CASSAZIONE MEDICI PRESCRIZIONE AZIONE DISCIPLINARE INTERRUZIONE
IL PROCEDIMENTO DISCIPLIANARE ASSOMIGLIA SEMPRE PIU’ AL PROCEDIMENTO PENALE COME PROCEDURA
AVVOCATO SERGIO ARMAROLI DIFENDE MEDICI IN PROCEDIMENTI DISCIPLINARI
l ricorrente assume che, a differenza delle disposizioni sopra indicate, che dettano precetti di carattere generale sotto il profilo comportamentale senza prevedere sanzioni specifiche, ilD.P.R. n. 221 del 1950, art. 41, prevede la sanzione della radiazione in riferimento al comportamento del professionista che abbia assunto connotati tali da compromettere in modo grave la sua reputazione e la dignità della classe cui appartiene. Nella specie, un siffatto comportamento non era mai stato contestato.
2.1. – La doglianza è infondata.
Il D.P.R. n. 221 del 1950, art. 41, contiene una previsione sanzionatoria irrogabile agli iscritti in albi professionali a fronte di violazioni deontologiche di particolare gravità, ovvero di comportamenti tali da compromettere la reputazione del professionista stesso e la dignità della categoria di appartenenza, e i comportamenti che integrano la violazione degli artt. 1 e 2 Codice di deontologia medica, puntualmente contestati al ricorrente in sede disciplinare, ben possono essere sanzionati con la radiazione, come si evince chiaramente dal rinvio contenuto nei predetti artt. 1 e 2 Codice deontologico.
AVVOCATO SERGIO ARMAROLI DIFENDE MEDICI IN PROCEDIMENTI DISCIPLINARI
Il termine quinquennale di prescrizione dell’azione disciplinare nei confronti dei medici, non decorre nel caso in cui sia iniziato, a carico dell’incolpato, un procedimento penale, e tale effetto interruttivo permane per tutto il tempo in cui il procedimento penale abbia corso, con la conseguenza che il nuovo termine prescrizionale inizia a decorrere dalla data in cui la sentenza penale è diventata definitiva, rimanendo invece irrilevante la data in cui l’organo disciplinare ha notizia della definitività del procedimento penale.
Cassazione Civile – Sez. II; Sent. n. 27560 del 31.12.2014
Svolgimento del processo
1. – E’ impugnata la decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie (CEEPS) n. 45 del 12 novembre 2012/28 ottobre 2013, che ha respinto il ricorso proposto da F. M. avverso la Delib. dell’Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della Provincia de L’Aquila 23 settembre 2011, con la quale gli è stata irrogata la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo professionale.
1.1. – A seguito di procedimento penale, conclusosi con sentenza di condanna passata in giudicato il 7 ottobre 2004 alla pena detentiva di mesi quattro di reclusione, sostituita con la sanzione pecuniaria di Euro 4.648,00, per il reato di cui agli artt. 81 e 528 c.p., F.M. è stato sottoposto a procedimento disciplinare.
Il procedimento disciplinare iniziava il 21 aprile 2005, con la formalizzazione dell’addebito di violazione degli artt. 1 e 2 Codice deontologico.
In data 1 dicembre 2005 la Commissione medica decideva per il proscioglimento.
Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale de L’Aquila impugnava il provvedimento di proscioglimento, chiedendo che fosse inflitta la sanzione della radiazione del professionista dall’Albo.
1.2. – Con decisione n. 94 del 15 dicembre 2008, la CEEPS accoglieva il ricorso, annullava il provvedimento di proscioglimento e rinviava gli atti all’Ordine per la riapertura del procedimento e l’irrogazione della sanzione della radiazione.
S1.3. – In data 5 novembre 2009, la Commissione per gli iscritti all’Albo Medici dell’Ordine provinciale de L’Aquila deliberava la riapertura del procedimento disciplinare e contestualmente lo sospendeva, in attesa della decisione della Corte di cassazione sul ricorso presentato da F.M. avverso la decisione n. 94 del 2008 della CEEPS. 1.4. – Con provvedimento del 28 novembre 2011, la stessa Commissione medica locale prendeva atto che il ricorso per cassazione era stato dichiarato inammissibile con ordinanza n. 12101 del 7 aprile/31 maggio 2011, con conseguente irrevocabilità della decisione della CEEPS n. 94 del 2008, e definiva il procedimento disciplinare con l’irrogazione della sanzione della radiazione.
1.5. – Per l’annullamento di tale provvedimento o, in subordine, per la riduzione della sanzione, F.M. ricorreva davanti alla Commissione centrale.
2. – Con la decisione impugnata, la CEEPS rigettava il ricorso osservando, nell’ordine, che: a) non sussisteva la denunciata nullità per difetto di sottoscrizione di tutti i componenti della commissione: b) non vi era stata violazione del principio del ne bis in idem, poichè la Commissione centrale aveva annullato il provvedimento di proscioglimento e rinviato gli atti all’Ordine professionale ai fini della riapertura del procedimento disciplinare;
c) non era intervenuta la prescrizione dell’azione disciplinare, in quanto il procedimento penale aveva interrotto il relativo termine, che aveva ricominciato a decorrere dalla conclusione del procedimento penale; d) nella specie doveva farsi riferimento al termine di cui al D.P.R. n. 221 del 1950, art. 51 e non a quello, ex adverso invocato, introdotto dalla L. n. 97 del 2001; e) la condotta del professionista, secondo la valutazione di esclusiva spettanza dell’Ordine, aveva compromesso la sua reputazione e la dignità della classe medica, e non era in proposito rilevante il fatto che la medesima condotta fosse stata considerata non grave in sede di giudizio penale.
3. – Per la cassazione della citata decisione ha proposto ricorso F.M., sulla base di tre motivi.
Sono rimasti intimati la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, l’Ordine provinciale dei medici de L’Aquila, il Ministero della salute e il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale de L’Aquila.
Motivi della decisione
1. – Il ricorso è infondato.
1.1. – Con il primo motivo è dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè dei principi di ne bis in idem e della non regressione del procedimento.
Il ricorrente lamenta l’erroneità della decisione della CEEPS n. 94 del 2008, che aveva disposto la regressione del procedimento disciplinare anzichè decidere nel merito, come richiesto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale de L’Aquila. Tale erronea decisione aveva comportato l’apertura di un nuovo procedimento disciplinare, per gli stessi fatti, in palese violazione del principio del ne bis in idem, oltre che del principio della domanda e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
1.2. – La doglianza è infondata.
Il contenuto della decisione n. 94 del 2008 della CEEPS è diventato incontrovertibile dopo che la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 12101 del 2011, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal professionista avverso la predetta decisione.
Il giudicato cosi formatosi non consente alcuna rivalutazione delle questioni che si fondano sulla pretesa erroneità della predetta decisione, dovendosi in ogni caso escludere che la disposta regressione del procedimento abbia dato luogo ad un nuovo procedimento disciplinare, in violazione del principio del ne bis in idem.
2. – Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione nella individuazione della norma in assunto violata dal professionista, che non sarebbe il D.P.R. n. 221 del 1950,art. 41, richiamato nella decisione impugnata ma non contestato, bensì l’art. 1, comma 2 e art. 2 del Codice di deontologia medica.
Il ricorrente assume che, a differenza delle disposizioni sopra indicate, che dettano precetti di carattere generale sotto il profilo comportamentale senza prevedere sanzioni specifiche, ilD.P.R. n. 221 del 1950, art. 41, prevede la sanzione della radiazione in riferimento al comportamento del professionista che abbia assunto connotati tali da compromettere in modo grave la sua reputazione e la dignità della classe cui appartiene. Nella specie, un siffatto comportamento non era mai stato contestato.
2.1. – La doglianza è infondata.
Il D.P.R. n. 221 del 1950, art. 41, contiene una previsione sanzionatoria irrogabile agli iscritti in albi professionali a fronte di violazioni deontologiche di particolare gravità, ovvero di comportamenti tali da compromettere la reputazione del professionista stesso e la dignità della categoria di appartenenza, e i comportamenti che integrano la violazione degli artt. 1 e 2 Codice di deontologia medica, puntualmente contestati al ricorrente in sede disciplinare, ben possono essere sanzionati con la radiazione, come si evince chiaramente dal rinvio contenuto nei predetti artt. 1 e 2 Codice deontologico.
3. – Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 51.
Si contesta l’interpretazione delle norme in materia di prescrizione dell’azione disciplinare, avuto riguardo in particolare all’effetto sospensivo, soltanto facoltativo, che discenderebbe dal promovimento del procedimento penale per gli stessi fatti per i quali il professionista è sottoposto al procedimento disciplinare.
Si assume quindi che, nel caso di specie, a fronte di fatti penalmente rilevanti, di cui l’Ordine professionale aveva avuto contezza nel giugno del 1999, il termine quinquennale di prescrizione dell’azione disciplinare aveva iniziato a decorrere al più tardi a partire dal 31 dicembre 1999, con la conseguenza che, al momento dell’apertura del procedimento disciplinare in data 21 aprile 2005, il predetto termine era decorso.
3.1. – La doglianza è infondata.
3.1.1. – Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, il termine quinquennale di prescrizione dell’azione disciplinare nei confronti dei medici, di cui al D.P.R. n. 221 del 1950,art. 51, non decorre nel caso in cui sia iniziato, a carico dell’incolpato, un procedimento penale, e tale effetto interruttivo permane per tutto il tempo in cui il procedimento penale abbia corso, con la conseguenza che il nuovo termine prescrizionale inizia a decorrere dalla data in cui la sentenza penale è diventata definitiva, rimanendo invece irrilevante la data in cui l’organo disciplinare ha notizia della definitività del procedimento penale (così, Cass., sez. 3^, sentenza n. 4658 del 2006; Cass., sez. 3^, sentenza n. 10517 del 2009; Cass., sez. 3^, sentenza n. 9860 del 2014).
3.1.2. – Nella specie, tra il 7 ottobre 2004, data in cui è divenuta definitiva la sentenza di condanna del ricorrente, e il 21 aprile 2005, data di avvio del procedimento disciplinare nei confronti del medesimo ricorrente, non era decorso il termine quinquennale di prescrizione.
4. – Si provvede sul contributo unificato, come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 novembre 2014. Depositato in Cancelleria il 31 dicembre 2014
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