SCHIACCIATO DA GRU CAMION? RISARCIT!! VIZI MANUTENZIONE
La Corte di Cass., sent. n. 4754/04 ha chiarito, infatti, che: «..In virtù del disposto dell’art. 2054, ultimo comma, cod. civ., il proprietario o il conducente dell’auto è responsabile dei danni derivanti da vizi di manutenzione o di costruzione dell’autoveicolo, indipendentemente da un suo comportamento colpevole; tuttavia, pur avendo questa responsabilità natura oggettiva, il nesso causale tra il guasto e la responsabilità del danno può essere interrotto se interviene un fattore esterno che, con propria autonoma ed esclusiva efficienza causale, determini il verificarsi del danno, nel qual caso unico responsabile di esso sarà il soggetto cui va ascritta la responsabilità in ordine al fattore sopraggiunto.» (principio poi ribadito anche da Corte di Cassazione, sentenza n. 11270/2014).
In materia di responsabilità civile, nell’ipotesi di concorso della vittima di un illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso, il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, patito “iure proprio” dai familiari del deceduto, deve essere ridotto in misura corrispondente alla parte di danno cagionato da quest’ultimo a sé stesso, ma ciò non per effetto dell’applicazione dell’art. 1227, comma 1, c.c., bensì perché la lesione del diritto alla vita colposamente cagionata da chi la vita perde non integra un illecito della vittima nei confronti dei propri congiunti, atteso che la rottura del rapporto parentale ad opera di una delle sue parti non può considerarsi fonte di danno nei confronti dell’altra, costituendo una conseguenza di una condotta non antigiuridica.».
– fin dal 1989, i fratelli YY/KK conducevano un’impresa familiare ex art. 230-bis c.c. attiva nella commercializzazione di prodotti per l’edilizia, con quote di partecipazione agli utili pari al 51% per YY e al 49% per KK (Doc. 19);
– nel 1999, YY acquistava un autocarro usato modello “Fiat F35 TB”, munito di gru idraulica ;
– nel 2002, sempre YY acquistava un secondo autocarro usato, modello “Iveco 190.36”, spostandovi la gru idraulica precedentemente installata sull’altro veicolo;
– l’automezzo veniva assicurato con UnipolSai Assicurazioni s.p.a. (polizza n. 0859510872302; pag. 19 del Doc. 21);
– il 1-10-2013, YY denunciava il furto dell’autocarro, poi ritrovato 2 giorni dopo con vari danni strutturali (Doc. 36);
– il 22-10-2013, alla guida del mezzo, KK si recava presso un cliente per consegnargli balle di conci di tufo e all’atto di scaricare l’ultimo lotto, intorno alle ore 12:30, la gru si staccava dal camion, scaraventando il manovratore sulla sommità di un muro di recinzione e schiacciandolo col proprio peso;
– il medico e i vigili del fuoco, intervenuti nell’immediatezza dell’incidente, non potevano che riscontrare il decesso di KK, avvenuto sul colpo;
– a seguito dell’infortunio, l’INAIL erogava ai superstiti una rendita annuale di € 14.384,88 complessivi (Doc. 43).
La difesa attorea riferiva inoltre che con sentenza n. 185 del 22-01-19, resa dal Tribunale di Lecce all’esito del procedimento n.r.g. dib. 2842/2015, YY era stato riconosciuto responsabile del reato di omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ex art. 589 co. 1 e 2 c.p. e condannato alla pena di due anni di reclusione, nonché al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile XX, da liquidarsi in sede civile, attribuendo una provvisionale di € 25.000.
Risultava ancora dai documenti che gli odierni attori (il 26-11-2013 XX; l’11-02-2016 JJ; il 10-04-2019 WW) avevano conferito mandato a GS Gestione Sinistri s.r.l. per tentare di ottenere in via stragiudiziale il preteso risarcimento: nonostante i numerosi solleciti inviati, il risultato non veniva raggiunto. Il 04-02-2020, i medesimi invitavano allora controparte alla negoziazione assistita, senza tuttavia ricevere riscontro.
- R.G. 5776/2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI BOLOGNA
TERZA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del giudice dott. Pietro Iovino, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile di I grado iscritta al N.R.G. 5776/2020
Promossa da
JJ (c.f. omissis), nato a (omissis), (Lecce), il (omissis)-(omissis)-1998, WW (c.f. omissis), nata a (omissis), (Lecce), il (omissis)-(omissis)-2000, XX (c.f. omissis), nata a (omissis), (Lecce), il (omissis)-(omissis)-1968, tutti residenti a (omissis), (Brindisi), in via (omissis) n. (omissis), con il patrocinio degli Avvocati Marco Impelluso (c.f. omissis) e Federico Manaresi (c.f. omissis), elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo a Casalecchio di Reno, (Bologna), in via Canale n. 45
– Attori –
Contro
YY (c.f. omissis), nato a (omissis), (Brindisi), il (omissis)-(omissis)-1963, residente a (omissis), (Brindisi), in via (omissis) n. (omissis)
– Convenuto contumace –
E
UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.P.A. (c.f. omissis), in persona del procuratore speciale Pierfrancesco Colaianni, con sede legale a Bologna in via Stalingrado n. 45, con il patrocinio dell’Avv. Massimo Coliva (c.f. omissis), presso il cui studio è elettivamente domiciliata a Bologna in via Galliera n. 19
– Convenuta –
CONCLUSIONI
depositate con note di trattazione scritta del 29-01-2021:
Attori:
“In via principale accertare e dichiarare la responsabilità esclusiva del signor YY, quale proprietario dell’autocarro Fiat Iveco 190.36 targato (omissis), nella determinazione del sinistro occorso in data (omissis) (omissis) 2013 in (omissis), (Lecce) – località (omissis), all’esito del quale il signor KK riportava lesioni personali che ne cagionavano la morte; per l’effetto, condannare in solido tra loro il signor YY e UnipolSai assicurazioni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, in qualità di compagnia assicuratrice del suddetto veicolo (polizza n. 0859510872302), al risarcimento, in favore degli esponenti, di tutti i danni – patrimoniali e non patrimoniali, diretti ed indiretti – a qualsiasi titolo subiti e subendi conseguentemente all’evento descritto in narrativa.
Su tutte le predette somme dovrà essere aggiunta la rivalutazione monetaria ed il risarcimento del danno per il mancato tempestivo godimento delle somme da quantificarsi con il criterio degli interessi compensativi al tasso annuo non inferiore al 4-5% o ad altro determinato di giustizia.
In ogni caso Con vittoria di spese e compensi del giudizio da distrarsi – ex art. 93 c.p.c. – in favore dell’avv. Marco Impelluso, che dichiara di aver anticipato le prime e di non aver riscosso i restanti. In via istruttoria [omissis]”.
Convenuta:
“Voglia l’ill.mo Tribunale adito, in via preliminare, disporre la sospensione del presente procedimento ai sensi dell’art. 75 comma 3° c.p.p.; nel merito, dichiarare improponibile, inammissibile e infondata ogni domanda svolta nei confronti della conchiudente, anche per difetto di legittimazione attiva degli attori e passiva dell’assicuratore; per insussistenza e inoperatività della invocata garanzia assicurativa e in ogni caso siccome infondata in fatto e in diritto;
in subordine, rigettare ogni domanda attorea siccome infondata in fatto e in diritto; in ulteriore subordine, ridurre il denegato risarcimento anche in via di compensazione in ragione del concorso colposo della vittima nella causazione dell’evento, fermo il difetto di legittimazione attiva degli attori sino a concorrenza delle somme erogate in loro favore da parte degli assicuratori sociali e di quanto percepito a titolo di provvisionale.
Col favore delle spese. In via istruttoria si insiste per l’ammissione delle seguenti istanze istruttorie [omissis]”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 19-05-20, XX, JJ e WW, in qualità rispettivamente di moglie e figli di KK, convenivano in giudizio il fratello di questi, YY, e Unipolsai Assicurazioni s.p.a., per sentirli condannare al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, patiti a seguito del decesso del congiunto, avvenuto il (omissis)- (omissis)-2013 a (omissis), (Lecce).
Esponevano in sintesi che:
– fin dal 1989, i fratelli YY/KK conducevano un’impresa familiare ex art. 230-bis c.c. attiva nella commercializzazione di prodotti per l’edilizia, con quote di partecipazione agli utili pari al 51% per YY e al 49% per KK (Doc. 19);
– nel 1999, YY acquistava un autocarro usato modello “Fiat F35 TB”, munito di gru idraulica “”;
– nel 2002, sempre YY acquistava un secondo autocarro usato, modello “Iveco 190.36”, spostandovi la gru idraulica precedentemente installata sull’altro veicolo;
– l’automezzo veniva assicurato con UnipolSai Assicurazioni s.p.a. (polizza n. 0859510872302; pag. 19 del Doc. 21);
– il 1-10-2013, YY denunciava il furto dell’autocarro, poi ritrovato 2 giorni dopo con vari danni strutturali (Doc. 36);
– il 22-10-2013, alla guida del mezzo, KK si recava presso un cliente per consegnargli balle di conci di tufo e all’atto di scaricare l’ultimo lotto, intorno alle ore 12:30, la gru si staccava dal camion, scaraventando il manovratore sulla sommità di un muro di recinzione e schiacciandolo col proprio peso;
– il medico e i vigili del fuoco, intervenuti nell’immediatezza dell’incidente, non potevano che riscontrare il decesso di KK, avvenuto sul colpo;
– a seguito dell’infortunio, l’INAIL erogava ai superstiti una rendita annuale di € 14.384,88 complessivi (Doc. 43).
La difesa attorea riferiva inoltre che con sentenza n. 185 del 22-01-19, resa dal Tribunale di Lecce all’esito del procedimento n.r.g. dib. 2842/2015, YY era stato riconosciuto responsabile del reato di omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ex art. 589 co. 1 e 2 c.p. e condannato alla pena di due anni di reclusione, nonché al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile XX, da liquidarsi in sede civile, attribuendo una provvisionale di € 25.000.
Risultava ancora dai documenti che gli odierni attori (il 26-11-2013 XX; l’11-02-2016 JJ; il 10-04-2019 WW) avevano conferito mandato a GS Gestione Sinistri s.r.l. per tentare di ottenere in via stragiudiziale il preteso risarcimento: nonostante i numerosi solleciti inviati, il risultato non veniva raggiunto. Il 04-02-2020, i medesimi invitavano allora controparte alla negoziazione assistita, senza tuttavia ricevere riscontro.
Per quanto precede, gli attori distinguevano le voci da risarcire — non quantificate, nonostante l’indicazione di criteri cui attenersi — in “danni complementari” non patrimoniali per la perdita del rapporto parentale e in “danni differenziali” patrimoniali: questi ultimi, a loro volta, rappresentati dalle spese sostenute per la tutela dei propri diritti (danno emergente) e dal venir meno del contributo economico di KK alla famiglia (lucro cessante). Su tali somme si chiedeva di riconoscere rivalutazione e interessi compensativi nella misura del 4-5%.
Nonostante la regolarità della notifica dell’atto di citazione, effettuata a mezzo PEC all’indirizzo y.yyyyyyy@pec.it, tratto dal Registro INIPEC, YY non si costituiva nel presente giudizio, venendo così dichiarato contumace nel verbale della prima udienza del 24-09-2020.
Con comparsa del 04-09-20, si costituiva invece UnipolSai Assicurazioni s.p.a., chiedendo in via preliminare la sospensione del presente giudizio in attesa del giudicato penale e, nel merito, di rigettare le avverse pretese sulla base delle argomentazioni che saranno analiticamente analizzate infra, sub 4.
Depositate le memorie previste dall’art. 183, co. 6 c.p.c., all’udienza del 19-01-2021, svoltasi con trattazione scritta, il giudice rigettava le richieste di prova: quelle orali perché generiche o inammissibili; gli ordini di esibizione documentale perché superflui o inammissibili.
Seguiva secondo la scansione di rito lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
- – Rapporti con il processo penale.
1.1 La convenuta — visto che si ignora se la sentenza penale di primo grado, che ha condannato per omicidio colposo YY, sia passata in giudicato — ha chiesto la sospensione del presente giudizio ex art. 75 co. 3 c.p.p. La norma prevede che: “Se l’azione è proposta in sede civile nei confronti dell’imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge.”.
La richiesta non può essere accolta, stante il principio enunciato nella recente Corte di Cass., Sez. Un., sent. n. 13661/2019, opportunamente richiamata dalla difesa attorea. In un caso analogo al presente, infatti, i giudici di legittimità hanno ritenuto che: «La sospensione [ex art. 75 co. 3 c.p.p.] non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell’impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato.». I principali motivi a sostegno di tale conclusione, argomentata partendo dal tenore degli artt. 651 e ss. c.p.p. sull’effetto vincolante del giudicato penale, sono stati ravvisati dalla Corte nella mancata coincidenza tra le parti dei due giudizi, nella diversità tra le regole che presiedono l’accertamento della responsabilità penale e di quella civile, nell’esigenza di non frustrare, in nome dell’uniformità dei giudicati, l’interesse delle parti a ricevere una rapida tutela delle proprie posizioni.
1.2 Gli attori hanno versato nel presente fascicolo molte delle prove documentali già vagliate dal giudice penale, nonché la corposa perizia sulle cause del sinistro, redatta in data 17-7-2017 dal perito Ingegner Lorenzo Spinelli, nel contraddittorio con i c.t.p. dell’imputato e della parte civile.
UnipolSai ha sostenuto, di contro, che nessuno di tali accertamenti le sia opponibile, siccome non aveva partecipato al processo penale (in qualità di possibile responsabile civile).
Con riguardo all’utilizzabilità dei documenti ai fini della decisione, si rileva come agli odierni convenuti sia stata data la possibilità di smentire in questa sede tali risultanze probatorie; sennonché YY ha scelto di rimanere contumace, e UnipolSai non ha fornito, né richiesto, prove sulla responsabilità dell’assicurato (ma solo volte a negare la propria obbligazione).
Con particolare riferimento, poi, alla relazione peritale, formata nel processo penale, costante giurisprudenza la definisce prova c.d. atipica, nel senso che — pur in mancanza, nel codice di rito civile, di una norma di chiusura come l’art. 189 c.p.p. — essa può essere valutata quale argomento nel contesto del restante compendio probatorio, anche in ossequio al principio del libero convincimento del giudice (cfr. da ultimo Tribunale di Reggio Emilia, sentenza 6-2-2020, a proposito peraltro di una consulenza disposta dal P.M.).
Nel caso di specie, la relazione appare convincente, per l’alta competenza del professionista incaricato e le argomentazioni lucide ed esaustive che contiene (oltre che, si ribadisce, non contestate puntualmente dalla convenuta).
1.3 Infine, quanto alla sentenza penale n. 185/19, si può affermare similmente che la stessa, sebbene non vincoli ratione imperii, sia condivisibile imperio rationis.
Dopo aver criticamente rivalutato daccapo tutto il materiale probatorio, infatti, per i motivi di seguito esposti questo giudice ritiene di condividere in linea di massima gli assunti cui è giunto il Tribunale di Lecce in ordine alla responsabilità del convenuto, sebbene con i dovuti, rilevanti distinguo che saranno svolti nel prosieguo.
- – Responsabilità di YY.
2.1 L’evento dannoso oggetto del presente giudizio — la morte di KK, nelle circostanze riferite — non è contestato, né d’altronde potrebbe esserlo alla luce dei rilievi, anche fotografici e autoptici, effettuati nell’immediatezza del fatto.
2.2 L’Ing. Spinelli ha individuato cinque cause dell’incidente (pagg. 28 e ss. della relazione peritale):
- i)errato fissaggio dei bulloni filettati della gru, che ha determinato un effetto intaglio, con instaurarsi di “microcricche” che hanno ridotto la sezione utile dei bulloni;
- ii)venir meno della coppia di serraggio dei bulloni, con conseguenti tensioni di taglio sulle viti, oltre che di trazione;
iii) utilizzo della gru oltre il peso massimo consentito in corrispondenza di quell’allungamento del braccio;
- iv)mancati controlli, visite periodiche e manutenzioni (in particolar modo dopo il furto dell’automezzo, avvenuto venti giorni prima dell’incidente);
- v)assenza di sistemi di ritenuta nel posto di manovra (cinture di sicurezza), che avrebbero evitato la caduta dell’operatore.
Con particolare riferimento al punto iv), risulta che (pag. 7 della relazione): l’autogru non era in regola con i controlli periodici già prima della vendita ad YY (periodo 1992-1999); anche dal 1999 al 2002 non venivano effettuate le prescritte visite annuali; nel 2002 la gru era spostata dall’autocarro “Fiat” a quello “Iveco”; ancora fino al 24-7-2008 non veniva eseguito alcun controllo; in quest’ultima data, i tecnici dell’Arpa accertavano l’adeguatezza del macchinario, con riguardo alle condizioni generali di manutenzione, all’esame degli organi principali e al comportamento durante le prove di funzionamento; non era stato adempiuto l’obbligo di comunicazione all’Azienda Usl per le macchine sprovviste di conformità CE, previsto dalle normative di settore; non era stata effettuata la c.d. indagine supplementare per i macchinari più vecchi di 20 anni.
Il perito definisce “..gravi..” queste carenze.
2.3 Il rispetto delle richiamate regole cautelari — dettate secondo le migliori scienza ed esperienza, esigibili in concreto dall’homo eiusdem professionis et condicionis — secondo il perito avrebbe evitato l’evento: “..L’analisi della documentazione in atti e le operazioni peritali svolte portano a stabilire che diverse sono le cause che hanno contribuito al verificarsi del sinistro, alcune di ordine preventivo, altre legate all’utilizzo della macchina. In definitiva, il sinistro non si sarebbe verificato se fossero stati eseguiti i controlli e le attività previsti dalla Legislazione e dalle Normative all’epoca vigenti: in sintesi: informazione, formazione e addestramento del personale che il D.Lgs. 81/2008 pone a carico del datore di lavoro; la revisione periodica annuale ed anche quella ventennale dell’autogru secondo quanto richiesto dalle leggi e dalla normativa all’epoca vigenti; l’adozione, in particolare, di sistemi di ritenuta dell’operatore sul posto di manovra; un accurato controllo tecnico e di manutenzione del mezzo subito dopo il furto e comunque prima del suo utilizzo; il regolare utilizzo dell’autogru, nel rispetto delle prescrizioni imposte per la conduzione, così come adeguatamente prescritta nel certificato di omologazione della macchina. ..” (pagg. 32-33 della relazione). Sussiste dunque il nesso di causalità materiale tra le concause indicate alle precedenti lettere i-v) e la morte di KK.
2.4 Affinché possa sussistere responsabilità per omissione, è necessario nondimeno che l’agente sia giuridicamente tenuto ad impedire l’evento, ossia esista la c.d. posizione di garanzia (art. 40 co. 2 c.p.).
La sentenza penale ha ravvisato tale posizione in capo all’imputato YY per due motivi principali:
– intanto, perché nell’atto di riconoscimento dell’impresa familiare del 29-12-1989 egli era indicato come titolare della stessa (con partecipazione agli utili del 51%), mentre KK vi compariva quale collaboratore, ancorché con espressa esclusione di un rapporto di lavoro subordinato (l’Asl di Lecce ha ravvisato invece una “subordinazione di fatto” tra i due fratelli, pag. 4 del Doc. 23);
– inoltre, perché nel verbale di riconsegna del mezzo dopo il furto, in data 3-10-2013, YY si era qualificato ai Carabinieri come amministratore unico dell’impresa (Doc. 36). Se ne è dedotto che egli avesse anche assunto in concreto la gestione del relativo rischio.
Si aggiunga che, nel verbale di sommarie informazioni rese da YY ai Carabinieri il pomeriggio dell’incidente (Doc. 24), egli aveva dichiarato: “Sono il legale rappresentante della ditta individuale YY e dove nella stessa ditta io rappresentavo il 51% mentre mio fratello KK rappresentava il 49% della stessa.“.
A questi argomenti deve esserne affiancato un altro, essenziale ai presenti fini: YY era il proprietario del camion e, come tale, aveva l’obbligo di curarne il buon funzionamento, a prescindere dall’eventuale rapporto lavorativo (Doc. 20 e carta di circolazione a pag. 18 del Doc. 21).
L’art. 2054 co. 4 c.c., infatti, prevede che il proprietario sia responsabile “..dei danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo.“. La giurisprudenza prevalente ritiene che questa disposizione introduca una responsabilità di natura oggettiva (indipendente dalla colpevolezza) a carico del proprietario, dalla quale egli potrebbe liberarsi soltanto fornendo la prova del caso fortuito (cioè dell’interruzione del nesso causale). La Corte di Cass., sent. n. 4754/04 ha chiarito, infatti, che: «..In virtù del disposto dell’art. 2054, ultimo comma, cod. civ., il proprietario o il conducente dell’auto è responsabile dei danni derivanti da vizi di manutenzione o di costruzione dell’autoveicolo, indipendentemente da un suo comportamento colpevole; tuttavia, pur avendo questa responsabilità natura oggettiva, il nesso causale tra il guasto e la responsabilità del danno può essere interrotto se interviene un fattore esterno che, con propria autonoma ed esclusiva efficienza causale, determini il verificarsi del danno, nel qual caso unico responsabile di esso sarà il soggetto cui va ascritta la responsabilità in ordine al fattore sopraggiunto.» (principio poi ribadito anche da Corte di Cassazione, sentenza n. 11270/2014).
Una simile prova liberatoria, all’evidenza, non è stata data né nel procedimento penale né nel presente: Unipolsai, anzi, non è neanche entrata nel merito della dinamica del sinistro, per cercare di fornire una ricostruzione alternativa.
2.4.1 Riassumendo sul punto, va, quindi, affermata la responsabilità di YY per l’incidente avvenuto il 22-10-2013: egli, infatti, avrebbe dovuto provvedere alla manutenzione dell’autocarro, sia come titolare dell’impresa edile (responsabile della sicurezza dei lavoratori ex art. 2087 c.c.) sia come proprietario del mezzo (ex art. 2054 co. 4 c.c.).
Non è, pertanto, condivisibile il rilievo della convenuta, secondo cui la domanda attorea si fonderebbe solo sul primo di questi due titoli: si veda, a tal proposito, la memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c., pagg. 4-5 (“L’azione risarcitoria […] è basata su altri presupposti, quali lo stato di manutenzione del camion, pacificamente di proprietà esclusiva del signor YY. […] Il problema è un altro: la responsabilità del signor YY sussiste in ragione delle condizioni in cui versava il veicolo di sua proprietà al momento del sinistro; tali condizioni, come già rilevato, non sono state oggetto di specifica contestazione da parte di UnipolSai Assicurazioni s.p.a. Erra quindi controparte laddove afferma che “gli attori hanno dedotto in via esclusiva una responsabilità datoriale”, perché il richiamo delle norme sulla responsabilità datoriale trova giustificazione nel fatto che queste ultime si pongono, sul piano logico-giuridico, in una prospettiva diversa da quella sulla quale è fondata l’azione risarcitoria: la violazione delle norme sulla responsabilità datoriale, unitamente ad altre violazioni, ha portato al verificarsi dell’evento rientrante nell’ambito della circolazione stradale.“.
2.5 In diritto penale — il cui obiettivo è la repressione dei reati — è sufficiente che la condotta considerata abbia contribuito a determinare l’evento (nel senso che eliminandola mentalmente lo stesso non si sarebbe verificato), affinché chi l’ha compiuta ne debba rispondere, salvo il sopravvenire di cause sufficienti a interrompere il nesso causale (art. 41 c.p.).
Diversa è la finalità principale della responsabilità civile: sebbene vi siano aperture a funzioni deterrenti (cfr. Corte di Cassazione, Sez. Un., sentenza n. 16601/2017), essa mira tuttora in primo luogo a riparare le conseguenze dannose dei fatti illeciti. Solo così, infatti, si spiegano l’attenzione per la piena compensazione del danno patito dalla vittima, la tendenziale indifferenza per il titolo di colpevolezza, l’esistenza di ipotesi di responsabilità oggettiva, la regola probatoria del “più probabile che non” etc.
Inoltre, al contrario della causalità penale, che è di tipo “all or nothing” siccome non ammette graduazioni, quella civile può essere modulata secondo il c.d. apportionment : «..Mentre infatti la causalità penale è orientata nella direzione dell’evento, da cui l’irrilevanza, ovvero l’equivalenza, delle cause concorrenti (art. 41 c.p., comma 1), la causalità civile guarda al danno, da cui l’incidenza della concausa umana colposa. Ciò che invero muta è il criterio di qualificazione. La causalità, sul piano giuridico, ancor prima che su quello scientifico, è un concetto qualificatorio (è una ‘funzione dell’intelletto’). Il criterio normativo di valutazione dipende dal punto di riferimento della sequenza eziologica. Se il punto di riferimento è l’evento, allora le concause non rilevano (diritto penale). Se il punto di riferimento è il danno, come accade nella causalità civile, allora le concause umane colpose acquistano rilievo.» (Corte di Cass., sent. n. 4208/17).
Il precipitato più significativo di tali principi è l’art. 1227 co. 1 c.c., comunemente inteso come norma sulla causalità materiale (a differenza del co. 2, che si occupa di quella giuridica): “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate.“. La ratio di tale disposizione è chiara: non si deve porre a carico del debitore la porzione di evento di cui non è responsabile.
2.5.1 Venendo al caso concreto, occorre rilevare allora come, delle cinque concause dell’incidente sopra riportate, sia ascrivibile direttamente ad YY soltanto l’omissione dei controlli prescritti dalle norme di settore (sub iv). Indirettamente, si può sostenere che una manutenzione accurata avrebbe consentito altresì di rimediare all’errato fissaggio dei bulloni filettati e di ripristinare la corretta coppia di fissaggio degli stessi (sub i e ii). Ancora, il convenuto può dirsi responsabile della mancanza delle cinture di sicurezza, dispositivo di protezione individuale che avrebbe dovuto garantire ai lavoratori dell’impresa, manovratori del mezzo (sub v).
Pur senza smentire la ricostruzione della posizione di garanzia di cui al punto precedente, la stessa va però precisata ora nell’ottica del concorso causale. Se è vero, infatti, che YY — nella duplice veste di titolare dell’impresa e di proprietario del mezzo — era tenuto a garantirne la sicurezza e, pertanto, deve rispondere del danno, non si possono trascurare circostanze che impediscono di addossare sul medesimo l’intera responsabilità dell’accaduto.
Il contesto lavorativo, infatti, non era certo quello di una grande azienda, con ruoli ben distinti al proprio interno; si trattava, al contrario, di una piccola impresa familiare ex art. 230-bis c.c., costituita tra due fratelli che dividevano i ricavi in misura pressoché identica (cfr. in questo senso gli artt. 21 e 60 del D.Lgs. n. 81/2008, che obbligano tutti i componenti dell’impresa familiare ad osservare le norme anti-infortunistiche). Risulta inoltre dalla sentenza penale che KK fosse il solo in possesso della patente di guida necessaria per autocarri come quello in oggetto e che, di conseguenza, si occupasse in prima persona del trasporto del materiale edile venduto nel negozio (cui invece era principalmente addetto YY). Che il veicolo venisse utilizzato in condizioni precarie (addirittura senza le necessarie cinture di sicurezza) è dunque imputabile anche a KK, il quale — purtroppo — ne ha pagato tragicamente le conseguenze.
Da ultimo sul punto, è palese come non si possa tout court ascrivere al fratello sopravvissuto la concausa sub iii, ossia il superamento del carico massimo per cui la gru era omologata, in corrispondenza di quell’allungamento: la circostanza, comunque da sola non interruttiva del nesso causale, rientra, infatti, nell’esclusiva responsabilità del defunto (“Il certificato di omologazione della gru impone di non superare allo sbraccio massimo di 20,62 metri il peso di 540 kg, ampiamente superato nel nostro caso..”, pag. 30 della perizia).
2.5.1.1 Per tutto quanto precede, il giudice ritiene di stimare nella misura del 50% il concorso causale dato da KK al proprio decesso: i due fratelli ne sono ugualmente responsabili.
2.5.2 Per completezza, occorre dar conto del fatto che la giurisprudenza si è interrogata sull’applicabilità del concorso colposo allorché l’azione sia promossa non dal creditore, ma dagli eredi.
La risposta al quesito è stata senz’altro positiva: «In materia di responsabilità civile, in caso di concorso della condotta colposa della vittima di un illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso, il risarcimento del danno, patrimoniale e non, patito “iure proprio” dai congiunti della vittima deve essere ridotto in misura corrispondente alla percentuale di colpa ad essa ascrivibile.» (Corte di Cassazione, sentenza n. 23426/2014).
Fermo il principio, si è tuttavia discusso ancora del titolo di tale decurtazione, atteso che l’art. 1227, co. 1, c.c. si riferisce in effetti al solo “creditore” (in questo caso i parenti, che non hanno dato però alcun contributo causale all’evento). Di recente, la Corte di Cassazione, sentenza n. 9349/2017 (confermata dalla successiva Corte di Cassazione, sentenza n. 10220/2017) ha puntualizzato che: «In materia di responsabilità civile, nell’ipotesi di concorso della vittima di un illecito mortale nella produzione dell’evento dannoso, il risarcimento del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, patito “iure proprio” dai familiari del deceduto, deve essere ridotto in misura corrispondente alla parte di danno cagionato da quest’ultimo a sé stesso, ma ciò non per effetto dell’applicazione dell’art. 1227, comma 1, c.c., bensì perché la lesione del diritto alla vita colposamente cagionata da chi la vita perde non integra un illecito della vittima nei confronti dei propri congiunti, atteso che la rottura del rapporto parentale ad opera di una delle sue parti non può considerarsi fonte di danno nei confronti dell’altra, costituendo una conseguenza di una condotta non antigiuridica.».
Al netto di questa doverosa precisazione teorica, si segnala come la medesima pronuncia abbia confermato, infine, la possibilità di fare ricorso, in via analogica, ai criteri di cui all’art. 1227 c.c. (gravità della colpa ed entità delle conseguenze), siccome applicazioni del generale principio di causalità.
Trova dunque avallo la riduzione equitativa operata al punto precedente, potendosi passare ora alla quantificazione dei danni patiti dagli attori.
- – Liquidazione del risarcimento.
3.1 Tra i pregiudizi di natura patrimoniale, gli attori hanno distinto danno emergente e lucro cessate.
3.1.1 A titolo di danno emergente, è stato ha chiesto in primo luogo (A) il rimborso delle spese sostenute per la difesa della parte civile nel procedimento penale (pag. 18 dell’atto di citazione).
Queste voci non possono essere riconosciute, atteso che sono già state liquidate nella sentenza penale di primo grado. Il provvedimento, peraltro, ha liquidato spese legali per € 3.350 oltre accessori, somma perfino superiore ai € 2.773,97 indicati nell’atto di citazione.
Non rileva il fatto che le fatture dei consulenti e dei legali fossero intestate a Gestione Sinistri s.r.l., che ha anticipato le spese, dal momento che la sentenza ha riconosciuto la somma a favore di XX, la quale potrà, quindi, saldare il proprio debito con l’infortunistica.
La seconda richiesta economica (B) riguarda le spese di assistenza stragiudiziale da rimborsare a Gestione Sinistri s.r.l. per il lavoro svolto nel tentativo di ottenere il risarcimento (pag. 19 dell’atto di citazione).
I principi generali richiamati dagli attori sulla risarcibilità quale danno emergente delle spese di assistenza stragiudiziale sono tratti da giurisprudenza consolidata. Tuttavia, proprio in virtù di tale inquadramento, deve rilevarsi la totale mancanza di prova sul punto, tant’è vero che la difesa nemmeno quantifica le voci da rimborsare.
In particolare, l’art. 11 del contratto di mandato concluso dagli attori con Gestione Sinistri s.r.l. (Doc. 7) prevedeva che i mandanti avrebbero corrisposto alla mandataria: “Nessun compenso […] nel caso in cui essa non ottenga alcun risarcimento, nemmeno a seguito di azione giudiziaria […]. Nel caso in cui la mandataria ottenga un risarcimento in nome e per conto del mandante, ad essa sono dovuti i seguenti compensi: (a) nel caso di transazione stragiudiziale, una somma riconosciuta a titolo di spese e/o compenso dal responsabile civile e/o dai suoi garanti e/o dai loro assicuratori, nella misura che verrà indicata nell’atto di transazione e che il mandante potrà disporre venga pagata direttamente alla mandataria; (b) in ogni caso (e quindi sia nell’ipotesi di transazione, sia nell’ipotesi di sentenza), in aggiunta all’importo sub (a), il mandante si obbliga a pagare alla mandataria, a titolo di corrispettivo per l’opera svolta, una somma pari al 10% (diecipercento), al netto dell’IVA, dell’importo liquidato a titolo di risarcimento. Tale misura può essere derogata, solo per iscritto, di comune accordo tra le parti del presente contratto“.
Posto che, data l’infruttuosità delle trattative stragiudiziali, si rientrerebbe nel secondo caso, occorre rilevare due profili. Intanto, difetta un nesso diretto tra le raccomandate di messa in mora inviate dall’infortunistica ai convenuti e il risarcimento riconosciuto nella presente sentenza: a prima vista, non pare che l’esito positivo di questo giudizio sia, per dir così, merito di Gestione Sinistri s.r.l. (l’eventuale credito di quest’ultima in forza della clausola riportata andrà valutato allora in altra sede). Inoltre, anche ammesso che gli attori debbano pagare all’infortunistica la percentuale pattuita (10% del risarcimento), essa andrebbe sottratta dall’ammontare liquidato e non certo aggiunta: aver stipulato un simile contratto, con compensi ben superiori alle normali spese legali, è una scelta che non può ricadere sui convenuti.
3.1.2 Passando al lucro cessante, gli attori si dolgono del venir meno del reddito apportato dal padre alla famiglia. In particolare, indicano in € 15.722 lordi il reddito più alto degli ultimi tre anni di vita del defunto, ai sensi dell’art. 137 del D.Lgs. n. 209/2005 (dichiarazione sub Doc. 47); adducono che lo stesso sarebbe raddoppiato nei successivi vent’anni di lavoro; stimano in 2/3 la quota di reddito effettivamente utilizzata per i bisogni della famiglia; invocano la capitalizzazione secondo tavole di mortalità attualizzate.
Secondo la c.d. teoria differenziale, per valutare il quantum del risarcimento occorre comparare il patrimonio del danneggiato prima e dopo l’evento, cosicché il creditore non risenta conseguenze pregiudizievoli (né si arricchisca indebitamente). In applicazione di tale principio, si discorre di compensatio lucri cum damno allorché il fatto lesivo abbia portato al creditore anche conseguenze economiche positive, che andranno scomputate dall’ammontare del risarcimento.
La Corte di Cassazione, Sez. Un., sentt. nn. 12564-12567/2018 hanno fatto il punto sull’istituto, chiarendo che le condizioni affinché operi la compensatio lucri cum damno sono due: l’identità della causa che ha originato i crediti e l’esistenza di un meccanismo legislativo di riequilibrio. Per dirimere, poi, le singole fattispecie, occorre guardare alla funzione del beneficio ottenuto dal danneggiato. In particolare, le pronunce richiamate hanno escluso il meccanismo in parola con riferimento alla pensione di reversibilità corrisposta dall’INPS al coniuge del defunto, mentre ne hanno affermato l’operatività per l’assicurazione contro i danni alle cose, per la rendita da inabilità permanente riconosciuta dall’INAIL in caso di c.d. infortunio in itinere e per l’indennità di accompagnamento versata dall’INAIL a un neonato con malformazioni. Ancora più di recente, Corte di Cass., sentenza n. 9380/2021 ha negato la compensatio lucri cum damno per l’indennità corrisposta a titolo di assicurazione sulla vita (che in effetti è innanzitutto una forma di risparmio).
Nel caso di specie, l’INAIL (posizione n. 91816743) sta corrispondendo a moglie e figli di KK la rendita ai superstiti riconosciuta dagli artt. 66 n. 4 e 85 del D.P.R. n. 1124/1965, per un importo di € 14.384,88 annui complessivi (Doc. 43). Tale somma è stata calcolata a partire dal reddito del defunto nell’ultimo anno di vita, moltiplicato per 90% (percentuale ottenuta sommando al 50% spettante al coniuge il 20% riconosciuto a ciascun figlio).
In proposito, la Corte di Cass., sentenza n. 26647/19 ha chiarito che: «Nel caso di uccisione di un lavoratore, l’Inail corrisponde ai congiunti che posseggano i requisiti di legge una rendita (D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 66, n. 4, e art. 85). Tale rendita è parametrata al reddito del de cuius, non può superare il 100% della retribuzione del defunto, quale che sia il numero degli aventi diritto; cessa se il coniuge superstite contrae nuove nozze; cessa quando il figlio che ne fosse beneficiario raggiunga il ventunesimo anno di età, ovvero il ventiseiesimo se studente universitario (D.P.R. cit., art. 85). Tali caratteristiche palesano che la rendita di cui si discorre ha lo scopo solidaristico di sollevare i congiunti del defunto dallo stato di bisogno in cui la legge presume (juris et de jure) che essi verrebbero a trovarsi in conseguenza della perdita del contributo economico che il lavoratore deceduto apportava alla propria famiglia. La rendita, quindi, ha lo scopo di indennizzare un pregiudizio patrimoniale, e non certo un danno non patrimoniale. Ne consegue che le somme erogate dall’ Inail per il suddetto titolo non possono essere defalcate dal credito risarcitorio spettante ai congiunti del lavoratore deceduto a titolo di ristoro del danno non patrimoniale patito – sotto qualsiasi forma – in conseguenza dell’infortunio. La c.d. compensatio lucri cum damno (la quale non costituisce un istituto a sé, ma una regola empirica di corretta aestimatio del danno), infatti, non opera quando il vantaggio conseguito dalla vittima dopo il fatto illecito sia destinato a ristorare pregiudizi ulteriori e diversi da quello di cui ha chiesto il risarcimento, così come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U., Sentenza n. 12566 del 22/05/2018, Rv. 648649 – 01).».
La rendita ai superstiti erogata dall’INAIL, quindi, concorre con il (solo) risarcimento del danno patrimoniale: in applicazione di questo principio, Tribunale di Terni, sentenza 3-6-2020, ritenendo che la rendita coprisse per intero il pregiudizio economico subito, condivisibilmente non ha condannato il danneggiante per tale titolo (cfr. in senso conforme Corte d’Appello de L’Aquila, sentenza 19-2-2020, anche a proposito dell’eventuale surrogazione dell’INAIL).
3.1.2.1 Tanto è a dirsi anche in questo giudizio, per i seguenti rilievi:
– l’Istituto sta erogando una prestazione quasi pari al reddito del defunto, a fronte di una famiglia che ha visto diminuire il proprio nucleo e dunque le relative spese;
– la stessa difesa attorea ha stimato in 2/3 la parte di stipendio del defunto destinata ai bisogni della famiglia, ossia una percentuale inferiore a quella già riconosciuta dall’ INAIL (90%);
– il concorso causale di KK alla propria morte imporrebbe comunque di defalcare la posta di danno patrimoniale nella misura del 50%;
– il possibile raddoppio del reddito nel corso dei prossimi anni è un’allegazione priva di sostegno probatorio, anche perché trattavasi di impresa familiare senza prospettive certe di ulteriore crescita;
– quanto alla durata del sussidio pubblico, si è detto che per la moglie durerà tutta la vita (salvo nuove nozze), mentre per i figli fino all’età della presumibile autosufficienza economica: uguali criteri andrebbero applicati al danneggiante, dato che in ogni caso egli non potrebbe essere condannato a mantenere i familiari del defunto anche per un’epoca in cui questi non ne sarebbe più stato obbligato.
3.2 Venendo al danno non patrimoniale, gli attori hanno chiesto il risarcimento per la lesione del rapporto parentale causata dall’improvvisa morte di KK, loro marito e padre, avvenuta in data 22-10-2013 immediatamente a seguito dello schiacciamento da parte della gru.
Si tratta dunque di un diritto invocato iure proprio, per il dolore patito in prima persona dai congiunti, e non trasferito loro iure hereditario dal patrimonio del defunto (come accade invece per la sofferenza provata dall’infortunato prima di morire).
Anche con riferimento a questa particolare declinazione deve predicarsi l’unitarietà giuridica della categoria del danno non patrimoniale, affermata fin da Corte di Cass., Sez. Un., sentenza n. 26972/2008. Fermo l’obiettivo di risarcire interamente i pregiudizi derivanti dall’illecito, quindi, le nozioni di danno biologico/ morale/ esistenziale hanno una mera finalità descrittiva.
In questo senso, la più recente giurisprudenza di merito ha stabilito che: «È inammissibile, costituendo una duplicazione risarcitoria, l’attribuzione, al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza di un fatto illecito costituente reato, del risarcimento a titolo di danno da perdita del rapporto parentale e di danno esistenziale (inteso quale sofferenza soggettiva, ma che in realtà non costituisce che un aspetto del più generale danno non patrimoniale)..» (Tribunale di Imperia, sentenza 1-9-2020); «Implica duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale, nella sua rinnovata configurazione, e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ed unitariamente ristorato.» (Tribunale di Milano, sentenza 7-1-2021; così pure Tribunale di Firenze, sentenza 3-7-2020).
Anche al fine di garantire una giusta uniformità delle decisioni in casi analoghi, al netto delle dovute personalizzazioni, questo Tribunale adotta come riferimento per la liquidazione del danno non patrimoniale le tabelle elaborate dall’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano. Per quanto precede, i relativi importi sono da intendersi come onnicomprensivi (la stessa difesa attorea, del resto, implicitamente aderisce a questa ricostruzione, richiamando alcune pronunce sul punto e non chiedendo ulteriori voci di danno non patrimoniale).
La Corte di Cassazione, sentenza n. 33770/2019 ha chiarito peraltro che: «Costituisce affermazione oramai costante di questa Corte quella che il giudice deve applicare la tabella elaborata dall’osservatorio presso il Tribunale di Milano vigente al momento della liquidazione.». Pertanto, la seguente quantificazione avverrà sulla base delle Tabelle emesse l’8-3-2021 (peraltro precedenti alle comparse conclusionali). Il valore da riconoscere per la morte di un congiunto, identico per la scomparsa tanto di un genitore quanto di un coniuge, è ivi indicato in un intervallo tra € 168.250 e € 336.500.
Quanto all’onere della prova: «In linea generale, non v’è dubbio […] che spetti sempre al soggetto danneggiato da un fatto illecito dimostrare i fatti costitutivi della sua pretesa, e di conseguenza l’esistenza del danno stesso. Tale assunto trova applicazione anche con riguardo al “danno da rottura del rapporto parentale”, il quale non può dirsi sussistente “in re ipsa”, e pertanto deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento. Tuttavia, tale prova può essere fornita […] anche attraverso presunzioni semplici, ovvero invocando massime di esperienza e il cd. “id quod plerumque accidit”..» (Corte di Cassazione, ordinanza n. 9130/2021). Ancora: «La sussistenza del pregiudizio è presunta per i soggetti uniti da uno stretto legame di parentela col defunto (ovvero i membri della c.d. famiglia nucleare), mentre per gli altri congiunti […] postula la prova dell’effettiva esistenza e consistenza del vincolo affettivo..» (Corte di Cassazione, ordinanza n. 5452/20). In definitiva, non si può dubitare — poiché rientra nelle regole di comune esperienza — del fatto che le abitudini quotidiane e i progetti futuri di una famiglia felicemente convivente siano sconvolti dall’improvvisa scomparsa del padre, né che un lutto tanto inaspettato comporti un enorme carico di sofferenza interiore, sia momentaneo sia nel lungo periodo.
Per stabilire, necessariamente in via equitativa, l’ammontare del risarcimento, la recente Corte di Cassazione, sentenza n. 10579/2021 ha criticato l’ampiezza della forbice indicata dalle Tabelle di Milano e, preso atto della mancanza di criteri per orientarsi al suo interno, ne ha proposti alcuni: «Il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul ‘sistema a punti’, che preveda, oltre all’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella.». A questi criteri, una giurisprudenza di merito (ad es. Tribunale di Potenza, sentenza 14-1-2021) ne aggiunge condivisibilmente due: la composizione del nucleo familiare, siccome restare da soli è certamente peggio che poter contare sull’affetto di numerosi parenti; le modalità dell’illecito, non perché la quantificazione del risarcimento dipenda di per sé dal coefficiente psicologico del danneggiante (come sarebbe invece se la responsabilità civile avesse finalità sanzionatoria), ma perché si presume che delitti efferati, piuttosto che incidenti causati per mera colpa, provochino un più elevato trauma psicologico nei familiari della vittima.
Nell’attesa dell’emanazione di una nuova tabella per la liquidazione del danno da lesione del rapporto parentale, si può intanto fare ricorso ai parametri appena ricordati per rilevare che nel caso concreto:
– KK aveva 47 anni al momento del decesso, cioè un’età decisamente giovane, atteso che la speranza di vita supera in Italia gli 80 anni;
– la moglie XX è rimasta vedova all’età di soli 45 anni;
– il figlio JJ ha perso il padre appena quindicenne e la figlia WW a 13 anni;
– il matrimonio era stato contratto il (omissis)-(omissis)-1995 (Doc. 2), sicché si trattava di un’unione solida e di lungo corso;
– tutti e quattro i familiari convivevano nella stessa casa;
– non risultano agli atti elementi che possano far dubitare dell’intenso legame affettivo tra gli attori e il padre: le fotografie prodotte sub Doc. 49, anzi, testimoniano senz’altro di una famiglia felice.
Per tutte queste considerazioni, in accoglimento della domanda attorea (“..valori prossimi ai massimi..”), il Tribunale ritiene equo stimare nell’85% del massimo l’ammontare del risarcimento, per riservare l’intero — ancorché sia praticamente impossibile “..graduare i lutti..” — a situazioni ancor più particolari (come, per ipotesi estrema, il caso di una madre che lasci figli in tenerissima età, già abbandonati dal padre).
A ciascuno degli attori vanno, quindi, riconosciuti € 286.025 e così un totale di € 858.075. Questa somma, stante il concorso causale dato da KK al proprio decesso, dev’essere decurtata del 50%, liquidandosi un risarcimento complessivo di € 429.037 (€ 143.012 per ciascun attore).
Tale importo, naturalmente, già comprende la provvisionale di € 25.000 assegnata dal giudice penale alla parte civile XX, che, pertanto, andrà detratta.
3.3 L’obbligazione risarcitoria costituisce un debito di valore, su cui decorrono interessi di natura compensativa, per rimediare all’inevitabile ritardo nella percezione del dovuto.
Gli attori hanno chiesto di quantificare tali interessi nella misura del 2,5% annuo, “..pari al rendimento medio dei titoli di Stato dalla data del sinistro ad oggi, secondo l’indice Rendistato calcolato dalla Banca d’Italia..” (pag. 25 dell’atto di citazione; nelle conclusioni la percentuale sale al 4-5% annuo).
Ferma l’applicazione, come minimo, degli interessi al saggio legale, il giudice ritiene di applicare piuttosto il principio espresso dalla Corte di Cassazione, Sez. Un., sentenza n. 19499/2008, secondo cui al creditore può essere altresì riconosciuta, in via presuntiva, «..l’eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi del primo comma dell’art. 1284 cod. civ. ..».
Questo, con la precisazione che gli interessi decorrono sulla somma rivalutata anno per anno (Corte di Cassazione, Sez. Un., sentenza n. 1712/1995). Nel caso di specie, poiché la quantificazione del danno (c.d. aestimatio) è avvenuta sulla base delle Tabelle Milano 2021, e perciò a valori già attualizzati, non si dovrà procedere con alcuna rivalutazione dell’importo (c.d. taxatio); al contrario, sarà necessario devalutare a ritroso l’importo liquidato, dalla data della pubblicazione della presente sentenza fino al 22-10-2013. Per farlo, si prenderà come riferimento l’indice ISTAT delle variazioni dei prezzi al consumo per le famiglie di impiegati ed operai (c.d. indice F.O.I.), con divieto di anatocismo.
Dalla pubblicazione della sentenza fino al soddisfo, infine, decorreranno, sulla somma integrale oggi riconosciuta a titolo risarcitorio, ulteriori interessi nella misura di cui sopra: da questo momento, infatti, l’obbligazione di valore si trasforma in valuta, con conseguente applicabilità degli istituti propri di tale categoria (art. 1282 c.c.).
- – La posizione di Unipolsai Assicurazioni s.p.a.
La difesa della società convenuta si riassume in quattro argomenti principali, che saranno analizzati distintamente nei paragrafi seguenti. Va premesso che non risulta depositato nel fascicolo il contratto di assicurazione (n. 0859510872302), ma soltanto certificato e contrassegno (pag. 19 del Doc. 21); la convenuta, tuttavia, non ha negato l’esistenza dello stesso, né l’ha prodotto per eccepire alcunché del suo contenuto, sicché si può decidere sulla base del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c.
Il punto di partenza è costituito dall’art. 122 del D.Lgs. n. 209/2005 (c.d. Codice delle Assicurazioni Private), ai sensi del quale: “1. I veicoli a motore senza guida di rotaie, compresi i filoveicoli e i rimorchi, non possono essere posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate se non siano coperti dall’assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi prevista dall’articolo 2054 del codice civile e dall’articolo 91, comma 2, del codice della strada. Il regolamento, adottato dal Ministro dello sviluppo economico, su proposta dell’IVASS, individua la tipologia di veicoli esclusi dall’obbligo di assicurazione e le aree equiparate a quelle di uso pubblico. – 2. L’assicurazione comprende la responsabilità per i danni alla persona causati ai trasportati, qualunque sia il titolo in base al quale è effettuato il trasporto.”.
4.1 In primo luogo, UnipolSai ha eccepito che la morte di KK sia riconducibile ad un infortunio sul lavoro e non alla circolazione del veicolo, unico oggetto della polizza per la responsabilità civile auto. È vero che la sentenza penale, in particolare, ha insistito sugli obblighi di YY nella sua qualità di titolare dell’impresa familiare; tuttavia si è detto come il medesimo debba rispondere dell’evento lesivo anche in quanto proprietario del mezzo, tenuto alla sua manutenzione ex art. 2054, co. 4, c.c. Le due responsabilità, sebbene in questo caso riunite nella stessa persona, dunque, non si escludono a vicenda, ma si giustappongono.
Ove così non fosse, d’altronde, non troverebbe mai applicazione l’art. 142 del D.Lgs. n. 209/2005, che invece prevede: “Qualora il danneggiato sia assistito da assicurazione sociale, l’ente gestore dell’assicurazione sociale ha diritto di ottenere direttamente dall’impresa di assicurazione [per l’r.c.a., dato che questa disposizione è collocata nel relativo Titolo] il rimborso delle spese sostenute per le prestazioni erogate al danneggiato.”. La possibilità di surrogarsi data all’INAIL, in altri termini, presuppone l’esistenza di casi rientranti tanto nella copertura per gli infortuni sul lavoro quanto nella responsabilità civile auto (si pensi ad es. ai c.d. infortuni in itinere: Corte di Cassazione , ordinanza n. 27869/2017).
Emblematico, in questo senso, il caso recentemente deciso dal Tribunale di Termini Imerese, sentenza 18-11-20: un operatore ecologico, per il malfunzionamento del meccanismo di sollevamento dei cassonetti dell’immondizia, era rimasto intrappolato per la testa tra le ganasce del camion, riportando gravissime lesioni; il veicolo, di proprietà del Comune, risultava assicurato per la r.c.a. Il giudice ha riconosciuto la responsabilità dell’ente pubblico ex art. 2054 co. 4 c.c., ritenuto operante la garanzia assicurativa e non condannato i convenuti soltanto perché l’indennizzo erogato dall’INAIL, soggetto al riequilibrio della compensatio, era superiore ai danni patiti (decurtata la parte di responsabilità dell’operatore ecologico).
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37776/2019 si era occupata, in sede penale, di un altro caso analogo: un addetto alla raccolta dei rifiuti, a causa dell’insufficienza dei sistemi di contenimento, era stato sbalzato dal predellino su cui doveva rimanere tra una sosta e l’altra, restando ucciso a seguito dell’impatto con il terreno; il veicolo era assicurato per la r.c.a.; la compagnia di assicurazione (responsabile civile) aveva sostenuto che l’evento non fosse qualificabile come sinistro stradale, ma come infortunio sul lavoro e come tale escluso dalla copertura; le sentenze di primo e secondo grado avevano nondimeno condannato l’impresa di nettezza urbana e l’assicurazione, equiparando l’operatore ecologico a un terzo trasportato. I giudici di legittimità hanno cassato con rinvio la sentenza non perché l’r.c.a. sia incompatibile con gli infortuni sul lavoro, ma semplicemente per verificare in concreto se le lesioni al soggetto caricato sul predellino fossero menzionate tra i rischi assicurati.
Nel caso che occupa, invero, si ribadisce come UnipolSai si sia limitata a contestare in linea teorica — non condivisibilmente, per quanto precede — il cumulo tra la responsabilità del datore di lavoro e quella del proprietario del mezzo, ma non ha prodotto il contratto (per dimostrare che il pilota della gru fosse espressamente escluso dall’r.c.a. stipulata inter partes). In mancanza di specifica contestazione, deve, quindi, ritenersi che anche tale ipotesi fosse compresa nella generica copertura dell’automezzo, ferme restando le precisazioni che seguono con riguardo alle ulteriori eccezioni sollevate dalla convenuta.
4.2 In secondo luogo, UnipolSai ha sostenuto che la manovra della gru, con il camion fermo sui propri sostegni, non rientri nel concetto di circolazione, siccome non funzionale al movimento del mezzo.
Questa eccezione può essere superata alquanto agevolmente, dato che da tempo la giurisprudenza intende la nozione di circolazione, ai fini della responsabilità civile, in senso molto più ampio rispetto al linguaggio comune. Ne fanno parte, infatti, tutte le operazioni che il mezzo è destinato fisiologicamente a compiere (ivi inclusa la sosta, tanto che gli obbligati devono risarcire i danni causati, per es., dall’improvviso incendio del mezzo: Corte di Cassazione, sentenza n. 3108/2010).
La Corte di Cassazione, Sez. Un., sentenza n. 8620/2015 ha posto fine agli annosi dibattiti sul punto, con la massima ricordata da ambo le parti: «Il concetto di circolazione stradale di cui all’art. 2054 cod. civ. include anche la posizione di arresto del veicolo e ciò in relazione sia all’ingombro da esso determinato sugli spazi addetti alla circolazione, sia alle operazioni propedeutiche alla partenza o connesse alla fermata, sia, ancora, rispetto a tutte le operazioni che il veicolo è destinato a compiere e per il quale può circolare sulle strade. Ne consegue che per l’operatività della garanzia per R.C.A. è necessario che il veicolo, nel suo trovarsi sulla strada di uso pubblico o sull’area ad essa parificata, mantenga le caratteristiche che lo rendano tale in termini concettuali e, quindi, in relazione alle sue funzionalità non solo sotto il profilo logico ma anche delle eventuali previsioni normative, risultando invece indifferente l’uso che in concreto se ne faccia, sempreché esso rientri nelle caratteristiche del veicolo medesimo» (in senso conforme anche Corte di Cassazione, sentenza n. 3257/16 e ordinanza n. 27759/17).
Il caso concreto deciso dalle Sezioni Unite era molto simile al presente: un braccio meccanico, istallato sul veicolo, aveva urtato un cassone il quale, scivolando, aveva travolto la vittima. Le uniche due differenze sono le seguenti: il defunto, in questo caso, non è un terzo ma il manovratore della gru; il braccio meccanico non ha urtato un oggetto estraneo, ma si è staccato dal veicolo schiacciando esso stesso la vittima. Sulla prima discrasia, v. diffusamente infra, sub 4.4; la seconda non pare determinante, atteso che i soggetti di cui all’art. 2054 c.c. rispondono tanto delle manovre imprudenti quanto della cattiva manutenzione del mezzo (e quindi anche delle parti che si stacchino da esso).
4.3 In terzo luogo, UnipolSai ha rilevato come l’incidente non sia avvenuto su una strada pubblica o su area ad essa equiparata, come richiesto per l’operatività dell’r.c.a. dall’art. 122 cit., bensì su un fondo privato o comunque non accessibile ad un numero indeterminato di persone, adiacente all’immobile del committente i lavori edili.
I relativi capitoli di prova orale sono stati respinti dal giudice, siccome dalle fotografie agli atti si evince il contrario. Guardando attentamente il Doc. 22, contenente le immagini scattate dai Carabinieri subito dopo l’incidente, è agevole constatare come alcuno sbarramento separi la zona in cui si trovava il camion dalla pubblica via. Le immagini nn. 8, 12 e 23, in particolare, mostrano il cancello rosso di accesso all’abitazione del committente, aperto sulla “via 288 da denominare” (Doc. 21, relazione dei Carabinieri). Su tale strada circolano alcune autovetture (un’utilitaria bianca e alcuni mezzi di soccorso). Il furgone si trova a pochissimi metri dalla strada, nello slargo aperto a sinistra del cancello, adiacente al campo incolto. Pertanto, se le automobili transitano nella strada prospicente l’ingresso dell’abitazione, possono raggiungere anche la zona dell’incidente, senza che ostacoli di sorta lo impediscano.
La proprietà dell’area è del tutto indifferente, atteso che il D.M. Sviluppo Economico n. 86/2008 ha chiarito all’art. 3 che: “1. Sono soggetti all’obbligo di assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi di cui all’articolo 122 del Codice tutti i veicoli a motore senza guida di rotaie, compresi i filoveicoli e rimorchi posti in circolazione su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate. – 2. Ai fini di cui al comma 1: a) sono equiparate alle strade di uso pubblico tutte le aree, di proprietà pubblica o privata, aperte alla circolazione del pubblico; b) sono considerati in circolazione anche i veicoli in sosta su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate“.
Sebbene entrato in vigore successivamente ai fatti per cui è causa, può avere valore interpretativo anche il D.M. Sviluppo Economico n. 54/2020, che ha disciplinato i contenuti del “contratto base” di assicurazione r.c.a., in attuazione dell’art. 22 del D.L. n. 179/2012 convertito in Legge n. 221/2012: “Si intendono […] per ‘Aree equiparate alle strade di uso pubblico’: le aree di proprietà di soggetti pubblici o privati cui può accedere una molteplicità di veicoli, persone e animali quali, a titolo di esempio, le stazioni di servizio, i parcheggi dei supermercati, i cantieri aperti al pubblico, i parcheggi dei terminal o delle imprese di logistica; per ‘Aree private’: le aree di proprietà di soggetti pubblici o privati cui possono accedere soltanto i veicoli autorizzati, quali, a titolo di esempio, cantieri recintati, garage e cortili.” (All.to A, Definizioni).
D’altronde, per costante giurisprudenza: «Ai sensi degli artt. 1 e 18 della legge n. 990 del 1969 (applicabili ‘ratione temporis’), l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile spetta al danneggiato quando il sinistro sia avvenuto in un’area che, sebbene privata, possa equipararsi alla strada di uso pubblico, in quanto aperta ad un numero indeterminato di persone, che vi hanno accesso giuridicamente lecito, pur se appartenenti ad una o più categorie specifiche e pur se l’accesso avvenga per finalità peculiari e in particolari condizioni. (Principio affermato in fattispecie relativa ad un cantiere, cui potevano accedere coloro che vi lavoravano e chi aveva rapporti commerciali con l’impresa)» (Corte di Cassazione, sentenza n. 17017/2018 e, prima, sentenza n. 4603/2000, n. 20911/2005 e n. 9441/2012). Applicando al presente caso il concetto lato di cantiere, è evidente che per esso non si deve intendere solo il cortile dove era depositato il tufo, ma anche le zone immediatamente limitrofe, necessarie per il suo scaricamento.
Da ultimo, occorre tenere in debito conto i dubbi che hanno spinto la Corte di Cassazione, ordinanza n. 33675/19 a rimettere alle Sezioni Unite la questione “se l’art. 122 codice delle assicurazioni private debba interpretarsi, alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea, nel senso che la nozione di circolazione su aree equiparate alle strade di uso pubblico comprenda e sia riferita a quella su ogni spazio in cui il veicolo possa essere utilizzato in modo conforme alla sua funzione abituale“. La Corte del Lussemburgo, nelle pronunce richiamate dall’ordinanza, sembra tendere, infatti, ad un’interpretazione estensiva delle c.d. Direttive auto (da ultimo, la 2009/103/CE), che non tiene conto tanto del tipo di area su cui il veicolo è impiegato, quanto del rispetto della funzione abituale del mezzo.
Per come si sono svolti i fatti nel caso concreto, sarebbe allora francamente inaccettabile “farne una questione di centimetri”, cioè sostenere che sulla via 288 il camion sarebbe stato senz’altro coperto dall’assicurazione, mentre questa andrebbe esclusa appena un paio di metri più in là, solo perché in quel momento il furgone si era fermato nello slargo dietro l’angolo dell’abitazione in cui si dovevano eseguire i lavori (si ripete, in assenza di recinzioni o sbarramenti di sorta).
4.4 In quarto luogo, UnipolSai ha sostenuto che la copertura assicurativa non opererebbe, siccome KK era il conducente del veicolo al momento del sinistro: “Delle due l’una: o non si tratta di circolazione ed allora non opera l’assicurazione RCA, o se lo è l’operatore non può che essere il conducente. Vale a dire, se è circolazione stradale anche il manovrare la gru a veicolo fermo, si deve logicamente concludere che il manovratore è il conducente e quindi non appartiene al novero dei soggetti tutelati dalla normativa in tema di assicurazione obbligatoria ai sensi dell’art. 129 cod. ass.” (pag. 8 della comparsa di costituzione). Di contro, la difesa attorea ha replicato: “UnipolSai Assicurazioni s.p.a. non considera che il sinistro non consiste in uno scontro tra veicoli, sicché non ha senso parlare di conducente; non trovandosi alla guida del veicolo, il signor KK era quindi terzo rispetto ad esso” (pag. 4 della memoria ex art. 183 co. 6 n. 1 c.p.c.).
Nessuna delle due tesi coglie nel segno.
4.4.1 In origine, nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale, l’art. 4 della Legge n. 990/1969 stabiliva che: “Non sono considerati terzi e non hanno diritto ai benefici derivanti dai contratti di assicurazione obbligatoria stipulati a norma della presente legge: a) tutti coloro la cui responsabilità deve essere coperta dall’assicurazione; b) il coniuge, gli ascendenti e i discendenti legittimi, naturali o adottivi delle persone indicate alla lettera a) nonché gli altri parenti e affini fino al terzo grado delle stesse persone, quando convivano con queste o siano a loro carico in quanto l’assicurato provvede abitualmente al loro mantenimento. L’esclusione tuttavia non opera quando le dette persone siano trasportate dai veicoli indicati dall’art. 1, ultimo comma [destinati ad uso pubblico] o da natanti adibiti al servizio pubblico; c) le persone trasportate, salvo quanto disposto all’ultimo comma dell’art. 1 e al secondo comma dell’art. 2 [natanti]; d) ove l’assicurato sia una società, i soci a responsabilità illimitata e le persone che si trovano con questi in uno dei rapporti indicati alla lettera b)“. L’esclusione dei congiunti di cui alla lett. b) si spiegava con l’esigenza di evitare frodi, impedendo che l’assicurazione dovesse pagare risarcimenti a persone il cui arricchimento avrebbe giovato indirettamente ai soggetti di cui alla lett. a).
La Corte Costituzionale, sentenza n. 188/1991, nell’ottica di tutelare il diritto alla salute ed evitare discriminazioni tra le vittime degli incidenti stradali, dichiarava tuttavia l’illegittimità della lett. b), limitatamente ai danni alle persone.
Poco dopo, la Legge n. 142/1992, in attuazione della Direttiva 84/5/CEE, riformulava l’art. 4 in parola nei termini che seguono: “1. Non è considerato terzo e non ha diritto ai benefìci derivanti dal contratto di assicurazione obbligatoria stipulato a norma della presente legge il solo conducente del veicolo responsabile del sinistro. – 2. Ferme restando la disposizione di cui al secondo comma dell’art. 1 [L’assicurazione deve comprendere anche la responsabilità per i danni alla persona causati ai trasportati, qualunque sia il titolo in base al quale è effettuato il trasporto] e quella di cui al comma 1 del presente articolo, non sono inoltre considerati terzi e non hanno diritto ai benefìci derivanti dai contratti di assicurazione stipulati a norma della presente legge, limitatamente ai danni alle cose: a) i soggetti di cui all’art. 2054, terzo comma, del codice civile [proprietario, usufruttuario, acquirente con patto di riservato dominio]; b) il coniuge non legalmente separato, gli ascendenti e i discendenti legittimi, naturali o adottivi dei soggetti di cui al comma 1 e di quelli di cui alla lettera a), nonché gli affiliati e gli altri parenti e affini fino al terzo grado di tutti i predetti soggetti, quando convivano con questi o siano a loro carico in quanto l’assicurato provvede abitualmente al loro mantenimento; c) ove l’assicurato sia una società, i soci a responsabilità illimitata e le persone che si trovano con questi in uno dei rapporti indicati alla lettera b)“.
La norma è stata infine abrogata e trasfusa nel vigente art. 129 del D.Lgs. n. 209/2005 (“Soggetti esclusi dall’assicurazione“): “1. Non è considerato terzo e non ha diritto ai benefici derivanti dal contratto di assicurazione obbligatoria il solo conducente del veicolo responsabile del sinistro. – 2. Ferme restando la disposizione di cui all’articolo 122 , comma 2 [L’assicurazione comprende la responsabilità per i danni alla persona causati ai trasportati, qualunque sia il titolo in base al quale è effettuato il trasporto] e quella di cui al comma 1 del presente articolo, non sono inoltre considerati terzi e non hanno diritto ai benefici derivanti dai contratti di assicurazione obbligatoria, limitatamente ai danni alle cose: a) i soggetti di cui all’articolo 2054, terzo comma, del codice civile [proprietario, usufruttuario, acquirente con patto di riservato dominio] ed all’articolo 91, comma 2, del codice della strada [leasing]; b) il coniuge non legalmente separato, il convivente more uxorio, gli ascendenti e i discendenti legittimi, naturali o adottivi del soggetto di cui al comma 1 e di quelli di cui alla lettera a), nonché gli affiliati e gli altri parenti e affini fino al terzo grado di tutti i predetti soggetti, quando convivano con questi o siano a loro carico in quanto l’assicurato provvede abitualmente al loro mantenimento; c) ove l’assicurato sia una società, i soci a responsabilità illimitata e le persone che si trovano con questi in uno dei rapporti indicati alla lettera b)” (così anche il già citato D.M. Sviluppo Economico n. 54/20, All.to A, Definizioni).
Il diritto euro-unitario, che nel tempo ha aperto la strada all’allargamento dei beneficiari dell’r.c.a., con la vigente e già richiamata Direttiva 2009/103/CE ha peraltro confermato che: “I membri della famiglia dell’assicurato, del conducente o di qualsiasi altra persona la cui responsabilità civile sia sorta a causa di un sinistro e sia coperta dall’assicurazione di cui all’articolo 3 [r.c.a. obbligatoria] non possono essere esclusi, a motivo del legame di parentela, dal beneficio dell’assicurazione per quanto riguarda i danni alle persone” (art. 12).
Il quadro normativo è dunque chiaro nell’escludere il conducente dalla copertura assicurativa: l’assunto retrostante è ovviamente ch’egli, in quanto responsabile della guida, di solito abbia anche un ruolo preminente nella causazione del sinistro (così già Corte di Cassazione, sentenza n. 4949/1980). D’altronde, le compagnie di assicurazione si sono adeguate a tale esclusione, offrendo polizze opzionali per la protezione del conducente.
4.4.2 Nel caso di specie, Unipolsai ha ragione quando afferma che KK debba essere considerato conducente dell’autogru: se si include la sua movimentazione, come ritenuto nel precedente paragrafo 4.2, nell’ampio concetto di circolazione rilevanti ai fini dell’r.c.a., infatti, non vi è dubbio che il manovratore sia, per dir così, il conducente di quella particolare operazione, rientrante nell’uso fisiologico del veicolo.
Questa considerazione non è però la parola fine alla presente disamina: vi sono infatti due argomenti ancora da prendere in considerazione.
4.4.3 Le nozioni di “proprietario” e “conducente” non vanno prese in astratto, come fossero invariabili etichette, ma declinate nelle fattispecie concrete.
Per questo, giurisprudenza costante ha incluso tra i soggetti trasportati, coperti dall’assicurazione, il passeggero che sia anche proprietario del veicolo (evidentemente guidato, al momento dell’incidente, da un’altra persona): «In tema di assicurazione della responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli, la disciplina di diritto interno deve essere interpretata in conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, alla luce della quale la qualità di vittima-avente diritto al risarcimento prevale su quella di assicurato-responsabile. Pertanto il proprietario del veicolo, il quale al momento del sinistro viaggiava sullo stesso come trasportato, ha diritto ad ottenere dall’assicuratore il risarcimento del danno derivante dalla circolazione non illegale del mezzo, senza che assuma rilevanza la sua eventuale corresponsabilità, salva l’applicazione, in detta ipotesi, dell’art. 1227 c.c.» (Corte di Cassazione, ordinanza n. 1269/18; cfr. anche Corte di Cassazione, ordinanza n. 13738/20, che riprende Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sentenza 30-6-05, C-537/03; per un’applicazione nella giurisprudenza di merito, v. Tribunale di Spoleto, sentenza 23-9-2020).
Bisogna ora chiedersi quid iuris quando, all’opposto, il conducente resti pregiudicato (non per una propria manovra imprudente, ma) per la mancata manutenzione del veicolo da parte del proprietario. Si è detto, infatti, come la ratio della sua esclusione dalla copertura riposi principalmente nella preminenza che, di solito, egli ha nella dinamica del sinistro. Anche per questo — forse — il D.M. Sviluppo Economico n. 54/2020 ha precisato, più esplicitamente dell’art. 129 cit., che il conducente escluso dal risarcimento è solo quello “responsabile dell’incidente” (All.to A, Definizioni).
Ebbene, in un caso in cui l’improvviso scoppio di uno pneumatico vetusto aveva portato alla morte del conducente, la Corte di Cassazione, sentenza n. 19883/2011 ha stabilito che: «È del tutto inconferente il riferimento che la compagnia ricorrente rivolge alla L. n. 990 del 1969, art. 4 (ossia all’esclusione del conducente dalla copertura assicurativa), posto che quella che viene in contestazione nel caso in esame è la responsabilità del proprietario per difetto di manutenzione, quale causa dell’evento letale verificatosi ai danni del conducente». Dalla pronuncia è stata tratta la seguente massima: «In tema di assicurazione della responsabilità civile da circolazione di veicoli, i soggetti assicurati, per espressa previsione dell’art. 1 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, sono quelli previsti dall’art. 2054 cod. civ., tra i quali è incluso il proprietario del veicolo. Poiché, ai sensi dell’art. 2054, comma quarto, cod. civ., il proprietario è responsabile dei danni derivati da vizi di costruzione o da difetto di manutenzione del veicolo, anche questa responsabilità, allorché attenga ad eventi dannosi verificatisi durante la circolazione sulle strade, è coperta dall’assicurazione obbligatoria, di cui all’art. 1 della legge 24 dicembre 1969, n. 990, con la conseguenza che per essa risponde anche l’assicuratore. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto risarcibili da parte dell’assicuratore i danni correlati alla responsabilità del proprietario di un autocarro per difetto di manutenzione, consistente nell’utilizzo di uno pneumatico vetusto, causa della morte del conducente del veicolo)». Per inciso, stante l’inclusione di questo caso nella copertura da parte dell’assicurazione, non vi sono motivi per escludere l’azione diretta contro quest’ultima ex art. 144 Cod. Ass.
La sentenza ha aggiunto peraltro: «Che, poi, la responsabilità per difetto di manutenzione del veicolo possa essere addossata anche al conducente è questione di merito che in quella sede deve essere affrontata.». In applicazione di questo arresto, per es., la Corte di Cassazione, sentenza 14959/2012 ha confermato la decisione di merito che, nonostante lo scoppio della ruota, aveva posto interamente a carico del conducente, incapace di far fronte all’imprevisto, la responsabilità del sinistro. Nel caso che occupa, questo profilo è già stato ampiamente trattato al paragrafo 2.5: basti qui ribadire la responsabilità di YY, proprietario del mezzo, per il difetto di manutenzione e la decurtazione per il paritario concorso colposo del fratello KK, che dimezza — ma non esclude — l’obbligazione dell’assicurazione.
Si può dunque convenire che l’assicurazione per la r.c.a. debba risarcire i pregiudizi sofferti dal conducente per difetto di manutenzione del veicolo, imputabile al proprietario, salvo l’eventuale concorso colposo del conducente stesso nella causazione del sinistro. In questo caso, dunque, l’esclusione del conducente dalla copertura assicurativa, prevista dall’art. 129 co. 1 del D.Lgs. n. 209/2005, non opera.
4.4.4 Quando il conducente è responsabile del sinistro (A), allora, in forza dell’art. ult. cit. l’assicurazione non dovrà risarcire né le lesioni che lo stesso si sia cagionato, né (in caso di decesso) il danno da perdita del rapporto parentale subito dai congiunti (perché, come già rilevato, la morte della persona cara per sua colpa esclusiva non può considerarsi un illecito nei loro confronti). Sempre con riguardo ai parenti, peraltro, si ricordi che il combinato disposto degli artt. 122, co. 2, e 129, co. 2, Cod. Ass. prevede che l’assicurazione sia tenuta a risarcire le lesioni riportate, qualora essi siano “terzi trasportati” sul veicolo.
Quando invece la causa dell’incidente sia imputabile, in tutto o in parte, al proprietario per difetto di manutenzione (B), si è appena detto che l’assicurazione deve coprire il danno per le lesioni (B1) riportate tanto dal conducente quanto (a maggior ragione) dal parente terzo trasportato. L’ultima situazione da analizzare, allora, è proprio il caso di specie, in cui il conducente è morto (B2) per responsabilità (ancorché parziale) del proprietario.
Anche in questa ipotesi l’assicurazione deve essere obbligata al risarcimento, perché morire non può essere più conveniente che ferirsi. Soltanto che, in questa circostanza, il risarcimento non potrà che essere chiesto dai congiunti della vittima, sub specie di perdita del rapporto parentale. Poiché, come si è già avuto modo di esporre, è del tutto normale che dalla morte di una persona derivino, come conseguenza immediata e diretta, intense sofferenze nei congiunti, sarebbe, infatti, irragionevole consentire il risarcimento del dolore fisico (B1) e non anche di quello morale (B2). Non vi è nemmeno bisogno di ricorrere alla vecchia e ormai superata figura del “danno riflesso“, poiché, più semplicemente, la morte di una persona è un illecito plurioffensivo, che oltre al decesso provoca conseguenze di ordine interno nei sopravvissuti legati da vincoli affettivi.
Di conseguenza — quando, si ribadisce, sussiste la responsabilità del proprietario — il congiunto del conducente, terzo trasportato sopravvissuto, potrà chiedere il risarcimento (per le eventuali lesioni fisiche riportate, nonché) per la sofferenza interiore derivante dalla morte del conducente.
Per ragioni di uguaglianza, deve ammettersi che anche il congiunto non trasportato (e dunque non ferito nel corpo) possa agire in tal senso. Da un certo punto di vista, infatti, è come se tutte le persone care della vittima fossero “terzi trasportati”: trattandosi di sofferenza interiore, non assume alcun rilievo il fatto che esse fossero o meno fisicamente presenti sul veicolo.
La difesa degli attori erra dunque quando sostiene che, non trattandosi di scontro tra automobili, KK fosse terzo estraneo rispetto al camion che stava manovrando. Il punto, invece, è che terzi sono i suoi parenti: i quali, infatti, hanno agito iure proprio per il danno da perdita del rapporto parentale (esattamente come se avessero chiesto il risarcimento di lesioni fisiche subite in qualità di trasportati).
La soluzione proposta, del resto, non contrasta con il tenore letterale dell’art. 129 Cod. Ass., il quale in definitiva afferma che nella copertura assicurativa: – sono inclusi tutti i soggetti trasportati (anche se parenti); – sono esclusi i soli “danni alle cose” cagionati ai parenti (anche se non trasportati, ad es. investiti sulla strada). Si potrebbe discutere, a questo punto, se il danno da perdita del rapporto parentale faccia parte dei “danni alle cose” che la norma esclude dal risarcimento ai parenti. In effetti, la nozione non coincide l’alternativa conosciuta dal diritto civile, tra danno patrimoniale e non patrimoniale. Tutt’al più, con un’interpretazione rigida, si potrebbe comprendere tra i “danni alle cose” la parte economica del complessivo pregiudizio derivante dalla morte del congiunto. Non vi possono invece essere dubbi sul fatto che il danno morale/esistenziale, ubi consistam della lesione del rapporto parentale (nonché unica voce qui riconosciuta), sia estraneo dei “danni alle cose” materiali.
4.4.5 Nonostante l’oggettiva particolarità del caso, non si deve credere che non esistano in giurisprudenza precedenti analoghi, almeno in qualche misura.
In un caso, per colpa del marito alla guida, una donna, trasportata sul veicolo, di cui era comproprietaria, moriva; i due figli, pure trasportati, rimanevano feriti; in giudizio, oltre a questi ultimi, agivano i parenti della donna, non trasportati. Il Tribunale accoglieva tutte le domande per il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, sia dei figli sia degli altri parenti. La Corte d’Appello rovesciava la sentenza, negando la liquidazione di quella voce. La Corte di Cassazione, sentenza n. 2503/2002 ha affermato invece il seguente principio di diritto, ancora valido nonostante i nuovi riferimenti normativi: «In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile da circolazione stradale e nel vigore dell’art. 4 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 anteriore alle modifiche apportatevi dalla legge 19 febbraio 1992, n. 142, nel caso in cui, per colpa del conducente, muoia il proprietario che era trasportato sul veicolo, i prossimi congiunti del proprietario deceduto hanno diritto ad ottenere, mediante il pagamento della indennità di assicurazione, il risarcimento del danno morale che essi risentono in conseguenza di tale morte: ciò in base alla lett. b) dell’art. 4 nel testo risultante dalla sentenza 2 maggio 1991 n. 188 della Corte Costituzionale, trattandosi di danno alla persona direttamente risentito dagli stessi congiunti, mentre non rileva che al proprietario il quale avesse riportato lesioni poi seguite da morte non sarebbe spettata analoga indennità per l’ostacolo che derivava dalla lett. a) dello stesso art. 4». Invertendo conducente e proprietario — dato che nel caso di specie è morto il primo per colpa del secondo e non viceversa — il risultato non cambia, giacché i due sono accomunati nell’art. 129 cit. vigente.
Lo stesso principio è stato confermato, più di recente, dalla Corte di Cassazione, sentenza n. 2362/10, la quale ha ribadito tra l’altro che: «I prossimi congiunti, i quali chiedano il risarcimento del danno morale per la morte di una persona rimasta vittima di un omicidio colposo, “fanno valere un diritto proprio, non un diritto sorto in capo al defunto”. Ed infatti, la sofferenza morale per cui chiedono una riparazione è bensì una ulteriore conseguenza dell’evento rappresentato dalla morte del congiunto, evento che si ricollega con nesso di causalità al fatto illecito, ma è lesione direttamente arrecata ad un diritto di cui sono essi immediatamente i titolari. Quindi, alla stregua delle norme sull’assicurazione obbligatoria, escluso dai benefici il primo evento (la morte della persona non terza), non per questo deve escludersi l’ulteriore conseguenza di tale morte (la sofferenza psichica dei prossimi congiunti).».
In senso difforme, per completezza, deve segnalarsi la pronuncia resa dalla Corte di Cassazione penale, sentenza n. 46217/2012, ripresa sulla stessa vicenda fattuale da Corte di Cassazione, sentenza n. 24977/2020: queste pronunce, tuttavia, si sono occupate sbrigativamente del profilo qui considerato, dato che l’oggetto del giudizio riguardava piuttosto una “polizza conducente” di fonte contrattuale, tale da coprire solo i rischi ivi dedotti, esulando dunque dall’applicazione della disciplina dell’assicurazione r.c.a. obbligatoria, recata dal D.Lgs. n. 209/2005.
- – Regolazione delle spese di lite.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono poste a carico di YY e di UnipolSai Assicurazioni s.p.a. Esse vanno liquidate secondo notula negli importi indicati in parte dispositiva.
Non deve farsi luogo all’aumento (facoltativo) per la difesa di più parti previsto dall’art. 4, co. 2 del D.M. cit., giacché in questo caso le loro posizioni erano interamente sovrapponibili.
5.1 Con riferimento infine all’art. 96 c.p.c., invocato dagli attori per non aver UnipolSai aderito alla richiesta di negoziazione assistita, si rileva come l’art. 4 del D.L. n. 132/2014 convertito in Legge n. 162/2014 lasci al giudice un ampio margine di discrezionalità (“può essere valutata“): non si ritiene di condannare la convenuta a tale titolo, atteso che l’elevato valore e l’oggettiva complessità della causa avrebbero con ogni probabilità reso comunque indispensabile lo sbocco processuale.
PER QUESTI MOTIVI
Il giudice, definitivamente pronunciando, disattesa o assorbita ogni diversa istanza o eccezione:
1) condanna i convenuti al pagamento in solido per i titoli indicati in motivazione della somma complessiva di € 429.037, cioè € 143.012 in favore di ciascuno degli attori, XX, JJ e WW, somma calcolata al lordo della provvisionale di € 25.000 di cui alla sentenza n. 185/2019 del Tribunale di Lecce, oltre rivalutazione e interessi come da motivazione;
2) condanna YY e Unipolsai Assicurazioni s.p.a. in solido al pagamento delle spese di lite in favore degli attori, liquidate in complessivi € 8.030,00 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15%, oltre ad c.p.a. ed i.v.a se dovuti e nelle aliquote di legge; nonché € 119 di spese imponibili ed € 545 di spese esenti; con distrazione in favore dell’Avv. Marco Impelluso, dichiaratosi antistatario.
Bologna, lì 21.07.2021
Il Giudice
dott. Pietro Iovino
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