RAVENNA Risarcimento danno – Evento morte del congiunto – Convivente

INFORTUNIO LAVORO

 

RICHIESTA DANNI CONVIVENTE COSA DEVE PROVARE

 

La parte attrice, quindi, ha provato la sola coabitazione, ma non la comunanza di vita e di affetti, la reciproca assistenza morale e materiale e, in definitiva, l’esistenza di un consorzio familiare di fatto tra essa parte e Si.Mi., che costituisce l’interesse costituzionalmente rilevante (art. 2 Cost.) tutelato dall’ordinamento (art. 2059 c.c.) in caso di uccisione del convivente, non identificabile con la semplice coabitazione (cfr. Cass. sent. n. 23725/2008 cit.).

Pertanto, non avendo l’attrice provato l’esistenza della situazione protetta (la convivenza more uxorio o c.d. famiglia di fatto), dalla cui lesione sarebbero scaturiti i pregiudizi non patrimoniali lamentati e, quindi, non avendo offerto prova del danno (evento) non patrimoniale sofferto, la domanda va rigettata anche rispetto al richiesto risarcimento dei danni non patrimoniali.

l’officina meccanica del convenuto, chiedendo delucidazioni circa le modalità di utilizzo dei torni presenti all’interno dell’officina; che Ca.Vi., al fine di mostrare al richiedente il funzionamento dei macchinari, avviò il tornio marca (…) mod. Pico; che, improvvisamente, in ragione del malfunzionamento della macchina, vi fu una violenta deflagrazione e la proiezione di materiali nell’area circostante; che uno dei pezzi colpì al torace Si.Mi. provocandone la morte; che nella serata del 17 aprile 2013, sentito in sede di assunzione di sommarie informazioni da parte dei Carabinieri della Stazione di Ravenna, Vi.Ca. riferì che nei giorni precedenti la macchina tendesse ad accelerare in modo incontrollato, ma che tuttavia, agendo sul potenziometro, il macchinario si fosse sempre arrestato; che il Consulente tecnico del P.M., nell’ambito del procedimento penale instaurato a carico di Ca.Vi., avesse accertato che il tornio utilizzato dal predetto risultasse sprovvisto del libretto d’uso e manutenzione specifico e che tale macchinario evidenziasse la presenza di fratture e difetti, visibili ad occhio nudo da parte dell’utilizzatore e preesistenti al verificarsi dell’incidente, che avrebbero dovuto sconsigliarne l’utilizzo; che, pertanto, la morte di Si.Mi. dovesse ritenersi eziologicamente conseguente alla condotta colposa di Vi.Ca., il quale imprudentemente utilizzò il tornio in presenza della vittima, nonostante l’evidenza dei difetti superficiali presenti sul tornio e la consapevolezza del malfunzionamento del macchinario; che, in conseguenza della morte di Si.Mi., essa deducente avesse subito un danno morale, nella qualità di convivente more uxorio del defunto, quantificabile nella misura di Euro 259.000,00.

 

Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 3/7/2017 si è costituito Ca.Vi., il quale ha dedotto che la morte di Si.Mi. dovesse imputarsi ad un caso fortuito; che, invero, fosse ignota la causa dell’improvviso e repentino aumento della velocità di rotazione del mandrino del tornio; che lo stesso Consulente del PM avesse costatato l’impossibilità di accertare la causa del malfunzionamento della macchina e se tale malfunzionamento si fosse verificato anche prima del giorno del sinistro; che, inoltre, il Consulente avesse accertato che alla rottura della piattaforma del tornio contribuì la scarsa qualità del materiale utilizzato per la costruzione, non rilevabile dall’utilizzatore; che, in ogni caso, non risultasse dimostrata la legittimazione attiva dell’attrice, avendo questa solo accennato alla convivenza more uxorio con il defunto Si.Mo..

Tanto premesso, Ca.Vi. ha chiesto al Tribunale, in via preliminare, di dichiarare il difetto di legittimazione attiva dell’attrice e, nel merito, di rigettare la domanda attorea perché infondata, con vittoria delle spese giudiziali.

Concessi i termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., espletata l’istruttoria orale, acquisita documentazione varia, all’udienza del 25/9/2019, la prima tenutasi dinanzi al sottoscritto giudicante, le parti hanno concluso come indicato in epigrafe e la causa è stata rimessa in decisione, con l’assegnazione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

La domanda attorea è infondata e, pertanto, va rigettata.

  1. Preliminarmente, in ordine alla qualificazione della domanda proposta dalla parte attrice, deve osservarsi che sin dall’atto di citazione – ed in sede di memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c.- l’attrice ha chiesto il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della morte del convivente, cagionata dall’utilizzo di un macchinario malfunzionante (e dalla conseguente proiezione di materiali nell’area circostante) da parte del convenuto, il quale conosceva il malfunzionamento della macchina, che presentava, peraltro, difetti visibili che avrebbero dovuto sconsigliarne l’utilizzo in presenza del malcapitato.

La domanda, pertanto, va qualificata come proposta ai sensi dell’art. 2043 c.c., avendo la parte attrice fatto valere la responsabilità extracontrattuale colposa del convenuto, per la morte cagionata a Mi.Si. e per i danni da essa patiti in conseguenza della perdita del convivente.

  1. Tanto premesso, per quanto attiene alla ricostruzione della dinamica del sinistro, è opportuno precisare che nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche (per tutte: Cass. sent. n. 17392/2015; Cass. sent. n. 13229/2015). In particolare, il giudice civile può avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale (Cass. sent. n. 11775/2006; Cass. sent. n. 20335/2004) e, così, delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali (tra tante, Cass. sent. n. 1593/2017 e n. 18025/2019).

 

Tribunale|Ravenna|Civile|Sentenza|27 aprile 2020| n. 312

Risarcimento danno – Evento morte del congiunto – Convivente more uxorio – Riconoscimento del diritto – Sussiste

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI RAVENNA

SEZIONE CIVILE

Il Tribunale di Ravenna, Sezione Civile, in persona del Giudice dott. Pierpaolo Galante, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile ordinaria iscritta al n. 309/2017 R.G. degli affari contenziosi civili, avente ad oggetto: morte

TRA

VA.DE., rappresentata e difesa dall’abogado Ni.De., presso lo studio del quale è elettivamente domiciliata in Ravenna, Viale (…), in virtù di procura allegata alla memoria di nomina del nuovo difensore

ATTRICE

E

CA.VI., rappresentato e difeso dall’avv. Fl.Or., presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Ravenna, Piazza (…) n. 5/c, in virtù di procura allegata alla comparsa di costituzione e risposta

CONVENUTO

CONCLUSIONI

All’udienza del 25/9/2019 i difensori delle parti hanno concluso come da verbale d’udienza, qui da intendersi integralmente trascritto.

MOTIVAZIONE IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto di citazione ritualmente notificato Va.De. ha convenuto, dinanzi all’intestato Tribunale, Ca.Vi. ed ha esposto che in data 17 aprile 2013, alle ore 17:30 circa, Si.Mi. si recò presso l’officina meccanica del convenuto, chiedendo delucidazioni circa le modalità di utilizzo dei torni presenti all’interno dell’officina; che Ca.Vi., al fine di mostrare al richiedente il funzionamento dei macchinari, avviò il tornio marca (…) mod. Pico; che, improvvisamente, in ragione del malfunzionamento della macchina, vi fu una violenta deflagrazione e la proiezione di materiali nell’area circostante; che uno dei pezzi colpì al torace Si.Mi. provocandone la morte; che nella serata del 17 aprile 2013, sentito in sede di assunzione di sommarie informazioni da parte dei Carabinieri della Stazione di Ravenna, Vi.Ca. riferì che nei giorni precedenti la macchina tendesse ad accelerare in modo incontrollato, ma che tuttavia, agendo sul potenziometro, il macchinario si fosse sempre arrestato; che il Consulente tecnico del P.M., nell’ambito del procedimento penale instaurato a carico di Ca.Vi., avesse accertato che il tornio utilizzato dal predetto risultasse sprovvisto del libretto d’uso e manutenzione specifico e che tale macchinario evidenziasse la presenza di fratture e difetti, visibili ad occhio nudo da parte dell’utilizzatore e preesistenti al verificarsi dell’incidente, che avrebbero dovuto sconsigliarne l’utilizzo; che, pertanto, la morte di Si.Mi. dovesse ritenersi eziologicamente conseguente alla condotta colposa di Vi.Ca., il quale imprudentemente utilizzò il tornio in presenza della vittima, nonostante l’evidenza dei difetti superficiali presenti sul tornio e la consapevolezza del malfunzionamento del macchinario; che, in conseguenza della morte di Si.Mi., essa deducente avesse subito un danno morale, nella qualità di convivente more uxorio del defunto, quantificabile nella misura di Euro 259.000,00.

Tanto premesso, Va.De. ha chiesto al Tribunale di accertare la responsabilità di Vi.Ca. per la morte di Si.Mi. e, per l’effetto, di condannare il convenuto al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti da essa parte attrice, nella misura di Euro 259.000,00, oltre interessi e rivalutazione; con vittoria delle spese di lite.

Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 3/7/2017 si è costituito Ca.Vi., il quale ha dedotto che la morte di Si.Mi. dovesse imputarsi ad un caso fortuito; che, invero, fosse ignota la causa dell’improvviso e repentino aumento della velocità di rotazione del mandrino del tornio; che lo stesso Consulente del PM avesse costatato l’impossibilità di accertare la causa del malfunzionamento della macchina e se tale malfunzionamento si fosse verificato anche prima del giorno del sinistro; che, inoltre, il Consulente avesse accertato che alla rottura della piattaforma del tornio contribuì la scarsa qualità del materiale utilizzato per la costruzione, non rilevabile dall’utilizzatore; che, in ogni caso, non risultasse dimostrata la legittimazione attiva dell’attrice, avendo questa solo accennato alla convivenza more uxorio con il defunto Si.Mo..

Tanto premesso, Ca.Vi. ha chiesto al Tribunale, in via preliminare, di dichiarare il difetto di legittimazione attiva dell’attrice e, nel merito, di rigettare la domanda attorea perché infondata, con vittoria delle spese giudiziali.

Concessi i termini di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., espletata l’istruttoria orale, acquisita documentazione varia, all’udienza del 25/9/2019, la prima tenutasi dinanzi al sottoscritto giudicante, le parti hanno concluso come indicato in epigrafe e la causa è stata rimessa in decisione, con l’assegnazione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

La domanda attorea è infondata e, pertanto, va rigettata.

  1. Preliminarmente, in ordine alla qualificazione della domanda proposta dalla parte attrice, deve osservarsi che sin dall’atto di citazione – ed in sede di memoria ex art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c.- l’attrice ha chiesto il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della morte del convivente, cagionata dall’utilizzo di un macchinario malfunzionante (e dalla conseguente proiezione di materiali nell’area circostante) da parte del convenuto, il quale conosceva il malfunzionamento della macchina, che presentava, peraltro, difetti visibili che avrebbero dovuto sconsigliarne l’utilizzo in presenza del malcapitato.

La domanda, pertanto, va qualificata come proposta ai sensi dell’art. 2043 c.c., avendo la parte attrice fatto valere la responsabilità extracontrattuale colposa del convenuto, per la morte cagionata a Mi.Si. e per i danni da essa patiti in conseguenza della perdita del convivente.

  1. Tanto premesso, per quanto attiene alla ricostruzione della dinamica del sinistro, è opportuno precisare che nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche (per tutte: Cass. sent. n. 17392/2015; Cass. sent. n. 13229/2015). In particolare, il giudice civile può avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale (Cass. sent. n. 11775/2006; Cass. sent. n. 20335/2004) e, così, delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali (tra tante, Cass. sent. n. 1593/2017 e n. 18025/2019).

Nel caso di specie, risulta dagli atti del procedimento penale – ed è pacifico in questa sede – che la dinamica del sinistro per cui è causa fu la seguente.

In data 17/4/2013, Mi.Si. si trovava all’interno dell’officina meccanica “Ca.Vi. Officina”, in quanto amico del titolare della stessa, Ca.Vi., mentre questi lavorava al Tornio marca (…) mod. (…). Improvvisamente si manifestò un malfunzionamento della macchina e la violenta proiezione di alcune parti metalliche, che colpirono Mi.Si. cagionandone la morte.

Il Consulente del P.M., ing. Ni., in sede di accertamento tecnico irripetibile disposto dal Pubblico Ministero, ha appurato che: a) la rottura della piattaforma rotante, il distacco di una porzione di essa ed il contestuale rilascio del pezzo in lavorazione, di due delle quattro griffe e dei due contrappesi, furono determinati da un’anomala velocità di rotazione del mandrino del tornio e dalla conseguente elevata forza centrifuga prodottasi (punto 6 delle conclusioni del Consulente del PM); b) risultasse di fatto impossibile determinare con ragionevole certezza le cause di tale c.d. fuori giri del mandrino (punto 2 delle conclusioni); c) non fosse possibile accertare in modo alcuno se l’anomalia si fosse presentata precedentemente (punto 3 delle conclusioni); d) alcuni difetti e cricche superficiali chiaramente visibili sulla piattaforma rotante, costituenti una classica causa di innesco di rottura e segno inequivocabile di fratture del materiale già in essere, avrebbero dovuto imporre il non utilizzo del macchinario (punto 7 delle conclusioni); e) alla rottura della piattaforma contribuì, inoltre, la scarsa qualità del materiale utilizzato per la sua costruzione (punto 8 delle conclusioni).

In sede d’integrazione della relazione, su richiesta di chiarimenti del PM, il Consulente ha poi aggiunto che le condizioni della piattaforma rotante, invero, facilitarono solamente la rottura della medesima e la conseguente proiezione di una porzione della piattaforma e del pezzo in lavorazione, ma che non fosse in alcun modo possibile accertare se tali fenomeni sarebbero comunque avvenuti – in ragione della velocità di rotazione del mandrino del tornio – laddove la piattaforma fosse stata in condizioni di perfetta integrità.

Sentito dai Carabinieri della Stazione di Ravenna, in sede di assunzione di sommarie informazioni (cfr. verbale sit allegato alla produzione di parte attrice), Ca.Vi. dichiarò di aver utilizzato il macchinario nella mattinata e di aver notato, nei giorni precedenti, che la macchina tendesse ad accelerare il numero dei giri in modo incontrollato, arrestandosi, tuttavia, mediante azione sul potenziometro (cosa non avvenuta il giorno del sinistro). In sede di interrogatorio dinanzi al PM, l’odierno convenuto ha poi esposto che nei giorni precedenti la macchina avesse manifestato un difetto degli assi X e Z, ma non un malfunzionamento relativo all’asse mandrino.

Orbene, posto che, secondo quanto univocamente desumibile dalle conclusioni del Consulente del PM in sede di risposta alla richiesta di chiarimenti da parte dell’organo inquirente, le condizioni della piattaforma rotante al più facilitarono la sua rottura e la proiezione di porzioni della stessa e del pezzo in lavorazione, ma non ne furono causa autonoma (dalla velocità di rotazione raggiunta dal mandrino del tornio), occorre allora accertare in questa sede se, con giudizio ex ante ed in concreto, Ca.Vi. in base alle circostanze da lui conosciute, o conoscibili con l’ordinaria diligenza, potesse prevedere l’incidente occorso e, quindi, evitarlo non usando il macchinario. In particolare, tale accertamento implica il verificare se il convenuto – secondo il paradigma del “tornitore modello” – potesse prevedere la possibilità di un incontrollabile aumento della velocità di rotazione del mandrino del tornio, la conseguente rottura della piattaforma e la proiezione dei materiali nell’ambiente circostante.

Ebbene, innanzitutto, come anticipato, nel procedimento penale conclusosi con ordinanza di archiviazione sono rimaste ignote le cause del “fuori giri” del mandrino del tornio e l’eventuale precedente manifestazione di tale malfunzionamento della macchina.

In secondo luogo, non può ritenersi provato, in questo giudizio, che Ca.Vi. fosse – più probabilmente che non – a conoscenza dell’incontrollabilità della velocità di rotazione del mandrino del tornio, che provocò l’incidente mortaleper cui è causa.

Vero è, infatti, che il convenuto dichiarò ai Carabinieri della Stazione di Ravenna, in sede di sommarie informazioni, di aver notato, nei giorni antecedenti, che la macchina tendesse ad accelerare il numero dei giri e tuttavia:

– il convenuto ha rappresentato, in questo giudizio, che il significato della sua dichiarazione alla P.G. non fosse quello riportato nel verbale di sommarie informazioni. In particolare, Ca.Vi. ha dedotto che – come si legge anche nel verbale d’interrogatorio reso dinanzi al PM – nei giorni antecedenti all’incidente egli si accorse di problemi di malfunzionamento non all’asse mandrino – la cui rotazione inarrestabile fu causa della proiezione del materiale ferroso nell’ambiente circostante – ma agli assi X e Z. Ne consegue che non può attribuirsi alle dichiarazioni rese dall’odierno convenuto in sede di assunzione di sommarie informazioni il significato univoco della conoscenza, da parte dello stesso, dello specifico malfunzionamento del macchinario che causò l’incidente mortale oggetto di lite;

– inoltre, deve anche considerarsi che in sede di sommarie informazioni alla P.G. l’odierno convenuto aggiunse che agendo sul potenziometro la macchina si fosse sempre arrestata nei giorni precedenti.

Sicché, anche assumendo che effettivamente Vi.Ca. sapesse che il tornio presentasse un problema di anomala rotazione del mandrino, in ogni caso ciò non implica che il convenuto, sulla base del paradigma dell’agente modello, potesse ex ante ed in concreto prevedere l’incidente verificatosi, atteso lo sperimentato potere di dominio della macchina, da parte del tornitore, mediante azione sul potenziometro. Conseguentemente, per il Ca. fu imprevedibile la possibilità che si sviluppassero una velocità di rotazione del mandrino ed una forza centrifuga – non governabili neppure con il potenziometro – tali da provocare la rottura della piattaforma rotante, la proiezione dei metalli e la morte dell’amico presente nell’officina.

In definitiva, pertanto, si ritiene che la verificazione del tragico incidente fu imprevedibile e, conseguentemente, inevitabile da parte dell’odierno convenuto.

  1. La domanda attorea, in ogni caso, risulta a) carente di prova in relazione all’esistenza della situazione meritevole di protezione (convivenza more uxorio, o famiglia di fatto) asseritamele lesa e b) mancante di allegazione e prova in ordine ai danni patrimoniali e non patrimoniali di cui l’attrice ha chiesto il risarcimento in questa sede.

Non appare superfluo, sul punto, premettere che:

– i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza della lesione di un interesse meritevole di protezione debbono essere allegati e provati dal danneggiato (art. 2697 c.c.);

– in particolare, il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti è risarcibile a tre condizioni: (a) che l’interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell’art. 2059 cod. civ., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); (b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); (c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità (Cass. SS.UU. sent. n. 26972/2008);

– il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito concretatosi in un evento mortale va riconosciuto (con riguardo sia al danno morale, sia a quello patrimoniale, che presuppone, peraltro, la prova di uno stabile contributo economico apportato, in vita, dal defunto al danneggiato) anche al convivente “more uxorio” del defunto stesso, quando risulti dimostrata tale relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale. A tal fine non sono sufficienti né le dichiarazioni rese dagli interessati per la formazione di un atto di notorietà, né le indicazioni dai medesimi fornite alla P.A. per fini anagrafici (cfr. Cass. sent. n. 2988/1994; Cass. n. 23725 del 2008), atteso che, in definitiva, perché si possa parlare di famiglia di fatto, non è sufficiente la semplice coabitazione, dovendosi far riferimento ad una relazione interpersonale, con carattere di tendenziale stabilità., di natura affettiva e parafamiliare che, come nell’ambito di una qualsiasi famiglia, si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale (cfr. nello stesso senso, Cass. sent. ult. cit.).;

– il risarcimento del danno da uccisione di un prossimo congiunto, quindi, spetta non soltanto ai membri della famiglia legittima della vittima, ma anche a quelli della famiglia naturale, come il convivente “more uxorio” ed il figlio naturale non riconosciuto, a condizione che gli interessati dimostrino la sussistenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra essi e la vittima assimilabile al rapporto coniugale (Cass. sent. n. 12278/2011);

– quanto poi all’onere di allegazione e prova dei danni conseguenti alla lesione dell’interesse tutelato va aggiunto che il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto, quale tipico danno conseguenza, non coincide con la lesione dell’interesse (ovvero non è in re ipsa) e come tale deve essere allegato e provato da chi chiede il relativo risarcimento; tuttavia trattandosi di pregiudizio che si proietta nel futuro è consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obiettivi che è onere del danneggiato fornire (cfr., tra tante, Cass. ord. n. 907/2018). Ebbene, la parte attrice ha chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti in conseguenza dell’uccisione del convivente, limitandosi ad allegare di aver convissuto more uxorio con il defunto per 11 anni.

E tuttavia, per quanto concerne i danni patrimoniali Va.De. non ha allegato e provato la professione svolta dal convivente, il reddito di cui lo stesso era titolare – al momento della morte e quello presumibilmente futuro – e, soprattutto, il contributo patrimoniale e personale apportatole in vita dal convivente, con carattere di stabilità, venuto a mancare in conseguenza della sua morte.

Manca, pertanto, l’allegazione e la prova del danno patrimoniale asseritamele patito dall’attrice per la perdita del convivente.

Per quanto concerne, poi, il danno non patrimoniale, la parte attrice, come detto, si è limitata ad allegare l’esistenza di una convivenza more uxorio con il defunto, che, tuttavia, non è risulta provata all’esito dell’istruttoria, atteso che dall’escussione testimoniale svolta è emerso semplicemente che Va.De. e Mi.Si. coabitarono nell’abitazione sita in Viale (…) n. 57 a Lido di Dante (RA).

I testi Ni.Sa. e Ta.Pa., infatti, rispondendo al capitolo 3 articolato dalla parte attrice nella seconda memoria istruttoria depositata ai sensi dell’art. 183, comma 6, c.p.c., hanno narrato semplicemente che l’attrice ed il defunto Si.Mi. convissero nell’abitazione sita in Viale (…) n. 57 a Lido di Dante (RA) a far data dall’anno 2004 (dunque per 9 anni e non 11 come affermato dalla parte attrice). Precisamente, il primo teste ha asserito di essere amico ed ex collega di Si.Mi. ed ha riferito che la convivenza di Simone e Debora ebbe inizio nell’anno 2004 e terminò con la morte di Simone; la seconda testimone ha, invece, rappresentato di aver vissuto a Lido di Dante, in via Farinata n. 21, dal 2000 al 2012 circa e di aver visto Simone e Debora tornare a casa e uscire dall’abitazione in cui convivevano.

La parte attrice, quindi, ha provato la sola coabitazione, ma non la comunanza di vita e di affetti, la reciproca assistenza morale e materiale e, in definitiva, l’esistenza di un consorzio familiare di fatto tra essa parte e Si.Mi., che costituisce l’interesse costituzionalmente rilevante (art. 2 Cost.) tutelato dall’ordinamento (art. 2059 c.c.) in caso di uccisione del convivente, non identificabile con la semplice coabitazione (cfr. Cass. sent. n. 23725/2008 cit.).

Pertanto, non avendo l’attrice provato l’esistenza della situazione protetta (la convivenza more uxorio o c.d. famiglia di fatto), dalla cui lesione sarebbero scaturiti i pregiudizi non patrimoniali lamentati e, quindi, non avendo offerto prova del danno (evento) non patrimoniale sofferto, la domanda va rigettata anche rispetto al richiesto risarcimento dei danni non patrimoniali.

Inoltre, la parte attrice non ha neppure allegato alcun elemento di fatto da cui poter inferire la consistenza, la portata, l’intensità della sofferenza e/o dello sconvolgimento delle abitudini di vita patite; per tale ragione non può ritenersi neanche provata – neppure per presunzioni – l’esistenza del danno (morale) conseguenza di cui l’attrice ha chiesto il risarcimento.

Vero è, infatti, che il danno morale da perdita del congiunto è certamente suscettibile di essere provato per presunzioni, tuttavia ciò non esime l’asserito danneggiato dall’onere – quanto meno – di allegare le circostanze fattuali da cui il giudice possa inferire – in base all’id quod plerumque accidit, al notorio, a regole di esperienza – la sofferenza patita dal convivente superstite, privato della comunione di vita e di affetti, sia al momento del la morte dell’altro, sia nel prosieguo della vita. L’esistenza, la portata, l’intensità di tale sofferenza dipendono, infatti, da una serie di circostanze concrete (caratteristiche del rapporto cessato, abitudini di vita, capacità del convivente superstite di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita) il cui onere di allegazione grava sul danneggiato e da cui desumere, per presunzioni, l’an ed il quantum, equitativamente liquidabile, del pregiudizio sofferto.

Anche sotto questo profilo, quindi, mancando qualsiasi allegazione fattuale in ordine ai danni conseguenza sofferti, la domanda attorea si appalesa parimenti infondata e va, pertanto rigettata.

  1. Quanto alle spese di lite, la controvertibilità in fatto delle questioni trattate e le peculiarità della vicenda sub iudice consigliano la compensazione delle spese processuali nella misura di 1/2, con condanna della parte attrice al pagamento in favore del convenuto della restante metà delle spese, che si liquidano per intero (ossia comprensive della parte compensata) come in dispositivo, ai sensi del D.M. n. 55/2014 (scaglione fino a Euro 260.000,00, valori minimi, tenuto conto dell’assenza di questioni rilevanti trattate nel presente giudizio: fase studio Euro 1215,00; fase introduttiva Euro 775,00; fase istruttoria trattazione Euro 3780,00; fase decisionale Euro 2025,00).

P.Q.M.

Il Tribunale di Ravenna, Sezione Civile, definitivamente pronunciando sulle domande proposte nell’ambito del giudizio n. 309/2017 R.G., ogni contraria o diversa istanza e domanda disattesa o rigettata, così provvede:

  1. rigetta la domanda proposta da Va.De. nei confronti di Ca.Vi.;
  2. compensa per 1/2 le spese del giudizio e condanna Va.De. al pagamento in favore di Ca.Vi. della restante metà di tali spese, che liquida per intero in Euro 7.795,00, oltre rimborso spese generali, iva e cpa come per legge.

Così deciso in Ravenna il 9 aprile 2020.

Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2020.

 

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