MORTE CONGIUNTO FAMIGLIARE BO RIMINI RAVENNA INCIDENTE

 

 

 

incidente-grave-danno-risarcimento-

INCIDENTI GRAVI E MORTALI

 

 

il danno conseguente alla morte di un congiunto (o ‘danno parentale’) consiste, di per sè, nella perdita della relazione col familiare e si sostanzia -al tempo stesso e congiuntamente- nella sofferenza interiore e nell’alterazione del precedente assetto esistenziale del congiunto superstite; entrambi gli aspetti, che sono intimamente connessi, benchè suscettibili, nelle singole ipotesi, di una valutazione separata (come ripetutamente affermato da questa Corte: Cass. 901/2018; Cass. 7513/2018; Cass. 2788/2019; Cass. 28989/2019, ed ancora, più di recente, da Cass. 8887/2020), sono considerati dalle tabelle in uso per la liquidazione del danno parentale, cosicchè il riconoscimento di un importo per danno esistenziale ulteriore rispetto a quello liquidato per il danno da alterazione del precedente assetto relazionale della vita si risolverebbe in un’inammissibile duplicazione risarcitoria;

 

INCIDENTE MORTALE ,FERITI AUTOSTRADA AVVOCATO DANNI

INCIDENTE MORTALE ,FERITI AUTOSTRADA AVVOCATO DANNI

deve pertanto darsi continuità ai principi affermati -al riguardo- da questa Corte, secondo cui, ‘in virtù del principio di unitarietà e onnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, deve escludersi che al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza del fatto illecito di un terzo possano essere liquidati sia il danno da perdita del rapporto parentale che il danno esistenziale, poichè il primo già comprende lo sconvolgimento dell’esistenza, che ne costituisce una componente intrinseca’ (Cass. n. 30997/2018, conforme a Cass. n. 25351/2015), atteso che, ‘in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, in assenza di lesione alla salute, ogni ‘vulnus’ arrecato ad altro valore costituzionalmente tutelato va valutato ed accertato, all’esito di compiuta istruttoria, in assenza di qualsiasi automatismo, sotto il duplice aspetto risarcibile sia della sofferenza morale che della privazione, ovvero diminuzione o modificazione delle attività dinamico-relazionali precedentemente esplicate dal danneggiato, cui va attribuita una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i profili, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche’ (Cass. n. 23469/2018);

 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE – ORDINANZA 26 marzo 2021 N. 8622

CONSIDERATO

che:

il primo motivo denuncia ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. e degli artt. 2,29 e 30 Cost. ed omesso esame di fatti decisivi (art. 360 c.p.c., n. 3 e 5) in relazione alla liquidazione del danno non patrimoniale e della relativa personalizzazione’: le ricorrenti assumono che la sentenza impugnata, così come quella precedente del Tribunale, non contiene ‘una effettiva personalizzazione del danno, con cui il giudicante abbia fatto emergere e valorizzato, dandone espressamente conto in motivazione coerentemente alle risultanze probatorie obiettivamente emerse (…), le specifiche circostanze di fatto, peculiari alla concreta fattispecie, che comportano necessariamente il superamento delle conseguenze ordinarie già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata del danno assicurata dalla tabella di riferimento’;

la censura di omesso esame di fatti decisivi è inammissibile ex art. 348 ter c.p.c., comma 5 poichè, in ordine alla liquidazione del danno non patrimoniale, la sentenza impugnata è conforme a quella di primo grado e le ricorrenti non hanno ottemperato all’onere di dimostrare che le ragioni poste a fondamento delle due decisioni siano tra loro diverse (cfr. Cass. n. 26774/2016);

il motivo è – per il resto – infondato: infatti, rigettando l’analogo motivo di appello, la Corte territoriale ha dato atto del fatto che il primo giudice aveva correttamente tenuto conto di plurimi elementi, quali l’età della vittima, il grado di parentela con le attrici, la qualità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona scomparsa, ‘facendo riferimento a tutte le condizioni soggettive che hanno caratterizzato l’evento letale’, così pervenendo al riconoscimento di importi risarcitori complessivi che dovevano ritenersi congrui; in tal modo il giudice di appello ha mostrato di avere -a sua volta- considerato le peculiarità del caso e valutato, rispetto ad esse, la congruità degli importi liquidati; con la conseguenza che la censura svolta dalle ricorrenti non coglie nel segno e mira piuttosto a sollecitare un diverso apprezzamento di merito (sulla base degli elementi indicati alle pagg. 15 e 16 del ricorso) che è inammissibile in sede di legittimità;

col secondo motivo, le ricorrenti deducono ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 2059 c.c. e degli artt. 2,29 e 30 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione all’illegittima esclusione del danno esistenziale’ e censurano la sentenza per non aver liquidato, oltre al danno correlato al dolore per la perdita del congiunto, anche quello ‘esistenziale’ conseguente all”alterazione’ e allo ‘sconvolgimento di vita’ subito dalle ricorrenti;

il motivo è infondato: il danno conseguente alla morte di un congiunto (o ‘danno parentale’) consiste, di per sè, nella perdita della relazione col familiare e si sostanzia -al tempo stesso e congiuntamente- nella sofferenza interiore e nell’alterazione del precedente assetto esistenziale del congiunto superstite; entrambi gli aspetti, che sono intimamente connessi, benchè suscettibili, nelle singole ipotesi, di una valutazione separata (come ripetutamente affermato da questa Corte: Cass. 901/2018; Cass. 7513/2018; Cass. 2788/2019; Cass. 28989/2019, ed ancora, più di recente, da Cass. 8887/2020), sono considerati dalle tabelle in uso per la liquidazione del danno parentale, cosicchè il riconoscimento di un importo per danno esistenziale ulteriore rispetto a quello liquidato per il danno da alterazione del precedente assetto relazionale della vita si risolverebbe in un’inammissibile duplicazione risarcitoria;

deve pertanto darsi continuità ai principi affermati -al riguardo- da questa Corte, secondo cui, ‘in virtù del principio di unitarietà e onnicomprensività del risarcimento del danno non patrimoniale, deve escludersi che al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza del fatto illecito di un terzo possano essere liquidati sia il danno da perdita del rapporto parentale che il danno esistenziale, poichè il primo già comprende lo sconvolgimento dell’esistenza, che ne costituisce una componente intrinseca’ (Cass. n. 30997/2018, conforme a Cass. n. 25351/2015), atteso che, ‘in tema di risarcimento del danno non patrimoniale, in assenza di lesione alla salute, ogni ‘vulnus’ arrecato ad altro valore costituzionalmente tutelato va valutato ed accertato, all’esito di compiuta istruttoria, in assenza di qualsiasi automatismo, sotto il duplice aspetto risarcibile sia della sofferenza morale che della privazione, ovvero diminuzione o modificazione delle attività dinamico-relazionali precedentemente esplicate dal danneggiato, cui va attribuita una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito sotto entrambi i profili, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche’ (Cass. n. 23469/2018);

nel caso di specie, la Corte territoriale mostra di avere correttamente considerato entrambe le componenti del danno da perdita del rapporto parentale, e di avere altrettanto correttamente proceduto alla relativa liquidazione, con motivazione del tutto scevra da vizi logico-giuridici e per ciò solo incensurabile in sede di legittimità;

il terzo motivo (concernente la posizione della sola P.) denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo ‘costituito dalla giovane età della vittima e dalla circostanza che il reddito di questa sarebbe verosimilmente cresciuto negli anni a venire, in relazione alla liquidazione del danno patrimoniale in favore della ricorrente’; richiamati i criteri individuati da Cass. n. 6619/2018, si assume che, liquidando alla P. il risarcimento del danno patrimoniale conseguente al venir meno del contributo economico del figlio, la Corte ha commesso tre errori, ossia ha trascurato di considerare che il reddito della vittima sarebbe verosimilmente aumentato negli anni a venire, ha omesso di rivalutare il reddito goduto dalla vittima dall’epoca della morte ((OMISSIS)) alla data della decisione (2018) e ha ‘inopinatamente ed ingiustificatamente presunto che il defunto contribuisse ai bisogni della famiglia, corrispondendo una quota pari a 1/4 del proprio reddito, quota che risulta ictu oculi errata, mentre appare più verosimile la quota di 1/3 del reddito’;

il motivo è inammissibile, in quanto:

la censura concernente la quota del reddito che il C. avrebbe presumibilmente destinato ai bisogni del nucleo familiare (stimata dalla Corte in 1/4 e proposta dalla ricorrente in 1/3 del reddito netto complessivo) è inammissibile in quanto involge un tipico apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito;

per il resto, il motivo è inammissibile in quanto non si confronta specificamente con la ratio della decisione e non evidenzia in modo adeguato la sussistenza di un concreto interesse alla censura;

invero:

non tiene conto del fatto che gli interessi sono stati riconosciuti, fin dalla data del decesso, su un capitale di 48.000,00 Euro che, tuttavia, costituisce – nella logica della sentenza – la cifra finale risultante dalla sommatoria dei contributi mancati per i dieci anni successivi; con il che si è determinato (nonostante l’applicazione del meccanismo della devalutazione alla data dell’illecito e della progressiva rivalutazione anno per anno) il riconoscimento di un importo per interessi sicuramente superiore a quello che sarebbe risultato dalla loro applicazione sui contribuiti venuti a mancare di anno in anno;

inoltre, non fornisce elementi che valgano a individuare la presumibile misura dell’incremento di reddito di cui la vittima avrebbe potuto godere negli anni;

infine, omette di indicare se, ed in quale misura, l’applicazione dei coefficienti di capitalizzazione delle rendite vitalizie individuati dalla richiamata Cass. n. 6619/2018 avrebbe condotto alla liquidazione di un importo superiore a quello complessivamente determinato per effetto del sopra illustrato calcolo degli interessi; in tal modo rendendo del tutto ipotetica la sussistenza di un concreto interesse della P. alla censura;

in conclusione, il ricorso dev’essere – nel suo complesso – rigettato;

alla luce della peculiarità delle questioni sottese al terzo motivo, sussistono gravi ragioni per la compensazione delle spese di lite, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla L. n. 69 del 2009 (applicabile ratione temporis, trattandosi di causa introdotta nell’anno 2010);

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

 

 

DANNO TANATOLOGICO morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni

 

 

 Nel caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni, invece, si ritiene che non possa essere invocato un diritto al risarcimento dei danno iure hereditatis. Tale orientamento risalente (Cass. sez. un. 22 dicembre 1925, n. 3475: “se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone appunto e necessariamente l’esistenza di un subbietto di diritto”) ha trovato autorevole conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 372 del 1994 e, come rilevato, anche nella più recente sentenza delle sezioni unite n. 26972 del 2008 (che ne ha tratto la conseguenza dell’impossibilità di una rimeditazione della soluzione condivisa) e si è mantenuto costante nella giurisprudenza di questa Corte (tra le più recenti, successivamente alla citata sentenza della Corte costituzionale: Cass. n. 11169 del 1994, n. 10628 del 1995, n. 12299 del 1995, n. 4991 del 1996, n. 3592 del 1997, n. 1704 del 1997, n. 9470 del 1997, n. 11439 del 1997, n. 5136 del 1998, n. 6408 del 1998, n. 12083 del 1998, n. 491 del 1999, n. 1633 del 2000, n. 2134 del 2000, n. 4729 del 2001, 4783 del 2001, n. 887 del 2002, n. 7632 del 2003, n. 9620 del 2003, n. 517 del 2006, n. 3760 del 2007, n. 12253 del 2007, n. 26972 del 2008n. 15706 del 2010n. 6754 del 2011, n. 2654 del 2012, n. 12236 del 2012n. 17320 del 2012).

A tale risalente e costante orientamento le sezioni unite intendono dare continuità non essendo state dedotte ragioni convincenti che ne giustifichino il superamento. Certamente tali ragioni non sono state neppure articolate con la sentenza n. 15760 del 2006 (pronunciata su ricorso avente ad oggetto la domanda di risarcimento dei danni da morte di congiunto avanzata iure proprio) che, con affermazione avente dichiarata natura di obiter “sistematico”, si è limitata ad auspicare che, in conformità con orientamenti dottrinari italiani ed Europei, sia riconosciuto quale momento costitutivo del credito risarcitorio quello della lesione, indipendentemente dall’intervallo di tempo con l’evento morte causalmente collegato alla lesione stessa. Ma anche l’ampia motivazione della sentenza n. 1361 del 2014, che ha effettuato un consapevole revirement, dando luogo al contrasto in relazione al quale è stato chiesto l’intervento di queste sezioni unite, non contiene argomentazioni decisive per superare l’orientamento tradizionale, che, d’altra parte, risulta essere conforme agli orientamenti della giurisprudenza Europea con la sola eccezione di quella portoghese.

La premessa del predetto orientamento, peraltro non sempre esplicitata, sta nell’ormai compiuto superamento della prospettiva originaria secondo la quale il cuore del sistema della responsabilità civile era legato a un profilo di natura soggettiva e psicologica, che ha riguardo all’agire dell’autore dell’illecito e vede nel risarcimento una forma di sanzione analoga a quella penale, con funzione deterrente (sistema sintetizzato dal principio affermato dalla dottrina tedesca “nessuna responsabilità senza colpa” e corrispondente alle codificazioni ottocentesche per giungere alle stesse impostazioni teoriche poste a base del codice del ’42).

L’attuale impostazione, sia dottrinaria che giurisprudenziale, (che nelle sue manifestazioni più avanzate concepisce l’area della responsabilità civile come sistema di responsabilità sempre più spesso oggettiva, diretto a realizzare una tecnica di allocazione dei danni secondo i principi della teoria dell’analisi economica del diritto) evidenzia come risulti primaria l’esigenza (oltre che consolatoria) di riparazione (e redistribuzione tra i consociati, in attuazione del principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost.) dei pregiudizi delle vittime di atti illeciti, con la conseguenza che il momento centrale del sistema è rappresentato dal danno, inteso come “perdita cagionata da una lesione di una situazione giuridica soggettiva ” (Corte cost. n. 372 del 1994). Nel caso di morte cagionata da atto illecito, il danno che ne consegue è rappresentato dalla perdita del bene giuridico “vita” che costituisce bene autonomo, fruibile solo in natura da parte del titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente (Cass. n. 1633 del 2000; n. 7632 del 2003; n. 12253 del 2007). La morte, quindi, non rappresenta la massima offesa possibile del diverso bene “salute”, pregiudicato dalla lesione dalla quale sia derivata la morte, diverse essendo, ovviamente, le perdite di natura patrimoniale o non patrimoniale che dalla morte possono derivare ai congiunti della vittima, in quanto tali e non in quanto eredi (Corte cost. n. 372 del 1994; Cass. n. 4991 del 1996; n. 1704 del 1997; n. 3592 del 1997; n. 5136 del 1998; n. 6404 del 1998; n. 12083 del 1998, n. 491 del 1999, n. 2134 del 2000; n. 517 del 2006, n. 6946 del 2007, n. 12253 del 2007). E poichè una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, è necessario che sia rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio, nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l’irrisarcibilità deriva (non dalla natura personalissima del diritto leso, come ritenuto da Cass. n. 6938 del 1998, poichè, come esattamente rilevato dalla sentenza n. 4991 del 1996, ciò di cui si discute è il credito risarcitorio, certamente trasmissibile, ma) dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo (Cass. n. 4991 del 1996).

E’ questo l’argomento che la dottrina definisce “epicureo”, in quanto riecheggia le affermazioni di Epicuro contenute nella Lettera sulla felicità a Meneceo (“Quindi il più temibile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perchè quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte non ci siamo più noi. La morte quindi è nulla, per i vivi come per i morti: perchè per i vivi essa non c’è ancora, mentre per quanto riguarda i morti, sono essi stessi a non esserci”) e che compare nella già indicata sentenza delle sezioni unite n. 3475 del 1925 ed è condiviso dalla sentenza della Corte costituzionale n. 372 del 1994, – che ha escluso la contrarietà a Costituzione dell’interpretazione degli articoli 2043 e 2059 c.c. secondo cui non sono risarcibili iure hereditatis i danni derivanti dalla violazione del diritto alla vita, potendo giustificarsi, sulla base del sistema della responsabilità civile, solo le perdite derivanti dalla violazione del diritto alla salute che si verificano a causa delle lesioni, nel periodo intercorrente tra le stesse e la morte – e dalla costante giurisprudenza successiva di questa Corte.

3.3. La negazione di un credito risarcitorio della vittima, trasmissibile agli eredi, per la perdita della vita, seguita immediatamente o a brevissima distanza di tempo dalle lesioni subite, è stata ritenuta contrastante con la coscienza sociale alla quale rimorderebbe che la lesione del diritto primario alla vita fosse priva di conseguenze sul piano civilistico (Cass. n. 1361 del 2014), anche perchè, secondo un’autorevole dottrina, se la vita è oggetto di un diritto che appartiene al suo titolare, nel momento in cui viene distrutta, viene in considerazione solo come bene meritevole di tutela nell’interesse dell’intersa collettività.

 

Originally posted 2021-08-04 11:36:43.

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