REATO DI MALTRATTAMENTI LUOGO DI LAVORO - VIOLENZA PRIVATA

REATO DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA ART 572 BIS CP TRIB BOLOGNA

 

 

COME SI PROVA LA CONVIVENZA NEL REATO DI MALTRATTAMENTI

 

RESPONSABILITÀ PENALE – Reato di maltrattamenti – Assenza di prova di convivenza – Insussistenza – Reato di atti persecutori – Sussistenza.

In difetto della prova della convivenza, l’applicazione dell’art. 572 c.p., in luogo dell’art. 612-bis. comma 2, c.p., che pure contempla espressamente l’ipotesi di condotte commesse a danno di persona « legata da relazione affettiva » all’agente apparirebbe come il frutto di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma incriminatrice comunque preclusa dall’art. 25, comma 2. Cost.

Note giurisprudenziali

Sentenza molto innovativa relativa al reato di maltrattamenti, al suo momento consumativo e al rapporto con il reato di atti persecutori.

Nella fattispecie in commento, i giudici di merito di primo grado e del gravame hanno escluso la prescrizione del reato, ritenendo che lo stesso sia configurabile anche in assenza di convivenza tra l’autore e la vittima delle relative condotte e richiamando, a loro sostegno, alcuni precedenti di un consolidato indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di legittimità.

Secondo il Collegio, tuttavia, si tratta di una lettura normativa che merita una riflessione ulteriore e, a questo scopo, la sentenza si sofferma sull’opportunità di ampliare lo spettro di tutela per soggetti tipicamente vulnerabili, poiché vittime di condotte prevaricatrici che maturano nell’àmbito di rapporti affettivi, dai quali hanno naturale difficoltà a sottrarsi.

La legislazione più recente, con la l. n. 38/2009, che ha introdotto il delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.), e con la l. n. 172/2012, che ha esteso la platea dei soggetti passivi del delitto di maltrattamenti alla persona « comunque convivente », sono andate in questa direzione, ma la Corte costituzionale ha rivolto un monito al giudice penale, affinché rimanga aderente al testo normativo, correndo altrimenti il rischio di violare il divieto di analogia in malam partem che caratterizza le norme incriminatrici.

Il Giudice delle leggi, infatti, ha affidato all’interprete il compito di stabilire se relazioni affettive — non formalizzate — possano farsi rientrare nelle nozioni di « famiglia » o di « convivenza », alla stregua dell’ordinario significato di queste espressioni, ma, immediatamente dopo, ha ammonito che, « in difetto di una tale dimostrazione, l’applicazione dell’art. 572 c.p., in casi siffatti — in luogo dell’art. 612-bis- comma 2, c.p., che pure contempla espressamente l’ipotesi di condotte commesse a danno di persona “legata da relazione affettiva” all’agente — apparirebbe come il frutto di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma incriminatrice: una interpretazione magari sostenibile dal punto di vista teleologico e sistematico (…), ma comunque preclusa dall’art. 25, comma 2, Cost. » (Corte cost. n. 98/2021).

Sulla scorta di tale sollecitazione, il Collegio svolge un’accurata analisi e, partendo dal presupposto che, in ipotesi soltanto apparentemente differenti da quella in esame — poiché caratterizzate dal comune denominatore dell’assenza di un rapporto familiare o di convivenza tra autore e vittima al momento dei fatti — la Sezione « ha ritenuto che non sia configurabile il reato di maltrattamenti, ma l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, in presenza di condotte poste in essere da parte di uno dei conviventi more uxorio ai danni dell’altro dopo la cessazione della convivenza » (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 6 settembre 2021, n. 39532; ribadita da Cass. pen., Sez. VI, 17 novembre 2021, n. 45095, con la precisazione per cui, terminata la convivenza, vengono meno la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento; ed ancora: Cass. pen., Sez. VI, 16 febbraio 2022, n. 9653; Cass. pen., Sez. VI, 16 febbraio 2022, n. 10626).

Il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici contenuto nell’art. 14 preleggi, che costituisce corollario del principio di legalità contenuto nell’art. 25 Cost., nonché la presenza di un apparato normativo che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici di rilievo penale tenute nell’ambito di relazioni interpersonali non qualificate, « impongono, nell’applicazione dell’art. 572 c.p., di intendere i concetti di “famiglia” e di “convivenza” nell’accezione più ristretta: quella, cioè, di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza d’affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell’abitazione ».

Come conseguenza del richiamato ragionamento, la Suprema Corte afferma che è compito del giudice di merito verificare fino a quando il rapporto di « convivenza », così definito, si sia protratto tra imputato e persona offesa, rilevando, all’esito di tale indagine di fatto, a quale fattispecie incriminatrice — reato di maltrattamenti o di atti persecutori — debbano ricondursi le condotte accertate e, di conseguenza, se il reato così individuato si sia o meno estinto per prescrizione

. Frutto dello sforzo dell’interprete di ampliare lo spettro di tutela per soggetti tipicamente vulnerabili, poiché vittime di condotte prevaricatrici che maturano nell’àmbito di rapporti affettivi, dai quali hanno naturale difficoltà a sottrarsi, essa deve ora misurarsi con i numerosi passi avanti in tal direzione compiuti dalla legislazione più recente, a cominciare dal D.L. n. 11 del 2009, conv. dalla L. n. 38 del 2009, che ha introdotto il delitto di atti persecutori (art. 612 bis c.p.), e dalla stessa L. n. 172 del 2012, che esteso la platea dei soggetti passivi del delitto di maltrattamenti alla persona “comunque convivente” senza altro aggiungere.

In tal senso, non può obliterarsi l’espresso monito di recente rivolto dalla Corte costituzionale al giudice penale, affinché rimanga aderente al testo normativo, correndo altrimenti il rischio di violare il divieto di analogia in malam partem che caratterizza le norme incriminatrici.

Chiamato a pronunciarsi ex professo su una questione di rito, sorta all’interno di un processo per tal specie di condotte, il Giudice delle leggi ha affidato all’interprete il compito di stabilire se relazioni affettive – per così dire non tradizionali (in quel caso si trattava di un rapporto sentimentale protrattosi nell’arco di qualche mese e caratterizzato da permanenze non continuative di un partner nell’abitazione dell’altro) possano farsi rientrare nelle nozioni di “famiglia” o di “convivenza”, alla stregua dell’ordinario significato di queste espressioni. Ma, immediatamente dopo, ha ammonito che, “in difetto di una tale dimostrazione, l’applicazione dell’art. 572 c.p., in casi siffatti – in luogo dell’art. 612 bis c.p., comma 2, che pure contempla espressamente l’ipotesi di condotte commesse a danno di persona “legata da relazione affettiva” all’agente – apparirebbe come il frutto di una interpretazione analogica a sfavore del reo della norma incriminatrice: una interpretazione magari sostenibile dal punto di vista teleologico e sistematico (…), ma comunque preclusa dall’art. 25 Cost., comma 2″ (Corte Cost., sentenza n. 98 del 2021).

2.2. Tale sollecitazione è stata raccolta dalla più recente giurisprudenza di legittimità, alla quale il Collegio intende dar seguito.

In ipotesi soltanto apparentemente differenti da quella in esame – poiché caratterizzate dal comune denominatore dell’assenza di un rapporto familiare o di convivenza tra autore e vittima al momento dei fatti – questa Sezione ha infatti ritenuto che non sia configurabile il reato di maltrattamenti, bensì l’ipotesi aggravata del reato di atti persecutori, in presenza di condotte poste in essere da parte di uno dei conviventi more uxorio ai danni dell’altro dopo la cessazione della convivenza (Sez. 6, n. 39532 del 06/09/2021, B., Rv. 282254, ribadita da Sez. 6, n. 45095 del 17/11/2021, H., Rv. 282398, con la precisazione per cui, terminata la convivenza, vengono meno la comunanza di vita e di affetti nonché il rapporto di reciproco affidamento; ed ancora: Sez. 6, n. 9653 del 16/02/2022, P., Rv. 283120; Sez. 6, n. 10626 del 16/02/2022, L., Rv. 283003).

In conclusione, il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici (art. 14 preleggi), immediato precipitato del principio di legalità (art. 25Cost.), nonché la presenza di un apparato normativo che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici di rilievo penale tenute nell’ambito di relazioni interpersonali non qualificate, impongono, nell’applicazione dell’art. 572 c.p., di intendere i concetti di “famiglia” e di “convivenza” nell’accezione più ristretta: quella, cioè, di una comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza d’affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell’abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua (si pensi, ad esempio, al frequente caso di coloro che, per ragioni di lavoro, dimorino in luogo diverso dall’abitazione comune, per periodi più o meno lunghi ma comunque circoscritti).

3. In applicazione di tale principio, è compito del giudice di merito verificare fino a quando il rapporto di “convivenza”, così definito, si sia protratto tra l’imputato e la Bi., rilevando, all’esito di tale indagine di fatto, a quale fattispecie incriminatrice debbano ricondursi le condotte accertate e, di conseguenza, se il reato così individuato si sia o meno estinto per prescrizione, anche in considerazione di eventuali sospensioni del decorso del relativo termine, non evincibili dalla sentenza impugnata.

SEPARAZIONE DIVORZIO BOLOGNA CITTADINI DIVERSA NAZIONALITA’

SEPARAZIONE DIVORZIO BOLOGNA CITTADINI DIVERSA NAZIONALITA’

Tribunale , Bologna , sez. II , 29/12/2023 , n. 7185

Il reato di maltrattamenti in famiglia e la necessaria prova della sussistenza delle condotte asseritamente subite dalla persona offesa per giungere ad una pronuncia di condanna

Sentenza 

In tema di reato di maltrattamenti in famiglia, deve giungersi ad una pronuncia assolutoria laddove, dal quadro probatorio, non sia stato possibile accertare la fondatezza delle accuse provenienti dalla persona offesa. In particolare, nel caso di indubbia ed accesa conflittualità coniugale, in seno alla quale non è stata raggiunta la prova della condotta maltrattante ai danni della persona offesa (moglie), risulta certamente minata l’attendibilità della dichiarazione di quest’ultima e, di conseguenza, l’impossibilità di affermare la penale responsabilità dell’imputato.

Tribunale , Udine , 12/09/2023 , n. 1448

Non ci sono maltrattamenti in famiglia se non vi è la riconducibilità in capo all’imputato di una serie reiterata di atti di vessazione e maltrattamenti nei confronti della moglie

È escluso il reato di maltrattamenti in famiglia se non sono emersi elementi di prova a sostegno dell’ipotesi accusatoria ovvero non è stata dimostrata la riconducibilità in capo all’imputato di una serie reiterata di atti di vessazione e maltrattamenti nei confronti della moglie, in grado di causare ai danni di questa sofferenze psichiche e fisiche, privazioni o umiliazioni fonte di disagio costante incompatibile con normali condizioni di esistenza.

Corte appello , Bari , sez. II , 27/04/2023 , n. 1458

Una condotta aggressiva, irriguardosa e umiliante, determinante un regime di vita mortificante e assoggettato della vittima costituisce maltrattamenti in famiglia

Una condotta aggressiva, irriguardosa e umiliante, determinante un regime di vita mortificante e assoggettato della vittima costituisce maltrattamenti in famiglia

Sussiste il reato di maltrattamenti in famiglia quando l’imputato abbia posto in essere per lungo periodo una condotta dai contenuti aggressivi, irriguardosi e umilianti, tali da costituire un regime di vita mortificante e assoggettato della vittima che spesso, per timore di essere picchiata, ometteva qualsivoglia reazione. La prova è fornita sia dalle dichiarazioni della p.o. che corroborata da testimonianze esterne di familiari conviventi.

Tribunale , Genova , sez. I , 01/03/2023 , n. 735

L’assenza di abitualità non consente l’integrazione dei maltrattamenti in famiglia fa venir meno anche l’aggravante speciale delle lesioni personali connessa

Tags:

Comments are closed

CERCA NELLE PAGINE DEL SITO