SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE IV PENALE Sentenza 29 aprile – 12 maggio 2021, n. 18347 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente – Dott. SERRAO Eugenia – rel. Consigliere – Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere – Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere – Dott. DAWAN Daniela – Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: C.S., nato a (OMISSIS); M.S., nato a (OMISSIS); avverso la sentenza del 12/11/2019 della CORTE APPELLO di ROMA; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. SERRAO EUGENIA; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. FIMIANI PASQUALE, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio del ricorso proposto da C.S.; l’inammissibilità del ricorso proposto da M.S.. E’ presente l’avvocato ARCHIDIACONO RENATO del foro di LATINA in difesa di C.S. e M.S. che, illustrando i motivi dei ricorsi, insiste per l’accoglimento. Svolgimento del processo 1. La Corte di Appello di Roma, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronuncia di condanna emessa il 23 novembre 2017 dal Tribunale di Latina nei confronti dei medici C.S. e M.S., imputati del delitto previsto e punito dall’art. 113 e art. 590, commi 1 e 2, in relazione all’art. 583 c.p., comma 1, n. 2, per aver cagionato a F.D., in cooperazione colposa tra loro, quali medici chirurghi presso la (OMISSIS) di (OMISSIS), per colpa generica dovuta ad imprudenza, negligenza ed imperizia, lesioni personali consistenti in “colostomia sinistra, un laparocele mediano mesogastrico ed addome ostile” che determinava un indebolimento permanente della funzione contenitiva della parete addominale e della funzione di assorbimento del colon con prognosi superiore ai 40 giorni. La condotta colposa era stata indicata nel capo d’imputazione come segue: C.S., dopo l’esecuzione il 1 febbraio 2013 sulla persona di F.D. di un intervento chirurgico per asportazione per via endoscopica di una massa complex dell’ovaio sinistro, aveva omesso di considerare tempestivamente la complicanza post operatoria costituita dalla lesione della parete del retto, evidente attraverso gli esami ematochimici, indicativi della sepsi, e la T.A.C., indicativa di versamento pleurico ed endoaddominale, ed aveva conseguentemente eseguito tardivamente, in data 5 febbraio 2013, il secondo intervento chirurgico di colostomia; M.S. aveva omesso, nella fase seguente l’intervento del (OMISSIS), di valutare tempestivamente la diagnosi di “addome acuto e shock settico” già effettuata il (OMISSIS) e, conseguentemente, aveva omesso di attuare il necessario drenaggio percutaneo della raccolta intraperiepatica. 2. La Corte di Appello ha ritenuto sussistenti plurimi elementi di natura probatoria a carico degli imputati. Con riguardo all’imputato C.S., la Corte ha valutato come sussistenti chiari profili di negligenza, imperizia e imprudenza in relazione alle scelte diagnostiche tenute nei confronti della persona offesa a seguito dell’intervento chirurgico del (OMISSIS). 2.1. I giudici di merito hanno così ricostruito il fatto: a seguito dell’intervento, come complicanza, l’operatore aveva causato una lesione della parete del retto; il giorno successivo, il chirurgo aveva effettuato una prima visita post operatoria; il (OMISSIS), le condizioni della paziente erano peggiorate sensibilmente ed il medico di turno aveva rilevato e riportato in cartella clinica che la paziente non era canalizzata, presentava addome teso, meteorico, difeso alla palpazione, peristalsi assente, e che l’esito del prelievo ematico aveva consentito di rilevare leucocitosi; la paziente aveva dolori addominali forti e rialzo febbrile; il chirurgo era stato avvisato ed il 4 febbraio era stato effettuato esame T.A.C., che aveva rilevato una piccola falda di versamento pleurico bilaterale con falda aerea a destra tra fegato, parete addominale e diaframma, altre bolle di gas nello scavo pelvico, falda a livello di Douglas; il 5 febbraio il chirurgo aveva deciso di effettuare un secondo intervento, all’esito del quale tuttavia si era verificata una nuova lesione intestinale che aveva causato la fuoriuscita di materiale fecale, conseguendone in poco tempo la formazione di una fistola con causazione di peritonite; in data 7 febbraio alla paziente era stato diagnosticato shock settico e, dopo un ulteriore esame T.A.C. del 1(OMISSIS), che aveva rilevato un versamento pleurico, il 22 febbraio era stato eseguito un esame di clisma opaco, che aveva fatto emergere una perforazione a livello del sigma pelvico con fistola a fondo cieco della lunghezza di mm. 35; il 2(OMISSIS), all’esame ematico e T.A.C., era stata confermata la sepsi e la perforazione intestinale; la paziente era stata, quindi, trasportata d’urgenza presso l’ospedale (OMISSIS) di (OMISSIS), ove era stata ricoverata con diagnosi di “massa complex ovaio sinistro in paziente già isterectomizzata, peritonite stercoraria da perforazione del retto post operatoria post ovariectomia laparoscopica, raccolta fluida nello spazio di Morrison”. 2.2. La Corte ha rilevato che, secondo il consulente di parte civile, la persona offesa ha riportato lesioni permanenti nella misura del 40%. La complicanza seguita all’intervento chirurgico in laparoscopia è ricompresa, si legge nella sentenza, tra i rischi accettabili di questo tipo di intervento chirurgico, nel caso concreto complicato dalle numerose aderenze visceroparietali della paziente, sottoposta in passato a isterectomia. La Corte, sulla base delle consulenze tecniche disposte dal pubblico ministero e dalla parte civile, ha tuttavia ritenuto che il Dott. C. avesse tenuto una condotta omissiva gravemente negligente ed imprudente nei giorni successivi all’intervento. Tale condotta colposa sarebbe evincibile dalle chiare ed evidenti risultanze della T.A.C. e degli esami ematici, che avevano mostrato senza alcun dubbio la presenza di sepsi e di lesione della parete intestinale, confermate dall’esame obiettivo della paziente, che riferiva forti dolori addominali e aveva febbre alta. Il ritardo nell’esecuzione del secondo intervento chirurgico, avvenuta il (OMISSIS), è stato, secondo i giudici di merito, determinante nella causazione del significativo peggioramento delle condizioni della paziente, dello sviluppo crescente della sepsi e della indispensabile realizzazione di una colostomia, che un tempestivo intervento avrebbe con elevato grado di probabilità evitato. La Corte ha ritenuto colpevole anche il ritardo nell’esecuzione degli esami strumentali, disposti in data 4 febbraio, ed ha ritenuto che la corretta interpretazione dei dati clinici e la scelta di immediati e tempestivi accertamenti diagnostici e di terapie farmacologiche appropriate fossero condotte esigibili da un chirurgo professionista esercente la professione medica da lungo tempo; in ragione delle conoscenze tecniche del chirurgo, le conseguenze dannose verificatesi erano secondo la Corte assolutamente prevedibili. 2.3. Con riguardo alla condotta di M.S., la Corte ha premesso che il secondo intervento chirurgico si era reso necessario per la sepsi conclamata e che tale secondo intervento aveva determinato “come complicanza una ulteriore lesione della parete dell’intestino, con fuoriuscita di materiale fecale, conseguente formazione di una fistola con causazione di peritonite e nuovo shock settico”. I giudici di merito hanno ascritto a M.S. l’omessa adozione, per circa un mese dal (OMISSIS), di un adeguato trattamento terapeutico per fronteggiare questa grave complicanza, non avendo il medico adeguatamente valutato le risultanze chiare ed evidenti del nuovo esame T.A.C., dell’esame RX torace-addome e degli esami ematici, che mostravano senza alcun dubbio la presenza di una sepsi e di una lesione della parete intestinale, rafforzate dall’esame obiettivo della paziente, che presentava febbre e che riferiva forti dolori addominali. La Corte ha ritenuto tale colpevole omissione determinante nella causazione del significativo peggioramento delle condizioni fisiche della paziente, dello sviluppo crescente della peritonite e dell’ormai indispensabile trasferimento della paziente presso altra struttura ospedaliera. La corretta e tempestiva interpretazione della sintomatologia presentata dalla paziente, delle obiettività cliniche e delle risultanze degli esami strumentali avrebbe certamente consentito, secondo la Corte, di fronteggiare la peritonite ed impedire la formazione di una fistola a livello sigmoideo. 2.4. Sia per il Dott. C. che per il Dott. M. i giudici di merito hanno ritenuto fosse emersa una divergenza ragguardevole della condotta tenuta rispetto all’agire appropriato ed al parametro fornito dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee-guida di riferimento e che tale comportamento consentisse di considerare la condotta colposa di entrambi gli imputati come grave. In particolare, si è attribuito rilievo al tempo a disposizione dei medici per determinare il corretto percorso diagnostico e terapeutico da seguire, essendo la paziente ricoverata presso la struttura dal 1 febbraio al 4 marzo. In ragione della qualifica assunta, delle competenze mediche e della loro esperienza professionale, la condotta doverosa è stata ritenuta assolutamente esigibile dai medici curanti e con certezza idonea ad evitare i danni fisici permanenti riportati dalla F.. 2.5. La Corte ha ritenuto sovrabbondante l’espletamento della perizia richiesta dalla difesa degli imputati sul presupposto che l’indagine espletata dai consulenti del pubblico ministero della parte civile fosse stata completa e che il perito di ufficio non avrebbe esaminato altro che la documentazione medica già a disposizione. 3. Propone ricorso C.S. deducendo, con un primo motivo, vizio di motivazione con particolare riguardo ai profili di colpa. Il ricorrente ha richiamato quanto dedotto in appello a proposito del fatto che dovesse escludersi la presenza di segnali di allarme nei giorni 2 e (OMISSIS) 2013 in quanto dall’espletamento dell’esame T.A.C. compiuto il 4 febbraio non era emersa alcuna patologia indicativa dell’urgenza di un nuovo intervento chirurgico, dunque del fatto che il quadro radiologico fosse assolutamente compatibile con un normale decorso post operatorio di intervento laparoscopico, nel quale si opera insufflando gas inerte. Ha richiamato le deduzioni sottoposte al giudice di appello con riguardo al fatto che solo intorno alle ore 12 del (OMISSIS) la paziente aveva manifestato la comparsa improvvisa di dolore trafittivo nei quadranti bassi dell’addome, come annotato in cartella clinica, e che in tale contesto il chirurgo aveva disposto l’esame ecografico addominale, in esito al quale aveva effettuato nel medesimo giorno un nuovo intervento chirurgico. Secondo il ricorrente, i dati emergenti fino al 4 febbraio 2013 non suggerivano la necessità di esplorazione chirurgica ed, anzi, consigliavano il mantenimento di un atteggiamento attendista al fine di favorire la spontanea risoluzione del quadro clinico, mentre solo il giorno (OMISSIS) si era manifestato un quadro clinico di conclamata peritonite. Nell’atto di appello si era anche dedotto che la procedura chirurgica avrebbe comunque contemplato il confezionamento di una colostomia, se anche si fosse deciso di intervenire, in maniera clinicamente del tutto azzardata, nella giornata del 4 febbraio. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale ha del tutto omesso di confrontarsi con tali doglianze e, con motivazione apparente, ha riproposto le medesime argomentazioni esposte nella sentenza di primo grado. Il ricorrente censura la sentenza per aver travisato la corretta ricostruzione della storia clinica della paziente, indicando elementi fattuali non coerenti con i dati esposti nella cartella clinica, essendo pacifico come l’esame T.A.C. non avesse evidenziato alcun versamento che potesse suggerire l’effettuazione di un nuovo intervento chirurgico. 3.1. Con un secondo motivo deduce erronea applicazione degli artt. 40 e 590 c.p. nonchè vizio della motivazione sul punto concernente il nesso eziologico. Nell’atto di appello il ricorrente aveva dedotto l’insussistenza di prove che dimostrassero in termini di certezza che il ritardo nell’esecuzione del secondo intervento avesse cagionato o concorso a cagionare le lesioni indicate nel capo di imputazione, consistenti “nell’indebolimento permanente della funzione contenitiva della parete addominale e della funzione di assorbimento del colon”, non essendo stato acquisito alcun elemento di certezza processuale che consentisse di formulare un positivo giudizio controfattuale tra la prospettata omissione e l’evento; l’eventuale anticipazione dell’intervento chirurgico nei termini prospettati nell’imputazione, secondo il ricorrente, non avrebbe in alcun modo determinato esiti diversi e più favorevoli per la salute della paziente. Nell’atto di appello si era osservato come nella stessa consulenza redatta su incarico del pubblico ministero non fosse affermato con certezza che un trattamento più pronto della lesione iatrogena avrebbe evitato la necessità di procedere al confezionamento della stomia. Lamenta che la Corte territoriale ha omesso di esaminare tale profilo di censura. 3.2. Con un terzo motivo deduce vizio di motivazione in ordine all’entità delle somme attribuite a titolo di provvisionale, ritenendo che la Corte territoriale abbia omesso di esaminare con il dovuto rigore la censura mossa alla sentenza di primo grado sul punto. 4. Ricorre per cassazione M.S.. Premesso che nell’atto di appello si era contestato l’errore macroscopico nel quale era incorso il primo giudice, attribuendo al Dott. M. l’esecuzione dell’intervento chirurgico del (OMISSIS), il ricorrente deduce con un primo motivo vizio di motivazione sotto il profilo dell’individuazione della colpa. Nell’atto di appello la difesa aveva, in primo luogo, chiarito che il Dott. M. non faceva parte dell’èquipe chirurgica che aveva sottoposto ad intervento la paziente il (OMISSIS), ma la Corte territoriale non ha tenuto conto di tale rilievo. Con specifico riguardo alla gestione della paziente dopo il predetto intervento, nell’atto di appello si era dedotta la palese erroneità della ricostruzione del fatto contenuta nella sentenza di primo grado, disancorata dalla realtà clinica e processuale emersa nel corso dell’istruttoria: il giudice di primo grado aveva ascritto al Dott. M. l’omissione di qualsivoglia cura, laddove la paziente era stata trattata con somministrazione orale di farmaci antibiotici; era erroneo ascrivere al Dott. M. di aver procrastinato l’intervento chirurgico eseguito al San Camillo, posto che il trasferimento della paziente al San Camillo era stato deliberato dal Dott. M. in ragione del fatto che presso detto nosocomio fosse presente il reparto di radiologia interventistica, di cui la Casa di Cura era sprovvista; la “fistola sigmoidea” non era conseguenza della condotta del Dott. M., trattandosi invece di conseguenza del secondo intervento che, pur avendo determinato un rialzo di temperatura, non aveva messo in pericolo di vita la paziente. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale abbia omesso di esaminare e riscontrare tali censure, così travisando elementi decisivi il cui esame avrebbe condotto a diversa decisione. 4.1. Con un secondo motivo deduce erronea applicazione degli artt. 40 e 590 c.p. nonchè vizio della motivazione sul punto concernente il nesso eziologico. Nell’atto di appello il ricorrente aveva dedotto l’insussistenza di prove che dimostrassero in termini di certezza che il ritardo nell’esecuzione del secondo intervento avesse cagionato o concorso a cagionare le lesioni indicate nel capo di imputazione, consistenti “nell’indebolimento permanente della funzione contenitiva della parete addominale e della funzione di assorbimento del colon”, non essendo stato acquisito alcun elemento di certezza processuale che consentisse di formulare un positivo giudizio controfattuale tra la prospettata omissione e l’evento; l’eventuale anticipazione dell’intervento chirurgico nei termini prospettati nell’imputazione, secondo il ricorrente, non avrebbe in alcun modo determinato esiti diversi e più favorevoli per la salute della paziente. Nell’atto di appello si era osservato come nella stessa consulenza redatta su incarico del pubblico ministero non fosse affermato con certezza che un trattamento più pronto della lesione iatrogena avrebbe evitato la necessità di procedere al confezionamento della stomia. Lamenta che la Corte territoriale abbia omesso di esaminare tale profilo di censura. 4.2. Con un terzo motivo deduce vizio di motivazione in ordine all’entità delle somme attribuite a titolo di provvisionale, ritenendo che la Corte territoriale abbia omesso di esaminare con il dovuto rigore la censura mossa alla sentenza di primo grado sul punto. Motivi della decisione 1. Considerazione preliminare è quella che concerne il termine di prescrizione del reato, da considerarsi commesso in data (OMISSIS) per C.S. ed in data 4 marzo 2013 per M.S.; il predetto termine è alla data della decisione spirato, nonostante la sospensione operante a norma del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 2, conv. con modif. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27 (64 giorni per fascicolo pervenuto alla cancelleria della Corte il 4 giugno 2020, Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, dep. 2021, Sanna, Rv. 28043201) e nonostante la sospensione su istanza del difensore dell’imputato del 17 settembre 2019 (55 giorni ai sensi dell’art. 159 c.p., comma 1, n. 3). Il reato va, dunque, dichiarato prescritto per entrambi gli imputati. Deve, infatti, considerarsi che “Nel reato di lesioni personali colpose provocate da responsabilità medica la prescrizione inizia a decorrere dal momento di insorgenza della malattia in fieri, anche se non ancora stabilizzata in termini di irreversibilità o di impedimento permanente” (Sez. 4, n. 44335 del 11/10/2016, Lozzi, Rv. 26783801; Sez. 4, n. 8904 del 08/11/2011, dep. 2012, Torrelli, Rv. 252436). Ora, alla luce del suindicato principio, l’evento lesivo che si ascrive a C.S., ossia la tardiva realizzazione di un intervento chirurgico che ha reso necessaria la colostomia, risulta databile in corrispondenza del giorno in cui tale secondo intervento chirurgico è stato eseguito; l’evento lesivo che si ascrive a M.S., ossia l’omessa adozione, nella gestione del periodo post-operatorio, di adeguato trattamento terapeutico, risulta invece databile allorchè la persistente omissione dell’agente ha avuto termine, con il trasferimento urgente della paziente presso altro nosocomio (Sez. 1, n. 7941 del 19/11/2014, dep. 2015, P.C., R.C. e Schmidheiny, in motivazione; Sez. 4, n. 7475 del 09/12/1985, dep. 1986, Bazzi, Rv. 17339801). 2. La delibazione dei motivi sopra indicati fa escludere l’emergere di un quadro dal quale possa trarsi ragionevole convincimento dell’evidente innocenza dei ricorrenti. Sul punto, l’orientamento della Corte di Cassazione è univoco. In presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, cosi che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione, ossia di percezione ictu oculi, che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 24427501). Nel caso di specie, restando al vaglio previsto dall’art. 129 c.p.p., comma 2, l’assenza di elementi univoci dai quali possa trarsi, senza necessità di approfondimento critico, il convincimento di innocenza degli imputati impone l’applicazione della causa estintiva. Va disposto, pertanto, l’annullamento senza rinvio agli effetti penali della sentenza impugnata nei confronti di C.S. e M.S. in quanto il reato loro ascritto è estinto per prescrizione. 3. Ma, nel giudizio di impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunziata dal primo giudice o dal giudice di appello ed essendo ancora pendente l’azione civile, il giudice penale, secondo il disposto dell’art. 578 c.p.p., è tenuto, quando accerti l’estinzione del reato per prescrizione, ad esaminare il fondamento dell’azione civile. In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra e il giudice dell’impugnazione deve verificare, senza alcun limite, l’esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni ed al risarcimento pronunziata dal primo giudice o, come nel caso in esame, confermata dal giudice di appello. Le censure svolte dai ricorrenti sono dunque da esaminare, attesa la pronuncia di condanna degli stessi al risarcimento dei danni in favore delle parti civili (Sez.6, n. 18889 del 28/02/2017, Tomasi, Rv. 26989001; Sez. 6, n. 3284 del 25/11/2009, dep. 2010, Mosca, Rv. 24587601). 4. Nel merito e con specifico riguardo al dedotto vizio di motivazione, i ricorsi sono fondatamente proposti. In linea di principio, si osserva che il giudice di merito investito del compito di pronunciarsi in ordine alla responsabilità dell’esercente una professione sanitaria per l’evento lesivo causato nel praticare l’attività, ove concluda per la attribuibilità del medesimo evento alla condotta colposa dell’imputato, è tenuto a rendere un’articolata motivazione, dovendo verificare, in primo luogo, se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali; dovendo, quindi, specificare la natura della colpa (generica o specifica; per imperizia, negligenza o imprudenza); spiegando se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata dalle pertinenti linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali e, più in generale, quale sia stato il grado della colpa. Preliminare valutazione, ove il reato non sia stato commesso sotto la vigenza dell’art. 590 sexies c.p. (cfr. Sez. U, n. 40986 del 19/07/2018, P, Rv. 27393401), concerne l’identificazione della norma applicabile secondo il criterio dettato dall’art. 2 c.p., comma 4. 4.1. Per quanto riguarda l’accertamento della colpa, in particolare, il dettato del D.L. 13 settembre 2012, n. 158, art. 3, comma 1, conv. con modificazioni dalla L. 8 novembre 2021, n. 189, è stato interpretato nel senso di aver limitato i casi di responsabilità del medico, risultando esente da responsabilità penale la condotta rispettosa di linee-guida connotata da colpa lieve (Sez. 4, n. 23283 del 11/05/2016, Denegri, Rv. 26690301); d’altro canto, con riguardo alla natura della colpa, tale elemento assume rilievo qualora, invece, la fattispecie sia sussumibile nell’ambito di applicazione dell’art. 590 sexies c.p., introdotto dalla L. 8 marzo 2017, n. 24, art. 5, applicabile ai soli casi di imperizia di grado lieve. Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez.U, n. 8770 del 21/12/2017, dep. 2018, Mariotti, Rv. 27217401), l’abrogato, D.L. n. 158 del 2012, art. 3 comma 1, si configura dunque come norma più favorevole rispetto all’art. 590 sexies c.p., sia in relazione alle condotte connotate da colpa lieve per negligenza o imprudenza, sia in caso di errore determinato da colpa lieve per imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee-guida adeguate al caso concreto (Sez. U, n. 8770/2018, Rv. 27217501). 4.2. Risulta evidente, sulla base di tali premesse, che il giudizio concernente la responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie non può prescindere dalla disposizione che impone al giudice penale di applicare la legge più favorevole (art. 2 c.p., comma 4), imponendosi un corretto ed esaustivo esame dei profili del fatto che garantisca l’esatta applicazione della normativa più favorevole in rapporto alle peculiarità del caso concreto. 4.3. La sentenza impugnata risulta priva di qualsivoglia riferimento in proposito. Va, infatti, considerato che la sentenza di primo grado è stata emessa nel vigore della L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3 e che, secondo il principio che regola la successione di leggi penali nel tempo, la Corte territoriale, che avrebbe dovuto valutare la colpevolezza degli imputati alla luce della disciplina più favorevole tra quelle succedutesi nel tempo, dalla data del fatto sino alla data della decisione di appello, ha omesso di valutare l’applicabilità della normativa più favorevole, quale che fosse, sia con riguardo ad omissioni qualificabili in termini di negligenza sia con riguardo ad omissioni inquadrabili in termini d’imperizia. La motivazione offerta non risulta, pertanto, idonea ad escludere in ogni caso la sussumibilità del fatto nella fattispecie regolata dalla norma più favorevole, tenendo conto dell’orientamento della Corte regolatrice teso ad ampliare i margini di applicabilità della L. n. 189 del 2012, art. 3 alla colpa per imprudenza e per negligenza (Sez. 4, n. 16140 del 16/03/2017, Filippini, Rv. 26961101; Sez.4, n. 23283 del 11/05/2016, Denegri, Rv. 26690301). 5. L’introduzione, ad opera del c.d. decreto Balduzzi, del parametro di valutazione dell’operato del sanitario costituito dalle linee-guida e dalle buone pratiche clinico-assistenziali, con la più incisiva conferma di tale parametro ad opera della L. n. 24 del 2017, ha modificato i termini del giudizio penale imponendo al giudice, non solo una compiuta disamina della rilevanza penale della condotta colposa ascrivibile al sanitario alla luce di tali parametri ma, ancor prima, un’indagine che tenga conto dei medesimi parametri allorchè si accerti quello che sarebbe stato il comportamento alternativo corretto che ci si doveva attendere dal professionista, in funzione dell’analisi controfattuale della riferibilità causale alla sua condotta dell’evento lesivo. Una decisione, come quella in esame, in cui si sia trascurato di indicare a quali linee-guida o, in mancanza, a quali buone pratiche clinico-assistenziali si ispira la descrizione del comportamento doveroso, di valutare il nesso di causa tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri in relazione al concreto rischio che si sarebbe dovuto evitare, e di specificare la natura ed il grado della colpa considerando se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata da linee-guida o da buone pratiche clinicoassistenziali, risulta viziata da carenza di motivazione (in merito alla distinzione tra attuazione ed adattamento rispetto alle linee-guida ovvero alle best practices, Sez. 4, n. 15258 del 11/02/2020, Agnello, Rv. 27924202). 5.1. Con specifico riferimento all’esercente una professione sanitaria va, infatti, rammentato che sì può parlare di colpa grave solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, rispetto al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento, quando cioè il gesto tecnico risulti marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle condizioni del paziente; e quanto più la vicenda risulti problematica, oscura, equivoca o segnata dall’impellenza, tanto maggiore dovrà essere la propensione a considerare lieve l’addebito nei confronti del professionista che, pur essendosi uniformato ad una accreditata direttiva, non sia stato in grado di produrre un trattamento adeguato e abbia determinato, anzi, la negativa evoluzione della patologia (Sez. 4, n. 16237 del 29/01/2013, Cantore, Rv. 25510501). 5.2. Del pari, va ricordato quanto già osservato dalla giurisprudenza di legittimità a proposito della misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi sulla base della norma cautelare che si doveva osservare: “sul punto,… possono venire in rilievo, nel determinare la misura del rimprovero, sia le specifiche condizioni del soggetto agente ed il suo grado specializzazione, sia la situazione ambientale, di particolare difficoltà, in cui il professionista si è trovato ad operare. E preme sottolineare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che il giudice di merito deve procedere ad una valutazione complessiva di tali indicatori – come pure di altri, quali l’accuratezza nell’effettuazione del gesto medico, le eventuali ragioni di urgenza, l’oscurità del quadro patologico, la difficoltà di cogliere e legare le informazioni cliniche, il grado di atipicità o novità della situazione data e così di seguito – al fine di esprimere la conclusiva valutazione sul grado della colpa, ponendo in bilanciamento fattori anche di segno contrario, che ben possono coesistere nell’ambito della fattispecie esaminata, non dissimilmente da quanto avviene in tema di concorso di circostanze” (Sez. 4, n. 22281 del 15/04/2014, Cavallaro, Rv. 26227301). 5.3. L’individuazione della regola cautelare violata è compito al quale l’interprete non può sottrarsi, in generale, nel giudizio di responsabilità per colpa ma in modo particolare nella materia della colpa medica, ove le regole cautelaci sono a volte sfuggenti, a volte rigidamente determinate, più spesso di natura elastica ed in quanto tali in grado di mostrare diversa incidenza sulla stessa esigibilità della condotta salvifica. Conseguentemente, il giudizio di prevedibilità dell’evento lesivo in questa materia è particolarmente difficoltoso, ove non risultino indiscusse massime di esperienza e leggi scientifiche di copertura con ragionevole grado di certezza. 5.4. Anche con riferimento a tali profili, ed in relazione alle specifiche censure mosse nei rispettivi atti di appello in merito all’interpretazione del quadro patologico della paziente dopo il primo e dopo il secondo intervento chirurgico, la motivazione della sentenza impugnata si mostra carente, avendo tralasciato di identificare le linee-guida o le buone prassi dalle quali siano stati desunti il comportamento astrattamente doveroso, la regola cautelare alla cui violazione fosse ex ante ragionevolmente riconducibile il rischio concretamente realizzatosi, le ragioni per le quali il giudice di merito abbia ritenuto che il comportamento concretamente posto in essere fosse connotato da colpa grave. 6. Per altro profilo di censura, va ricordato che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione anche qualora le sentenze dei due gradi di merito siano conformi, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez.4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 28015501; Sez. 5, n. 48050 del 2/07/2019, S., Rv. 27775801). Ed è anche necessario che il ricorrente prospetti la decisività del travisamento nell’economia della motivazione (Sez.6, n. 36512 del 16/10/2020, Villari, Rv.28011701). 6.1. Tanto premesso, con specifico riguardo al ricorrente C.S., la difesa aveva dedotto nell’atto di appello: a) che la necessità di un intervento chirurgico per curare la complicanza conseguente all’intervento di annessiectomia mediante laparoscopia si fosse manifestata solo il (OMISSIS), suggerendo il quadro clinico generale e la TAC fino al 4 febbraio 2013 di mantenere un atteggiamento attendista al fine di favorire la spontanea risoluzione del quadro clinico; b) che, anche se si fosse deciso di intervenire il 4 febbraio 2013, la procedura chirurgica avrebbe comunque contemplato il confezionamento di una colostomia. 6.2. Nel caso in esame, sebbene le due sentenze dei gradi di merito siano pervenute alla medesima conclusione, il vizio di travisamento della prova è stato correttamente dedotto, dal momento che in entrambe le pronunce si è reiterata una ricostruzione della vicenda clinica diversa da quella indicata nella consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero, sulla quale i giudici hanno fondato la decisione. E’ sufficiente rilevare che, nella sentenza di primo grado, si legge: “Nel corso dell’intervento chirurgico, eseguito dal Dott. M., di annessectomia, si verificava una nuova lesione intestinale, che determinava la fuoriuscita di materiale fecale, e quindi la formazione di una peritonite e poi di una fistola”, con sovrapposizione tra la diagnosi d’ingresso al secondo intervento e gli esiti di quest’ultimo. Tale erronea lettura della storia clinica della paziente è stata riportata nella sentenza di appello a pag.2, ove si legge: “Il (OMISSIS) il Dott. C. decideva di effettuare un secondo intervento chirurgico, che lui stesso eseguiva come primo operatore di colostomia, all’esito del quale tuttavia si verificava una nuova lesione intestinale che causava la fuoriuscita di materiale fecale; ne conseguiva in poco tempo la formazione di una fistola con causazione di peritonite”, nonostante a pag.5 dell’atto di appello la difesa avesse censurato la sentenza di primo grado per il travisamento dei dati istruttori costituiti dalla relazione tecnica del consulente del pubblico ministero e dalla cartella clinica. Il vizio di motivazione risulta desumibile anche laddove nella sentenza impugnata, a pag.3, la Corte territoriale ha ricondotto il giudizio circa il colpevole ritardo ascritto al Dott. C. alle “risultanze chiare e evidenti dell’esame TAC e degli esami ematici che mostravano, senza alcun dubbio, la presenza di una sepsi e di una lesione della parete intestinale, rafforzate dall’esame obiettivo della paziente che riferiva forti dolori addominali e aveva febbre alta” nonchè al rilievo per cui “un trattamento immediato della lesione avrebbe escluso con alta probabilità la successiva stomia”, omettendo di fornire replica fondata su evidenza scientifica agli specifici rilievi difensivi secondo i quali “la necessità di un intervento chirurgico per curare la complicanza conseguente all’intervento di annessiectomia mediante laparoscopia si fosse manifestata solo il (OMISSIS)” e “anche se sì fosse deciso di intervenire il 4 febbraio 2013, la procedura chirurgica avrebbe comunque contemplato il confezionamento di una colostomia”. 6.3. Anche con riguardo alla posizione del ricorrente M.S. occorre osservare che, in entrambe le sentenze di merito, si presuppone che la paziente, all’esito dell’intervento del (OMISSIS), avesse riportato “come complicanza una ulteriore lesione della parete dell’intestino, con fuoriuscita di materiale fecale, conseguente formazione di una fistola con causazione di peritonite e nuovo shock settico”, laddove nella relazione del consulente tecnico del pubblico ministero non si parla di peritonite da fuoriuscita di materiale fecale (peritonite stercoracea) se non come complicanza del primo intervento, mentre con riguardo agli esiti della condotta ascritta al Dott. M. il consulente si esprime in termini di “raccolta intraperiepatica purulenta” e riferisce che la diagnosi effettuata presso l’Ospedale (OMISSIS) era stata di “raccolta endoperitoneale con stato febbrile”, peraltro compatibile con la dimissione in data 15 marzo 2013 a seguito di drenaggio percutaneo. 6.4. Il travisamento sopra indicato concreta il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), perchè introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo, da consìderare decisiva nel caso concreto in quanto l’esatta ricostruzione delle condizioni cliniche pregresse, delle modalità di svolgimento e degli esiti dell’intervento chirurgico del 5 marzo 2013 costituiscono sia l’evento dell’omissione ascritta a C.S. sia le premesse fattuali dell’omissione ascritta a M.S. (Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, Borriello, Rv. 27656701; Sez. 2, n. 47035 del 3/10/2013, Giugliano, Rv. 2574901; Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, Vignaroli, Rv. 23689301). 7. Il terzo motivo di entrambi i ricorsi è inammissibile E’ principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che la statuizione che assegna la provvisionale abbia tra le proprie caratteristiche quelle della precarietà (essendo destinata ad essere travolta o assorbita dalla decisione conclusiva del processo e quindi insuscettibile di passare in giudicato: ex multis Sez. 4, n. 36760 del 04/06/2004, Cattaneo, Rv. 23027101); della discrezionalità nella determinazione dell’ammontare senza obbligo di specifica motivazione (Sez. 5,n. 32899 del 25/05/2011, Mapelli, Rv. 25093401; Sez. 6, n. 49877 del 11/11/2009, Blancaflor, Rv. 24570101; Sez. 5, n. 40410 del 18/03/2004, Farina, Rv. 23010501); della non impugnabilità con il ricorso per cassazione (Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep.1991, Capelli, Rv. 18672201; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, P.C. e G, Rv. 26153601; Sez. 4, n. 34791 del 23/06/2010, Mazzamurro, Rv. 24834801; Sez. 4, n. 36760 del 04/06/2004, Cattaneo, Rv. 23027101; Sez. 5, n. 40410 del 18/03/2004, Farina, Rv. 23010501), da ciò desumendosi l’inidoneità di tale pronuncia a condizionare le statuizioni civili concernenti l’entità del danno definitivamente risarcibile. 8. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali perchè il reato è estinto per prescrizione, mentre i ricorsi vanno accolti con riferimento al rilevato vizio di motivazione. Ove sussista un vizio di motivazione attinente alla (affermata, dal giudice del merito, in sede penale) responsabilità dell’imputato, ma non vi è più spazio alcuno per il giudice penale, stante la rilevata (e dichiarata) estinzione del reato per prescrizione, altra soluzione non può essere adottata, ai fini delle determinazioni sulle statuizioni civili, se non quella del rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello ai sensi dell’art. 622 c.p.p.. Sarà, in conclusione, il giudice civile competente per valore in grado di appello a celebrare il giudizio di rinvio nei confronti di C.S. e M.S., e a valutare se procedere nominando un esperto d’ufficio anche per la corretta ricostruzione della storia clinica della persona offesa, oltre a provvedere alla regolazione delle spese nei confronti dei ricorrenti (Ord. 30858/2020 Cremonini rimette alle SS.UU. e SS.UU. 28/01/2021, notizia di decisione; Sez. U, n. 40109 del 18/07/2013, Sciortino, Rv. 25608701; Sez. 5, n. 1970 del 27/11/2020, dep. 2021, Arcadia, n. m.; Sez. 5, n. 28848 del 21/09/2020, D’Alessandro, Rv. 27959901; Sez. 5, n. 26217 del 13/07/2020, G., Rv. 27959802; Sez.4, n. 13869 del 05/03/2020, Sassi, Rv. 27876101; Sez. 1, n. 14822 del 20/02/2020 Milanesi, Rv. 27894301). P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perchè il reato è estinto per prescrizione. Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello. Così deciso in Roma, il 29 aprile 2021. Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2021
 
 

Comments are closed

CERCA NELLE PAGINE DEL SITO