RISANAMENTO GRANDI IMPRESE IN CRISI BOLOGNA MILANO VICENZA TREVISO RAVENNA FORLI
L’art. 67, comma 2, lett. d), L.F. prevede infatti che non sono soggetti all’azione revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore, purché posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria.
Il piano attesto di risanamento è pertanto uno strumento attraverso cui il debitore si propone di realizzare i seguenti obiettivi, vale a dire:
il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa;
il riequilibrio della situazione finanziaria dell’impresa.
L’art. 67, comma 2, lett. d), L.F. prevede inoltre che un professionista indipendente, designato dal debitore, attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano.
Il professionista deve inoltre essere in possesso di alcuni requisiti specifici per poter essere designato dal debitore poiché egli deve:
essere iscritto nel registro dei revisori legali;
essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 28, lett. a) e b), L.F.;
essere indipendente, non potendo essere legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento, da alcun rapporto di natura personale o professionale;
essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399 c.c.
Presupposto soggettivo: possono accedervi le imprese (siano imprenditori individuali o società commerciali) ritenute fallibili dall’ art. 1 , L.F. che recita: “Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici. Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
Art. 67. Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie.
Art. 67. (Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie).
Sono revocati, salvo che l’altra parte provi che non conosceva lo stato d’insolvenza del debitore:
1) gli atti a titolo oneroso compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto cio’ che a lui e’ stato dato o promesso;
2) gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento, se compiuti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento;
3) i pegni, le anticresi e le ipoteche volontarie costituiti nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per debiti preesistenti non scaduti;
4) i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziali o volontarie costituiti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti.
Sono altresi’ revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
Non sono soggetti all’azione revocatoria:
- a) i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attivita’ d’impresa nei termini d’uso;
- b) le rimesse effettuate su un conto corrente bancario, purche’ non abbiano ridotto in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca;
- c) le vendite ed i preliminari di vendita trascritti ai sensi dell’articolo 2645-bis del codice civile, i cui effetti non siano cessati ai sensi del comma terzo della suddetta disposizione, conclusi a giusto prezzo ed aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il terzo grado ((, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attivita’ d’impresa dell’acquirente, purche’ alla data di dichiarazione di fallimento tale attivita’ sia effettivamente esercitata ovvero siano stati compiuti investimenti per darvi inizio)); (50)
((d) gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore purche’ posti in essere in esecuzione di un piano che appaia idoneo a consentire il risanamento della esposizione debitoria dell’impresa e ad assicurare il riequilibrio della sua situazione finanziaria; un professionista indipendente designato dal debitore, iscritto nel registro dei revisori legali ed in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 28, lettere a) e b) deve attestare la veridicita’ dei dati aziendali e la fattibilita’ del piano; il professionista e’ indipendente quando non e’ legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione di risanamento da rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio; in ogni caso, il professionista deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 2399 del codice civile e non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali e’ unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attivita’ di lavoro subordinato o autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo; il piano puo’ essere pubblicato nel registro delle imprese su richiesta del debitore;))
- e) gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata, nonche’ dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182-bis ((, nonche’ gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161;));
- f) i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito;
- g) i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili eseguiti alla scadenza per ottenere la prestazione di servizi strumentali all’accesso alle procedure concorsuali di amministrazione controllata e di concordato preventivo.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano all’istituto di emissione, alle operazioni di credito su pegno e di credito fondiario; sono salve le disposizioni delle leggi speciali.
(44)
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AGGIORNAMENTO (44)
Il D.L. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, ha disposto (con l’art. 2, comma 2) che “Le disposizioni del comma 1, lettere a) e b), si applicano alle azioni revocatorie proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo la data di entrata in vigore del presente decreto”.
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AGGIORNAMENTO (50)
Il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 ha disposto (con l’art. 22, comma 2) che “Le disposizioni del presente decreto si applicano ai procedimenti per dichiarazione di fallimento pendenti alla data della sua entrata in vigore, nonche’ alle procedure concorsuali e di concordato fallimentare aperte successivamente alla sua entrata in vigore.”
Revocatoria fallimentare – Atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie – Estratti conto bancari – “Data valuta” – Tempo effettivo dell’operazione – Data certa – Esclusione – Ragioni.
In tema di revocatoria fallimentare, le “date valuta” risultanti dagli estratti conto bancari non sono idonee a provare il tempo in cui le relative operazioni sono state realmente effettuate sul conto, né a conferire data certa alle stesse, essendo nella prassi bancaria utilizzate dette date in maniera convenzionale per postergare il tempo di effettuazione dei versamenti ed antergare invece quello dei prelievi. (massima ufficiale) Cassazione civile, sez. VI, 03 Ottobre 2018, n. 24137.
Concordato preventivo – Azione revocatoria – Natura costitutiva – Effetto modificativo del patrimonio del destinatario – Azione proposta dopo la pubblicazione della domanda di concordato – Inammissibilità.
Atteso che l’azione revocatoria determina un effetto modificativo del patrimonio del destinatario in virtù della pronuncia costitutiva di inefficacia dell’atto, essa, quando proposta dopo la pubblicazione della domanda di concordato preventivo, collide con il principio di cristallizzazione dell’attivo stabilito dall’art. 169 legge fall. in funzione del soddisfacimento di tutti i creditori anteriori ex art. 184 legge fall. ed è pertanto inammissibile. (Antonio Pezzano) (Massimiliano Ratti) (riproduzione riservata) Tribunale Milano, 31 Luglio 2018.
Fallimento – Procedimenti in camera di consiglio – Ricorso per cassazione – Termine breve – Applicabilità – Condizioni – Notificazione ad istanza di parte – Necessità – Notificazione a cura della cancelleria – Irrilevanza – Fattispecie.
L’art. 739 c.p.c., secondo il quale il provvedimento emesso in camera di consiglio dal tribunale, se pronunciato in confronto di più parti, è reclamabile entro dieci giorni dalla notificazione, non deroga alla regola generale dettata dall’art. 326 c.p.c., con la conseguenza che anche il termine per proporre ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso i decreti pronunciati in camera di consiglio, decorre dalla notificazione del provvedimento. A tal riguardo occorre che la notificazione sia eseguita ad istanza di parte, non essendo sufficiente che sia stata effettuata a cura della cancelleria del giudice, nel qual caso il ricorso per cassazione resta soggetto al termine ordinario di cui all’art. 327 c.p.c.. (Nella specie, la S.C. ha disatteso l’eccezione avanzata da un fallimento, tesa a far constare la tardività del ricorso per cassazione, sul presupposto che il termine di proposizione decorresse dalla comunicazione di cancelleria del decreto di rigetto del reclamo ex art. 739 c.p.c., proposto da un istituto di credito, avverso il decreto di accoglimento della domanda di revocatoria avanzata dalla procedura concorsuale, ex art. 67, comma 2, l. fall., in relazione a rimesse bancarie eseguite su conto corrente intrattenuto dalla società fallita). (massima ufficiale)Cassazione civile, sez. I, 24 Maggio 2018, n. 12972.
Rimesse bancarie – Natura non solutoria – Eccepita sussistenza di un contratto di apertura di credito – Onere della prova gravante sulla banca eccipiente – Risultanze del libro fidi – Non decisività – Fondamento.
In tema di azione revocatoria fallimentare di rimesse in conto corrente bancario dell’imprenditore poi fallito, la banca che eccepisce la natura non solutoria della rimessa, per l’esistenza alla data della stessa di un contratto di apertura di credito, non può fondare la relativa prova sulle sole risultanze dell’estratto del libro fidi, il quale, al più, attesta l’esistenza della delibera della banca alla concessione di un finanziamento; né tale conclusione viola l’art. 2710 c. c. – il quale dispone che i libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono fare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa – presupponendo l’applicazione della norma in parola che le risultanze delle quali la parte intende avvalersi siano contenute in uno dei libri contabili obbligatori. (massima ufficiale) Cassazione civile, sez. I, 09 Agosto 2017.
Rimesse in conto corrente bancario – Revocabilità – Esclusione – Condizioni – Natura non solutoria – Operazioni bilanciate – Configurabilità – Condizioni – Accordi tra banca e cliente – Destinazione a prelievi o pagamenti specifici – Necessità – Prova – Anche “per facta concludentia” – Ammissibilità.
In tema di revocatoria fallimentare delle rimesse in conto corrente bancario affluite su un conto scoperto, per potersene escludere la dichiarazione di inefficacia, in quanto dipendenti da operazioni bilanciate, è necessario il venir meno della funzione solutoria delle stesse, in virtù di accordi intercorsi tra il “solvens” e l'”accipiens”, che le abbiano destinate a costituire la provvista di coeve o prossime operazioni di pagamenti o prelievi mirati in favore di terzi o del cliente stesso, in modo tale da poter negare che la banca abbia beneficiato dell’operazione sia prima, all’atto della rimessa, sia dopo, all’atto del suo impiego; la prova dell’esistenza dei predetti accordi, che giovino a caratterizzare la rimessa, piuttosto che come operazione di rientro, come una specifica provvista per una operazione speculare a debito, in relazione ad un ordine ricevuto ed accettato o ad una incontestata manifestazione di volontà, ove non derivi da un atto scritto, può anche essere desunta da “facta concludentia”, purchè la specularità tra le operazioni ne evidenzi con certezza lo stretto collegamento negoziale. (massima ufficiale) Cassazione civile, sez. I, 09 Agosto 2017.
Curatore agente in revocatoria – Qualità di terzo nei rapporti tra fallito e creditori – Conseguenze – Disciplina di cui all’art. 2710 c.c. – Inapplicabilità. Qualità di terzo nei rapporti tra fallito e creditori – Conseguenze – Disciplina di cui all’art. 2710 c.c. – Inapplicabilità. Art. 2710 c.c. – Contenuto – Ambito applicativo – Individuazione – Applicabilità con riguardo al curatore agente in revocatoria – Esclusione – Fondamento.
L’art. 2710 c.c., che attribuisce efficacia probatoria tra imprenditori, per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa, ai libri regolarmente tenuti, individua l’ambito operativo della sua speciale disciplina nel riferimento, necessariamente collegato, all’imprenditore ed al rapporto di impresa, sicché non può trovare applicazione con riguardo al curatore del fallimento, il quale, agendo in revocatoria nella sua funzione di gestione del patrimonio del fallito, assume, rispetto ai rapporti tra quest’ultimo ed il creditore, la qualità di terzo. (massima ufficiale)Cassazione civile, sez. VI, 27 Luglio 2017, n. 18682.
Amministrazione straordinaria – Azione revocatoria fallimentare – Decadenza ex articolo 69 bis L.F. – Decorrenza del termine.
L’art. 49 del d.lgs. 270/1999 non richiama singoli istituti, bensì le disposizioni della sezione III del capo III della Legge fallimentare, tra cui, quindi è compreso anche l’art. 69 bis L.F., in base al quale l’azione in oggetto deve essere promossa a pena di decadenza non oltre il terzo anno dalla dichiarazione di insolvenza.
La concessione dell’autorizzazione al piano di cessione dei beni aziendali, nel quadro della procedura di amministrazione straordinaria di cui al d.lgs. n. 270 del 1999, se costituisce condizione perché il commissario possa proporre l’azione revocatoria, non rappresenta, tuttavia, (ancorché sul punto sussistano anche orientamenti di segno contrario) anche il dies a quo del termine di decadenza dell’esercizio dell’azione revocatoria, né incide sullo stesso dies a quo, che invece coincide con la dichiarazione dello stato di insolvenza. Pertanto nel procedimento concorsuale di amministrazione straordinaria l’azione revocatoria è esperibile dalla dichiarazione dello stato di insolvenza, anche se soltanto in relazione all’eventuale fase liquidatoria. (Marco Favaro) (riproduzione riservata) Tribunale Padova, 15 Giugno 2017.
Fallimento – Azione revocatoria – Compensazione – Revocabilità – Esclusione.
In presenza di due crediti contrapposti, l’uno di pertinenza di un terzo e l’altro di un soggetto poi dichiarato fallito, deve ritenersi possibile la compensazione, non soggetta ad alcuna forma dì revocabilità anche se operata in periodo sospetto, in quanto siffatta compensazione è espressamente consentita dall’art. 56legge fall. così da non configurare una forma di pagamento anormale; ciò perchè, a ben vedere, con la compensazione non si effettua alcun pagamento, in quanto il terzo non riceve alcuna somma di denaro, ma gli viene solo consentito di non versare alla proceduta fallimentare l’importo di cui era debitore nei confronti del fallito. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata) Tribunale Salerno, 09 Gennaio 2017.
Fallimento – Effetti – Per i creditori – Debiti pecuniari – Compensazione – Credito – Deduzione della compensazione ed insinuazione al passivo del credito residuo – Decreto di esecutività dello stato passivo – Conseguenze – Parziale estinzione del credito originario – Effetti – Preclusione endofallimentare – Fondamento.
Quando il creditore richiede l’ammissione al passivo per un importo inferiore a quello originario deducendo la compensazione, l’esame del giudice delegato investe il titolo posto a fondamento della pretesa, la sua validità, la sua efficacia e la sua consistenza. Ne consegue che il provvedimento di ammissione del credito residuo nei termini richiesti comporta implicitamente il riconoscimento della compensazione quale causa parzialmente estintiva della pretesa, riconoscimento che determina una preclusione endofallimentare, che opera in ogni ulteriore eventuale giudizio promosso per impugnare, sotto i sopra indicati profili dell’esistenza, validità, efficacia, consistenza, il titolo dal quale deriva il credito opposto in compensazione. (massima ufficiale) Cassazione civile, sez. I, 31 Ottobre 2016, n. 22044.
Fallimento – Azione revocatoria – Di rimesse su conto corrente bancario – Onere di indicazione delle singole rimesse – Esclusione.
In tema di revocatoria fallimentare, non occorre l’indicazione delle singole rimesse da revocare, che la banca è ben in grado di individuare, essendo in possesso della relativa documentazione contabile.
Secondo il nuovo regime introdotto dal decreto legge n.35/2005, il conto corrente bancario, ai fini della revocatoria delle rimesse, va ormai considerato nel complesso delle operazioni in esso transitate, secondo una visione unitaria, e il curatore ha solo l’onere di dimostrarne la scopertura, rispetto al limite dell’affidamento su di esso accordato, mentre la banca, per sottrarsi all’obbligo di restituzione, deve provare che i versamenti non abbiano ridotto in maniera “consistente” e “durevole” l’esposizione debitoria. (Redazione IL CASO.it) (riproduzione riservata) Appello Trieste, 28 Ottobre 2016.
^ Art. 67-bis. Patrimoni destinati ad uno specifico affare.
Art. 67-bis. (( (Patrimoni destinati ad uno specifico affare). ))
((Gli atti che incidono su un patrimonio destinato ad uno specifico affare previsto dall’articolo 2447-bis, primo comma, lettera a) del codice civile, sono revocabili quando pregiudicano il patrimonio della societa’. Il presupposto soggettivo dell’azione e’ costituito dalla conoscenza dello stato d’insolvenza della societa’.))
In tema di revocatoria fallimentare, la valutazione sulla “notevole sproporzione” tra le prestazioni eseguite e le obbligazioni assunte dal fallito e ciò che a lui è stato dato o promesso, necessaria per la dichiarazione di inefficacia del negozio ai sensi dell’art. 67, primo comma, n. 1), legge fall. (nella versione anteriore alla modifica di cui al d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con modif. dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, applicabile “ratione temporis”), deve essere effettuata “ex ante”, ossia al momento della conclusione del contratto, dovendosi prescindere da una misura fissa o parametro da cui desumere il depauperamento patrimoniale del debitore (analoga alla lesione “ultra dimidium” propria della rescissione), poiché è sufficiente, per la sua configurabilità, che tale depauperamento sia consistente. Il relativo giudizio costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto non rientrante nella normale alea dei contratti commutativi l’acquisto, da parte del fallito, di un appartamento per un prezzo superiore di oltre il trentadue per cento rispetto al suo valore di mercato).
L’azione revocatoria fallimentare avente ad oggetto un pagamento, ai sensi dell’art. 67 della legge fall., mira ad ottenere la reintegrazione della garanzia patrimoniale del debitore fallito, che si realizza qualora il corrispondente importo sia recuperato attraverso la sua restituzione; ne consegue che, per la produzione di tale effetto, non è necessaria un’esplicita domanda, perché il suo perseguimento è compreso necessariamente nel “petitum” originario, sorgendo, infatti, il debito di restituzione con la sentenza costitutiva che, pronunciando la revoca, attualizza, al momento del suo passaggio in giudicato, il diritto potestativo esercitato dalla massa con l’azione del curatore e volto proprio ad ottenere il recupero delle somme versate dal debitore in violazione della “par condicio”.
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Nell’azione revocatoria fallimentare, avente ad oggetto la dichiarazione di inefficacia di più rimesse bancarie solutorie, non viene proposta una sola domanda, ma tante domande quante sono le rimesse ritenute revocabili, trattandosi di domande fondate su fatti costitutivi diversi, sicché, ove in sede di precisazione delle conclusioni sia richiesta la revoca di un maggior numero di rimesse, rispetto a quelle indicate nell’atto di citazione, deve ritenersi che sia stata proposta una inammissibile domanda nuova, poiché l’estensione della revoca comporta il riferimento a fatti costitutivi nuovi e non allegati con l’originario atto di citazione.
In tema di revocatoria fallimentare, ai sensi dell’art. 67, primo comma, n. 2, legge fall. (nel testo, applicabile ratione temporis anteriore al D.L. 14 marzo 2005, n. 35 del 2005), degli atti solutori anomali connessi all’esecuzione di un contratto di factoring stipulato prima dell’entrata in vigore della legge 21 febbraio 1991, n. 52, la qualificazione della fattispecie — consistente in una convenzione atipica attuata mediante la cessione, pro solvendo o pro soluto della titolarità dei crediti di un imprenditore, derivanti dall’esercizio della sua impresa, ad un altro imprenditore (factor), con effetto traslativo al momento dello scambio dei consensi tra i medesimi, se la cessione è globale e i crediti sono esistenti, ovvero differito al momento in cui vengano ad esistenza, se i crediti sono futuri o se, per adempiere all’obbligo assunto con la convenzione, è necessario trasmettere i crediti stessi con distinti negozi di cessione — esige la ricostruzione degli effetti giuridici voluti dalle parti con il predetto contratto, e non già di quelli pratico-economici, al fine di accertare se esse hanno optato per la causa vendendi o per la causa mandati o per altra ancora, e se la cessione del credito abbia funzione di garanzia o funzione solutoria, ovvero se le parti abbiano voluto soltanto il conferimento di un mandato in rem propriam potendo coesistere una pluralità di operazioni economiche, ed essendo assoggettabile alla revocabilità la cessione del credito se prevista come mezzo di estinzione non contestuale al sorgere del credito.
È manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità dell’art. 2, comma 2, D.L. 14 marzo 2005, n. 35, in materia di nuova disciplina delle revocatorie fallimentari, laddove, prevedendo che le disposizioni del comma 1, lettere a) e b), si applicano soltanto alle azioni proposte nell’ambito di procedure iniziate dopo l’entrata in vigore del decreto stesso, cioè aperte dopo il 17 marzo 2005, introduce una disciplina diversa per situazioni identiche; tale identità va invero considerata non solo in relazione alla contemporaneità degli atti revocandi ma anche in relazione alle rispettive procedure di insolvenza che invero si aprono in base a regole diverse vigenti all’atto di ciascuna dichiarazione, ciò giustificando la disciplina della procedura concorsuale successiva sulla base di una mutata normativa, in coerenza con la successione delle leggi e la conseguente irretroattività della nuova norma; ne deriva l’inesistenza di dubbi con riguardo sia agli artt. 3, 24 e 41 Cost., sia all’art. 77 Cost., il cui presupposto di necessità ed urgenza ha trovato, nell’apprezzamento discrezionale del legislatore, fondamento nel proposito di assicurare migliori condizioni di competitività alle imprese, attraverso una tutela rafforzata delle posizioni giuridiche dei finanziatori, specie bancari, relativamente alle aspettative di recupero o restituzione delle risorse erogate alle imprese insolventi.
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Non contrasta con l’art. 81 del Trattato CE, sulla concorrenza tra imprese appartenenti a diversi Stati membri, la disciplina della revocatoria fallimentare della rimessa bancaria dettata dall’art. 67 legge fall., nel testo (applicabile ratione temporis) anteriore alla riforma introdotta dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 (convertito nella legge n. 80), nel presupposto che essa, accollando alle banche operanti in Italia oneri altrove non previsti, limiti la libertà di stabilimento posta dalla norma: infatti, non è l’azione predetta a costituire ostacolo all’investimento di capitali o alla prestazione di servizi o all’assunzione di partecipazioni, ma semmai il fenomeno che essa tende a correggere, così regolando gli interessi coinvolti, cioè l’insolvenza; rappresenta invero un freno alla libera circolazione l’assenza di misure repressive, anche nei termini civilistici e patrimoniali, delle condotte causative del dissesto, riguardate come atti preferenziali lesivi della par condicio creditorum ne consegue l’inammissibilità del rinvio alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 234 Trattato CE, per una pronuncia pregiudiziale interpretativa delle norme del Trattato, essendo la disciplina anteriore alla citata riforma del 2005 addirittura di maggiore garanzia per gli investitori comunitari in materia di insolvenza dei propri debitori, in quanto consente un maggior recupero di attivo di quanto reso possibile dalla predetta novella.
In tema di revocatoria fallimentare, l’eccezione con cui la parte deduce l’inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 67, comma 1, n. 1, legge fall., in luogo dei successivi n. 2 e 3, al caso in cui sia stato costituito un pegno a garanzia di un’apertura di credito, senza che sia stata disposta anche la revoca contestuale dell’apertura di credito medesima, non costituisce un’eccezione in senso proprio, ma investe una condizione di mera fondatezza della domanda, il cui esame deve essere condotto d’ufficio, anche se la parte abbia omesso del tutto di formulare deduzioni al riguardo.
In tema di revocatoria fallimentare, in caso di “castelletto di sconto” o fido per smobilizzo crediti non sussiste la cd. copertura di un conto corrente bancario in quanto, a differenza del contratto di apertura di credito, non attribuiscono al cliente della banca la facoltà di disporre con immediatezza di una determinata somma di danaro, ma sono solo fonte, per l’istituto di credito, dell’obbligo di accettazione per lo sconto, entro un predeterminato ammontare, dei titoli che l’affidato presenterà, sicché, ai fini dell’esercizio dell’azione predetta, le rimesse effettuate su tale conto dal cliente, poi fallito, hanno carattere solutorio ove, nel corso del rapporto, il correntista abbia sconfinato dal limite di affidamento concessogli con il diverso contratto di apertura di credito. Né tale distinzione viene meno se tra le due linee di credito sia stabilito un collegamento di fatto, nel senso che i ricavi conseguiti attraverso sconti e anticipazioni siano destinati a confluire nel conto corrente di corrispondenza, trattandosi di meccanismo interno di alimentazione del conto attraverso le rimesse provenienti dalle singole operazioni di smobilizzo crediti, alla stregua di qualunque altra rimessa di diversa provenienza.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 13510 del 1 luglio 2015)
Il patto di rotatività del pegno costituisce fattispecie a formazione progressiva che trae origine dall’accordo scritto e di data certa delle parti, cui segue la sostituzione dell’oggetto del pegno, senza necessità di ulteriori stipulazioni e con effetti ancora risalenti alla consegna dei beni originariamente dati in pegno, a condizione che nella convenzione costitutiva tale possibilità di sostituzione sia prevista espressamente, e purché il bene offerto in sostituzione non abbia un valore superiore a quello sostituito; ne consegue, ai fini dell’esperibilità dell’azione revocatoria fallimentare, che la continuità dei rinnovi fissa la genesi del diritto reale di garanzia al momento della stipulazione originaria e non a quello successivo della sostituzione.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 13508 del 1 luglio 2015)
Anche in presenza di una società di fatto o irregolare, l’acquirente convenuto in revocatoria fallimentare ex art. 67, primo comma, legge fall., ha l’onere di provare la sua ignoranza circa la qualità di socio del disponente e l’insolvenza della società partecipata, il cui fallimento sia stato esteso al socio illimitatamente responsabile, senza che possa giovarsi, in contrario, dell’omessa iscrizione della società nel registro delle imprese.
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