Omicidio colposo e violazione delle norme di sicurezza sui cantieri braccio operativo delle gru
Corte d’Appello|L’Aquila|Penale|Sentenza|26 febbraio 2014| n. 615
Omicidio colposo e violazione delle norme di sicurezza sui cantieri – Violazione delle norme di sicurezza sui cantieri – Omicidio colposo per tutti i soggetti responsabili della sicurezza sui cantieri – Divieto di lavorazione ad una certa distanza dalle linee di corrente – Divieto esteso anche alle gru – Distanza da calcolarsi sulla massima estensione del braccio operativo delle gru – Errore nella manovra della gru come errore prevedibile – Inidoneità della presenza di cause imponderabili ed eccezionali idonee ad interrompere il nesso di causalità
Omicidio colposo e violazione delle norme di sicurezza sui cantieri – Violazione delle norme di sicurezza sui cantieri – Omicidio colposo per tutti i soggetti responsabili della sicurezza sui cantieri – Divieto di lavorazione ad una certa distanza dalle linee di corrente – Divieto esteso anche alle gru – Distanza da calcolarsi sulla massima estensione del braccio operativo delle gru – Errore nella manovra della gru come errore prevedibile – Inidoneità della presenza di cause imponderabili ed eccezionali idonee ad interrompere il nesso di causalità
Omicidio colposo e violazione delle norme di sicurezza sui cantieri – Violazione delle norme di sicurezza sui cantieri – Omicidio colposo per tutti i soggetti responsabili della sicurezza sui cantieri – Divieto di lavorazione ad una certa distanza dalle linee di corrente – Divieto esteso anche alle gru – Distanza da calcolarsi sulla massima estensione del braccio operativo delle gru – Errore nella manovra della gru come errore prevedibile – Inidoneità della presenza di cause imponderabili ed eccezionali idonee ad interrompere il nesso di causalità
Omicidio colposo e violazione delle norme di sicurezza sui cantieri – Violazione delle norme di sicurezza sui cantieri – Omicidio colposo per tutti i soggetti responsabili della sicurezza sui cantieri – Divieto di lavorazione ad una certa distanza dalle linee di corrente – Divieto esteso anche alle gru – Distanza da calcolarsi sulla massima estensione del braccio operativo delle gru – Errore nella manovra della gru come errore prevedibile – Inidoneità della presenza di cause imponderabili ed eccezionali idonee ad interrompere il nesso di causalità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D’APPELLO DI L’AQUILA
SEZIONE PENALE
In Nome del Popolo Italiano
La Corte d’Appello di L’Aquila, Sezione Penale, composta dai Sigg. Magistrati:
dott. Aldo Manfredi Presidente
dott. Marco Flamini Consigliere rel.
dott.ssa Flavia Grilli Consigliere
alla pubblica udienza del 17 febbraio 2014, con l’intervento del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. Al.Sg., e con l’assistenza del Cancelliere sig.ra Ga.Ca., ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nel processo penale a carico di:
1) Ta.Ca., nata a Borgorose, residente a L’Aquila, elettivamente domiciliata a Roma, presso lo studio dell’avv. St.Ni.; libera, presente.
Difesa di fiducia dall’avv. Gi.Pe., del foro di Roma, presente.
2) Ca.Be., nato a L’Aquila il 28 marzo 1977 e ivi residente, con domicilio dichiarato a L’Aquila; libero, presente.
Difeso di fiducia dall’avv. St.Ni., del foro di Roma, presente.
3) Di.Ma., nato a Teramo il 7 ottobre 1967, residente a Colledara, elettivamente domiciliato a L’Aquila, presso lo studio dell’avv. Fa.Gi.; libero, contumace.
Difeso di fiducia dall’avv. Fa.Gi., del foro di L’Aquila, sostituito, per delega, dall’avv. Fi.De., del foro di Roma.
4) Sa.Gi., nato a Tossicia il 22 giugno 1962, residente a Isola del Gran Sasso, con domicilio dichiarato a Isola del Gran Sasso; libero, contumace.
Difeso di fiducia dall’avv. Li.Ni., del foro di Teramo, presente.
5) Li.Gi., nato a Ascoli Piceno e ivi residente, con domicilio dichiarato a Gubbio, presso l’azienda “Co. s.p.a.”; libero, contumace. Difeso di fiducia dall’avv. Ma.Pe., del foro di Rovigo, presente.
6) BI. Gi. ..omissis. .. (assolto in primo grado).
7) Du.To., nato a Montereale, elettivamente domiciliato a Coppito, presso lo studio dell’avv. An.Va.; libero, contumace.
Difeso di fiducia dall’avv. Fi.De., presente, e dall’avv. Or.De., non comparso, entrambi del foro di Roma.
8) CA. Gi. omissis… (assolto in primo grado).
imputati
TA.Ca.. Ca.Be.. CA. Gi., Di.Ma.. SA.Gi. Li.Gi., Bi.Gi., Du.To.:
- A) del delitto p. e p. dagli artt. 41 e 589, commi 1 e 2, c,p., perché, Ta.Ca. quale committente delle opere di costruzione di un edificio residenziale da edificare su terreno censito al foglio 23, particelle 1883 e 1887 del NCT del Comune di Tornimparte; Ca.Be. quale coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione delle opere;
- Gi.quale delegato, in fatto, del coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione delle opere;
Di.Ma. quale legale rappresentante della ditta “Di. s.r.l. “, in qualità di appaltatore/subappaltante delle opere; SA. Gi. quale titolare della ditta individuale “GI.”, in qualità di subappaltatore delle opere;
Li.Gi. quale capo area della ditta “Co. sp. a. “, in qualità di assuntore a noleggio della beton pompa; Bi.Gi. quale legale rappresentante della ditta “In.”, in qualità di proprietario della beton pompa concessa in noleggio;
Du.To. quale dipendente della ditta “In. ” e autista/manovratore della betonpompa, per colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia e integrata nonché violazione delle norme di prevenzione di cui ai capi che seguono, cagionavano il decesso del dipendente della ditta “GI.” Fe.Lu. per arresto cardiaco determinato da elettrofolgorazione. In particolare, il dipendente Fe.Lu., addetto al controllo manuale -onde garantire il corretto direziona mento del calcestruzzo fuoriuscente dalla stessa – della parte terminale del braccio meccanico della betonpompa utilizzata nel cantiere e manovrata mediante radiocomando a distanza dal Du., mentre impugnava le apposite maniglie, veniva attinto da una scarica di corrente elettrica che, per effetto di un’errata manovra del braccio snodato della pompa, si scaricava sulla struttura metallica della betonpompa e quindi sul Fe. a causa del contatto tra il braccio della stessa e la linea elettrica aerea a media tensione a 20.000 volt presente nell’area di cantiere nella parte soprastante la zona interessata dai lavori per la gettata. In Tornimparte (AQ), frazione Villagrande, il 17 aprile 2007.
TA.Ca. Ca.Be. CA. Gi., Di.Ma., SA.Gi.:
- B) del reato p. e p. dagli artt. 11 e 77, lettera b), D.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, per avere, ciascuno nella qualità rispettivamente indicata al capo A), consentito e comunque non evitato l’esecuzione dei lavori di cui sopra in prossimità di linee elettriche aeree poste a distanza inferiore a metri cinque rispetto all’area interessata dalle opere e, segnatamente, dalla macchina operatrice betonpompa, omettendo, altresì, di attendere il già richiesto intervento dell’ENEL per lo spostamento della linea elettrica, programmato per il giorno successivo, e di adottare ogni altra misura idonea a evitare contatti con la predetta linea ad alta tensione.
In Tornimparte (AQ), frazione Villagrande, il 17 aprile 2007.
TA.Ca., Ca.Be., CA.Gi., DI.MA., SA.Gi., Li.Gi.,
Bi.Gi.:
- C) del reato p. e p. dagli artt. 7, comma 2, e 89, comma 2, lettera a), D.L. vo 29 settembre 1994, n. 626, per non avere, ciascuno nella qualità rispettivamente indicata al capo A), effettuato il coordinamento di legge degli interventi di protezione e di prevenzione dei rischi cui era esposto il lavoratore Fe.Lu., informandosi reciprocamente, ciascuno quale datore di lavoro responsabile per le opere appaltategli e/o i macchinari approntati e i Ca. per la specifica qualifica rivestita, al fine di eliminare i rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese a vario titolo coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva e, segnatamente, della situazione dei luoghi in cui i propri dipendenti o i propri macchinari erano destinati a operare, effettuando gli opportuni sopralluoghi al fine di accertare ed eliminare la situazione di rischio specifica esistente per effetto della presenza della linea elettrica aerea nell’area interessata dai lavori.
In Tornimparte (AQ), frazione Villagrande, il 17 aprile 2007.
I soli Ca.Be. e CA. Gi.:
- D) ciascuno del reato p. e p. dagli artt. 5, comma 1, lettere a), b), c), e), f) e 21, comma 2, lettera a), D.L.vo 29 settembre 1996, n. 494, per avere, nelle qualità rispettivamente indicate al capo A), omesso di provvedere: a verificare, tramite opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione da parte delle varie imprese impegnate a vario titolo nell’esecuzione dell’opera, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, con particolare riguardo alla parte relativa all’esistenza della linea elettrica e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; a organizzare tra i datori di lavoro Ca.Be., Di.Ma., Sa.Gi., Li.Gi. e Bi.Gi., la cooperazione e il coordinamento delle attività, nonché la loro reciproca informazione; a segnalare a tutti i lavoratori interessati, e segnatamente allo stesso Fe.Lu., la situazione di rischio determinatasi per la presenza della linea elettrica e a sospendere, attesa la grave e imminente situazione di pericolo, la lavorazione in corso fino all’avvenuto adeguamento del cantiere alle prescrizioni dì sicurezza previste dal PSC.
In Tornimparte (AQ), frazione Villagrande, il 17 aprile 2007.
La sola TA.Ca.:
- E) del reato p. e p. dagli artt. 6, comma 2, in relazione all’art. 5, comma 1, lettera a), D.L.vo 29 settembre 1996, n. 494, per avere, nella qualità indicata al capo A), omesso di verificare l’adempimento, da parte del coordinatore per la progettazione e l’esecuzione Ca.Be. e del suo delegato in fatto Ca.Gi., degli obblighi di cui all’art. 5, comma 1, lettera a) della stessa legge.
In Tornimparte (AQ), frazione Villagrande, il 17 aprile 2007.
Il solo Du.To.:
- F) del reato p. e p. dagli artt. 5, commi 1 e 2, lettere b), d) eh) del D.L.vo 29 settembre 1994, n. 626, per avere, nella qualità indicata al capo A), omesso: di utilizzare correttamente il macchinario beton pompa determinando, per effetto di un’errata manovra nell’uso del radiocomando a distanza, il contatto tra il braccio meccanico impugnato da Fe.Lu. e la linea elettrica aerea soprastante; di adoperarsi direttamente per eliminare la situazione di pericolo esistente a causa della presenza della linea elettrica aerea nell’area soprastante la zona della gettata di cemento rifiutandosi di eseguire la manovra richiestagli al fine di porre in essere, per quanto di sua competenza e nell’ambito delle sue possibilità, le condizioni necessarie per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori.
In Tornimparte (AQ), frazione Villagrande, il 17 aprile 2007.
Appellanti gli imputati Ta., Ca.Be., Di.Ma., Sa., Li. e Du. avverso la sentenza del Tribunale in composizione monocratica di L’Aquila in data 28 gennaio 2011, con la quale veniva dato il seguente dispositivo:
“Visto l’art. 530 c.p.p., assolve Bi.Gi. e Ca. Gi. dai reati ascritti, per non avere commesso il fatto;
visto l’art. 531 c.p.p., dichiara non doversi procedere per essere i reati estinti per oblazione in relazione ai capi B), C), E) per Sa. e Ta.;
visti gli artt. 533 e segg. c.p.p., dichiara Ta., Ca.Be., Di.Ma., Sa., Li. e Du. colpevoli dei rimanenti reati ascritti,
unificati ex art. 81 c.p., e li condanna, concesse generiche attenuanti equivalenti alla contestata aggravante, alla pena della reclusione:
Ta. di anni uno;
Du. di anni uno e mesi sei;
Sa. di anni uno e mesi nove;
Li., Di.Ma. e Ca.Be. di anni due,
oltre al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, da determinarsi in separata sede, a una provvisionale di 15.000,00 euro per ogni parte civile, alla rifusione delle spese legali, che determina in complessivi 3.000,00 euro, più spese forfettarie, IVA e CPA.
Pena sospesa e non menzione.
Mesi uno per deposito motivazione”.
Le parti hanno così concluso:
il Procuratore Generale ha chiesto pronunciarsi sentenza di non doversi procedere per prescrizione in ordine alle contravvenzioni contestate a Ta. e a Ca. e rideterminazione delle pene in anni uno, mesi cinque e giorni venti di reclusione per Du., in anni uno, mesi undici e giorni venti di reclusione per Ca.Be., in anni uno e mesi due di reclusione per Sa., previa concessione a quest’ultimo dell’attenuante del risarcimento del danno, con conferma nel resto;
i difensori si sono tutti riportati ai motivi d’appello, chiedendone l’accoglimento, e l’avv. Ni. ha anche depositato memoria scritta.
Motivazione
Con sentenza in data 28 gennaio 2011, il Tribunale in composizione monocratica di L’Aquila:
dichiarava Ta.Ca., Ca.Be., Di.Ma., Sa.Gi., Li.Gi. e Du.To. colpevoli del reato di omicidio colposo in relazione alla morte del lavoratore Fe.Lu., nonché delle contravvenzioni alla normativa infortunistica di cui alla rubrica (ad eccezione dei capi B), C) e E) per Sa. e Ta., i quali erano stati ammessi, per tali capi, all’oblazione); ritenuta la continuazione tra i reati, condannava la Ta. alla pena di anni uno di reclusione, il Du. alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, il Sa. alla pena di anni uno e mesi nove di reclusione, il Li., il Di.Ma. e il Ca.Be. alla pena di anni due di reclusione;
– condannava tutti gli imputati al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili, da liquidarsi in separata sede, con provvisionale di Euro 15.000,00 per ciascuna di esse, nonché alla rifusione delle spese sostenute per l’esercizio dell’azione;
– assolveva, con formula “per non avere commesso il fatto”, i coimputati Ca. Gi. e Bi.Gi..
La vicenda riguardava il decesso, sul posto di lavoro, di Fe.Lu., dipendente della ditta individuale “GI.”, il cui titolare era il Sa.Gi., subappaltatrice delle opere di realizzazione di un edificio residenziale in via di edificazione in territorio di Tornimparte.
in particolare, secondo la prospettazione accusatoria cristallizzata nell’imputazione, il Fe. era addetto al controllo manuale della parte terminale del braccio meccanico della betonpompa con la quale si stava operando una gettata di calcestruzzo. La pompa era comandata a distanza, attraverso un radiocomando, da Du.To. (dipendente della “IN.” e conducente del mezzo). A seguito di un contatto tra il braccio della betonpompa e la linea elettrica aerea di media tensione a 20.000 volt che sovrastava il cantiere, si scaricava corrente elettrica sulla struttura metallica e, quindi, sulle maniglie in quel momento impugnate dal Fe. per direzionare la parte finale del braccio. L’operaio veniva investito dalla scarica e decedeva sul colpo. I profili di colpa addebitati agli imputati erano diversi, e se ne darà conto nel corso della trattazione.
Avverso la sentenza, hanno proposto tempestivo appello i difensori di tutti gli imputati condannati in primo grado.
APPELLO TA.:
Con un primo motivo, la difesa di Ta.Ca. deduce, in punto di fatto, che:
1) non sarebbe stato affatto dimostrato che la dispersione di corrente avvenne per contatto strisciante o per arco voltaico ma, anzi, gli elementi probatori acquisiti al processo dimostrerebbero che tali situazioni non si verificarono. Ed invero, posto come dato incontestato che in occasione dell’incidente fu registrata dall’Enel una dispersione di corrente pari a 7 ampère, sarebbe emerso in dibattimento (testimonianze dell’ing. Di.Tu. e dell’ing. Pa.) che i fenomeni di contatto franco, contatto strisciante e arco voltaico determinano un’identica dispersione totale della tensione che, in una linea di 20.000 volt, è pari o prossima ai 40 ampère;
2) d’altro canto, il braccio della betonpompa (costituito da tre distinte porzioni, più la cosiddetta proboscide finale, manovrata manualmente dal Fe.), non sarebbe mai andato al di sotto dei cinque metri dalla linea elettrica, per come sarebbe dimostrato dai calcoli e dalle rappresentazioni grafiche dell’ing. La.Ba., consulente della difesa. L’unica possibilità di toccare i cavi elettrici si sarebbe avuta solo con la completa estensione delle tre porzioni verso l’alto, ma si sarebbe trattato di un posizionamento immotivato e privo di ogni utilità al fine dell’attività in esecuzione;
3) la sola spiegazione possibile alla dispersione di corrente sarebbe quella del cosiddetto contatto non franco, nel quale il passaggio di corrente avviene attraverso un mezzo di trasmissione che oppone una resistenza. Nel caso di specie, la quantità di tensione dispersa (quantificata in 7 ampère) escluderebbe senz’altro le ipotesi di contatto “franco”, di contatto strisciante o di “arco voltaico” (situazioni che avrebbero determinato, tutte, una dispersione di corrente nell’ordine di circa 40 ampère), e costituirebbe, invece, un valore assolutamente compatibile con un cosiddetto “contatto non franco”, nel quale il passaggio di corrente avviene con una impedenza di contatto consistente e, cioè, attraverso un mezzo di trasmissione che oppone una resistenza al passaggio di corrente. In particolare, il valore suddetto, valutato il voltaggio della linea, dimostrerebbe che nel caso di specie si frappose una resistenza pari a 1.546 ohm, valore compatibile con una nube d’acqua che avrebbe agito da conduttore (testimonianza dell’ing. Pa.);
4) dalle fotografie versate in atti si rileverebbe chiaramente l’esistenza, intorno allo snodo tra il primo e il secondo braccio della pompa, di una vasta macchia di colore grigio che localizzerebbe il punto dal quale sarebbe fuoriuscita la nube d’acqua che, dirigendosi verso la linea elettrica, avrebbe determinato la dispersione di corrente. A tale riguardo, del tutto inconferenti sarebbero le obiezioni sollevate dalla sentenza alla tesi difensiva della perdita dal braccio della betonpompa.
Con un secondo motivo, deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 della Costituzione e dell’art. 6C.E.D.U., non essendo stato consentito alla difesa, nel corso delle indagini preliminari, di eseguire rilievi e misurazioni presso il cantiere e verifiche sulla betoniera in sequestro. Ogni richiesta di accesso in tal senso sarebbe stata negata e gli accertamenti non avrebbero più potuto essere svolti con una qualche utilità dopo il dissequestro, atteso che risulta in atti che subito dopo avere riavuto il mezzo, il proprietario Bi. provvide alla sostituzione delle tubazioni, i cui eventuali difetti non sarebbero stati, a quel punto, più rilevabili.
Con un terzo motivo, deduce la nullità della sentenza per violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza. Ed invero, la Ta. venne imputata quale committente dei lavori e non quale responsabile degli stessi. A lei fu contestato, in primis, dì avere omesso di adottare le opportune azioni di coordinamento e di controllo finalizzate a verificare l’applicazione delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e dì coordinamento (art. 5, comma 1, lettera a) legge 494/96). Ebbene, evidenzia la difesa che è emerso in dibattimento che il giorno prima dell’incidentesi tenne un incontro tra il Sa., il Di.Ma., Ca. Gi. (incaricato da Be.Ca., coordinatore per la progettazione e l’esecuzione dei lavori), e il Ve. (incaricato dalla Ta.), nel corso del quale furono individuate le opere realizzabili prima dello spostamento della linea elettrica e le precauzioni da adottare. Con il che sarebbe dimostrato che coordinamento vi fu. Quanto all’omesso controllo, dalla sentenza si evince che all’imputata è stato addebitato – diversamente dall’imputazione sub E) – il diverso profilo di colpa consistente nell’avere omesso di controllare il cantiere (e non l’attività del coordinatore), contestandole, insieme al Ca., il fatto di non aver deciso come dovesse essere posizionata la betonpompa.
Osserva la difesa, previo analitico esame dei principi affermati dalla nota sentenza della Sez. IV, 20 novembre 2009, Fu., n. 1490, Rv 246302, che la Ta. non avrebbe violato alcuna disposizione di legge. In particolare, l’imputata incontrò, la mattina del 17 aprile 2007, il coordinatore Ca. e chiese chiarimenti sul tipo di attività che sarebbe stata svolta quel giorno, fissato dalla ditta appaltatrice per l’inizio dei lavori, ricevendo assicurazione sul fatto che sarebbe stata effettuata la gettata del cosiddetto “magrone” e che ogni altro lavoro sarebbe stato sospeso fino a quando l’Enel non avesse spostato la linea elettrica, così verificando ella l’adempimento dell’obbligo da parte del coordinatore. Si sostiene, insomma, che l’imputata Ta. non venne meno all’obbligo impostole dalla legge (avendo lei realizzato il coordinamento, essendosi informata sui rischi del cantiere, avendo fornito – tramite il coordinatore – l’indicazione del rispetto della distanza dalla linea elettrica e avendo verificato personalmente che il coordinatore si stesse recando in cantiere per controllare il rispetto del piano di sicurezza e coordinamento) e che tra i suoi compiti non rientrava affatto l’individuazione dell’esatto posizionamento della betonpompa, che sarebbe l’unico profilo di colpa addebitatole di fatto nella pronuncia di condanna, con palese violazione dell’art. 521 c.p.p. in tema di correlazione tra accusa e sentenza.
Con un quarto motivo, la difesa della Ta. esclude che la stessa possa essere ritenuta responsabile per non avere atteso lo spostamento della linea elettrica prima di iniziare i lavori. A tale riguardo, si osserva nell’atto d’appello che il rischio di fulminazione era stato previsto nel PSC, il quale contemplava le contromisure da adottare, che tali contromisure furono ribadite nel corso della riunione del 16 aprile 2007, che la Ta. non aveva le competenze tecniche per discutere della bontà e della efficacia delle stesse, e che per ciò si era affidata a un professionista esperto e a una ditta molto nota per l’esecuzione dei lavori. Elle fece ciò che era nelle proprie possibilità e competenze e, cioè, chiese all’Enel lo spostamento della linea elettrica. L’inizio dei lavori era stato deciso dalla ditta appaltatrice e dall’ing. Ca.. Con un ultimo motivo, la difesa si duole del giudizio di equivalenza tra le opposte circostanze, invocando la prevalenza delle attenuanti generiche, attesa la condotta tenuta dalla Ta., la quale non solo si rivolse a professionisti in possesso dei requisiti di legge e non ritenne di lavorare “in economia”, ma ha tenuto un comportamento processuale collaborativo.
APPELLO CA.BE.:
L’avv. St.Ni., nell’interesse di Ca.Be., sostiene che il giudizio avrebbe dimostrato in modo lampante, incontrovertibile, manifesto e irrefutabile che la dispersione di corrente non si verificò per contatto o per un eccessivo avvicinamento del braccio della betonpompa alla linea elettrica sovrastante il cantiere.
Ciò perché i consulenti tecnici hanno dichiarato e dimostrato che al momento dell’incidente il braccio del mezzo meccanico era ben al di sotto dei cinque metri di distanza dalla linea e che la dispersione della corrente fu causata dalla fuoriuscita di liquido dal braccio della pompa, con conseguente formazione di una nube di acqua mista a cemento che avrebbe agito da conduttore.
Secondo lo stesso estensore della sentenza, la pompa si trovava, al momento del fatto, con le tre porzioni del braccio nella seguente posizione: la prima verso l’alto, la seconda verso il basso (così da formare un angolo acuto) e la terza in posizione orizzontale. Ebbene, in tale posizione, il braccio non avrebbe mai potuto trovarsi a una distanza inferiore ai 5 metri dalla linea.
In ogni caso, sarebbe insostenibile l’ipotesi della formazione di un arco voltaico, per la cui verificazione occorrerebbe un avvicinamento del conduttore alla linea elettrica fino a venti centimetri; distanza che è da escludere che si raggiunse nel caso di specie.
La difesa, inoltre, fa riferimento all’intervenuta modifica della disciplina dei lavori in prossimità di una linea elettrica, evidenziando come a seguito dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 81/2008 sia possibile, oggi, eseguire ! lavori fino a 3,50 metri da una linea elettrica con tensione tra i 10.000 e i 15.000 volt, da ciò inferendo che nel caso che occupa si sarebbe verificata una successione nel tempo di legge penale più favorevole all’imputato. Si pone, poi, nei medesimi termini posti dall’avv. Pe., la questione dell’incompatibilità dell’entità della dispersione con il contatto franco e con l’arco voltaico (testimonianze dell’ing. Pa. e dell’ing. Di.). Ancora, come l’avv. Pe., si fa riferimento alle fotografie in atti, che mostrerebbero le tracce della fuoriuscita di liquido dal braccio della betonpompa in corrispondenza dello snodo tra il primo e il secondo braccio.
Di poi, l’avv. Ni. si dilunga su quelli che sarebbero i poteri della Corte una volta che fosse acclarato che i fatti si svolsero in maniera diversa da come descritto nell’imputazione, ricordando che giammai si potrebbe operare un’immutazione del fatto contestato, perché ciò violerebbe sia l’art. 521 c.p.p., sia l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Quindi, vengono analizzati i ruoli e i compiti del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, evidenziando come la giurisprudenza della Suprema Corte abbia chiarito che a tale figura compete solo la cosiddetta “alta vigilanza”,
che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale e stringente vigilanza, momento per momento, che è, invece, demandata al datore di lavoro o al preposto, che sono figure operative. Tanto che l’alta vigilanza non implica, secondo la suprema Corte, la costante presenza nel cantiere del coordinatore, proprio perché il controllo contingente sulle singole lavorazioni spetta ad altre figure. Ne discende che occorre sempre verificare quali siano le concrete cause dell’incidente, così da poter stabilire se esso sia stato contingente e sia scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori, come tale affidato alla sfera di controllo del datore di lavoro e del preposto.
Ora, così come ricostruita la dinamica dell’incidente, non potrebbe sostenersi che il Ca. avrebbe dovuto vigilare sulla perfetta idoneità del macchinario “betonpompa” o sul suo preciso posizionamento in cantiere, una volta stabilito che ì lavori in questione potevano essere realizzati mantenendo la macchina a una distanza inferiore ai cinque metri dalla linea elettrica.
Si contesta che il Tribunale abbia accreditato la tesi accusatoria, definendola la più intuitiva, la più ovvia e la più verosimile, mortificando i contributi scientifici apportati da consulenti di sicura competenza e valorizzando, invece, le dichiarazioni dell’ispettore Fa., del tutto prive di ogni ancoraggio scientifico. Si contesta, poi, con forza, il contenuto della sentenza, laddove si afferma che il Di.Tu. avrebbe dichiarato la compatibilità della dispersione verificatasi con il contatto strisciante o con l’arco voltaico: circostanza, questa, non rispondente al vero, nel senso che l’ing. Di.Tu. mai avrebbe riferito ciò.
Da ultimo, la difesa si duole dell’eccessività della pena e invoca il giudizio di prevalenza delle già concesse attenuanti generiche sulla contestata aggravante.
APPELLO DI.MA..
L’avv. Gi., nell’interesse di Di.Ma., chiede l’assoluzione del proprio assistito dai reati ascrittigli, con ampia formula liberatoria, o quantomeno, ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p. e, in subordine, la riduzione della sanzione al minimo di legge, con concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Rileva quanto segue:
1) la ricostruzione operata dal Tribunale, secondo il quale la dinamica dell’incidente più intuitiva, più logica e più verosimile sarebbe quella che attribuisce la folgorazione al contatto tra i bracci della betonpompa e la linea elettrica sovrastante il cantiere o, al più, alla formazione di arco voltaico, non sarebbe, al contrario, l’unica possibile, perché i consulenti tecnici hanno fornito una spiegazione alternativa all’evento, consistente nella formazione di una nube acquea derivante dalla fuoriuscita del calcestruzzo da un foro esistente in prossimità del secondo braccio, con creazione di una conduzione tra la linea elettrica e il macchinario;
2) il Di.Ma. è stato ritenuto responsabile dell’accaduto sol per avere telefonato alla Co. e avere richiesto l’invio della betoniera. L’imputato aveva subappaltato i lavori per la costruzione dell’edificio alla ditta GI., la quale li aveva assunti con organizzazione di mezzi necessari e con gestione a proprio rischio (circostanza, questa, che emerge chiaramente dalla lettura del contratto di appalto). Dunque, fu trasferito anche il rischio conseguente all’esecuzione delle opere, unitamente ai poteri direttivi all’interno del cantiere e all’organizzazione dello stesso. Non risponderebbe al vero che col contratto fu subappaltata la sola manodopera. La circostanza di fatto rappresentata dall’avere il Di.Ma. partecipato alla riunione tenutasi il giorno precedente il tragico evento si spiegherebbe solo con la necessità di introdurre il Sa. (titolare della GI.) presso il coordinatore Ca. e presso il committente (presente, a quella riunione, attraverso il marito, sig. Ar.Ve.). Infatti, i lavori subappaltati sarebbero iniziati proprio il giorno della morte del povero Fe.. E’ ben vero che il Di.Ma. telefonò alla Co. per sollecitare l’invio della betoniera, ma è pur vero che ciò egli fece su sollecitazione del Sa., al quale detto noleggio era stato rifiutato per indisponibilità del mezzo (a tale riguardo, si sottolinea che il Sa. non era conosciuto presso la Co., al contrario del Di.Ma., il quale, dunque, avrebbe potuto far valere il pregresso rapporto di clientela, al fine di ottenere la disponibilità del mezzo);
3) il subappaltatore che esegua in maniera autonoma i lavori assunti attraverso proprio personale è penalmente responsabile dell’infortunio occorso a un operaio, ove si accerti che l’incidente si è verificato per mancata adozione delle dovute cautele prevenzionali.
APPELLO SA.:
L’avv. Li.Ni., difensore del Sa., osserva:
1) non sarebbe stato provato in termini di certezza che la morte del Fe. avvenne per un contatto della betoniera con la linea elettrica. Anzi, i dati processuali starebbero a dimostrare che ciò non avvenne (dati relativi alla dispersione di energia) e, del resto, esisterebbero ipotesi alternative che sono state compiutamente e adeguatamente dimostrate dai consulenti tecnici;
2) in ogni caso, difetterebbe la prova della violazione di legge da parte del Sa. e, comunque, dell’esistenza di un qualsiasi nesso di causalità tra le funzioni da questi svolte e l’evento mortale;
3) il Sa. aveva subappaltato dal Di.Ma. la sola manodopera, e ciò si evincerebbe chiaramente dal contenuto del contratto, laddove si determinava il prezzo della prestazione in Euro 40,00 al metro quadrato per “solo manodopera, escluso i materiali”. Peraltro, la circostanza era stata riconosciuta dal medesimo Di.Ma. nel corso del proprio interrogatorio reso ai CC di Tornimparte l’8 giugno 2007 su delega del Pubblico Ministero, nel quale il coimputato specificava chiaramente che il proprio ruolo era stato quello di fornire materiale e attrezzatura, avendo subappaltato solo la manodopera (verbale acquisito agli atti del processo);
4) il fatto che fosse stata subappaltata la sola manodopera aveva comportato, secondo l’impostazione difensiva, che i lavoratori svolgessero la loro attività nell’interesse e sotto la direzione dell’utilizzatore (art. 20, comma 2, D.Lvo n. 270/2003). Non a caso, il Sa. era stato individuato dalla Ta. come un operaio del Di.Ma. e dal Ca. Giuseppe come un capo-mastro;
5) la conferma di quanto sopra la si ricaverebbe dal fatto che fu il Di.Ma. a ordinare la fornitura di calcestruzzo alla “Co.”, la quale ultima emise fattura in favore della ditta del Di.Ma. stesso;
6) la decisione di intraprendere i lavori relativi al getto del cosiddetto “magrone” fu assunta nel corso J della riunione del 16 aprile 2007, allorquando la committenza (in persona del marito della Ta.), il coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione delle opere (in persona del delegato Ca. Gi.) e l’appaltatore Di.Ma. decisero, su richiesta esplicita di quest’ultimo, che aveva urgenza di avviare altri cantieri, di operare con l’accortezza di mantenere i bracci della betonpompa in posizione orizzontale rispetto al terreno, così da evitare un pericoloso avvicinamento alla linea elettrica. Alle perplessità manifestate dalla committenza, il Ca. rispose tranquillizzandola e annunciando che ove l’Enel non avesse provveduto ad eseguire il richiesto spostamento della linea elettrica, i lavori successivi alla posa in opera del magrone sarebbero stati interrotti. Tale circostanza è stata confermata dall’ing. Be.Ca., il quale ha chiarito che diede disposizione orale di eseguire solo la gettata del magrone con i bracci della betonpompa posizionati orizzontalmente e, dunque, a distanza ben inferiore dai cinque metri dalla linea elettrica, stimabile in circa 8/10 metri. Così chiarita la successione degli eventi, sarebbe evidente l’irrilevanza del ruolo del Sa., il quale non aveva alcun potere decisionale sull’esecuzione delle opere, né aveva assunto su di sé posizioni di garanzia;
7) sotto l’aspetto sanzionatorio, si chiede il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., da ritenersi prevalente sulla contestata aggravante. In particolare, si osserva che il Sa. ebbe a risarcire, prima del giudizio, le persone offese, le quali, non a caso, rinunciarono alla costituzione di parte civile solo nei confronti del predetto. La prova del risarcimento, non rinvenibile, per mero errore, nel verbale del dibattimento (nel quale si certifica esclusivamente la rinuncia alla costituzione di parte civile), la si ricava comunque dalla copia dell’atto di quietanza e di transazione firmato il 12 ottobre 2010 dalle persone offese, nel quale si da atto della ricezione della somma complessiva di Euro 55.000,00 da parte della ditta GI., a titolo di risarcimento dei danni.
APPELLO LI..
L’avv. Vi.Co., difensore di Gi.Li., chiede l’assoluzione del proprio assistito, per non avere commesso il fatto o con altra formula di giustizia, con rigetto della domanda risarcitoria e, in subordine, previo giudizio di prevalenza delle già concesse attenuanti generiche sulla contestata aggravante, la riduzione della pena, con concessione dei doppi benefici dì legge. Osserva che:
1) il Li. era il procuratore della “Co. s.p.a.”, azienda che ricevè dal Di.Ma. la richiesta di una betonpompa da inviare sul cantiere. Poiché la Co. era in quel frangente sprovvista di macchine disponibili, si rivolse alla “In.”, la quale provvide a inviare un proprio mezzo con autista manovratore. All’imputato è stato addebitato il profilo di colpa consistente nella violazione dell’art. 7 D.L.vo n. 626/94, relativo agli obblighi nascenti a seguito di contratto di appalto o di contratto d’opera;
2) il riferimento normativo sarebbe, tuttavia, inconferente, atteso che Co. non concluse alcun contratto di appalto, né un contratto di prestazione d’opera, ma solo una compravendita, attraverso la fornitura di calcestruzzo. E all’epoca del fatto l’estensione anche alle forniture degli obblighi previsti dall’art. 7 del D.L.vo n. 626/94 non era stata ancora operata, essendo intervenuta solo con il D.L.vo n. 106/2009, che ha modificato l’art. 26 D.L.vo n. 81/2008;
3) nessun dipendente di Co. era impegnato nei lavori di cantiere. Non sarebbe sostenibile la tesi del Tribunale, secondo la quale nel contratto di noleggio intercorso tra Co. e In. dovrebbe ravvisarsi in realtà una locazione con distacco di manodopera. Ed invero, le direttive all’autista della betonpompa non furono certo date dalla Co., la quale si limitò a fornire l’indirizzo presso il quale il macchinario doveva recarsi. Furono i responsabili del cantiere a indicare all’autista-manovratore il tipo di lavoro che doveva essere svolto e le modalità di esecuzione. Alcuna disponibilità del cantiere aveva la Co. e, del resto, tra le figure definite dalla cosiddetta “Direttiva cantieri” non rientra quella di colui che invia mezzi meccanici sul cantiere;
4) il Li. non era neanche a conoscenza del noleggio, che fu gestito da un dipendente (testimonianze di Fr.Li. e di Ia.Gi.);
Sostiene, infine, l’infondatezza della pretesa risarcitoria e censura l’eccessività della pena.
APPELLO DU..
Gli avv.ti Fi.Di. e Or.Di., difensori di Du.To., chiedono la rinnovazione parziale del dibattimento attraverso l’espletamento di una perizia tecnica sulle cause della elettrofolgorazione e, nel merito, l’assoluzione del loro assistito perché il fatto non sussiste o per non averlo egli commesso, o perché il fatto non costituisce reato, eventualmente anche ai sensi dell’art. 530, comma 2, c.p.p..
Nell’atto di gravame si ritiene pienamente condivisibile la tesi sostenuta dai consulenti di parte, che esclude il contatto dei bracci della betonpompa con la linea elettrica o, comunque, la formazione del cosiddetto arco voltaico. S’invoca, ove necessario, una perizia d’ufficio che contribuisca a fare chiarezza sul punto, pur rilevandosi che i dati oggettivi acquisiti al processo già dimostrerebbero, al di là di ogni dubbio, l’impossibilità di verificazione di una delle due ipotesi avanzate in sentenza.
I difensori del Du. hanno depositato, nei termini di legge, dei motivi aggiunti, coi quali sostengono che il loro assistito non assunse alcuna personale iniziativa con riferimento al posizionamento della betonpompa, effettuato nel punto indicatogli. Inoltre, eccepiscono che l’imputato non era a conoscenza del fatto che la linea fosse attiva e che, comunque, egli nulla avrebbe potuto fare per evitare il pericolo.
All’udienza del 2 maggio 2013, la Corte, ritenendo necessario un supplemento istruttorio – del resto richiesto anche dalla difesa Du. nel proprio atto di gravame disponeva procedersi a perizia tecnica. In data 1 luglio 2013 veniva conferito l’incarico peritale all’ing. Lu.Ma., ingegnere elettrico dell’Università di Roma, al quale veniva posto il seguente quesito:
“Dica il perito, previo esame della documentazione esistente in atti, quale sia stata la causa diretta della folgorazione di Fe.Lu.. In particolare, dica, in considerazione delle caratteristiche della linea elettrica e della situazione di fatto esistente a quel momento, se la dispersione verso terra registrata alle ore 15,32,17 del 17 aprile 2007, misurata in 7°, sia, o meno, compatibile con un contatto diretto del braccio della betonpompa con la linea elettrica o con un contatto “non franco” o, ancora, con un cosiddetto “arco voltaico”.
Dica, ancora, tenuto conto della posizione dei bracci della beton pompa, per come rilevabile dalle fotografie in atti e dalle planimetrie allegate alla consulenza del prof. Pa.La., e, ove, necessario, previo sopralluogo, se sia, o meno, possibile che il circuito elettrico venne chiuso da una nube d’acqua ricca di ioni fuoriuscita dai fori esistenti sui bracci medesimi”.
Il perito depositava il proprio elaborato in data 5 dicembre 2013 e, quindi, all’udienza del 27 gennaio 2014 si procedeva al suo esame.
All’odierna udienza, infine, le parti hanno rassegnato le conclusioni riportate in epigrafe. Va detto che tra la data dell’esame del perito e quella in cui è intervenuta la decisione la difesa del Ca. ha depositato una consulenza tecnica di parte redatta dall’ing. Ga.Pa., mentre la difesa del Du. ha depositato una memoria. Altra memoria è stata depositata in udienza dalla difesa del Ca..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene la Corte che l’unico appello meritevole di accoglimento sia quello proposto da Li.Gi., per il quale va pronunciata sentenza di assoluzione dai reati ascritti, per non avere commesso il fatto. Per quanto riguarda gli altri imputati, l’affermazione di penale responsabilità in ordine alla morte del Fe. deve essere confermata.
Con riferimento ai reati contravvenzionali, gli stessi sono ormai prescritti, essendo ampiamente decorso, dalla data della loro consumazione, il termine prescrizionale massimo di cinque anni, e ciò anche tenendo conto del periodo di sospensione del corso della prescrizione (pari a 4 mesi e 19 giorni) causato da rinvii chiesti dalle difese. Tuttavia, per alcune dì tali contestazioni, come meglio si vedrà, può giungersi senz’altro a una pronuncia assolutoria (va solo segnalato che in primo grado il Tribunale ha correttamente dichiarato non doversi procedere nei confronti di Ta. e di Sa. in ordine ai capi B), C) ed E), perché estinti per oblazione. Di tale pronuncia non ha colpevolmente tenuto conto la Corte, che ha pronunciato sentenza di non doversi procedere per prescrizione nei confronti della Ta. per il capo E) e del Sa. per i capi B) e C) ed ha mandato assolta la Ta. dalla contestazione sub C))
Ciò posto, ritiene la Corte che nella ricostruzione dei fatti oggetto di processo sia opportuno fissare i dati certi e incontestabili (e, del resto, non contestati) che sono emersi dal dibattimento:
1) il povero Fe.Lu. trovò la morte per elettrocuzione nel mentre stava eseguendo i lavori di realizzazione del cosiddetto “magrone di sottofondazione”. Egli, in particolare, era intento a spargere a terra il calcestruzzo che veniva pompato dalla betonpompa collocata ai margini del cantiere, e ciò faceva impugnando la cosiddetta “proboscide”, parte finale in gomma del tubo sorretto dai bracci della gru posizionata sulla betoniera;
2) la betonpompa era di proprietà della “In.”, della quale era legale rappresentante Bi.Gi., mandato assolto dal primo giudice per non avere commesso il fatto;
3) il mezzo era stato noleggiato dalla “Co. s.p.a.”, azienda alla quale si era rivolto il Di.Ma. (titolare della “Di. s.r.l.”) per la fornitura del calcestruzzo;
4) la “Co.”, non avendo la materiale disponibilità, in quel frangente, di una macchina adatta all’uopo, ne aveva, appunto, noleggiata una dalla “In.”, ditta che aveva anche messo a disposizione l’autista- manovratore Du.To.;
5) il cantiere era sovrastato da una linea elettrica a media tensione (20.000 volt), situata a distanza superiore ai cinque metri rispetto al piano di lavoro (ad un’altezza variabile tra gli 8 e gli 11 metri);
6) la ditta committente (Ta.Ca.) aveva provveduto a richiedere all’Enel lo spostamento della linea, ma l’ente erogatore non aveva ancora provveduto al riguardo, anche se aveva comunicato che le operazioni sarebbero avvenute il giorno successivo, 18 aprile;
7) il giorno precedente a quello dell’infortunio mortale, si era tenuta una riunione alla quale avevano partecipato la committente (attraverso il marito, sig. Ar.Ve.), il coordinatore per la sicurezza Ca.Be. (attraverso il padre Ca. Gi.), il Di.Ma. (legale rappresentante della ditta incaricata dell’esecuzione dei lavori) e il Sa. (titolare della “GI.”, il quale aveva stipulato un contratto di subappalto sulla cui reale portata si dovrà tornare in seguito). Nel corso di tale riunione, si era stabilito di iniziare i lavori di getto del magrone, con disposizione di tenere i bracci della betonpompa in posizione orizzontale rispetto al terreno, così da escludere ogni possibilità d’interferenza con la linea elettrica sovrastante. Ulteriori attività sarebbero state intraprese solo dopo il già programmato spostamento della linea.
Orbene, è certamente preliminare l’indagine sulle cause della fulminazione che investì il Fe., atteso che gli scritti difensivi s’incentrano, per la massima parte, su tale questione di ffatto, giustamente ritenuta di fondamentale importanza nell’economia della decisione.
Una siffatta indagine non può non muovere da un ulteriore dato fattuale che risulta pacifico agli atti del processo: in corrispondenza temporale con l’incidente, gli strumenti dell’Enel rilevarono il dato numerico di 7 ampere, ritenuto essere indicativo della dispersione di corrente verso terra verificatasi. Va aggiunto, peraltro, , che la scarica elettrica che causò la morte del Fe., per la sua minima durata, non provocò l’attivazione delle protezioni della linea e non interruppe il passaggio di corrente lungo la stessa.
Tutto ciò chiarito, va detto che la difesa della Ta. contesta la lettura che in sentenza viene data del contenuto della deposizione del teste Gi.Di.Tu. (responsabile dell’Esercizio Rete dell’Enel per la Regione Abruzzo), il quale, si osserva, non avrebbe affatto sostenuto la possibilità tecnica che nel caso che occupa si verificarono un contatto strisciante o il fenomeno dell’arco voltaico. Ed invero, rispondendo alle domande finali dell’avv. Pe., il teste ha, in definitiva, affermato che la dispersione a terra in caso di contatto franco sarebbe stata, su quella linea, pari a 40 ampere, e in caso di contatto strisciante e di arco voltaico la dispersione sarebbe stata leggermente inferiore, ma “nello stesso ordine di grandezza”.
A tale riguardo, l’ingegner Ga.Pa., consulente di parte della difesa Ca., ha ritenuto che nel caso di specie il contatto franco (e, cioè, il contatto diretto con impedenza nulla) e il fenomeno dell’arco voltaico (da considerare una sorta di sottospecie del contatto franco, atteso che l’arco scocca appena superata la rigidità elettrica dell’isolante, cosicché il conseguente flusso di elettroni incontra una scarsissima resistenza al proprio passaggio) sarebbero ipotesi da considerare impossibili, perché incompatibili con la modestissima dispersione di energia rilevata dalla strumentazione dell’Enel (i noti 7 ampere). Di contro, sarebbe da ritenersi compatibile con siffatta dispersione l’ipotesi del contatto non franco. Ed infatti, la resistenza di contatto calcolata dal consulente in 1546 ohm rafforzerebbe l’ipotesi che il circuito elettrico venne chiuso da un mezzo che presentava una resistenza consistente ma non elevata, come ad esempio una nube d’acqua ricca di ioni. Proprio al fine di fare definitiva chiarezza sulla significanza dei dati ora rappresentati, la Corte, valutando di non poter decidere allo stato degli atti e delle conoscenze, ha ritenuto necessario disporre una perizia tecnica, affidando l’incarico a un esperto di ingegneria elettrica, il prof. Lu.Ma., dell’Università di Roma. Si riportano, di seguito, le conclusioni alle quali è pervenuto il perito a conclusione di un lavoro condotto con rigorosi criteri scientifici:
1) la morte del Fe. avvenne per una scarica elettrica tra i conduttori della linea aerea e il braccio metallico della betonpompa, che originò una corrente di guasto verso terra, una cui quota attraversò il corpo dell’operaio, entrando dalle mani che impugnavano la “proboscide” (la parte finale del braccio del mezzo meccanico) e uscendo dal piede;
2) la corrente di guasto verso terra registrata alle ore 15,32,17 del 17 aprile 2007 deve ritenersi compatibile con un contatto franco del braccio con la linea elettrica o con un contatto “con presenza di arco”; il valore della corrente di guasto a terra non cambia in maniera significativa in caso di presenza o meno di un arco voltaico;
3) la dicitura 7A riportata sul tabulato Enel, interpretata dai consulenti come la misura della corrente di guasto a terra registrata, è, in realtà, un dato indicativo solo della tipologia dell’evento, essendo invariabile e automaticamente inserito, insieme a “Intervento non risolutivo bobina”, dai sistemi di telecontrollo della cabina in caso di equipaggiamento con terminali di tipo TPT 240. La conseguenza di ciò è che, quale che fosse stato il valore della corrente di guasto a terra, quella indicazione numerica sarebbe stata sempre uguale;
4) le protezioni presenti in cabina primaria rilevarono una dispersione verso terra che determinò l’avviamento delle stesse, ma non l’intervento tramite apertura dell’interruttore automatico, da ciò deducendosi che la corrente di guasto ebbe una durata maggiore di 1,5 secondi, ma minore del tempo d’intervento delle protezioni, oppure con fenomeni d’intermittenza;
5) la quota di corrente che attraversò il corpo del Fe. fu drasticamente limitata dalle resistenze associate al corpo e allo stivale indossato dalla vittima, ed è stimabile in 0,5-0,7 ampere, certamente compatibile con le lesioni riscontrate;
6) è estremamente improbabile che il circuito elettrico potè essere chiuso da un arco avente lunghezza dell’ordine di cinque metri, innescato per mezzo di una nube d’acqua ricca di ioni fuoriuscita dai fori esistenti sui bracci della betonpompa; perché ciò potesse avvenire, il braccio avrebbe dovuto trovarsi a una distanza stimabile come non superiore a un metro dalla linea; l’eventuale presenza di un foro con conseguente fuoriuscita di liquido, certamente non avrebbe provocato una scarica a una distanza del braccio di cinque metri, ma avrebbe, al più, potuto accrescere la distanza di innesco fino al valore massimo di un metro; in altri termini, anche a voler ritenere la massima elongazione possibile di un getto fuoriuscente dal tubo (non certamente superiore a un metro), per poter ritenere tale getto favorente l’innesco il braccio avrebbe comunque dovuto trovarsi a una distanza inferiore ai cinque metri dalla linea (figure 29 e 30);
7) considerando il punto nel quale il camion fu rinvenuto, non è possibile che il terzo braccio della betonpompa fosse, al momento dell’incidente, in posizione orizzontale e parallela al terreno (figura 31 della perizia), poiché in quel caso la distanza del secondo braccio dalla linea elettrica sarebbe stata di oltre cinque metri e, dunque, tale da non consentire né un contatto franco, né un arco in aria lungo innescato da una nube d’acqua provocata dalla fuoriuscita di calcestruzzo dai tubi; a ciò consegue che i bracci dovevano necessariamente trovarsi in posizione diversa da quella riferita dai testimoni e, cioè, nella posizione a “L”, come indicato nella figura 32 della perizia, che consentiva il contatto o lo sfioramento della linea. Ogni altra ipotesi di posizionamento dei bracci presuppone una diversa ubicazione del camion rispetto a quella rilevata (figura 33)
Orbene, si tratta di conclusioni senz’altro condivisibili, sia perché formulate all’esito di approfonditi rilievi e studi, sia perché effettivamente esaustive e convincenti.
Innanzitutto, va sottolineato l’elemento rappresentato dalla sicura insignificanza del dato numerico di 7A, al quale così tanto rilievo avevano dato i consulenti di parte. Il perito ha chiarito il significato del medesimo, escludendo con assoluta certezza che esso sia indicativo della misura della corrente di guasto. Con il che vengono a cadere tutte le argomentazioni difensive che, facendo leva sul dato suddetto, hanno erroneamente escluso la possibilità di un contatto franco o di un arco voltaico “prossimale”.
Per quanto concerne la spiegazione alternativa con vigore prospettata dalle difese in ordine alle modalità attraverso le quali sarebbe stata possibile la formazione di una nube d’acqua ricca di ioni, essa non è verosimile: il calcestruzzo, pompato dalla betoniera ad altissima pressione, sarebbe fuoriuscito da una fessura esistente sul tubo ancorato ai bracci della macchina e avrebbe generato la nube di acqua. La conferma la si dovrebbe trarre dalla visione delle fotografie versate in atti, che evidenzierebbero, intorno allo snodo tra il primo e il secondo braccio della pompa, l’esistenza di una vasta macchia di colore grigio, prova della fuoriuscita del calcestruzzo.
Deve rilevarsi, in verità, che l’esame delle foto non rende così evidente il particolare messo in risalto dalle difese, perché, nel contesto rappresentato da una macchina da lavoro, necessariamente non curata, dal punto di vista della pulizia esterna, come potrebbe essere una vettura per utilizzo familiare, pare difficile attribuire con certezza la presenza di macchie di residui di calcestruzzo a un foro sul tubo Dalle immagini versate in atti si individua, con nitidezza, una riparazione effettuata mediante saldatura, ma in un punto diverso da quello nel quale sarebbe esistito il foro in questione.
A tale proposito, vanno svolte alcune considerazioni in ordine a una delle due eccezioni di nullità sollevate dalla difesa della Ta. nell’atto di gravame, e, segnatamente, a quella relativa alla supposta violazione dell’art. 6 CEDU, con riferimento al diniego frapposto dal Pubblico Ministero all’esame, da parte delle difese, della betonpompa sottoposta a vincolo durante le indagini e poi dissequestrata e immediatamente modificata dal proprietario. Orbene, rileva la Corte, in via preliminare, che sotto il profilo dell’opportunità il provvedimento del Pubblico Ministero appare difficilmente spiegabile, non comprendendosi quale pericolo per le indagini sarebbe conseguito alla effettuazione del sopralluogo e delle verifiche richieste. Ciò posto, deve, tuttavia, rilevarsi che agli atti del processo non si rinvengono istanze della difesa Ta. volte a ottenere l’accesso ai luoghi e ai beni in sequestro, ma solo un’istanza in tal senso della difesa Ca. (la quale, eventualmente, avrebbe avuto diritto di dolersi, ma che non ha fatto cenno alla questione in sede di gravame e che, anzi, si oppose dinanzi al GIP contro il provvedimento di dissequestro del Pubblico Ministero). Orbene, non è pensabile che possa vantare il diritto a sollevare una tale eccezione la parte che nel corso delle indagini non ritenne necessario e utile avanzare al Pubblico Ministero alcuna richiesta volta a ottenere il permesso di accedere ai luoghi e ai beni in sequestro.
Peraltro, la difesa della Ta. neanche sollevò una tale eccezione in sede di dibattimento di primo grado e, a tutto voler concedere, l’invocata nullità si sarebbe verificata nel corso delle indagini preliminari, con conseguente impossibilità di dedurla, per la prima volta, coi motivi d’appello. Né è a dire che si verserebbe in tema di nullità assolute di cui all’art. 179 c.p.p.
In ogni caso, reputa la Corte che la questione, sulla quale pure si è ritenuto di doversi soffermare, non sia rilevante ai fini del decidere.
Ed infatti, anche ove fosse stata dimostrata con certezza l’esistenza di un foro (il che non è), sarebbe stato comunque estremamente disagevole, per non dire impossibile, immaginare che la minima quantità d’acqua da quello fuoriuscita avesse potuto formare una nube carica di ioni capace di fare da conduttore con una linea elettrica posta a distanza di molti metri, e ciò, inoltre, senza che si conosca alcun dato oggettivo circa l’umidità presente e le condizioni climatiche. Il perito ha definitivamente fatto chiarezza anche sul punto.
Ed invero, anche a voler ritenere sussistente la fuoriuscita di calcestruzzo, giammai si sarebbe trattato di un violento getto paragonabile a quello di una pompa d’irrigazione, ma, al più, di una espulsione di materiale avente un’elongazione massima di un metro. Ed allora, è di tutta evidenza che per potere avere, tale fenomeno, un’incidenza effettiva sull’evento, il braccio della beton pompa avrebbe dovuto trovarsi necessariamente a una distanza dalle linee inferiore a quella prevista all’epoca dalla legge.
Tutto ciò premesso, posto che non v’è dubbio (né viene posto in dubbio) che il Fe. morì a causa di una folgorazione e che nessun’altra causa indipendente dall’esistenza della sovrastante linea elettrica è stata mai ipotizzata, è dunque certo che la fulminazione che causò la morte dell’operaio avvenne a seguito di un contatto tra il braccio della beton-pompa e la linea (o, a tutto voler concedere, a un avvicinamento così prossimo che determinò la formazione di un arco voltaico).
Si tratta, allora, di stabilire se i lavori di spandimento del magrone potessero, o meno, essere eseguiti in presenza dì una linea elettrica a media tensione sovrastante il cantiere.
All’epoca dell’infortunio mortale occorso al Fe., la distanza minima da mantenere dalle linee elettriche era pari a cinque metri. Il D.L.vo n. 81/2008 ha previsto, invece, una pluralità di distanze, che variano a seconda della tensione della linea. Per i lavori dei quali si parla, atteso che la linea elettrica aveva una tensione di 20.000 volt, la distanza oggi da osservare è quella di 3,5 metri. Ma si tratta, all’evidenza, di una modificazione normativa che non rileva nel caso di specie, nonostante la difesa di Ca.Be. abbia affermato, facendosi portatrice di una tesi alquanto ardita, che si sarebbe verificata una successione nel tempo di legge penale più favorevole all’imputato, con conseguente applicabilità della normativa oggi in vigore. Al riguardo, infatti, è appena il caso di rilevare che in caso di successione nel tempo di norme extrapenali integratrici del precetto penale, deve ritenersi inapplicabile il principio previsto dall’articolo 2, comma terzo, c.p., qualora si tratti di modifiche della disciplina integratrice della fattispecie penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato, ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto delineando la portata del comando (in tal senso, si vedano Sez. IV, 22 febbraio 2006, Se., n. 17230; Sez. III, 11 gennaio 2011, Gu., n. 15481; Sez. Il, 23 novembre 2011, De.Ma., n. 46669). Nel caso che occupa, la nuova disciplina delle distanze non ha certamente fatto venir meno il disvalore della condotta e, quindi, l’illiceità penale della stessa, ma si è limitata a modificare i presupposti per l’applicazione della norma incriminatrice penale.
Ciò posto, è assolutamente certo – ed è sostanzialmente ammesso dagli stessi appellanti – che i bracci della betoniera, in estensione verso l’alto, avrebbero potuto raggiungere la linea elettrica, e addirittura oltrepassarla. Tanto ciò è vero che nel corso della riunione del 16 aprile si decise di dare avvio ai lavori di spargimento del magrone di sottofondazione avendo però cura di prescrivere che i bracci della betoniera rimanessero posizionati parallelamente al terreno, così da evitare ogni possibile contatto con la linea elettrica.
Orbene, negli atti di gravame viene colpevolmente omesso di considerare che il divieto di lavorazioni a distanza dalla linea di corrente inferiore a quella stabilita è posto dalla legge – come è stato correttamente affermato dal primo giudice – in relazione alle apparecchiature adoperate, nel senso che esse, indipendentemente dalle modalità concrete di lavorazione, non debbono essere poste a distanza inferiore a quella stabilita. A tale riguardo, la giurisprudenza della Suprema Corte (Sez. IV, 26 novembre 1993, Ca., n. 1553; Sez. IV, 14 gennaio 2000, Tr., n. 1560) ha affermato che il divieto di eseguire lavori in prossimità di linee elettriche aeree a distanza minore di quella consentita vale anche per le gru, che devono essere considerate una particolare specie di ponteggio, avendo la funzione di consentire il raggiungimento di determinati punti, situati nel cantiere di lavoro, altrimenti irraggiungibili, e che la distanza di sicurezza in questione va calcolata proprio dall’estremità esterna del braccio operativo, nel senso che, esteso al massimo il braccio della gru, il punto estremo deve sempre rimanere al di sotto di quella distanza. Trattasi di principio ovviamente applicabile al caso della gru della betonpompa. La citata sentenza Ca. precisa che “una tale interpretazione risulta quella più aderente al dettato legislativo e salvaguarda l’essenzialità della ragione di cautela: infatti quello che viene in evidenza è che gli addetti al lavoro non vengano a trovarsi esposti ai rischi conseguenti il contatto elettrico di qualsiasi struttura o marchingegno operativo in cantiere, quale che possa esserne la causa”.
Facendo applicazione dell’indiscusso principio ora ricordato, è giocoforza concludere che i lavori dì pompaggio del calcestruzzo per la posa in opera del magrone non avrebbero potuto essere eseguiti prima dello spostamento della linea elettrica.
Peraltro, va ricordato che l’art. 117 del D.P.R. 81/2008, seppure entrato in vigore in epoca successiva ai fatti per i quali si procede e, dunque, non direttamente applicabile alla fattispecie, usa una terminologia che contribuisce a chiarire la ratio del divieto. Si precisa, infatti, che “la distanza di sicurezza deve essere tale che non possano avvenire contatti diretti o scariche elettriche…omissis”, il che sta a dimostrare che l’intento del legislatore non è solo quello di evitare contatti, ma quello di evitare che, comunque, si generino situazioni foriere di pericolo.
Ed allora, se così è, si deve stabilire se l’incidente avvenne per cause imponderabili ed eccezionali che abbiano eventualmente interrotto il nesso di causalità tra la condotta violativa del precetto e la conseguenza letale. La risposta, al riguardo, non può che essere negativa, atteso che la possibilità di un errore nella manovra dei bracci rientrava, all’evidenza, nel novero delle evenienze prevedibili, soprattutto ove si consideri il fatto (evidenziato dal perito) che, a minimi movimenti sul telecomando (manovrato, nella specie, dal Du.) corrispondono rilevanti movimenti dei bracci, con conseguente oggettiva difficoltà di controllare a mezzo del telecomando gli scostamenti dei tronchi del braccio con la precisione dei centimetri.
Insomma, una volta esclusa – per come si è cercato di dimostrare – la fantasiosa ipotesi della nube ricca di ioni che avrebbe potuto innescare il contatto, il quadro che ne deriva è quello di un’avventatezza nell’esecuzione di lavori che non dovevano essere eseguiti prima dello spostamento della linea elettrica di media tensione, perché vietati e, comunque, prevedibilmente pericolosi.
Tutto ciò posto, deve passarsi all’esame delle singole posizioni processuali, per accertare se tutti gli imputati condannati in primo grado siano, o meno, effettivamente responsabili dell’accaduto.
Con la premessa che se più sono i titolari della posizione di garanzia, ciascun garante risulta per intero destinatario dell’obbligo di impedire l’evento, fino a che non si esaurisca il rapporto che ha legittimato la costituzione della singola posizione di garanzia (così, Sez. IV, 3 novembre 2011, Di.Ca., n. 46849, Rv 252148; Sez. IV, 22 gennaio 2008, Di.To., n. 8593; Rv 238936).
Ta.Ca.:
la Ta. è la committente dei lavori. Ella nominò il coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione dei lavori nella persona dell’ing. Be.Ca., ma non designò alcun responsabile dei lavori. La giurisprudenza della Suprema Corte è pacifica nel ritenere che il committente è esonerato dalle proprie responsabilità esclusivamente se ha provveduto con tempestività non solo alla nomina di un responsabile dei lavori, ma altresì al conferimento allo stesso di una delega avente ad oggetto gli adempimenti richiesti per l’osservanza delle norme antinfortunistiche (si veda Sez. IV, 14 marzo 2008, Sc., n. 23090). Nel caso che occupa, la Ta., come detto, omise di nominare un responsabile dei lavori, assumendo su di sé tale qualifica (si veda il POS allegato agli atti).
E la designazione di un coordinatore per la progettazione o l’esecuzione dei lavori (avutasi nel caso in esame con la nomina del Ca.) non esonera il committente (e il responsabile dei lavori, ove esistente), dalla vigilanza sul coordinatore medesimo in ordine all’effettivo svolgimento dell’attività di coordinamento e controllo sull’osservanza delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento (da ultimo, Sez. IV, 28 maggio 2013, Ga., n. 37738). La sentenza da ultimo citata ha affermato il principio secondo il quale “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il committente, che è il soggetto che normalmente concepisce, programma, progetta e finanzia un’opera, è titolare “ex lege” di una posizione di garanzia che integra ed interagisce con quella di altre figure di garanti legali (datori di lavoro, dirigenti, preposti etc.) e può designare un responsabile dei lavori, con un incarico formalmente rilasciato accompagnato dal conferimento di poteri decisori, gestionali e di spesa, che gli consenta di essere esonerato dalie responsabilità, sia pure entro i limiti dell’incarico medesimo e fermo restando la sua piena responsabilità per la redazione del piano di sicurezza, del fascicolo di protezione dai rischi e per la vigilanza sul coordinatore in ordine allo svolgimento del suo incarico e sul controllo delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza”.
La Ta. – la quale, come già detto, non aveva designato un responsabile dei lavori – fornì intenzionale adesione alla grave, imprudente e addirittura spregiudicata iniziativa dei coimputati Ca., Di.Ma. e Sa. di iniziare i lavori prima dello spostamento della linea elettrica che ella stessa aveva richiesto e che, dunque, doveva necessariamente ritenere un presupposto imprescindibile per l’inizio delle operazioni. Va detto che il Piano Operativo di Sicurezza (acquisito agli atti) prevedeva espressamente, qualificandolo come “possibile” per alcune lavorazioni, il rischio di elettrocuzione, evidenziava la presenza della linea di media tensione per la quale era stato richiesto lo spostamento
Discende, da tutto ciò, la piena responsabilità dell’imputata in ordine al reato di omicidio colposo (a nulla rilevando il fatto che ella delegò a partecipare alla riunione del 16 aprile 2007 il marito). Responsabilità che non è integrata – come sostenuto dalla difesa dall’avere ella omesso di controllare il posizionamento della betonpompa o, più in generale, il cantiere, ma, come già detto, dall’avere consentito i lavori nonostante il concreto rischio esistente, da lei ben conosciuto, tanto che ella stessa aveva chiesto lo spostamento della linea elettrica, che sarebbe stato eseguito il giorno successivo. Fatto, questo, chiaramente contestato al capo B) della rubrica.
Quanto alla contestazione sub C), deve osservarsi che la norma precettiva di cui all’art. 7, comma 2, D.L.vo n. 626/94sancisce gli obblighi del datore di lavoro in caso di affidamento dei lavori a impresa appaltatrice, cosicché riesce oggettivamente arduo ravvisare una responsabilità cumulativa che coinvolga anche il committente, il quale datore di lavoro non è ed è, invece, destinatario di specifici, ma diversi, obblighi. E non può bastare, a fondare l’affermazione di responsabilità (sia pure in presenza di reato prescritto), il generico riferimento alla “specifica qualifica rivestita”. Ne consegue, ad avviso della Corte, una pronuncia assolutoria con ampia formula della Ta. con specifico riferimento al reato di cui al capo C).
Ca.Be.:
Il Ca. cumulava in sé le qualifiche di coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la progettazione dell’opera e durante l’esecuzione della stessa.
Va ricordato che il padre dell’imputato, Ca. Gi., anch’egli imputato, è stato assolto in primo grado in ragione della marginalità del suo operato, concretatosi nella partecipazione, in luogo del figlio, alla riunione del 16 aprile, nel corso della quale, come più volte ricordato, si decise di dare inizio ai lavori di getto del magrone avendo cura di mantenere i bracci della betonpompa in posizione tale da non raggiungere la distanza minima dalla linea elettrica.
Deve dirsi subito che i profili di responsabilità del Ca.Be. non sono ricollegabili alla sua qualifica di coordinatore per la progettazione, poiché egli redasse il PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento) e perché, comunque, non è stata specificatamente contestata alcuna violazione degli obblighi previsti dalla legge a carico di tale figura.
Tre sono le specifiche violazioni alla normativa antinfortunistica che vengono addebitate al Ca.:
- la prima ((capo B) della rubrica) è quella di cui agli artt. 11 e 77, lettera b), D.P.R. n. 164/56, per avere, nella propria qualità di coordinatore per l’esecuzione delle opere, consentito lo svolgimento dei lavori in prossimità della linea elettrica posta a distanza inferiore di cinque metri, e sotto tale profilo non ritiene la Corte che debbano spendersi ulteriori parole rispetto a quelle già spese: il rischio di elettrocuzione era espressamente previsto e, ciononostante, si decise di effettuare i lavori prima dell’eliminazione del medesimo, in condizioni che non permettevano le operazioni. Si rimanda a tutte le considerazioni prima svolte in ordine a come avrebbe dovuto essere interpretata la disposizione di sicurezza;
- la seconda è quella di cui all’art. 7, comma 2, del D.L.vo n. 626/94(capo C) della rubrica ). Valgono, a tale riguardo, le considerazioni già svolte a proposito della Ta., perché il coordinatore per l’esecuzione non è un datore di lavoro, ma è destinatario di altri specifici obblighi. Anche nei confronti del Ca., dunque, va pronunciata, in parte qua, sentenza di assoluzione nel merito;
- la terza violazione specifica contestata all’imputato de quo è contenuta nel capo D) della rubrica, laddove si contesta al prevenuto di avere omesso di provvedere a quanto prescritto dall’art. 5 del D.L.vo n. 494/96.
In realtà, non può non stigmatizzarsi la superficialità che ha guidato la mano dell’estensore della rubrica, atteso che tra le disposizioni violate viene indicata anche la lettera b) del citato art. 5, ancorché poi nella descrizione del fatto non si faccia riferimento alcuno alla mancata verifica dell’idoneità del “T POS e al mancato adeguamento del piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori. Ancora, deve segnalarsi che tra le disposizioni che si assumono violate è indicata anche quella contenuta nella lettera e) dell’art. 5, ancorché non si contesti al Ca., in punto di fatto, di non avere segnalato al committente le inosservanze delle imprese e dei lavoratori. Di contro, viene contestato all’imputato il fatto di non avere segnalato ai lavoratori interessati e, segnatamente, al Fe., la situazione di rischio determinatasi per la presenza della linea elettrica, ancorché la norma citata nell’epigrafe del capo d’imputazione non contenga alcun obbligo di questo tipo a carico del coordinatore per l’esecuzione. Ciò posto, deve osservarsi che, in verità, la colpa ascrivibile al Ca. non pare essere quella di non avere coordinato e controllato le imprese ai fini del rispetto delle norme contenute nel PSC o quella di non avere informato le ditte operanti in cantiere del pericolo, e ciò per la semplice ragione che il coordinamento esisteva, nel senso che tutti coloro che operavano erano ben a conoscenza dell’esistenza della linea elettrica a media tensione, tanto che erano state impartite disposizioni affinché i bracci della betonpompa fossero posizionati parallelamente al terreno, proprio per evitare l’avvicinamento ai cavi non protetti.
Anzi, è emerso dagli atti che nel corso della riunione del 16 aprile 2007 fu proprio il Ca. Giuseppe, quale delegato di fatto del Ca.Be., dal quale aveva ricevuto disposizioni (si veda, al riguardo, quanto dichiarato proprio da Ca. Gi. all’udienza del 21 dicembre 2010, pag. 98 della trascrizione) ad autorizzare l’inizio delle attività – sub specie di getto del magrone – prima dello spostamento della linea elettrica, con riserva di rimanere in attesa, per il prosieguo, dell’intervento dell’Enel. E fu proprio il Ca., sempre tramite il padre, a fornire le indicazioni sulle modalità da seguire nell’esecuzione dei lavori. Ancora la mattina del 17 aprile, nel corso di un colloquio con la Ta., Ca.Be. tranquillizzò la committente, ribadendole la correttezza delle procedure adottate (deposizione Ta., pag. 73 della trascrizione del 21 dicembre 2010). Insomma, il coordinamento fu attuato, anche tra le varie imprese, tanto che ciascuno, in cantiere, operò secondo le disposizioni impartite. Cosicché appare addirittura improprio contestare al Ca. di non avere sospeso i lavori in caso di pericolo grave e imminente, perché era stato proprio lui, insieme alla Ta., al Di.Ma. e al Sa., nel corso della famosa riunione del 16 aprile, a disporre l’esecuzione di lavori pericolosi, in aperta violazione delle prescrizioni contenute nel PSC che egli stesso aveva provveduto a redigere.
Il Ca., in definitiva, attribuendosi compiti che neanche aveva, decise, insieme ai datori di lavoro, seppur per interposta persona, di procedere con il getto del magrone, ben sapendo quale fosse la situazione dei luoghi, per averla adeguatamente descritta nel PCS. Egli si attribuì un potere d’iniziativa sull’andamento dei lavori che, in realtà, spettava al committente (in assenza del responsabile dei lavori) e ai datori di lavoro delle imprese operanti in cantiere, ponendosi in evidente contrasto con la posizione di garanzia a lui conferita dal legislatore, il quale, nel delineare i compiti del coordinatore per l’esecuzione, aveva immaginato una sorta di controllore e di verificatore dell’operato altrui (che il Ca. fosse, di fatto, anche responsabile dei lavori è del resto dimostrato dal contenuto del contratto stipulato tra la Ta. e il Di.Ma., laddove viene espressamente manifestata l’intenzione del committente di affidare i lavori alla ditta del Di.Ma. “sotto la direzione dell’ing. Be.Ca.”).
Alla luce di quanto sopra, deve, dunque, concludersi che il Ca. va senz’altro ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo, per avere comunque consentito, quale coordinatore per l’esecuzione, che si svolgessero dei lavori a distanza inferiore al lecito dalla linea elettrica sovrastante il cantiere, senza attendere la disattivazione della linea medesima (anche se si è appena visto che non solo egli acconsentì, ma che addirittura fu lui, con il padre, a decidere lo svolgimento dei lavori). Condotta che gli è stata puntualmente contestata al capo B) della rubrica, quale primo profilo di colpa specifica.
Sa.Gi. e Di.Ma.:
Ritiene la Corte che le due posizioni debbano, per una più corretta esposizione, essere trattate congiuntamente, li Di.Ma., come si è più volte detto, era il titolare dell’impresa che aveva assunto i lavori (la “Di. s.r.l.”). Il Sa. era il titolare della ditta individuale “GI.”, della quale era dipendente il Fe.. Preliminare a ogni altra considerazione è la risoluzione della problematica relativa alla natura che deve essere attribuita al contratto stipulato tra il Di.Ma. e il Sa.. Ciò perché negli atti d’appello dei due imputati la questione assume rilievo fondamentale: l’avv. Ni., difensore del Sa., sostiene che l’accordo riguardò esclusivamente la manodopera, e da ciò discenderebbe che i lavoratori svolgevano la loro attività nell’interesse e sotto la direzione dell’utilizzatore, secondo quanto disposto dall’art. 20, comma 2, D.Lvo n. 270/2003; di contro, l’avv. Gi., difensore del Di.Ma., sostiene che il proprio assistito subappaltò i lavori per la costruzione dell’edificio alla ditta “GI.”, la quale li assunse con organizzazione di mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, con conseguente trasferimento anche del rischio conseguente all’esecuzione delle opere, e dei poteri direttivi e organizzativi all’interno del cantiere.
Orbene, gli elementi acquisiti al processo inducono tutti a ritenere che, in realtà, non si trattò di un vero subappalto.
Il Di.Ma. partecipò, come visto, alla riunione del 16 aprile 2007 e, anzi, è risultato che fu proprio lui a insistere perché si procedesse almeno al getto del magrone per la sottofondazione. L’avv. Gi. sostiene che la presenza del proprio assistito fu dovuta solo all’esigenza di “introdurre” il Sa., titolare della ditta subappaltatrice. In realtà, non ritiene la Corte che tale lettura possa essere condivisa, anche perché i partecipanti a quella riunione hanno fornito, in giudizio, notizie completamente diverse, evidenziando il ruolo attivo che il Di.Ma. assunse in quel contesto (Ar.Ve., all’udienza del 29 ottobre 2010, dopo aver precisato che il Sa. gli era stato presentato dal Di.Ma. come “capomastro”, ha dichiarato – pag. 53 della trascrizione – che l’ing. Gi.Ca., nel corso della riunione del 16 aprile, aveva anche comunicato che il successivo giorno 18 l’Enel avrebbe spostato la linea elettrica, e che era stato proprio il Di.Ma., personalmente, a dire che lui aveva fretta di iniziare i lavori; Ca. Gi. – pag. 99 della trascrizione del 21 dicembre 2010 – ha dichiarato che il Di.Ma. gli aveva presentato il Sa. dicendogli semplicemente che era la persona che il giorno seguente sarebbe andata in cantiere a lavorare, cosicché egli aveva immaginato si trattasse di una sorta di capo cantiere).
Ma a dirimere ogni eventuale residuo dubbio sul ruolo ricoperto dal Di.Ma. bastano le dichiarazioni rese dal coimputato Ca.Be., il quale ha dichiarato che appena avuta dalla Ta. la notizia che l’Enel avrebbe spostato la linea elettrica il 18 aprile, egli aveva contattato il Di.Ma., il quale gli aveva rappresentato che avrebbe preferito iniziare i lavori prima e, precisamente, il giorno 17. Dunque, fu proprio il Di.Ma. a trattare e a concordare con il Ca. la data d’inizio dei lavori, spiegandogli che stava finendo un lavoro e che ne stava per iniziare un altro (pag. 84 della trascrizione del 21 dicembre 2010). Orbene, tutto ciò non avrebbe potuto accadere ove l’imputato del quale si parla avesse effettivamente subappaltato i lavori al Sa., perché il contratto intercorso tra i due risulta datato 2 aprile 2007.
Del resto, lo stesso Di.Ma., nel corso del proprio interrogatorio delegato, reso dinanzi ai CC di Tornimparte l’8 giugno 2007, ammise di avere appaltato la sola manodopera, così smentendo egli stesso la tesi, che oggi si sostiene, di un subcontratto avente ad oggetto l’esecuzione dei lavori.
E’ ben vero che la lettura del “contratto di appalto” intercorso tra il Di.Ma. e il Sa. sembrerebbe condurre a ) conclusioni contrarie, in esso facendosi riferimento all’assunzione dei lavori, da parte del secondo “con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio”. Ma le circostanze di fatto sopra evidenziate e le stesse dichiarazioni del Di.Ma. indicano, inequivocabilmente, che la realtà fu diversa rispetto a quella consacrata in un contratto che, si ripete, fu stipulato anche senza l’autorizzazione della committente. Insomma, nel concreto svolgimento del rapporto, al di là del nomen iuris conferito dalle parti alla loro convenzione, il Sa. fu un semplice esecutore di ordini del sub-committente, fu privato della propria autonomia organizzativa a tal punto da risultare un “nudus minister” di questi. Il Di.Ma. era colui che decideva e impartiva le direttive di cantiere.
Ne consegue, a parere della Corte, che il Di.Ma., al momento dell’incidente, manteneva su di sé tutti gli obblighi del datore di lavoro, dal rispetto dei quali sarebbe stato esonerato solo ove egli avesse stipulato un vero contratto di subappalto, con affidamento al subappaltatore dei lavori che quest’ultimo avrebbe dovuto eseguire in completa autonomia, con esclusione di qualsiasi ingerenza da parte del subappaltante (deve dirsi che il riferimento normativo citato dall’avv. Ni. per sostenere l’assenza di responsabilità in capo al Sa., è improprio, in quanto si richiama il D.L.vo n. 276/2003, che riguarda, tuttavia, il contratto di somministrazione di lavoro concluso tra un utilizzatore e un somministratore che deve avere i requisiti di cui agli artt. 4 e 5 del citato D.L.vo e, cioè, deve trattarsi di un’agenzia autorizzata).
Tutto ciò posto, è di ogni evidenza che il Di.Ma. si rese responsabile della violazione di cui al capo B) della rubrica, poiché egli, quale datore di lavoro, consentì che si svolgessero lavori nelle condizioni di rischio derivanti dalla presenza della linea di corrente elettrica. Anzi, fu proprio lui a sollecitare l’inizio dei lavori senza attendere l’intervento dell’Enel per l’imminente disattivazione.
Responsabilità che emerge, a parere di questa Corte, anche con riferimento alla violazione di cui al capo C) dell’imputazione, relativa a norma precettiva diretta proprio ai datori di lavori.
Relativamente alla posizione del Sa., si ritiene che anch’egli debba, comunque, rispondere del reato ascritto. Ed invero, il Fe. era un suo dipendente e, dunque, egli manteneva pur sempre nei suoi confronti una posizione di garanzia. Vuole dirsi, cioè, che il particolare contratto da lui stipulato col Di.Ma. non determinò il venir meno della sua qualifica di datore di lavoro della vittima, con conseguente permanenza di tutti gli obblighi di garanzia previsti dalla legge e, segnatamente, quello di coordinamento con il Di.Ma. e con il Ca. al fine di eliminare i rischi esistenti e quello di evitare lo svolgimento di lavori in situazioni di evidente pericolo. Tutto ciò ove si consideri che il Sa. era presente in cantiere al momento delle operazioni che condussero al decesso del Fe. e, dunque, aveva la piena consapevolezza delle pericolose condizioni di lavoro.
Li.Gi.:
Ritiene la Corte che la condanna del Li. non possa essere confermata.
Al medesimo è stata contestata, quale colpa specifica, quella di non avere effettuato il coordinamento di legge degli interventi di protezione e prevenzione dei rischi (capo C) della rubrica, art. 7, comma 2, D.L.vo n. 626/94),
Il Tribunale ha affermato, motivando in ordine all’assoluzione del Bi., titolare della “In.”, che nel caso di specie si verificò una locazione e non un noleggio. La particolare complessità del macchinario e la necessità, per il suo utilizzo, di particolari competenze tecniche, sarebbero gli elementi dai quali dovrebbe desumersi che si realizzò, per l’appunto, un’ipotesi di locazione con distacco di personale, con conseguente assunzione, da parte del conduttore, dei rischi inerenti all’utilizzazione del macchinario. Il lavoratore distaccato sarebbe stato temporaneamente inserito nell’organizzazione aziendale della “Co.”. Ritiene la Corte che la tesi del distacco del lavoratore non abbia, nel caso di specie, dignità giuridica. La nozione di distacco è stata prevista, nell’ambito del lavoro privato, dall’art. 30 del D.L.vo n. 276/2003, ma essa risponde a presupposti e modalità di svolgimento del tutto peculiari e diverse da quelle che si verificarono nel caso che occupa. Basti por mente, e la considerazione pare davvero assorbente, al fatto che il distacco è possibile quando vi sia la necessità di soddisfare un interesse del datore di lavoro distaccante, interesse che deve avere, però, natura produttiva e non deve esaurirsi nella mera somministrazione di lavoro ovvero in un interesse di tipo esclusivamente economico.
Nella fattispecie che costituisce oggetto del presente procedimento, invece, si trattò di una vera e propria forma di noleggio, determinato dal fatto che “Co.” non aveva la disponibilità materiale del mezzo meccanico necessario. Ed invero, l’unica direttiva che fu impartita all’autista da parte di “Co.” fu quella relativa all’indirizzo presso il quale egli si sarebbe dovuto recare con la pompa: un po’ poco, per come rilevato dal difensore, per configurare quel “potere direttivo” che attiene alle concrete modalità di svolgimento della mansione.
Ma nel caso che occupa v’è addirittura che il Li. non avrebbe mai potuto assumere la qualifica di datore di lavoro del Du., semplicemente perché egli non era il legale rappresentante della “Co.”, ma ne era il capo area per l’Abruzzo e, dunque, a tutto voler concedere, un dirigente o un preposto.
Ma, soprattutto, l’imputato non entrò minimamente nella vicenda che occupa e rimase del tutto all’oscuro del fatto che era stata noleggiata una macchina presso la “In.”. Infatti, le testimonianze degli autisti della betoniera e del geometra Ia. confermano che il Di.Ma. ebbe contatti solo con il centralinista e con lo Ia. medesimo (responsabile dello stabilimento di Coppito), il quale ultimo contattò il Bi.. Il Li. non partecipò in alcun modo e, dunque, egli non può, per tutte le ragioni esposte, rispondere dei reati ascrittigli, dai quali va mandato assolto con ampia formula liberatoria.
Du.To.:
E’ l’autista della beton-pompa e, dunque, colui che manovrava i bracci della macchina.
La sua penale responsabilità è evidente, poiché solo a causa di una sua sventata manovra i bracci poterono venire a contatto con la linea elettrica.
Né è sostenibile la tesi della mancata conoscenza, da parte sua, dell’efficienza della linea, poiché i testi hanno riferito che egli, durante le operazioni, teneva costantemente sotto controllo la distanza dei bracci dai cavi, e ciò a conferma della sua piena consapevolezza dell’esistenza di un rischio. Ad ogni modo, è appena il caso di rilevare che, quand’anche l’imputato avesse avuto dei dubbi al riguardo, avrebbe dovuto informarsi prima di procedere all’attività di pompaggio.
Così ricostruite le posizioni dei singoli imputati, possono essere affrontate le questioni poste in tema di dosimetria della pena.
Il Tribunale aquilano ha già riconosciuto agli imputati le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla contestata aggravante.
Va detto, inoltre, che le pene inflitte dal primo giudice, ove si considerino la gravità del fatto, la piena consapevolezza, da parte degli imputati, del rischio, volutamente e scientemente corso, nonché la circostanza che sarebbe stato sufficiente attendere un solo giorno per lavorare in completa sicurezza, appaiono congrue, anche perché dimensionate a seconda degli effettivi gradi di responsabilità (alla Ta., unica persona non dotata di specifiche competenze e soggetto che comunque si affidò a professionisti qualificati, è stata infatti applicata la pena più bassa).
Ritiene, peraltro, la Corte che le istanze volte ad ottenere il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante (formulate dalle difese di Ta. e di Ca.), possano essere accolte, in ragione dell’incensuratezza dei due imputati, ancora valutabile a tale fine, trattandosi di reato commesso in epoca antecedente alla modifica dell’art. 62 bis c.p. Ad analoga conclusione può pervenirsi anche relativamente alle posizioni del Du. e del Sa., anch’essi incensurati, ancorché non abbiano avanzato formale richiesta al riguardo. Tale giudizio di prevalenza va escluso, invece, per il Di.Ma., il quale è gravato da due precedenti specifici. Al Sa., inoltre, unico ad avere risarcito il danno prima del giudizio, può essere concessa, così come richiesto, l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., (del risarcimento, comunque, il primo giudice ha tenuto conto , nella concreta determinazione della pena, cosicché la conseguente ulteriore riduzione deve essere calcolata non ‘ nella massima estensione possibile). In virtù di quanto sopra, ritiene la Corte che le pene possano essere così rideterminate, tenendo conto della intervenuta prescrizione dei reati contravvenzionali per i quali è stata inflitta condanna in primo grado e muovendo, nel calcolo, dalla pene inflitte dal Tribunale:
Ta.: mesi 8 di reclusione (pena base, anni 1 di reclusione, ridotta di un terzo per la prevalenza delle attenuanti generiche);
Du.: mesi 11 e giorni 26 di reclusione (pena base, anni 1, mesi 5 e giorni 20 di reclusione, ridotta di un terzo per la prevalenza delle attenuanti generiche);
Sa.: anni 1 di reclusione (pena base, anni 1 e mesi 9 di reclusione, ridotta di un terzo per la prevalenza delle attenuanti generiche e ulteriormente ridotta di 2 mesi per l’attenuante di cui all’art. 62 bis c.p.);
Ca.: anni 1, mesi 3 e giorni 24 di reclusione (pena base, anni 1, mesi 11 e giorni 20 di reclusione, ridotta di un terzo per la prevalenza delle attenuanti generiche);
Di.Ma.: anni 1, mesi 11 e giorni 20 di reclusione.
I benefici di legge sono stati già concessi a tutti gli imputati.
per questi motivi
visto l’art. 605 c.p.p., in parziale riforma della sentenza in data 28 gennaio 2011 del Tribunale di L’Aquila, appellata dagli imputati Ta.Ca., Ca.Be., Di.Ma., Sa.Gi., Li.Gi. e Du.To.,
assolve il Li. dai reati al medesimo ascritti, per non avere commesso il fatto;
assolve il Ca. e la Ta. dal reato sub C), per non avere commesso il fatto e il Ca. anche dal reato sub D), perché il fatto non sussiste;
dichiara non doversi procedere nei confronti del Di.Ma. e del Sa. in ordine ai reati loro ascritti ai capi B) e C), del Ca. in ordine al reato di cui al capo B), della Ta. in ordine ai reati di cui ai capi B) e E) e del Du. in ordine al reato di cui al capo F), perché estinti per prescrizione;
ridetermina le pene per la residua imputazione di cui al capo A), ritenuta per Ta., Ca., Sa. e Du. la prevalenza delle già concesse attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante e riconosciuta al Sa. anche l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p., come segue:
Ta.: mesi 8 di reclusione;
Du.: mesi 11 e giorni 26 di reclusione;
Sa.: anni 1 di reclusione;
Ca.: anni 1, mesi 3 e giorni 24 di reclusione;
Di.Ma.: anni 1, mesi 11 e giorni 20 di reclusione.
Conferma nel resto.
Così deciso in L’Aquila, udienza del 17 febbraio 2014.
Depositata in Cancelleria il 26 febbraio 2014.