QUANTO OCCORRE DARE ALLA MOGLIE SE CI SI SEPARA O DIVORZIA ?

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In tema di

separazione personale tra i coniugi, al fine della quantificazione dell’assegno di mantenimento,

il giudice del merito deve anzitutto accertare il tenore di vita dei coniugi durante il matrimonio, per poi verificare se i mezzi economici a disposizione del coniuge gli permettano di conservarlo indipendentemente dalla percezione di detto assegno e, in caso di esito negativo di questo esame, deve procedere alla valutazione comparativa dei mezzi economici a disposizione di ciascun coniuge al momento della separazione. In quest’ambito, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede la determinazione dell’esatto importo dei redditi posseduti attraverso l’acquisizione di dati numerici, in quanto è necessaria, ma anche sufficiente, un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi, in relazione alle quali sia possibile pervenire a fissare l’erogazione, in favore di quello più debole, di una somma corrispondente alle sue esigenze (cfr, tra le altre, cass n. 13592 del 2006). A questi principi i giudici di appello si sono ineccepibilmente attenuti, avendo pure tenuto conto, comparandoli, dei redditi fruiti da ciascuna delle parti, quali risultanti dalla documentazione fiscale, e dunque non solo di quelli d’indole retributiva, oltre che dell’entità dei rispettivi patrimoni immobiliari, conclusivamente, motivatamente ed attendibilmente evidenziando la minore consistenza delle condizioni economiche della B. rispetto a quelle del coniuge e l’insufficienza delle stesse a consentirle di mantenere, in termini evidentemente tendenziali, l’emerso, agiato tenore della pregressa vita coniugale.

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CONSULENZE LEGALI, PARERI LEGALI

‘accertamento del diritto all’ assegno divorzile si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice verifica l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, La Suprema Corte ha anche di recente (Cass. civ., sezione I, n. 11870 del 9 giugno 2015) ribadito che l’accertamento del diritto all’ assegno divorzile si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice verifica l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso dei rapporto, mentre nella seconda procede alla determinazione in concreto dell’ammontare dell’assegno, che va compiuta tenendo conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione e dei contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, nonché deal reddito di entrambi, valutandosi tali elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio. Così come può ritenersi costante l’affermazione nella giurisprudenza di legittimità per cui, in materia di divorzio, la durata del matrimonio influisce sulla determinazione della misura dell’assegno previsto dall’art. 5 della legge n. 898 del 1970, ma non anche – salvo casi eccezionali in cui non si sia verificata alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi – sul riconoscimento del ‘assegno stesso, assolvendo quest’ultimo ad una finalità di tutela del coniuge economicamente più debole (Cass. civ. sezione 1 n. 7295 del 22 marzo 2013 e sezione VI-1 n. 6164 del 26 marzo 2015).

 

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 Il diritto del coniuge all’assegno divorzile dev’essere accertato verificando la disponibilità da parte del richiedente di mezzi economici adeguati a consentirgli il mantenimento di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, (e quello che poteva ragionevolmente configurarsi sulla base delle aspettative maturate nel corso del rapporto), mentre la liquidazione dell’importo dovuto, una volta riconosciuto il relativo diritto per non essere il coniuge richiedente in grado di mantenere con i propri mezzi detto tenore di vita, dev’essere compiuta valutando in concreto, anche in rapporto alla durata del matrimonio, le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ognuno e di quello comune, il reddito di entrambi (cfr. Cass., Sez. 1, 12 luglio 2007, n. 15611; 22 agosto 2006, n. 18241; 19 marzo 2003, n. 4040; 27 settembre 2002, n. 14004).

Tali criteri sono stati correttamente applicati dalla Corte d’appello, la quale ha posto a confronto la precarietà della situazione economica della C. , “non dedita ad alcuna attività di lavoro durante la ultraventennale convivenza coniugale”, con la posizione economica, indubbiamente più agiata, connessa all’attività libero – professionale esercitata dal M. , concludendo pertanto per la configurabilità di un apprezzabile deterioramento delle condizioni economiche dell’intimata, in conseguenza dello scioglimento del matrimonio, tale da giustificare l’imposizione a carico del ricorrente dell’obbligo di corrispondere un contributo volto a ristabilire l’equilibrio tra le parti.

 

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ASSEGNAZIONE CASA NEL DIVORZIO E NELLA SEPARAZIONE

Va osservato, al riguardo, che – sia in sede di separazione che di divorzio – gli artt. 155 quater c.c. (applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis) e 6, co. 6, della L. n. 898 del 1970, come modificato dall’art. 11 della L. n. 74 del 1987, consentono al giudice di assegnare l’abitazione al coniuge non titolare di un diritto di godimento (reale o personale) sull’immobile, solo se a lui risultino affidati figli minori, ovvero con lui risultino conviventi figli maggiorenni non autosufficienti. Tale ‘ratio’ protettiva, che tutela l’interesse dei figli a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, non è configurabile, invece, in presenza di figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi, verso i quali non sussiste, invero, proprio in ragione della loro acquisita autonomia ed indipendenza economica, esigenza alcuna di spedale protezione (cfr., ex plurimis, Cass. 5857/2002; 25010/2007; 21334/2013). Devesi – per il vero – considerare, in proposito, che l’assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario risponde all’esigenza di tutela degli interessi dei figli, con particolare riferimento alla conservazione del loro ‘habitat’ domestico inteso come centro della vita e degli affetti dei medesimi, con la conseguenza che detta assegnazione non ha più ragion d’essere soltanto se, per vicende sopravvenute, la casa non sia più idonea a svolgere tale essenziale funzione. (Cass. 6706/2000).

Come per tutti i provvedimenti conseguenti alla pronuncia di separazione o di divorzio, dunque, anche per l’assegnazione della casa familiare vale il principio generale della modificabilità in ogni tempo per fatti sopravvenuti. E tuttavia, tale intrinseca provvisorietà dei provvedimenti in parola non incide sulla natura e sulla funzione della misura, posta ad esclusiva tutela della prole, con la conseguenza che anche in sede di revisione – come in qualsiasi altra sede nella quale, come nel presente giudizio, sia in discussione il permanere delle condizioni che avevano giustificato l’originaria assegnazione – resta imprescindibile il requisito dell’affidamento di figli minori o della convivenza con figli maggiorenni non autosufficienti.

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Ne discende che, se è vero che la concessione del beneficio ha anche riflessi economici, particolarmente valorizzati dall’art. 6, co. 6, della legge sul divorzio, nondimeno l’assegnazione in questione non può essere disposta al fine di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, a garanzia delle quali è unicamente destinato l’assegno di divorzio (Cass. 13736/2003; 10994/2007; 18440/2013).

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L’esclusione del riconoscimento di un contributo al suo mantenimento si è, conseguentemente, fondato, sulla sua attitudine al lavoro, desumibile dall’età, le condizioni di salute e il possesso di un diploma di laurea oltre che di una potenziale professionalità. Tali condizioni, se non eziologicamente collegate alla prospettiva effettiva ed attuale di svolgimento di un’attività produttiva di reddito, sono inidonee a far venire meno il dovere di solidarietà coniugale, sancito dall’art. 143 terzo comma, cod. civ., che impone, in sede di separazione personale, ai sensi dell’art. 156 cod. civ., la corresponsione di un assegno di mantenimento, in favore del coniuge che non abbia adeguati redditi propri. La valutazione di adeguatezza od inadeguatezza dei redditi personali, deve essere svolta, in virtù dell’origine solidale dell’obbligo a carico dell’altro coniuge, sulla base delle condizioni reddituali e patrimoniali valutabili al momento dell’accertamento della sussistenza del diritto, ben potendo in futuro, tali valutazioni essere modificate in sede di revisione delle condizioni della separazione, qualora le potenzialità lavorative e reddituali del titolare dell’assegno si attualizzino. (art.156, ultimo comma, cod. civ.). Al riguardo, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, è stato affermato che: ‘In tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tenere conto non solo dei redditi in denaro ma anche di ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica. Peraltro, l’attitudine del coniuge al lavoro assume in tal caso rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche. (Cass. 18547 del 2006, cui devono aggiungersi i precedenti conformi 3975 del 2002 e 12121 del 2004)’.

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Cass. civ., Sez. VI – 1, Ordinanza, 12/04/2022, n. 11777

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Costituisce principio consolidato quello secondo cui, nel procedimento di separazione personale fra coniugi, la richiesta di alimenti costituisca un minus necessariamente compreso nella domanda di mantenimento, cosicchè la richiesta di assegno alimentare a carico del coniuge, semprechè espressamente formulata, può essere accolta dal giudice d’appello, senza che ciò implichi vizio di extrapetizione, anche quando nel grado precedente sia stato chiesto solo un assegno di mantenimento e la relativa istanza quindi, ancorchè formulata per la prima volta in appello in conseguenza della dichiarazione di addebito, è ammissibile, non essendo qualificabile come nuova ai sensi dell’art. 345 c.p.c., attesa anche la natura degli interessi ad essa sottostanti.

Cass. civ., Sez. VI – 1, Ord., (data ud. 15/02/2022) 27/04/2022, n. 13162

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PARISE Clotilde – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5836-2021 proposto da:

F.A., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE CANTAGALLO;

– ricorrente –

contro

D.E.L., rappresentato e difeso dall’avvocato Antonietta Ciarrocchi;

– controricorrente –

avverso il decreto n. cronol. 86/2021 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositato l’01/02/2021;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 15/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA FIDANZIA.

Svolgimento del processo

– che con decreto depositato in data 1.02.2021, la Corte d’Appello di l’Aquila, adita in sede di impugnazione ex art. 708 c.p.c., comma 4, avverso il provvedimento con cui il Presidente del Tribunale di Teramo nell’ambito del giudizio di separazione pendente tra D.E.L. e F.A. – aveva stabilito a carico del reclamante, e in favore della reclamata, la misura del contributo al mantenimento dei due figli minori (determinato nell’importo di Euro 800,00 mensili complessivi), in accoglimento del reclamo, ha ridotto tale contributo nella misura dell’importo di Euro 250,00 per ciascun figlio, evidenziando che l’assegno precedentemente stabilito era eccessivo in relazione alle esigenze dei due ragazzi di sette ed undici anni, che non presentavano necessità particolari di cura e istruzione;

– che la Corte d’Appello aveva altresì condannato la F. al pagamento delle spese processuali relative alla fase di reclamo;

– che avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione F.A. affidandolo a due motivi, mentre D.E.L. ha resistito in giudizio con controricorso;

-che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c..

Motivi della decisione

  1. che con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 91c.p.c., e dell’art. 708c.p.c., comma 3, in relazione alla illegittima condanna della parte reclamata al pagamento delle spese processuali, e ciò sul rilievo del carattere non definitivo del decreto di accoglimento del reclamo, la cui statuizione poteva essere anche radicalmente modificata dalla sentenza del Tribunale;
  2. che il motivo è fondato;

che, va preliminarmente ritenuta l’ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione avverso la (sola) statuizione dell’ordinanza di reclamo ex art. 708 c.p.c., comma 4, recante il regolamento delle spese processuali, e ciò sul rilievo che questa Corte ha già enunciato il principio di diritto secondo cui, disciplinando la statuizione sulle spese del procedimento posizioni giuridiche soggettive di debito e credito che discendono da un rapporto obbligatorio autonomo, tale statuizione è quindi idonea ad acquistare l’autorità di giudicato (Cass. n. 8432 del 2020, Cass. n. 9348 del 2017);

– che, quanto al merito, la indiscutibile e non contestata natura provvisoria del provvedimento impugnato (decisione in sede di reclamo ex art. 708 c.p.c., comma 4), destinato a rimanere assorbito dalla decisione di merito, esclude la necessità di una distinta pronuncia sulle spese, dovendo la regolamentazione delle stesse avvenire con la sentenza emessa a conclusione del giudizio di separazione, che dovrà tener conto dell’esito complessivo della lite (vedi sempre Cass. n. 8432 del 2020);

– che ne consegue che deve cassarsi la statuizione relativa alle spese processuali, contenuta nell’ordinanza della Corte d’Appello, e, decidendo nel merito, revocarsi la stessa statuizione sulle spese;

  1. che con il secondo motivo è stata dedotta la violazione/falsa applicazione degli artt. 337-tere 316-bis c.c., relativamente ai parametri previsti per la quantificazione dell’assegnodi mantenimento in favore dei figli minori;
  2. che il motivo è inammissibile;

che, come correttamente evidenziato dalla stessa ricorrente (nell’illustrare il primo motivo), il decreto pronunciato dalla Corte d’Appello, in sede di reclamo ex art. 708 c.p.c., comma 4, pur incidendo su una posizione di diritto soggettivo, ha carattere meramente interinale, provvisorio e suscettibile di essere modificato dal Collegio in sede di decisione del giudizio di separazione;

che, pertanto, non essendo la statuizione del decreto impugnato che disciplina la misura del contributo al mantenimento dei figli minori idonea al passaggio in giudicato (non avendo carattere decisorio), il ricorso per cassazione straordinario sul punto è inammissibile;

– 5. che le spese del presente giudizio possono essere compensate, in considerazione della parziale soccombenza anche di parte ricorrente e del consolidarsi solo in tempi recenti dell’orientamento di questa Corte sopra citato;

– che non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002art. 13, comma 1-quater, essendo il processo esente.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, revoca la statuizione sulle spese di lite relative al giudizio di reclamo.

Dichiara inammissibile il secondo motivo.

Compensa le spese di lite del presente giudizio.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003art. 52.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2022

 

 

Originally posted 2016-06-18 18:30:55.

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