetti al giudice della separazione, tenuto conto che la pronuncia del divorzio opera e dispone solo “ex nunc” dal momento del suo passaggio in giudicato. In altre parole se la pronuncia di divorzio, operando solo ex nunc, dal momento del passaggio in giudicato, non determina la cessazione della materia del contendere del giudizio di separazione personale, in quanto non fa venir meno la necessità e quindi l’operatività sino a quel momento della pronuncia di separazione e dei relativi provvedimenti patrimoniali. Il ricorrente censura inoltre la contraddittorietà della motivazione laddove, la Corte di appello, dopo aver affermato che la pronuncia di divorzio non determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio di separazione ancora pendente quanto alla definitiva regolamentazione dell’assegno per il periodo successivo all’inizio del procedimento e fino alla sentenza di divorzio, non si pronuncia sugli aspetti patrimoniali nel periodo intercorrente tra l’ottobre 2004 – data di acquisto in capo alla S. della casa coniugale che pur a giudizio degli stessi giudici di appello ha determinato certamente “un consistente incremento della complessiva situazione patrimoniale della S. – ed il maggio 2007, quando è intervenuta la prima parziale decisione del Tribunale in sede di divorzio.
10. Anche questo motivo è infondato. La Corte di appello ha infatti pronunciato, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, sull’assegno di mantenimento spettante alla S. nel periodo in contestazione. Del resto tale censura appare logicamente incompatibile con la successiva deduzione di contraddittorietà della motivazione, resa sullo stesso oggetto della controversia, che appare anch’essa infondata. La Corte di appello ha valutato le rispettive situazioni reddituali e patrimoniali dei due coniugi e ha ritenuto corretta l’attribuzione, da parte del giudice del primo grado, di un assegno di mantenimento a favore della S. tale da consentirle, con una integrazione del reddito percepito dalla sua attività di insegnante, di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio e ciò anche in considerazione delle spese di mantenimento della figlia P. , convivente con la S., e dell’onere del canone di locazione da versare all’ente proprietario per il godimento della ex casa familiare a partire dal 2004 mentre il C. ha mantenuto il godimento dell’immobile di proprietà comune.
11. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 91, 92, 132 n. 4 del codice di procedura civile, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. Il ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto: se sia legittima la condanna alle spese anche in assenza del requisito della soccombenza intesa in senso sostanziale, ovvero quando i motivi di gravame non possono considerarsi infondati.
12. Il motivo è infondato. La condanna alle spese del C. è stata legittimamente disposta dai giudici di merito in relazione al rigetto della domanda di addebito della separazione e alla conferma delle statuizioni sul diritto all’assegno di mantenimento in favore della S.
13. Il ricorso va conseguentemente respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi 2.700 Euro di cui 200 per spese.
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SEPARAZIONI E DIVORZI AVVOCATO44. PIEVE DI CENTO SEPARAZIONI E DIVORZI AVVOCATO45. PORRETTA TERME SEPARAZIONI E DIVORZI AVVOCATO46. SALA BOLOGNESE SEPARAZIONI E DIVORZI AVVOCATO47. SAN BENEDETTO VAL DI S. SEPARAZIONI E DIVORZI AVVOCATO48. SAN GIORGIO DI PIANO SEPARAZIONI E DIVORZI AVVOCATO49. SAN GIOVANNI IN P. separazione consensuale ,separazione coniugi,addeito separazione, separazione e figli
SEPARAZIONI E DIVORZI AVVOCATO50. SAN LAZZARO DI SAVENA separazione consensuale ,separazione coniugi,addeito separazione, separazione e figli
SEPARAZIONI E DIVORZI AVVOCATO51. SAN PIETRO IN CASALE separazione consensuale ,separazione coniugi,addeito separazione, separazione e figli
SEPARAZIONI E DIVORZI AVVOCATO52. SANT’AGATA BOLOGNESE SEPARAZIONI E DIVORZI AVVOCATO53. SASSO MARCONI separazione consensuale ,separazione coniugi,addeito separazione, separazione e figli
SEPARAZIONI E DIVORZI AVVOCATO54. VALSAMOGGIA SEPARAZIONI E DIVORZI AVVOCATO
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