MATRIMONIO CITTADINA STRANIERA CITTADINANZA

La separazione di fatto non è equiparabile alla separazione  legale tra i coniugi e quindi non interrompe il matrimonio per decorrenza termini per domanda cittadinanza italiana

 

La vicenda

la cittadina straniera era in possesso dei requisiti legali per l’acquisto della cittadinanza secondo quanto stabilito dall’art. 5, ratione temporis, applicabile, ovvero il matrimonio con un cittadino italiano e il decorso di sei mesi senza che fosse intervenuto annullamento, separazione e divorzio, sia al momento della presentazione della domanda, sia con riguardo alla situazione in essere al momento della decisione della P.A. ed alla luce della nuova formulazione della medesima norma medio tempore intervenuta, essendo residente in Italia per almeno due anni dopo il matrimonio senza che fosse intervenuto annullamento, separazione personale o divorzio.

La Corte d’Appello, coerentemente con quanto affermato dal giudice di primo grado, riteneva irrilevante la separazione di fatto, incontestatamente intervenuta tra i coniugi, richiedendo la legge una condizione ostativa diversa, ovvero la separazione personale giudizialmente accertata.

La separazione di fatto, conclude la Corte d’Appello ha un carattere di minore stabilità di quella legale e non può desumersi dalla chiara dizione normativa la sussistenza di un requisito diverso da quello espressamente indicato ed avente un significato giuridico univoco. Pur condividendo l’intento di evitare matrimoni volti esclusivamente ad ottenere la cittadinanza, osserva la Corte che nella specie il matrimonio ha avuto carattere di effettività e che risulta sussistente anche l’altra condizione preventiva richiesta dalla legge ovvero la residenza nella Repubblica da almeno due anni. Le ulteriori condizioni ostative costituite dalla separazione personale, del divorzio e dell’annullamento del matrimonio, sono, invece da qualificare come fatti sopravvenuti di natura impeditiva dell’acquisto della cittadinanza, da valutare al momento dell’adozione del provvedimento.

 

 

 

 La separazione di fatto, conclude la Corte d’Appello ha un carattere di minore stabilità di quella legale e non può desumersi dalla chiara dizione normativa la sussistenza di un requisito diverso da quello espressamente indicato ed avente un significato giuridico univoco. Pur condividendo l’intento di evitare matrimoni volti esclusivamente ad ottenere la cittadinanza, osserva la Corte che nella specie il matrimonio ha avuto carattere di effettività e che risulta sussistente anche l’altra condizione preventiva richiesta dalla legge ovvero la residenza nella Repubblica da almeno due anni. Le ulteriori condizioni ostative costituite dalla separazione personale, del divorzio e dell’annullamento del matrimonio, sono, invece da qualificare come fatti sopravvenuti di natura impeditiva dell’acquisto della cittadinanza, da valutare al momento dell’adozione del provvedimento.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno affidandosi al seguente unico articolato motivo:

è dedotta la violazione dell’art. 5, comma 1, della l. n. 91 del 1992 così come modificato dall’art. 1 comma 11 della l. n. 94 del 2009 in ordine al mancato rilievo come condizione ostativa alla concessione della cittadinanza alla separazione di fatto, nonostante gli effetti di tale situazione si riverberino in numerose disposizioni legislative, (art. 143 cod. civ.; art. 570 cod. pen., art. 6 legge n. 184 del 1983) e inducano a ritenere che la locuzione “separazione personale” indichi soltanto un genus più ampio entro il quale ricomprendere la separazione legale e quella di fatto. Ne consegue che, ai fini dell’acquisto della cittadinanza, l’effettiva sussistenza in concreto del rapporto matrimoniale sia da intendere come requisito ineludibile anche alla luce degli effetti conseguenti al suo acquisto.

 

 

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 gennaio 2017, n. 969

Stranieri – Matrimonio – Cittadinanza italiana – Separazione di fatto – Irrilevante

Fatti di causa

La Corte d’Appello di Firenze, confermando la sentenza di primo grado ha dichiarato che H.E.K. ha acquistato la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 5 della l. 91 del 1992, anche in ordine alle più rigorose condizioni contenute nella novella introdotta dalla l. n. 94 del 2009, intervenuta in corso di giudizio.

In particolare, la Corte d’Appello ha affermato che la cittadina straniera era in possesso dei requisiti legali per l’acquisto della cittadinanza secondo quanto stabilito dall’art. 5, ratione temporis, applicabile, ovvero il matrimonio con un cittadino italiano e il decorso di sei mesi senza che fosse intervenuto annullamento, separazione e divorzio, sia al momento della presentazione della domanda, sia con riguardo alla situazione in essere al momento della decisione della P.A. ed alla luce della nuova formulazione della medesima norma medio tempore intervenuta, essendo residente in Italia per almeno due anni dopo il matrimonio senza che fosse intervenuto annullamento, separazione personale o divorzio.

La Corte d’Appello, coerentemente con quanto affermato dal giudice di primo grado, riteneva irrilevante la separazione di fatto, incontestatamente intervenuta tra i coniugi, richiedendo la legge una condizione ostativa diversa, ovvero la separazione personale giudizialmente accertata.

La separazione di fatto, conclude la Corte d’Appello ha un carattere di minore stabilità di quella legale e non può desumersi dalla chiara dizione normativa la sussistenza di un requisito diverso da quello espressamente indicato ed avente un significato giuridico univoco. Pur condividendo l’intento di evitare matrimoni volti esclusivamente ad ottenere la cittadinanza, osserva la Corte che nella specie il matrimonio ha avuto carattere di effettività e che risulta sussistente anche l’altra condizione preventiva richiesta dalla legge ovvero la residenza nella Repubblica da almeno due anni. Le ulteriori condizioni ostative costituite dalla separazione personale, del divorzio e dell’annullamento del matrimonio, sono, invece da qualificare come fatti sopravvenuti di natura impeditiva dell’acquisto della cittadinanza, da valutare al momento dell’adozione del provvedimento.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno affidandosi al seguente unico articolato motivo:

è dedotta la violazione dell’art. 5, comma 1, della l. n. 91 del 1992 così come modificato dall’art. 1 comma 11 della l. n. 94 del 2009 in ordine al mancato rilievo come condizione ostativa alla concessione della cittadinanza alla separazione di fatto, nonostante gli effetti di tale situazione si riverberino in numerose disposizioni legislative, (art. 143 cod. civ.; art. 570 cod. pen., art. 6 legge n. 184 del 1983) e inducano a ritenere che la locuzione “separazione personale” indichi soltanto un genus più ampio entro il quale ricomprendere la separazione legale e quella di fatto. Ne consegue che, ai fini dell’acquisto della cittadinanza, l’effettiva sussistenza in concreto del rapporto matrimoniale sia da intendere come requisito ineludibile anche alla luce degli effetti conseguenti al suo acquisto.

Viene aggiunto che il Consiglio di Stato con la sentenza n. 6526 del 2005 ha espressamente stabilito che requisito per l’acquisto della cittadinanza sia non solo il matrimonio ma anche la conseguente instaurazione di un vero e proprio rapporto coniugale.

La ratio della novella di evitare un uso strumentale del negozio matrimoniale a fini di cittadinanza è tanto più evidente nella specie in quanto l’istanza per la cittadinanza è stata presentata nelle more del giudizio separativo.

La censura deve ritenersi infondata alla luce del chiaro ed univoco tenore testuale della norma in questione sia nella formulazione originaria sia in quella novellata per effetto dell’art. 1 comma 11 della l. 94 del 2009. Nel testo originario la locuzione utilizzata dal legislatore era “separazione legale”, con la novella tale locuzione è stata modificata con “separazione personale”. La correzione è stata del tutto opportuna dal momento che l’espressione “separazione legale” risulta atecnica rispetto all’altra “separazione personale” utilizzata dal legislatore nel titolo dell’art. 150, nel corpus dell’art. 154 relativo alla riconciliazione e nel testo previgente art. 155 (oggi abrogato in virtù dell’omologazione del regime giuridico relativo ai figli nati nel matrimonio e fuori di esso e sostituito dalla disciplina normativa contenuta nel Capo II del titolo IX).

Peraltro, come espressamente affermato nel citato art. 5 deve essere applicato il regime giuridico vigente al momento dell’adozione del provvedimento e non della domanda, in quanto la norma stabilisce che “al momento dell’adozione del decreto” non devono essere intervenute condizioni ostative quali la separazione personale.

La differenza tra le due fattispecie astratte “separazione personale” e “separazione di fatto” può cogliersi anche nel regime giuridico delle adozioni. L’art. 6 della l. n. 184 del 1983 prescrive che tra i coniugi che intendono procedere all’adozione non deve essere intervenuta negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto, a conferma della diversità delle due tipologie di allontanamento dei coniugi, confermata anche da un regime giuridico nettamente distinto.

Deve, pertanto, essere confermata la pronuncia della Corte d’Appello che, sulla non assimilabilità delle due fattispecie, si è fondata. Deve aggiungersi che le condizioni ostative previste nel citato art. 5 non possono essere fondate su clausole elastiche, ma su requisiti di natura esclusivamente giuridica, predeterminati e non rimessi ad un accertamento di fatto dell’autorità amministrativa, come desumibile anche dall’esame delle altre specifiche condizioni interdittive, l’annullamento, lo scioglimento, la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Al rigetto, in mancanza della parte intimata non consegue alcuna statuizione sulle spese processuali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

 

 

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