MALASANITA’ E SE IL CHIRURGO SBAGLIA?
RESPONSABILITA’ MEDICA, MALASANITA’ ,COLPA DEL CHIRURGO PROVA
Spetta dunque (a fortiori ove trattisi come nella specie di intervento semplice o routinario) al medico o alla struttura provare che il risultato anomalo o anormale rispetto al convenuto esito dell’intervento o della cura, e quindi dello scostamento da una legge di regolarita’ causale fondata sull’esperienza, dipende da fatto a se’ non imputabile
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 20 ottobre 2014, n. 22222
Con sentenza del 9/9/2010 la Corte d’Appello di Bologna respingeva il gravame interposto dalla sig. (OMISSIS) in relazione alla pronunzia Trib. Parma 4/3/2005 di rigetto della domanda proposta nei confronti del sig. (OMISSIS) e dell’Azienda Unita’ Sanitaria Locale di Parma di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di intervento chirurgico di tiroidectomia, all’esito del quale aveva subito la lesione del nervo ricorrente destro. Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la (OMISSIS) propone ora ricorso per cassazione affidato ad unico complesso motivo, illustrato da memoria. Resiste con controricorso l’Azienda Unita’ Sanitaria Locale di Parma. L’altro intimato non ha svolto attivita’ difensiva.
COSA DECIDE LA CASSAZIONE
). Spetta dunque (a fortiori ove trattisi come nella specie di intervento semplice o routinario) al medico o alla struttura provare che il risultato anomalo o anormale rispetto al convenuto esito dell’intervento o della cura, e quindi dello scostamento da una legge di regolarita’ causale fondata sull’esperienza, dipende da fatto a se’ non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformita’ alla diligenza dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto (v. Cass., 9/10/2012, n. 17143), bensi’ ad evento imprevedibile e non superabile con l’adeguata diligenza (cfr., Cass., 21/7/2011, n. 15993; Cass., 7/6/2011, n. 12274. E gia’ Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 11/11/2005, n. 22894). In altri termini, dare la prova del fatto impeditivo (v. Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488), rimanendo in caso contrario soccombente, in applicazione della regola generale ex articoli 1218 e 2697 c.c., di ripartizione dell’onere probatorio fondata sul principio di c.d. vicinanza alla prova o di riferibilita’ (v. Cass., 9/11/2006, n. 23918; Cass., 21/6/2004, n. 11488; Cass., Sez. Un., 23/5/2001, n. 7027; Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533; Cass., 13/9/2000, n. 12103), o ancor piu’ propriamente (come sottolineato anche in dottrina), sul criterio della maggiore possibilita’ per il debitore onerato di fornire la prova, in quanto rientrante nella sua sfera di dominio, in misura tanto piu’ marcata quanto piu’ l’esecuzione della prestazione consista nell’applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore come nel caso specializzato nell’esecuzione di una professione protetta. Orbene, diversamente da quanto prospettato dall’odierna ricorrente la corte di merito ha nell’impugnata sentenza posto siffatti principi a corretta premessa del proprio argomentare. Peraltro, movendo dalla complessiva documentazione sanitaria segnalante il rapido progressivo accrescimento dell’adenoma, gia’ ravvisato in fase diagnostica strumentale ed ulteriormente riscontrato, rispetto alle indicazioni di pochi mesi prima , essa e’ poi pervenuta ad ascrivere la lesione nervosa de qua, pur in presenza di una ravvisata diligente esecuzione del trattamento chirurgico di specie , al verificarsi di una complicanza escludente la responsabilita’ del medico operante e conseguentemente della struttura, la quale risponde direttamente di tutte le ingerenze dannose che al dipendente o al terzo preposto, della cui opera comunque si e’ avvalso, sono state rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al creditore/danneggiato, e cioe’ dei danni che il medesimo ha potuto arrecare in ragione di quel particolare contatto cui e’ risultato esposto nei suoi confronti il creditore (la paziente
LA SENTENZA
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 9857/2011 proposto da: (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso; - ricorrente - contro AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE PARMA (OMISSIS), in persona del Direttore Generale pro tempore Dr. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso; - controricorrente - e contro (OMISSIS); - intimato - avverso la sentenza n. 955/2010 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 09/09/2010, R.G.N. 499/2006; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2014 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO; udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega; udito l’Avvocato (OMISSIS); udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza del 9/9/2010 la Corte d’Appello di Bologna respingeva il gravame interposto dalla sig. (OMISSIS) in relazione alla pronunzia Trib. Parma 4/3/2005 di rigetto della domanda proposta nei confronti del sig. (OMISSIS) e dell’Azienda Unita’ Sanitaria Locale di Parma di risarcimento dei danni subiti in conseguenza di intervento chirurgico di tiroidectomia, all’esito del quale aveva subito la lesione del nervo ricorrente destro. Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la (OMISSIS) propone ora ricorso per cassazione affidato ad unico complesso motivo, illustrato da memoria. Resiste con controricorso l’Azienda Unita’ Sanitaria Locale di Parma. L’altro intimato non ha svolto attivita’ difensiva. MOTIVI DELLA DECISIONE Con unico motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 1176, 1218, 2236 e 2697 c.c., articoli 115, 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonche’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Si duole che, totalmente disattendendo le conclusioni del CTU e, quindi, le risultanze probatorie acquisite agli atti , la corte di merito non abbia minimamente valutato le risultanze probatorie in ordine alla prova, incombente sul medico, di avere, nella fattispecie, adottato la necessaria diligenza e rispettato tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica, nella effettuazione della prestazione resa . Lamenta non essersi considerato che a comprovare la colpa professionale deponevano anche la specializzazione del Dott. (OMISSIS), medico chirurgo, primario del reparto di Chirurgia dell’ente ospedaliero de quo, la routinarieta’ dell’intervento, affermata dal CTU, e la conseguenza dell’atto operatorio (lesione del nervo laringeo), che poteva essere stata cagionata soltanto da errate manovre eseguite dal chirurgo . Si duole che la corte di merito abbia escluso la semplicita’ dell’intervento de quo, in ragione del marcato aumento di volume della massa cistica e per la estrema ristrettezza del campo operatorio senza invero precisare se alla luce dell’istruttoria svolta e del parere tecnico acquisito la conseguenza e’ stata cagionata dalla tecnica chirurgica adoperata ovvero da imperizia o inabilita’ del chirurgo, stante le condizioni di buona salute della paziente, ovvero da causa inevitabile con la diligenza professionale del caso . Lamenta che mentre la signora (OMISSIS) ha correttamente adempiuto a tale suo onere , il sanitario non ha fornito la prova liberatoria a suo carico ex articolo 1218 c.c., posto che – comunque – e’ emerso dalla CTU che l’intervento operatorio ha determinato una evoluzione peggiorativa dello stato patologico preesistente. Di tale evoluzione peggiorativa, dunque, devono rispondere i medici e la struttura sanitaria . Si duole che, trattandosi di atto operatorio ampiamente studiato e ben codificato, e che il margine di rischio e’ dell’1%, spettava dunque al medico la prova di aver effettuato nel suo intervento le specifiche, corrette manovre necessarie alla rimozione della massa cistica . Lamenta non essersi considerato che il nesso causale sussiste anche quando, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si possa ritenere che l’opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe potuto avere serie ed apprezzabili possibilita’ di evitare il danno . Si duole che l’incompletezza nella specie della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso di causalita’, e che l’onere della prova liberatoria incombente sull’ (OMISSIS) non e’ stato dal medesimo assolto. Il motivo e’ fondato e va accolto nei termini di seguito indicati. E’ rimasto nel caso accertato che il (OMISSIS) la sig. (OMISSIS) fu sottoposta presso l’Ospedale (OMISSIS) ad un intervento chirurgico di tiroidectomia sub-totale eseguito dal Primario Dr. (OMISSIS), all’esito del quale la paziente riportava la paralisi della corda vocale destra. Pur essendo stato l’intervento de quo indicato nella CTU disposta nel corso del giudizio di primo grado come di particolare semplicita’ esecutiva , i giudici di entrambi i gradi di merito hanno escluso che nella specie l’intervento si sia in realta’ rivelato tale. La corte di merito ha in particolare affermato di condividere l’avviso del giudice di prime cure, qualificando il disatteso responso medico legale come apoditticamente articolato, mediante sillogismo meramente eretto sulla normale semplicita’ dell’intervento di tiroidectomia e sulla speciale competenza dell’esecutore in quanto primario , altresi’ ravvisando come per converso eloquentemente rappresentativi della difficolta’ della rimozione de qua i dati clinici acquisiti , indicativi della sussistenza di un considerevole volume della massa cistica a contenuto emorragico deponente per la corretta esclusione in concreto della natura routinaria dell’esecuzione , e per il positivo riscontro della correttezza dell’operato del chirurgo . Orbene, siffatto assunto si rivela in parte erroneo, nonche’ deponente per una incongrua motivazione. Va anzitutto osservato che, giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita’, in base alla regola di cui all’articolo 1218 c.c., il paziente-creditore ha il mero onere di provare il contratto e allegare il relativo inadempimento o inesatto adempimento, e cioe’ la difformita’ della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata alla dovuta diligenza, non essendo invece tenuto a provare la colpa del medico e/o della struttura sanitaria, e la relativa gravita (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 21/6/2004, n. 11488. Da ultimo v. Cass., 11/11/2011, n. 23564; Cass., 9/10/2012, n. 17143). Si e’ al riguardo da questa Corte ulteriormente precisato che la distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta’ non puo’ valere come criterio di distribuzione dell’onere della prova, bensi’ solamente ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa riferibile al sanitario. All’articolo 2236 c.c., non va pertanto assegnata rilevanza alcuna ai fini della ripartizione dell’onere probatorio, incombendo in ogni caso al medico dare la prova della particolare difficolta’ della prestazione, giacche’ la norma in questione implica solamente una valutazione della colpa del professionista in relazione alle circostanze del caso concreto (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488). Appare in effetti incoerente ed incongruo richiedere al professionista la prova idonea a vincere la presunzione di colpa a suo carico quando trattasi di intervento di facile esecuzione o routinario, e addossare viceversa al paziente l’onere di provare l’inadempimento quando l’intervento e’ di particolare o speciale difficolta’ (in tal senso v. invece Cass., 4/2/1998, n. 1127; Cass., 11/4/1995, n. 4152), e cioe’ proprio nel caso in cui l’intervento implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficolta’, richiedendo notevole abilita’ e implicando la soluzione di problemi tecnici nuovi o di speciale complessita’, con largo margine di rischio in presenza di ipotesi non ancora adeguatamente studiate o sperimentate, ovvero oggetto di sistemi diagnostici, terapeutici e di tecnica chirurgica diversi ed incompatibili tra loro (v. Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 10/5/2000, n. 5945; Cass., 19/5/1999, n. 4852; Cass., 16/11/1988, n. 6220; Cass., 18/6/1975, n. 2439). Cio’ in quanto verrebbe altrimenti ad ingiustificatamente gravarsi il paziente, in contrasto invero con il principio di generale favor per il creditore-danneggiato cui l’ordinamento e’ informato (cfr. Cass., 20/2/2006, n. 3651). In tali circostanze, e’ infatti indubitabilmente il medico specialista a conoscere le regole dell’arte e la situazione specifica – anche in considerazione delle condizioni del paziente – del caso concreto, avendo pertanto la possibilita’ di assolvere all’onere di provare l’osservanza delle prime e di motivare in ordine alle scelte operate in ipotesi in cui maggiore e’ la discrezionalita’ rispetto a procedure standardizzate. E’ allora da superarsi, sotto il profilo della ripartizione degli oneri probatori, ogni distinzione tra interventi facili e difficili , in quanto l’allocazione del rischio non puo’ essere rimessa alla maggiore o minore difficolta’ della prestazione, l’articolo 2236 c.c., dovendo essere inteso come contemplante una regola di mera valutazione della condotta diligente del debitore (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488). Va quindi conseguentemente affermato che in ogni caso di insuccesso incombe al medico dare la prova della particolare difficolta’ della prestazione (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488). Spetta dunque (a fortiori ove trattisi come nella specie di intervento semplice o routinario) al medico o alla struttura provare che il risultato anomalo o anormale rispetto al convenuto esito dell’intervento o della cura, e quindi dello scostamento da una legge di regolarita’ causale fondata sull’esperienza, dipende da fatto a se’ non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformita’ alla diligenza dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto (v. Cass., 9/10/2012, n. 17143), bensi’ ad evento imprevedibile e non superabile con l’adeguata diligenza (cfr., Cass., 21/7/2011, n. 15993; Cass., 7/6/2011, n. 12274. E gia’ Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 11/11/2005, n. 22894). In altri termini, dare la prova del fatto impeditivo (v. Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488), rimanendo in caso contrario soccombente, in applicazione della regola generale ex articoli 1218 e 2697 c.c., di ripartizione dell’onere probatorio fondata sul principio di c.d. vicinanza alla prova o di riferibilita’ (v. Cass., 9/11/2006, n. 23918; Cass., 21/6/2004, n. 11488; Cass., Sez. Un., 23/5/2001, n. 7027; Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533; Cass., 13/9/2000, n. 12103), o ancor piu’ propriamente (come sottolineato anche in dottrina), sul criterio della maggiore possibilita’ per il debitore onerato di fornire la prova, in quanto rientrante nella sua sfera di dominio, in misura tanto piu’ marcata quanto piu’ l’esecuzione della prestazione consista nell’applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore come nel caso specializzato nell’esecuzione di una professione protetta. Orbene, diversamente da quanto prospettato dall’odierna ricorrente la corte di merito ha nell’impugnata sentenza posto siffatti principi a corretta premessa del proprio argomentare. Peraltro, movendo dalla complessiva documentazione sanitaria segnalante il rapido progressivo accrescimento dell’adenoma, gia’ ravvisato in fase diagnostica strumentale ed ulteriormente riscontrato, rispetto alle indicazioni di pochi mesi prima , essa e’ poi pervenuta ad ascrivere la lesione nervosa de qua, pur in presenza di una ravvisata diligente esecuzione del trattamento chirurgico di specie , al verificarsi di una complicanza escludente la responsabilita’ del medico operante e conseguentemente della struttura, la quale risponde direttamente di tutte le ingerenze dannose che al dipendente o al terzo preposto, della cui opera comunque si e’ avvalso, sono state rese possibili dalla posizione conferitagli rispetto al creditore/danneggiato, e cioe’ dei danni che il medesimo ha potuto arrecare in ragione di quel particolare contatto cui e’ risultato esposto nei suoi confronti il creditore (la paziente (OMISSIS)), essendo direttamente responsabile allorquando l’evento dannoso risulti da ascriversi alla condotta colposa o dolosa posta in essere – quand’anche a sua insaputa (cfr. Cass., 17/5/2001, n. 6756) – dal medico (nel caso, l’ (OMISSIS)), della cui attivita’ essa si e’ comunque avvalsa per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale. Orbene, la corte di merito e’ giunta a tale conclusione violando non gia’, come pure adombrato dall’odierna ricorrente, la regola di ripartizione degli oneri probatori ex articolo 2697 c.c., in materia bensi’ i principi in tema di diligenza nell’esecuzione della prestazione professionale medica e di valutazione delle prove, a sostegno dell’emesso dictum altresi’ ponendo un’incongrua motivazione. Deve al riguardo sottolinearsi che ai fini della configurabilita’ della responsabilita’ contrattuale (cosi’ come del resto in ambito extracontrattuale: cfr. Cass., 27/8/2014, n. 18304), la colpa in realta’ si sostanzia – oltre che nell’inosservanza di leggi, regolamenti, regole e discipline – nell’obiettiva violazione degli aspetti della diligenza, della prudenza e della perizia. Ormai da tempo superata, se non addirittura tramontata, la concezione etica della responsabilita’ civile (informata sulla concezione psicologica della colpa, propria invero del diritto penale), nell’adempimento delle obbligazioni (oltre che nei comuni rapporti della vita di relazione) la diligenza assume in particolare imprescindibile e decisivo rilievo, quale criterio di determinazione del modello di condotta, designando la condotta obiettivamente dovuta per l’adempimento della prestazione e lo sforzo cui il soggetto e’ tenuto per la salvaguardia dell’interesse altrui, la cui violazione ridonda in termini di responsabilita’ civile e obbliga al risarcimento dei danni derivanti dall’evento causalmente ascrivibile alla condotta negligente, e pertanto illecita. La diligenza va a tal fine peraltro correlata alla qualita’ del soggetto, e valutata secondo criteri di normalita’ da apprezzarsi in relazione alle condizioni del medesimo, avuto in particolare riguardo alla relativa qualificazione. Lo specifico settore di competenza in cui rientra l’attivita’ esercitata richiede infatti la specifica conoscenza ed applicazione delle cognizioni tecniche che sono tipiche dell’attivita’ necessaria per l’esecuzione dell’attivita’ professionale espletata. Questa Corte ha gia’ avuto piu’ volte modo di porre in rilievo, in accordo con quanto osservato anche in dottrina, che il debitore e’ di regola tenuto ad una normale perizia, commisurata al modello del buon professionista (secondo cioe’ una misura obiettiva che prescinde dalle concrete capacita’ del soggetto, sicche’ deve escludersi che ove privo delle necessarie cognizioni tecniche il debitore rimanga esentato dall’adempiere l’obbligazione con la perizia adeguata alla natura dell’attivita’ esercitata); mentre una diversa misura di perizia e’ dovuta in relazione alla qualifica professionale del debitore (per il riferimento alla necessita’ di adeguare la valutazione alla stregua del dovere di diligenza particolarmente qualificato, inerente lo svolgimento dell’attivita’ del professionista, v. Cass., 23/4/2004, n. 19133; Cass., 4/3/2004, n. 4400), in relazione ai diversi gradi di specializzazione propri dello specifico settore professionale. Atteso che la diligenza deve valutarsi avuto riguardo alla natura dell’attivita’ esercitata (articolo 1176 c.c., comma 2), al professionista (e a fortiori allo specialista) e’ dunque richiesta una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall’impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di attivita’ da espletare (cfr. Cass., 31/5/2006, n. 12995) e allo standard professionale della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformita’ alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonche’ del relativo grado di responsabilita’, giacche’ chi assume un’obbligazione nella qualita’ di specialista, o una obbligazione che presuppone una tale qualita’, e’ tenuto alla perizia che e’ normale della categoria (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826). In altri termini, l’impegno dal professionista (e a fortiori dallo specialista) dovuto, se si profila superiore a quello del comune debitore, va considerato viceversa corrispondente alla diligenza normale in relazione alla specifica attivita’ professionale esercitata, giacche’ il medesimo deve impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformita’ alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonche’ del relativo grado di responsabilita’ (cfr. Cass., 9/10/2012, n. 17143). Lo sforzo tecnico implica anche l’uso degli strumenti materiali normalmente adeguati, ossia degli strumenti comunemente impiegati nel tipo di attivita’ professionale in cui rientra la prestazione dovuta (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826). Il normale esito della prestazione dipende allora da una pluralita’ di fattori, quali il tipo di patologia, le condizioni generali del paziente, l’attuale stato della tecnica e delle conoscenze scientifiche (stato dell’arte), l’organizzazione dei mezzi adeguati per il raggiungimento degli obiettivi in condizioni di normalita’, ecc.. La normalita’ risponde quindi ad un giudizio relazionale di valore, in ragione delle circostanze del caso. A tale stregua, il professionista deve, da un canto, valutare con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale, ricorrendo anche all’ausilio di un consulto (se la situazione non e’ cosi’ urgente da sconsigliarlo); e, da altro canto, adottare tutte le misure volte ad ovviare alle carenze strutturali ed organizzative incidenti sugli accertamenti diagnostici e sui risultati dell’intervento, e laddove cio’ non sia possibile, deve informare il paziente, financo consigliandogli, se manca l’urgenza di intervenire, il ricovero in altra idonea struttura (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 5/7/2004, n. 12273. V. anche Cass., 21/7/2003, n. 11316; Cass., 16/5/2000, n. 6318). Orbene, nel censurare la particolare semplicita’ esecutiva dell’intervento de quo dal giudice di prime cure ravvisata in base ad una valutazione della consulente ufficiale , la corte di merito e’ pervenuta ad escludere nella specie la responsabilita’ del medico operante Dr. (OMISSIS), formalmente (e del tutto inutilmente) argomentando dalla inconfigurabilita’ nella specie della relativa natura routinaria ma in realta’ sostanzialmente ritenendo (invero erroneamente ) dal medesimo fornita la prova liberatoria. La corte di merito ha al riguardo considerato non corretta la valutazione operata dal C.T.U. della complessiva documentazione sanitaria segnalante il rapido progressivo accrescimento dell’adenoma, gia’ ravvisato in fase diagnostica strumentale ed ulteriormente riscontrato, rispetto alle indicazioni di pochi mesi prima, dal chirurgo in sede operatoria proprio nel citato diario clinico . Ha per altro verso ritenuto la presenza del considerevole volume della massa cistica a contenuto emorragico come idonea ad escludere nel caso la natura routinaria dell’intervento de quo e deponente viceversa per l’insorgenza nel caso di una complicanza idonea ad escludere la possibilita’ di considerarsi come colposa la condotta dal medico specialista nella specie mantenuta, con conseguente esclusione della relativa responsabilita’ per la paralisi della corda vocale destra in conseguenza del medesimo sofferta dalla paziente odierna ricorrente. A tale stregua, nell’omettere di considerare che trattandosi di consulenza percipiente la CTU esperita in 1 grado costituisce nel caso fonte oggettiva di prova (cfr., da ultimo, Cass., 26/2/2013, n. 4792), con motivazione altresi’ apodittica e meramente apparente e pertanto incongrua la corte di merito si e’ dalle risultanze della detta consulenza invero discostata limitandosi ad apoditticamente qualificare come corretto l’operato del chirurgo , trascurando di valutare (come lamentato dall’odierna ricorrente) la prestazione del medico in relazione, trattandosi di Primario ospedaliero, alla normale diligenza dovuta in ragione della qualita’ di specialista del medesimo. In altri termini, atteso che la diligenza esigibile nell’adempimento della prestazione professionale ex articolo 1176 c.c., comma 2, varia col variare del grado di specializzazione di cui sia in possesso il medico, oltre che del grado di efficienza della struttura in cui si trova ad operare (sicche’ dal medico di alta specializzazione ed inserito in una struttura di eccellenza e’ esigibile una diligenza piu’ elevata di quella esigibile, dinanzi al medesimo caso clinico, da parte del medico con minore specializzazione od inserito in una struttura meno avanzata: v. Cass., 9/10/2012, n. 17143; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826), la corte di merito non ha valutato, la condotta mantenuta dall’ (OMISSIS) nell’effettuazione dell’intervento di tiroidectomia in argomento secondo il criterio di normalita’ ex articolo 1176 c.c., comma 2, correlativo alla condotta cui e’ tenuto il medico specialista (a fortiori se tra i migliori del settore), (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 20/7/2005, n. 15255; Cass., 8/2/2005, n. 2538; Cass., 22/10/2003, n. 15789; Cass., 28/11/2001, n. 15124; Cass., 21/6/1983, n. 4245). Nel confondere – come detto – tra natura routinaria della prestazione e fatto impeditivo dell’adempimento, la prova di quest’ultimo non valendo invero a far mutare la natura della prestazione dovuta ma esclusivamente ad escludere nello specifico caso concreto la responsabilita’ del medico, la corte di merito non ha invero spiegato come mai l’adenoma che ha nella specie colpito la (OMISSIS) abbia potuto costituire, per un Primario operante presso adeguata struttura e in assenza di riscontrate deficienze organizzative o tecniche una complicanza non prevedibile e non prevenibile, a fortiori in considerazione della circostanza che tale adenoma era stato gia’ individuato in fase diagnostica strumentale ed ulteriormente riscontrato, rispetto alle indicazioni di pochi mesi prima . Ne’ il giudice del gravame di merito ha dato congrua motivazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire nel censurare il parere espresso dal C.T.U. (cfr. Cass., 3/1/2011, n. 72; Cass., 21/8/2003, n. 12304; Cass., 4/1/2002, n. 71) a considerare il rigonfiamento in argomento (di cui non risulta dato invero nemmeno adeguatamente atto nella cartella clinica) come idoneo ad escludere la responsabilita’ del medico operante, tanto piu’ che (come emergente nei passi della CTU riportati nel ricorso) il medesimo (alla stregua di quanto emergente dal diario clinico del giorno dell’intervento) aveva invero gia’ isolato entrambi i lobi , con riconoscimento dei nervi laringei e delle paratiroidi . Dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, che in diversa composizione procedera’ a nuovo esame, facendo dei disattesi principi applicazione. Il giudice di rinvio provvedera’ anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione.
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