PROCEDIMENTO DISCIPLINARE MEDICI ,RADIAZIONE , ART 609 CP,  CASSAZIONE

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L’errore commesso dalla commissione disciplinare nel riportare la misura della

pena inflitta in via definitiva al ricorrente, come ritenuto dalla decisione

impugnata, è risultato in concreto irrilevante, essendo stata la radiazione

inflitta in considerazione della gravità del reato in sè considerato.

Il fatto che il ricorrente non fosse recidivo specifico ugualmente è stato ritenuto

irrilevante in quanto, come risulta dalla decisione impugnata, la radiazione non

è stata disposta ai sensi del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 42, cioè in relazione a

condanna penale, ma ai sensi dell’art. 41, e cioè per avere il medico, con la

sua condotta, compromesso gravemente la sua reputazione e la dignità della

classe sanitaria.

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Cassazione civile sentenza n. 8340/14

Omissis

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

—- propone ricorso per cassazione contro l’Ordine dei Medici-Chirughi e degli

Odontoiatri di Roma, che resiste con controricorso, avverso la decisione della

Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni sanitarie n. 56/2012,

notificata il 7.1.2013, che ha respinto il ricorso avverso la sanzione disciplinare

della radiazione adottata dalla Commissione Medica dell’OMCeO del 20.5.2011.

Il provvedimento impugnato, premesso che in data 16.6.2010 —— aveva

segnalato che il — era stato condannato in Tribunale, Corte di appello ed in

Cassazione, con ulteriore rinvio in Corte di appello per difetto di motivazione

sull’entità della pena e successiva conferma della pena inflitta per i reati di cui

all’art. 609 cpv c.p., n. 1, art. 609 ter c.p., n. 2, art. 609 septies c.p., comma

4, n. 3, art. 61 c.p., n. 9; che era stato promosso procedimento disciplinare;

che vi erano precedenti pressocché specifici; che l’incolpato aveva dedotto che

la condanna definitiva era di anni 2 di cui da espiare anni 1 mesi 11 e giorni 27

di reclusione; che la commissione aveva ritenuto di irrogare la sanzione della

radiazione; ciò premesso rigettava il ricorso sul presupposto della regolarità

dell’accertamento e della congruità della motivazione. Si denunziano: 1)

violazione dei principi e delle regola in tema di motivazione e segnatamente del

D.P.R. n. 221 del 1950, art. 41 con riferimento alla sostanziale applicazione

dell’art. 42 con la immotivata applicazione della radiazione solo per la

intervenuta condanna per violenza sessuale senza valutare le circostanze

dedotte dal ricorrente.

Si fa, poi, riferimento alla circostanza, non valutata, della riduzione di pena ed

all’erroneo richiamo ad altro episodio. Osserva questa Corte Suprema:

E’ stato pacificamente accertato e non è contestato che il ricorrente è stato

condannato in via definitiva per abusi sessuali commessi nei locali del pronto

soccorso ed in qualità di  medico di  guardia approfittando dello stato

confusionale e di torpore della paziente, cui aveva iniettato farmaci.

Con l’unico motivo il ricorrente, dopo essersi dilungato sulla ammissibilità del

ricorso, deduce, in primo luogo, che la decisione impugnata non avrebbe

tenuto conto del fatto che in sede di appello, nel giudizio penale, vi era stata

una sostanziosa riduzione di pena, in quanto era stata ritenuta sussistente

l’attenuante di cui all’art. 609 c.p., u.c., ed erano state concesse le attenuanti

generiche.

Erroneamente, poi, nella decisione impugnata si è fatto riferimento ad una

recidiva, quando il giudice penale aveva escluso la continuazione tra i due

episodi in relazione ai quali il ricorrente era stato sottoposto (anche) a

procedimento disciplinare.

Il ricorso è infondato.

L’errore commesso dalla commissione disciplinare nel riportare la misura della

pena inflitta in via definitiva al ricorrente, come ritenuto dalla decisione

impugnata, è risultato in concreto irrilevante, essendo stata la radiazione

inflitta in considerazione della gravità del reato in sè considerato.

Il fatto che il ricorrente non fosse recidivo specifico ugualmente è stato ritenuto

irrilevante in quanto, come risulta dalla decisione impugnata, la radiazione non

è stata disposta ai sensi del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 42, cioè in relazione a

condanna penale, ma ai sensi dell’art. 41, e cioè per avere il medico, con la

sua condotta, compromesso gravemente la sua reputazione e la dignità della

classe sanitaria.

In ogni caso le censure sono generiche e non autosufficienti.

Si denunziano non meglio precisate violazioni di legge e vizi motivazionali nel

mero rinvio alle risultanze del processo penale, deducendo che la sentenza di

secondo grado non si limitava ad una riforma in punto di trattamento

sanzionatorio bensì stravolgeva in punto di fatto e di diritto quella di primo

grado e, pur ammettendo l’efficacia del giudicato, si sostiene che il giudice

disciplinare non ha tenuto conto degli elementi indicati dal —-, disattendendo

le risultanze del processo penale in ordine alla ritenuta affinità tra i due episodi

mentre in sede penale si era esclusa la continuazione ritenendo non sufficiente

che a carico dell’imputato si sia proceduto in tempi diversi per più reati della

stessa indole in mancanza dell’unicità del disegno criminoso.

Tali deduzioni sono, tuttavia, inidonee a ribaltare la decisione impugnata che

ha valorizzato non già l’entità della pena inflitta ma l’accertata responsabilità

dei fatti contestati.

Il  provvedimento impugnato ha anche evidenziato,  richiamando la

giurisprudenza costituzionale in materia di illegittimità degli automatismi in

campo disciplinare, che non era stata applicata la radiazione automatica di cui

al D.P.R. n. 221 del 1950, art. 42, bensì quella prevista dall’art. 41, a seguito

di  apposito procedimento disciplinare e che il  ricorrente era già stato

condannato per analoghi fatti, in conseguenza dei quali era stato anche

sanzionato in sede disciplinare, per cui era congrua la misura della radiazione.

Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese liquidate in Euro

5200, di cui 5000 per compensi, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2014.

Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2014

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