separazione SEPARARSI IN MODO LITIGIOSO BOLOGNA AVVOCATO ESPERTO

 

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FAMIGLIA AVVOCATO ESPERTO

 

Famiglia – Separazione – Figli minori – Affidamento esclusivo al padre – Pas – Sindrome di alienazione parentale – Corte di Cassazione|Sezione 6 1|Civile|Ordinanza|13 maggio 2021| n. 12802

Separazione giudiziale dei coniugi – Determinazione dell’assegno di mantenimento – Addebito della separazione – Difetto di specificità dei motivi di censura – Inammissibilitàcropped-AVVOCATO-BOLOGNA-ESPERTO

La Suprema Corte (Cass. 9915/2007) ha gia’ precisato che “in tema di separazione tra coniugi, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, il giudice del merito deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento ai fini della valutazione di congruita’ dell’assegno, il tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualita’ e la quantita’ delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilita’ patrimoniali dell’onerato”, cosicche’ “il giudice non puo’ limitarsi a considerare soltanto il reddito (sia pure molto elevato) emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (quali la disponibilita’ di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso), dovendo, in caso di specifica contestazione della parte, effettuare i dovuti approfondimenti – anche, se del caso, attraverso indagini di polizia tributaria – rivolti ad un pieno accertamento delle risorse economiche dell’onerato (incluse le disponibilita’ monetarie e gli investimenti in titoli obbligazionari ed azionari ed in beni mobili), avuto riguardo a tutte le potenzialita’ derivanti dalla titolarita’ del patrimonio in termini di redditivita’, di capacita’ di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro; e, nell’esaminare la posizione del beneficiario, deve prescindere dal considerare come posta attiva, significativa di una capacita’ reddituale, l’entrata derivante dalla percezione dell’assegno di separazione”, accertamenti questi che “si rendono altresi’ necessari in ordine alla determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio minore, atteso che anch’esso deve essere quantificato, tra l’altro, considerando le sue esigenze in rapporto al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori e le risorse ed i redditi di costoro”.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

ha pronunciato la seguente:


ORDINANZA

sul ricorso 31926-2019 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI VIOLI;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 640/2019 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 29/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza n. 640/2019, depositata in data 29/07/2019, ha confermato la decisione del Tribunale, che aveva pronunciato la separazione giudiziale dei coniugi (OMISSIS) ed (OMISSIS), i quali avevano contratto matrimonio nel 1991, dalla cui unione erano nati due figli, respingendo le domande reciproche di addebito e la domanda della (OMISSIS) di fissazione di un assegno di mantenimento a proprio favore, ponendo a carico del marito soltanto un assegno mensile di Euro 300,00, a titolo di contributo al mantenimento di ciascuno dei due figli, conviventi con la madre.

In particolare, i giudici d’appello hanno respinto l’appello incidentale dello (OMISSIS) in ordine al mancato addebito della separazione alla (OMISSIS) (rilevando che vi era stata una precedente separazione, dal 2000, omologata nel 2006, cui era seguita una riconciliazione tra gli stessi coniugi, tra il 2007 ed il 2008, “piu’ esteriore…che sostanziale”) ed affermato, in punto di rigetto della domanda della (OMISSIS), di fissazione di un assegno di mantenimento a carico del marito, che, pur non svolgendo la moglie attivita’ lavorativa (mentre il marito svolgeva stabile lavoro presso (OMISSIS) spa) e non risultando, malgrado il possesso del titolo di avvocato, utilmente collocata nel mondo del lavoro, per eta’ e mancanza di pregresse esperienze, la stessa disponeva di “adeguati redditi propri, essendo proprietaria (anche pro-quota) di alcuni immobili, suscettibili di utilizzazione economica o di vendita ai fini di reinvestimento, ed era documentato “un ISEE 2013 di Euro 14.605,80”

Avverso la suddetta pronuncia, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, notificato il 28/10/2019, affidato a due motivi, nei confronti di (OMISSIS) (che resiste con controricorso). La ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. La ricorrente lamenta, con il primo ed il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell’articolo 156 c.c., in punto di riconoscimento di un assegno di mantenimento in proprio favore, rilevando che le proprieta’ immobiliari della stessa sarebbero improduttive di reddito, stante la necessita’ di importanti lavori di ristrutturazione, e che la medesima e’ disoccupata, oltre che affetta da patologia agli occhi, con evidente disparita’ reddituale rispetto al coniuge, dirigente e proprietario di immobili, per il quale era stato valorizzato soltanto un CUD risalente all’anno 2009, dal quale emergeva comunque un reddito di Euro 29.000,00, oltre quello prodotto dai fitti commerciali degli immobili di proprieta’.
  2. Le censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, sono inammissibili.

Questa Corte (Cass. 9915/2007) ha gia’ precisato che “in tema di separazione tra coniugi, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, il giudice del merito deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento ai fini della valutazione di congruita’ dell’assegno, il tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualita’ e la quantita’ delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilita’ patrimoniali dell’onerato”, cosicche’ “il giudice non puo’ limitarsi a considerare soltanto il reddito (sia pure molto elevato) emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (quali la disponibilita’ di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso), dovendo, in caso di specifica contestazione della parte, effettuare i dovuti approfondimenti – anche, se del caso, attraverso indagini di polizia tributaria – rivolti ad un pieno accertamento delle risorse economiche dell’onerato (incluse le disponibilita’ monetarie e gli investimenti in titoli obbligazionari ed azionari ed in beni mobili), avuto riguardo a tutte le potenzialita’ derivanti dalla titolarita’ del patrimonio in termini di redditivita’, di capacita’ di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro; e, nell’esaminare la posizione del beneficiario, deve prescindere dal considerare come posta attiva, significativa di una capacita’ reddituale, l’entrata derivante dalla percezione dell’assegno di separazione”, accertamenti questi che “si rendono altresi’ necessari in ordine alla determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del figlio minore, atteso che anch’esso deve essere quantificato, tra l’altro, considerando le sue esigenze in rapporto al tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori e le risorse ed i redditi di costoro”.

Sempre questa Corte (Cass. 17199/2013) ha chiarito che “l’articolo 156 c.c., comma 2, stabilisce che il giudice debba determinare la misura dell’assegno non solo valutando i redditi dell’obbligato, ma anche altre circostanze non indicate specificatamente, ne’ determinabili a priori, ma da individuarsi in tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’obbligato, suscettibili di incidere sulle condizioni economiche delle parti” (Cass. 605/2017).

In sostanza, la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicche’ i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’articolo 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli “necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilita’ con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedelta’, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarieta’ post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio” (Cass. 12196/2017).

Ora, nella specie, risulta essere stato comunque effettuato un accertamento sul tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, sulla capacita’ della moglie di disporre di redditi propri e sui redditi dei due coniugi.

Inoltre, con la proposizione del ricorso per cassazione, nel quale, peraltro, vengono confusi i presupposti dell’assegno di mantenimento nel giudizio di separazione personale tra coniugi rispetto a quelli propri dell’assegno divorzile, la ricorrente non puo’ rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in se’ coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove e’ sottratto al sindacato di legittimita’, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non e’ conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilita’ e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7921/2011; Cass. 9097/2017Cass. 29404/2017).

  1. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimita’, liquidate, per ciascuna delle controricorrenti, in complessivi Euro 2.500,00, a titolo di compensi, oltre Euro 100,00 per esborsi, nonche’ al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52, siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

 

 

Corte di Cassazione|Sezione 1|Civile|Sentenza|16 maggio 2019| n. 13274

Famiglia – Separazione – Figli minori – Affidamento esclusivo al padre – Pas – Sindrome di alienazione parentale – Provvedimento del tribunale – Annullamento – CTU – Su base medica non ufficiale – Obbligo di verifica del giudice

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere

Dott. SCALIA Laura – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA

sul ricorso 26977/2017 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS) che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1140/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, pubblicata il 30/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/04/2019 dal Cons. Dott. IOFRIDA GIULIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso, in subordine l’accoglimento del terzo motivo p.q.r.;

udito, per la ricorrente, l’Avv. (OMISSIS), che si e’ riportato;

udito, per il controricorrente, l’Avv. (OMISSIS), che si e’ riportato.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 1140/2017, depositata in data 30/05/2017, – in controversia promossa da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), al fine di sentire pronunciare la separazione giudiziale tra loro, con addebito al marito e fissazione delle condizioni economiche e di quelle relative all’affidamento del figlio minore (OMISSIS), nato nel (OMISSIS), – ha confermato la decisione di primo grado, del febbraio 2017, che aveva, all’esito di due consulenze tecniche psicologiche, dichiarato la separazione giudiziale dei coniugi, respinta la domanda di addebito della separazione al marito, e disposto l’affidamento del minore in via esclusiva al padre, previo immediato allontanamento dalla casa, ove viveva con la madre, e collocazione dello stesso, per un semestre, presso una Comunita’, dedicata alla cura ed al sostegno dei minori, in Treviso (con carico su entrambi i genitori delle relative spese, ripartito al 50%), stabilendo, per il periodo successivo al collocamento del minore presso il padre, che la madre dovesse contribuire al suo mantenimento, mediante la corresponsione al (OMISSIS) di un assegno mensile di Euro 320,00, rivalutabile mensilmente secondo gli indici Istat, revocando le pregresse statuizioni di assegnazione della casa coniugale alla madre e determinazione di un assegno di mantenimento a favore della madre inizialmente collocataria del minore.

In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame della (OMISSIS) (vertente esclusivamente sulle statuizioni in merito all’affidamento del minore), hanno sostenuto che, tenuto conto delle risultanze peritali, la madre doveva definirsi “un soggetto anelastico, scarsamente propensa a mettersi in discussione,… caratterizzato da un atteggiamento preconcetto,…restia a porsi in una prospettiva critica, di analisi e di ricerca, non interessata ad individuare le ragioni del comportamento anomalo di (OMISSIS) con il padre…”, evidenziando altresi’ come la stessa avesse manifestato una carente collaborazione al positivo e sollecito esito del processo, in particolare, rifiutando di collaborare nell’espletamento della C.T.U.. In sostanza, ad avviso della Corte d’appello, risultava corretto il giudizio espresso dal consulente tecnico nominato (con la collaborazione, nel secondo elaborato, di due ausiliari tecnici), in ordine al fatto che il comportamento materno aveva inciso nella diagnosi di alienazione parentale del figlio nei confronti del padre, avendo la (OMISSIS), come rilevato dal Tribunale, attuato “un progetto di esclusione del genitore alienato, mediante la sostituzione del padre biologico di (OMISSIS) con il nonno materno”; in relazione al minore, la Corte d’appello ha evidenziato quanto emerso dall’elaborato peritale, in ordine all’atteggiamento del minore di rifiuto del padre, definito dallo stesso “bugiardo, violento e viscido” (cosi’ esprimendo pero’ “il vissuto degli adulti che hanno accesso alle sue emozioni”), alla sua situazione personale di sofferenza, conseguente alle vicende legate al conflitto genitoriale, ed allo “stile generale di evitamento”, con un conseguente serio “rischio di una compromissione importante dello sviluppo emotivo”. In tale contesto probatorio, la Corte d’appello ha ritenuto ricorrere una violazione del principio della bigenitorialita’, venendo privato il minore, al di fuori di cause giustificatrici, dell’apporto affettivo e culturale che l’altro genitore puo’ recare al figlio, cosicche’ il provvedimento, temporaneo, di affidamento del minore in via esclusiva al padre risultava necessario al fine di porre le condizioni per la concreta attuazione del principio di bigenitorialita’, come pure la temporanea interposizione di un soggetto terzo, quale la struttura residenziale dedicata alla cura ed al sostegno dei minori. Quanto poi alla censura relativa alla mancata audizione del minore, la Corte territoriale rilevava che lo stesso era stato sentito nel corso delle consulenze espletate, su delega del magistrato, ed una “ripetuta audizione del minore sugli stessi fatti risulta sconsigliabile”.

Avverso la suddetta pronuncia, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, nei confronti di (OMISSIS) (che si costituisce con controricorso).

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. La ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli330 e 333 c.p.c., avendo la Corte territoriale confermato il provvedimento del Tribunale di allontanamento del minore dal contesto famigliare, scolastico, sociale, sportivo, al di fuori dei gravi casi contemplati dalla legge; 2) con il secondo motivo, la violazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli337 ter e 337 quater c.c. e della L.54/2006, nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato l’affidamento esclusivo del minore (OMISSIS) al padre, senza motivare tale scelta, essendosi la Corte limitata ad evidenziare l’inidoneita’ della madre; 3) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell’articolo 337 octies c.c., articolo 315 bis c.c., comma 3, articolo 336 bis c.p.c., articolo 38 disp. att. c.p.c., della normativa internazionale in materia di audizione dei minori, in relazione al rigetto del motivo di gravame relativo al mancato ascolto del minore, oramai quattordicenne; 4) con il quarto motivo, sia la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, di norme di diritto, sia l’omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, in riferimento alla mancata verifica dell’attendibilita’ scientifica della teoria posta a base della diagnosi di sindrome di alienazione parentale (o PAS) e soprattutto della valutazione espressa in ordine alla qualificazione della (OMISSIS) come “genitore alienante”; 5) con il quinto motivo, sia la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, di “norme di diritto”, sia l’omesso esame, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, nella parte in cui la Corte d’appello ha omesso di motivare in ordine ai plurimi vizi della consulenza tecnica d’ufficio, denunciati, con l’atto di appello (mancata videoregistrazione dell’unico colloquio del minore con il consulente tecnico d’ufficio; violazione del principio del contraddittorio, non essendo stato consentito ai consulenti di parte di partecipare al primo colloquio presso l’ausiliare del C.T.U.; mancata redazione di un verbale degli incontri; la predisposizione di un programma di trattamento cui sottoporre il minore con la comunita’, prima di ottenere l’autorizzazione del giudice; violazione delle linee guida in tema di ascolto del minore); 6) con il sesto motivo, sia la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, degli articoli 115 c.c. e ss. e del c.d. principio di bigenitorialita’, sia l’omesso esame, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo oggetto di discussione, in riferimento all’omesso esame dei motivi del rifiuto, da parte del minore (OMISSIS), del padre; 7) con il settimo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in relazione alla disposta interruzione del legame tra madre e figlio, attraverso il trasferimento dello stesso in comunita’, in luogo di altre misure idonee ad assicurare il recupero del rapporto del figlio con il padre.
  2. Il primo, il secondo, il quarto, il sesto ed il settimo motivo, che possono essere trattati insieme, essendo connessi e vertendo tutti sulla contestata decisione di sottrarre un bambino all’ambiente materno, con il quale il rapporto – indipendentemente dalla ritenuta condotta “alienante” – non presentava altre controindicazioni, per collocarlo, per un semestre, non potendo stabilire un immediato inserimento nell’ambiente familiare paterno, a causa della forte avversione manifestata al riguardo dal minore, in una struttura educativa terza, disponendo altresi’ l’affidamento esclusivo dello stesso al padre, sono fondati.

La Corte d’appello ha dato risalto alla diagnosi di sindrome da alienazione parentale formulata dai consulenti tecnici, fondata sul comportamento materno, ritenuto idoneo a generare “un conflitto di lealta’ nella prole, che puo’ dare fondamento alla diagnosi di alienazione del figlio nei confronti del padre”, rilevando, peraltro, che al di la’ della scelta di una o altra classificazione scientifica, “cio’ che rileva e’ l’individuazione di condotte tendenti ad escludere l’altro genitore e sovrapporre gli ambiti dell’affettivita’ propria a quella del minore”.

La Corte territoriale si e’ soffermata poi sui rapporti del minore con il padre, definito dallo stesso “bugiardo, violento e viscido” (cosi’ esprimendo pero’ “il vissuto degli adulti che hanno accesso alle sue emozioni”), sulla sua situazione personale di sofferenza, conseguente alle vicende legate al conflitto genitoriale, di “vittimismo” (nella relazione con il padre e con i nonni paterni), richiamando gli episodi, verificatisi anche nel contesto scolastico, di autolesionismo e lo “stile generale di evitamento”, concludendo per la sussistenza di un conseguente serio “rischio di una compromissione importante dello sviluppo emotivo”. La Corte territoriale ha poi escluso che vi fossero stati significativi episodi di violenza psichica o fisica del padre sul minore.

Ora, la decisione di escludere, per un semestre, la madre dalla vita del figlio (salvo la programmazione di incontri periodici del minore con i due genitori in ambiente controllato) appare come il risultato di una adesione alle conclusioni finali del C.Testo Unico (e’ noto che il giudice puo’ aderire alle conclusioni del c.t.u., senza essere tenuto a una specifica motivazione, salvo che non formino oggetto di specifiche censure, v. Cass. n. 1149/2011).

A prescindere dalle obiezioni sollevate dalle parti, qualora la consulenza tecnica presenti devianze dalla scienza medica ufficiale come avviene nell’ipotesi in cui sia formulata la diagnosi di sussistenza della PAS, non essendovi certezze nell’ambito scientifico al riguardo il Giudice del merito, ricorrendo alle proprie cognizioni scientifiche (Cass. n. 11440/1997) oppure avvalendosi di idonei esperti, e’ comunque tenuto a verificarne il fondamento (Cass. 1652/2012; Cass. 17324/2005).

Questa Corte ha osservato che, in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacita’ dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacita’ di relazione affettiva, nonche’ della personalita’ del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che e’ in grado di offrire al minore, fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialita’, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione (v. Cass. n. 18817/2015, conf. Cass. 22744/2017).

Nella pronuncia n. 6919/2016, questa Corte ha affermato poi il seguente principio di diritto, con riguardo ad un’ipotesi di alienazione parentale: “in tema di affidamento di figli minori, qualora un genitore denunci comportamenti dell’altro genitore, affidatario o collocatario, di allontanamento morale e materiale del figlio da se’, indicati come significativi di una PAS (sindrome di alienazione parentale), ai fini della modifica delle modalita’ di affidamento, il giudice di merito e’ tenuto ad accertare la veridicita’ in fatto dei suddetti comportamenti, utilizzando i comuni mezzi di prova, tipici e specifici della materia, incluse le presunzioni, ed a motivare adeguatamente, a prescindere dal giudizio astratto sulla validita’ o invalidita’ scientifica della suddetta patologia, tenuto conto che tra i requisiti di idoneita’ genitoriale rileva anche la capacita’ di preservare la continuita’ delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialita’ e alla crescita equilibrata e serena” Al giudice di merito, a tal fine, puo’ utilizzare i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia (incluso l’ascolto del minore) e anche le presunzioni (desumendo eventualmente elementi anche dalla presenza, laddove esistente, di un legame simbiotico e patologico tra il figlio e uno dei genitori).

Nella specie, i giudici di merito hanno motivato sulle ragioni del rifiuto del padre da parte del figlio ed hanno dato rilevo ad alcuni comportamenti della madre, ritenuti come unicamente volti all’allontanamento fisico e morale del figlio minore dall’altro genitore.

In ordine all’affidamento esclusivo (e non condiviso) del figlio al padre, la Corte d’appello ha motivato sull’inidoneita’ della madre, essenzialmente a causa dei predetti comportamenti, richiamando comunque il giudizio espresso dai consulenti tecnici (anche sull’idoneita’ dell’altro genitore, affidatario esclusivo), ed ha inoltre disposto l’allontanamento della figura materna per un semestre e, per il periodo successivo, ha incaricato i servizi Sociali di “programmare e garantire il rientro del minore presso la casa del padre e la gestione dei turni di responsabilita’ dei due genitori”.

Deve osservarsi che il provvedimento di primo grado, confermato in appello con la sentenza qui impugnata, come rilevato dalla ricorrente, non e’ stato attuato completamente, essendosi provveduto dal Tribunale di Treviso, nell’agosto-settembre 2017, a nominare uno psicologo con il compito di predisporre un piano di incontri del figlio con il padre e di “prelievi” del primo dalla casa materna (dove ancora vive) ad opera del padre e di vigilare su tali incontri.

Tuttavia, emerge altresi’ dagli atti che la sign.ra (OMISSIS), la quale ha sicuramente delle difficolta’ psicologiche e caratteriali, e’ profondamente legata al figlio. Emerge altresi’ un rapporto conflittuale tra la stessa (OMISSIS) ed i consulenti tecnici nominati in primo grado, i quali sono stati con lei rigidi e severi, non offrendole il necessario sostegno (calibrato sulla situazione psicologica della medesima).

La sentenza di appello non sviluppa adeguate e convincenti argomentazioni sull’inidoneita’ della madre all’affidamento, in una situazione di forte criticita’ dei rapporti tra la (OMISSIS) ed i Servizi sociali; in un tale contesto, la rinnovata richiesta di una consulenza tecnica e’ stata dalla corte territoriale respinta, stante la sufficienza della relazione svolta dai consulenti tecnici nominati e l’atteggiamento non collaborativo tenuto dalla (OMISSIS).

La decisione impugnata non spiega dunque per quale ragione l’affidamento in via esclusiva al padre, previo collocamento temporaneo dello stesso in una comunita’ o casa – famiglia, costituirebbe l’unico strumento utile ad evitare al minore un piu’ grave pregiudizio ed ad assicurare al medesimo assistenza e stabilita’ affettiva, sempre nell’ottica di assicurare l’esercizio del diritto del minore ad una effettiva bigenitorialita’.

  1. Il terzo motivo e’ pure fondato.

Nella specie, il minore (OMISSIS) ha compiuto 13 anni nel corso del giudizio di primo grado (ed oggi ha 15 anni) ed e’ stato sentito dai consulenti tecnici nominati, su delega del Tribunale, in particolare da un neuropsichiatra infantile.

Preliminarmente deve essere evidenziato che il procedimento in questione e’ stato instaurato in primo grado successivamente al 1/1/2013, data di entrata in vigore della L. n. 219 del 2012, abrogativa dell’articolo 155 sexies c.c.Dalla predetta nuova disciplina normativa, l’ascolto del minore e’ previsto dall’articolo 315 bis, comma 3 e dopo l’entrata in vigore (7 febbraio 2014) del D.Lgs.Lgt. n. 154 del 2013 anche dall’articolo 336 bis e 337 octies c.c..

L’audizione del minore, inizialmente prevista nei procedimenti di dichiarazione dello stato di adottabilita’, di affidamento preadottivo e di adozione in casi speciali, nei procedimenti di separazione, divorzio, annullamento del matrimonio e altri procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio, oltre che in quelli volti ad ottenere il consenso mancante dell’altro genitore al riconoscimento, ha trovato dunque una sua generale consacrazione dell’articolo 315-bis c.c. con riguardo ai rapporti genitori-figli, e all’articolo 336-bis c.c., che ne disciplina le modalita’ di ascolto.

Questa Corte e’ costante nel ritenere che l’audizione del minore sia un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che lo riguardano e in particolare in quelle relative all’affidamento ai genitori, salvo che tale adempimento possa essere in contrasto con gli interessi del minore stesso, con la conseguenza che il mancato ascolto non sorretto da una espressa motivazione sulla contrarieta’ all’interesse del minore, sulla sua superfluita’ o sulla assenza di discernimento del soggetto interessato e’ fonte di nullita’ della sentenza, in quanto si traduce in una violazione dei principi del giusto processo e del contraddittorio.

Peraltro l’obbligatorieta’ dell’audizione del minore anche nel regime giuridico previgente era stata sancita dal fermo orientamento di questa Corte (Cass. 11687/2013Cass.19327/2015; Cass. 12957/2018). In particolare e’ stato affermato (Cass. 19202 del 2014) che l’audizione e’ “una caratteristica strutturale del procedimento, diretta ad accertare le circostanze rilevanti al fine di determinare quale sia l’interesse del minore ed a raccoglierne opinioni e bisogni in merito alla vicenda in cui e’ coinvolto”.

Nella pronuncia n. 6129/2015 di questa Corte (sempre con riguardo alla disciplina previgente in materia) si e’ ribadito che “l’ascolto costituisce una modalita’, tra le piu’ rilevanti, di riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato ed esprimere la propria opinione e le proprie opzioni nei procedimenti che lo riguardano, costituendo tale peculiare forma di partecipazione del minore alle decisioni che lo investono uno degli strumenti di maggiore incisivita’ al fine del conseguimento dell’interesse del medesimo”, pur non essendo tenuto il giudice a conformarsi alle indicazioni del minore in ordine al modo di condurre la propria esistenza, potendo la valutazione complessiva del suo superiore interesse condurre a discostarsi da esse, essendo tuttavia richiesta una puntuale e specifica motivazione.

Al riguardo, dall’esame delle norme che stabiliscono l’audizione del minore “nei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano” (cosi’ testualmente recita l’articolo 336 bis c.c.) emerge una diversa modulazione dell’obbligo di ascolto del minore dodicenne rispetto a quello di eta’ inferiore.

Per la prima ipotesi, la presunzione della capacita’ di discernimento, fissata in via legislativa, impone al giudice di primo grado di prevedere, anche d’ufficio, (Cass. 19202 del 2014) una scansione procedimentale dedicata all’ascolto stesso, (Cass., n. 1687/2013; n. 6129 del 2015), da svolgersi secondo le modalita’ stabilite dell’articolo 336 bis, commi 2 e 3, all’interno delle quali spiccano l’obbligatorieta’ della conduzione da parte del giudice e la preventiva informazione del minore sulla natura del procedimento e sugli effetti dell’ascolto, salvo che motivatamente non si ritenga l’ascolto superfluo o contrario all’interesse del minore. La mancanza di un’esplicita motivazione al riguardo determina la nullita’ del procedimento di primo grado per omessa ingiustificata audizione dello stesso minore (Cass. 32309/2018, da ultimo).

Ora, sia pure con riguardo all’ascolto del minore infradodicenne, capace di discernimento, questa Corte ha di recente chiarito (Cass. 12957/2018) che “in tema di separazione personale tra coniugi, ove si assumano provvedimenti in ordine alla convivenza dei figli con uno dei genitori, l’audizione del minore infradodicenne, capace di discernimento, costituisce adempimento previsto a pena di nullita’, in relazione al quale incombe sul giudice un obbligo di specifica e circostanziata motivazione – tanto piu’ necessaria quanto piu’ l’eta’ del minore si approssima a quella dei dodici anni, oltre la quale subentra l’obbligo legale dell’ascolto – non solo se ritenga il minore infradodicenne incapace di discernimento ovvero l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore, ma anche qualora il giudice opti, in luogo dell’ascolto diretto, per un ascolto effettuato nel corso di indagini peritali o demandato ad un esperto al di fuori di detto incarico, atteso che l’ascolto diretto del giudice da’ spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda, mentre la consulenza e’ indagine che prende in considerazione una serie di fattori quali, in primo luogo, la personalita’, la capacita’ di accudimento e di educazione dei genitori, la relazione in essere con il figlio”.

Nella specie, risulta dalla sentenza e dagli atti che il minore e’ stato sentito, nel corso del giudizio di primo grado, dai consulenti tecnici ed, in particolare, da un neuropsichiatra infantile, a cio’ delegato dal Tribunale; la Corte d’appello ha ritenuto, a distanza di tre mesi dalla decisione di primo grado, di non disporre una nuova audizione del minore, in quanto la stessa non risultava necessaria (atteso che presumibilmente il minore avrebbe rappresentato il desiderio di rimanere con la madre, continuando ad escludere la figura paterna) ed addirittura contraria al suo interesse, in quanto sarebbe stata fonte di un ulteriore stress per il minore.

Tuttavia, nella specie, il tempo trascorso dall’audizione del minore e la stessa violazione del principio di bigenitorialita’ dedotta, che non puo’ comportare la soppressione “ad ogni costo” della volonta’ del minore ultradodicenne, imponevano il rinnovo del suo ascolto, sia pure con il supporto di esperti del ramo. Proprio perche’ si trattava di minore di tredici anni (attualmente quindici), capace di discernimento anche se affetto una situazione personale di disagio e sofferenza, era necessario procedere al suo ascolto, anche considerato che l’ultima relazione aggiornata risaliva al 2015-2016.

  1. Il quinto motivo e’ infondato.

Invero, la Corte d’appello ha motivato sulle censure mosse alle modalita’ di espletamento delle consulenze tecniche d’ufficio, in primo grado, ritenendo che non vi erano state violazioni del principio del contraddittorio, avendo la parte personalmente rifiutato di prendere parte ai lavori del collegio peritale, cui tuttavia avevano partecipato il proprio difensore ed il proprio consulente di parte.

  1. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei motivi uno, due, tre, quattro, sei e sette del ricorso, respinto il quinto, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvedera’ alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi uno, due, tre, quattro, sei e sette del ricorso, respinto il quinto, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimita’.

Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52 siano omessi le generalita’ e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Sussiste la giurisdizione del Tribunale adito: l’ultima residenza abituale della coppia era nel circondario di Milano. La domanda diretta ad ottenere la separazione giudiziale va accolta. E ciò perché i fatti desunti dalla trattazione della causa dimostrano in modo inequivocabile che la prosecuzione della convivenza è divenuta ormai da tempo intollerabile ex art. 151, primo comma, c.c. Né occorre espletare una specifica istruttoria allo scopo di verificare se la convivenza sia divenuta realmente intollerabile. Infatti, in una doverosa visione evolutiva del rapporto coniugale, il giudice, per pronunciare la separazione, deve verificare, in base ai fatti emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione ed a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità, l’esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato, pur a prescindere da elementi di addebitabilità da parte dell’altro, la convivenza. Ove tale situazione di intollerabilità di verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto a chiedere la separazione: con la conseguenza che la relativa domanda costituisce esercizio di un suo diritto (Cass. Civ., sez. Isentenza 30 gennaio 2013 n. 2183).

Orbene, nel caso di specie, già la totale assenza del coniuge convenuto dalla lite ha reso evidente che le parti non hanno più intenzione di considerarsi marito e moglie, per effetto di un rapporto di coniugo disgregato dai fatti intervenuti nel tempo. Va, dunque, pronunciata la separazione personale come richiesta dalla ricorrente, in conformità al parere del Pubblico Ministero.

Quanto ai rapporti genitoriali, la parte resistente ha manifestato completo disinteresse per il fattivo esercizio della responsabilità genitoriale, rilevando così una condizione di verosimile scarsa adeguatezza all’assunzione di un consapevole ruolo di genitore, tale da rendere necessario l’affidamento monogenitoriale (ex multis, cfr. Cass. Civ., sez. 119 giugno 2008 n. 16593); il disinteresse del genitore per le questioni relative alla prole giustifica l’affidamento esclusivo in favore della parte ricorrente (già così Trib. Milano, sez. IX, sentenza 25 marzo 2013; sentenza 5 giugno 2013), per la quale deve essere formulata, in ordine alla idoneità genitoriale, una prognosi favorevole, alla luce del contegno serbato nel processo, nonché per il fatto di essersi occupata della prole con continuità e responsabilità.

 

Tribunale|Milano|Sezione 9|Civile|Sentenza|13 gennaio 2014| n. 329

Separazione giudiziale – Accertamento dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza – Art. 151, comma 1, c.c. – Accoglimento della domanda di separazione giudiziale – Non necessità di espletare una specifica istruttoria allo scopo di verificare se la convivenza sia divenuta realmente intollerabile – Visione evolutiva del rapporto coniugale – Giudice – Pronuncia di separazione – Verifica dell’esistenza di una condizione di disaffezione al matrimonio – Condizione incompatibile con la convivenza – Valutazione di ciò in base ai fatti emersi – Considerazione del comportamento processuale delle parti – Rilevanza delle risultanze del tentativo di conciliazione – Irrilevanza di qualsivoglia elemento di addebitabilità – Sussistenza di tale situazione di intollerabilità anche rispetto ad un solo coniuge – Diritto di quest’ultimo di chiedere la separazione – Domanda quale esercizio di un suo diritto – Caso di specie

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI MILANO

NONA SEZIONE CIVILE

in composizione collegiale e composto dai sigg.ri giudici

Dr. ssa Paola Ortolan – Presidente

Dott.ssa Laura Cosmai – Giudice

Dott. Giuseppe Buffone – Giudice rel., est.

riunito in Camera di Consiglio in data 4 dicembre 2013, sentita la relazione del giudice relatore e viste le conclusioni delle parti costituite e dell’Ufficio di Procura, ha pronunciato la seguente

Sentenza

definitiva

nel procedimento iscritto al n. 2562 dell’anno 2012, pendente

Tra

Th.Wa.,

nata a Chilaw (Sri Lanka)

Residente in Milano

Rappresentate legale: Avv. Li.Co.

Domicilio eletto: c/o Studio legale Milano

Procura alle liti: a margine dell’atto di ricorso

Parte attrice

Contro

Su.Ar.,

nato a Kurunegaka (Sri Lanka) Residente in Milano,

Parte Convenuta contumace

e con l’intervento dell’Ufficio di Procura

sulle seguenti

CONCLUSIONI:

per il P.M.: Dichiarare la separazione personale dei coniugi con conferma dei provvedimenti presidenziali del 14 febbraio 2013

Per l’attrice: come da separato allegato che segue unito alla sentenza

Ragioni di fatto e di diritto

I coniugi Th.Wa., nata a Chilaw (Sri Lanka) e Su.Ar., nato a Kurunegaka (Sri Lanka) contraevano matrimonio in data 28 dicembre 2004 presso l’Ambasciata della Repubblica Democratica Socialista di S.r.l. La. di Roma. Dall’unione nasceva il figlio Su.Ar., in data 6 novembre 2005, in Milano. La famiglia aveva da ultimo stabilito la propria residenza in Milano, alla via F.lli (…); luogo di attuale residenza della moglie e del minore. Con il ricorso introduttivo del giudizio, la moglie deduceva l’allontanamento del marito da casa dall’agosto del 2009, senza che questi avesse più fatto ritorno a casa. Chiedeva la separazione con affido esclusivo del minore a lei e un obbligo di mantenimento a carico del padre di Euro 500,00 mensili. Con ordinanza presidenziale del 14 febbraio 2013, il Tribunale affidava il minore in via esclusiva alla madre, cui assegnava la casa familiare; poneva a carico del padre il mantenimento per Euro 350,00 mensili. All’udienza del 28 maggio 2013 veniva dichiarata la contumacia del convenuto, alla luce della ritualità delle notificazioni. L’udienza di precisazione delle conclusioni veniva tenuta in data 24 settembre 2013 e i termini concessi ex art. 190 c.p.c. scadevano in data 24 ottobre 2013.

Sussiste la giurisdizione del Tribunale adito: l’ultima residenza abituale della coppia era nel circondario di Milano. La domanda diretta ad ottenere la separazione giudiziale va accolta. E ciò perché i fatti desunti dalla trattazione della causa dimostrano in modo inequivocabile che la prosecuzione della convivenza è divenuta ormai da tempo intollerabile ex art. 151, primo comma, c.c. Né occorre espletare una specifica istruttoria allo scopo di verificare se la convivenza sia divenuta realmente intollerabile. Infatti, in una doverosa visione evolutiva del rapporto coniugale, il giudice, per pronunciare la separazione, deve verificare, in base ai fatti emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, con particolare riferimento alle risultanze del tentativo di conciliazione ed a prescindere da qualsivoglia elemento di addebitabilità, l’esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato, pur a prescindere da elementi di addebitabilità da parte dell’altro, la convivenza. Ove tale situazione di intollerabilità di verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto a chiedere la separazione: con la conseguenza che la relativa domanda costituisce esercizio di un suo diritto (Cass. Civ., sez. Isentenza 30 gennaio 2013 n. 2183).

Orbene, nel caso di specie, già la totale assenza del coniuge convenuto dalla lite ha reso evidente che le parti non hanno più intenzione di considerarsi marito e moglie, per effetto di un rapporto di coniugo disgregato dai fatti intervenuti nel tempo. Va, dunque, pronunciata la separazione personale come richiesta dalla ricorrente, in conformità al parere del Pubblico Ministero.

Quanto ai rapporti genitoriali, la parte resistente ha manifestato completo disinteresse per il fattivo esercizio della responsabilità genitoriale, rilevando così una condizione di verosimile scarsa adeguatezza all’assunzione di un consapevole ruolo di genitore, tale da rendere necessario l’affidamento monogenitoriale (ex multis, cfr. Cass. Civ., sez. 119 giugno 2008 n. 16593); il disinteresse del genitore per le questioni relative alla prole giustifica l’affidamento esclusivo in favore della parte ricorrente (già così Trib. Milano, sez. IX, sentenza 25 marzo 2013; sentenza 5 giugno 2013), per la quale deve essere formulata, in ordine alla idoneità genitoriale, una prognosi favorevole, alla luce del contegno serbato nel processo, nonché per il fatto di essersi occupata della prole con continuità e responsabilità.

Quanto al mantenimento, tenuto conto della condotta del padre, vanno valutate le dichiarazioni della madre, come rese all’udienza presidenziale, e fissato un mantenimento di Euro 350,00 mensili oltre il concorso nelle spese extra al 50%, confermandosi, dunque, sul punto, l’ordinanza presidenziale che viene qui richiamata, anche per le motivazioni, ex art. 118 disp. att. c.p.c.

Non luogo a provvedere sulla casa familiare (via …): anche la madre l’ha abbandonata trasferendosi in via (…) in una abitazione Al.

Nulla per le spese di lite non essendosi costituito il marito.

Non luogo a provvedere alla comunicazione all’ufficiale dello Stato Civile: l’atto di matrimonio non risulta trascritto in Italia.

P.Q.M.

visti gli artt. 151, 156 cod. civ. il Tribunale di Milano, Sezione Nona Civile, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nel giudizio civile n. 2562/2012 disattesa ogni ulteriore istanza, eccezione e difesa, così provvede:

DICHIARA la separazione personale dei coniugi Th.Wa. nata a Chilaw (Sri Lanka), e Su.Ar., nato a Kurunegaka (Sri Lanka), i quali hanno contratto matrimonio in data 28 dicembre 2004 presso l’Ambasciata della Repubblica Democratica Socialista di S.r.l. La. di Roma.

AFFIDA il figlio Su.Ar., nato in data 6 novembre 2005, in via esclusiva alla madre, con suo collocamento prevalente presso l’abitazione della stessa. Il padre potrà tenere con sé il figlio minore per due pomeriggi a settimana, senza pernottamento, e, a settimane alterne, il pomeriggio del sabato o della domenica, prelevandolo dalla casa materna alle ore 15.00 e riportandolo alla madre entro le ore 19.00; tutto ciò previo accordo con la madre e fatti salvi i diversi accordi intrapresi dai genitori.

PONE a carico del padre l’obbligo di corrispondere alla madre la somma di Euro 350,00 a titolo di contributo mensile per il mantenimento della prole. La somma dovrà essere corrisposta, in via anticipata, entro il giorno 5 di ogni mese e sarà soggetta a rivalutazione monetaria annuale secondo gli indici Istat. Il padre contribuirà in misura pari al 50% alle spese mediche non coperte dal SSN e quelle scolastiche, previo accordo salva l’urgenza.

NULLA per le spese di lite

MANDA alla cancelleria per quanto di competenza e perché provveda alle annotazioni ed ulteriori incombenze di legge.

Così deciso in Milano il 4 dicembre 2013.

Depositata in cancelleria il 13 gennaio 2014.

 

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