MALASANITA’ – RESPONSABILITA’ DEL MEDICO – RISARCIMENTO – AVVOCATO SERGIO ARMAROLI Sono un avvocato esperto in risarcimento del danno per malasanità
AVVOCATO SERGIO ARMAROLI Sono un avvocato esperto in risarcimento del danno per malasanità .
Michele Rutigliano
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MALASANITA’ RESPONSABILITA’ DEL MEDICO RISARCIMENTO
All’imputato veniva addebitato di avere, in qualità di medico chirurgo presso la Casa di Cura (omissis), per negligenza ed imperizia, omesso di diagnosticare la presenza nel paziente di una lussazione posteriore della testa omerale, trattata quindi chirurgicamente con ritardo con conseguente maturazione di un deficit funzionale della spalla destra. All’imputato veniva irrogata la pena di Euro 350 di multa, nonché veniva condannato al risarcimento del danno in favore della parte civile, con il riconoscimento di una provvisionale immediatamente esecutiva.
In ordine alla prima censura formulata, va osservato che nel delitto di lesioni personali colpose provocate da responsabilità medica la prescrizione inizia a decorrere non dal momento della commissione del fatto, ma dal momento di insorgenza della malattia “in fieri”, anche se non ancora stabilizzata in termini di irreversibilità o di impedimento permanente (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 8904 del 08/11/2011 Ud. (dep. 06/03/2012) Rv. 252436). Pertanto correttamente il giudice di merito ha individuato, non nel dì dell’intervento, ma nel momento del perfezionamento del reato (insorgenza della malattia) il dies a quo di decorrenza della prescrizione. 3.2.
Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza del 22 maggio 2013
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 30/11/2010 il Tribunale di Palermo condannava C.S. per il delitto di cui all’art. 590 c.p. per lesioni colpose in danno di T.R. (acc. in (omissis)). All’imputato veniva addebitato di avere, in qualità di medico chirurgo presso la Casa di Cura (omissis), per negligenza ed imperizia, omesso di diagnosticare la presenza nel paziente di una lussazione posteriore della testa omerale, trattata quindi chirurgicamente con ritardo con conseguente maturazione di un deficit funzionale della spalla destra. All’imputato veniva irrogata la pena di Euro 350 di multa, nonché veniva condannato al risarcimento del danno in favore della parte civile, con il riconoscimento di una provvisionale immediatamente esecutiva.
Con sentenza del 22/2/2012 la Corte di Appello di Palermo confermava la pronuncia di condanna, riducendo la pena ad Euro 300 di multa. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione personalmente l’imputato, lamentando: 2.1. la violazione di legge per avere il giudice di merito fatto decorrere il termine di prescrizione del reato dal (omissis), invece che dal (omissis) dì della condotta posta in essere dall’imputato, con conseguente prescrizione del delitto alla data del 3/12/2011, anteriormente alla pronuncia della sentenza di appello; 2.2. il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di un nesso causale tra condotta ed evento, mancando un chiaro giudizio controfattuale che la lesione non si sarebbe prodotta se la diagnosi della lussazione fosse stata più tempestiva. Inoltre in relazione alla ritenuta negligenza ed imperizia, né presso il pronto soccorso del policlinico, ne con la prima radiografia era stata riscontrata la lussazione; pertanto l’evento era stato del tutto imprevedibile così da escludere l’elemento soggettivo della colpa. Con memoria depositata il 28/12/2012 la parte civile chiedeva il rigetto del ricorso e la condanna dell’imputato alle ulteriori spese.
Considerato in diritto
3. La sentenza va annullata senza rinvio agli effetti penali, per intervenuta prescrizione; va invece rigettato il ricorso agli effetti civili. 3.1. In ordine alla prima censura formulata, va osservato che nel delitto di lesioni personali colpose provocate da responsabilità medica la prescrizione inizia a decorrere non dal momento della commissione del fatto, ma dal momento di insorgenza della malattia “in fieri”, anche se non ancora stabilizzata in termini di irreversibilità o di impedimento permanente (cfr. Cass. Sez. 4, Sentenza n. 8904 del 08/11/2011 Ud. (dep. 06/03/2012) Rv. 252436). Pertanto correttamente il giudice di merito ha individuato, non nel dì dell’intervento, ma nel momento del perfezionamento del reato (insorgenza della malattia) il dies a quo di decorrenza della prescrizione. 3.2. Quanto al secondo motivo di censura, la corte di merito ha confermato la pronuncia di condanna, rilevando che la responsabilità dell’imputato emergeva dalle seguenti circostanze: – in data (omissis) il T. era stato ricoverato presso il Policlinico di (omissis) a seguito di un incidente stradale; – su sua richiesta e contro il parere dei medici veniva dimesso il (omissis) e trasferito alla Clinica (omissis) con la diagnosi di “frattura pluriframmentaria omero destro”; – presso tale clinica il (omissis) veniva sottoposto a riduzione cruenta della frattura ad opera dell’imputato; – dimesso il giorno successivo, restava immobilizzato fino al (omissis) e per un mese si sottoponeva a fisioterapia presso il “Centro Osteo & Imaging” del C. , senza però percepire esiti favorevoli dell’evoluzione della patologia; – a seguito di TAC presso un ospedale di (omissis), gli veniva riscontrata una “lussazione posteriore inveterata della testa omerale”; – recatosi a (omissis) per le cure, nel (omissis) veniva sottoposto ad intervento chirurgico per la riduzione e stabilizzazione della spalla; – dalla perizia fatta espletare dal giudice emergeva che se fosse stata tempestivamente diagnosticata la lussazione, il T. avrebbe evitato il secondo intervento, la dolorosa fisioterapia ed il conseguente indebolimento della funzionalità dell’arto. Sulla base di tali risultanze istruttorie, valutata la negligente condotta omissiva dell’imputato, la corte di merito aveva confermato la condanna. 3.3. Ciò premesso l’imputato ha lamentato che la difficoltà della diagnosi rendeva l’evento del tutto imprevedibile ed escludeva ogni profilo di colpa. Orbene è vero che il giudice di merito, riportando le parole del perito, ha definito la lussazione posteriore dell’epifisi omerale ingannevole dal punto di vista diagnostico tanto da etichettarla come una vera e propria “trappola”. Ma ciò che viene addebitato all’imputato è proprio la sua negligenza in fase diagnostica. Infatti, come ben rimarcato nelle sentenze di merito, il C. ha effettuato le sue valutazioni diagnostiche sulla base delle radiografie fatte nella immediatezza dell’incidente. Invece la persistenza del dolore lamentato dal paziente avrebbe dovuto indurlo ad una maggiore cautela ed all’espletamento di radiografie in due proiezioni ortogonali: frontale ed assiale della spalla. Tale accertamento diagnostico avrebbe consentito di andare alla di là della visualizzazione delle lesioni più appariscenti (frattura metafisaria) e di individuare la patologia meno appariscente della lussazione posteriore della testa omerale. La condotta omessa, che poteva essere pretesa da uno specialista quale è l’imputato, come evidenziato dalle sentenze di merito, ha determinato un ritardo dell’accertamento della patologia, la necessità di un nuovo intervento chirurgico e l’indebolimento ulteriore della funzionalità dell’arto, dal che la causalità della condotta omissiva dell’imputato. 3.4. La infondatezza del ricorso conduce al suo rigetto solo agli effetti civili. Invero, tenuto conto, dell’assenza di cause di inammissibilità dell’impugnazione, la sentenza deve essere annullata agli effetti penali per intervenuta prescrizione: fatto del (omissis); prescrizione ordinaria comprensiva di interruzione (sette anni e mesi sei), maturata al 24/2/2012, a cui vanno aggiunti giorni 82 di sospensione del corso della prescrizione che spostano la definitiva data di estinzione del delitto al 16/5/2012, anteriore alla odierna pronuncia. L’imputato va condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali perché estinto il reato per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente alla rifusione in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 2.500 oltre I.V.A. e C.P.A. nelle misure di legge.
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NESSO CAUSALE, CONSENSO INFORMATO
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la lesione del diritto ad esprimere il c.d.consenso informato da parte del medico si verifica per il sol fatto che egli tenga una condotta che lo porta al compimento sulla persona del paziente (in ipotesi anche senza un’ingerenza fisica, potendo trattarsi di atti medici che si risolvano in una intromissione nella sfera psico-fisica del paziente ed assumano quindi efficienza su di essa senza alcuna materialità, cioè anche soltanto tramite attività persuasiva costituente atto medico, come nel caso dell’intervento eseguito da un medico psichiatra) di atti medici senza avere acquisito il suo consenso.
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Il c.d. danno evento cagionato da tale condotta è, sotto tale profilo, rappresentato dallo stesso estrinsecarsi dell’intervento sulla persona del paziente senza la previa acquisizione del consenso, cioè, per restare al caso dell’intervento chirurgico, dall’esecuzione senza tale consenso dell’intervento sul corpo del paziente. Il danno-evento in questione risulta, dunque, dalla tenuta di una condotta omissiva seguita da una condotta commissiva.
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Il danno conseguenza, quello che l’art. 1223 c.c., indica come perdita o mancato guadagno, è, invece, rappresentato dall’effetto pregiudizievole che la mancanza dell’acquisizione del consenso e, quindi, il comportamento omissivo del medico, seguito dal comportamento positivo di esecuzione dell’intervento, ha potuto determinare sulla sfera della persona del paziente, considerata nella sua rilevanza di condizione psico-fisica posseduta prima dell’intervento, la quale, se le informazioni fossero state date, l’avrebbe portata a decidere sul se assentire la pratica medica.
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Un primo effetto è intuitivo: poichè l’informazione sull’atto medico da eseguirsi e sulle sue conseguenze, una volta data al paziente, avrebbe posto costui nella condizione di decidere se autorizzare o non autorizzare il medico all’esecuzione dell’intervento proposto e poichè tra i contenuti possibili concreti che l’esercizio di tale potere di determinazione può assumere vi può essere sia la scelta di restare nelle condizioni che secondo il medico imporrebbero l’intervento anche se pregiudizievoli (se del caso anche usque ad supremum exitwn), sia la scelta di riflettere e di determinarsi successivamente, sia e soprattutto quella di rivolgersi altrove, cioè ad altro medico, prima di determinarsi, è palese che un effetto della condotta di omissione dell’informazione seguita dall’esecuzione dell’atto medico, che integra danno conseguenza, si individua nella preclusione della possibilità di esercitare tutte tali opzioni.
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Preclusione che integra danno conseguenza perchè si concreta nella privazione della libertà del paziente di autodeterminarsi circa la sua persona fìsica. Libertà che, costituendo un bene di per sè, quale aspetto della generica libertà personale, viene negata e, quindi, risulta sacrificata irrimediabilmente, sì che si configura come “perdita” di un bene personale.
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Nel caso di atto medico costituito da intervento chirurgico si verificano, peraltro secondo un criterio di assoluta normalità, anche ulteriori danni conseguenza.
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Si tratta:
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della sofferenza e della contrazione della libertà di disporre di sè stesso, psichicamente e fisicamente, patite dal paziente in ragione dello svolgimento sulla sua persona dell’esecuzione dell’intervento durante la sua esecuzione e nella relativa convalescenza;
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della diminuzione che lo stato del paziente subisce a livello fisico per effetto dell’attività demolitoria, che abbia eliminato, sebbene a fini terapeutici, parti del corpo ed eventualmente le funzionalità di esse: poichè tale diminuzione avrebbe potuto verificarsi solo se assentita sulla base dell’informazione dovuta e si è verificata in mancanza di essa si tratta di conseguenza oggettivamente dannosa, che si deve apprezzare come danno conseguenza indipendentemente dalla sua utilità rispetto al bene della salute del paziente, che è bene diverso dal diritto di autodeterminarsi rispetto alla propria persona, ancorchè in modo di riflesso incidente sul bene della salute.
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Non solo: con riferimento alla possibilità che, se il consenso fosse stato richiesto, la facoltà di autodeterminazione avrebbe potuto indirizzarsi nel rivolgersi per l’intervento medico altrove, qualora si riveli che sarebbe stata possibile in relazione alla patologia l’esecuzione di altro intervento vuoi meno demolitorio vuoi anche solo determinativo di minore sofferenza, si verifica anche un danno conseguenza rappresentato da vere e proprie “perdita”, questa volta relative proprio ad aspetti della salute del paziente.
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2.4.4. Tanto chiarito, risulta evidente che la circostanza che l’intervento medico non preceduto da acquisizione di consenso sia stato, in ipotesi, risolutivo della patologia che il paziente presenta non è idonea di per sè ad eliminare i danni conseguenza così individuati.
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Ciò è di tutta evidenza nel caso delle perdite di cui s’è appena detto. E’ infatti palese che il beneficio tratto dall’esecuzione dell’intervento in queste ipotesi non “compensa” la perdita della possibilità di eseguirne uno meno demolitorio e nemmeno uno che, se eseguito da altri, avrebbe provocato meno sofferenza.
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Ma è non meno evidente che, anche qualora l’intervento eseguito si riveli l’unico possibile e, quindi, che, se fosse stato eseguito altrove o successivamente, esso avrebbe dovuto avere identica consistenza ed identici effetti, la verificazione del beneficio derivante dalla sua esecuzione in ogni caso non potrebbe in alcun modo compensare almeno la “perdita” della possibilità di scegliere di non sottoporsi all’intervento. Possibilità che è preservata dal diritto al consenso informato.
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Non solo:, quando pure l’intervento eseguito fosse stato l’unico possibile e, tuttavia, la situazione non fosse stata tale che, per avere esso esito favorevole e risolutivo della patologia, la sua esecuzione avesse dovuto seguire in tempi ristretti e tali da non consentire uno spatium deliberarteli finalizzato all’acquisizione, da parte del paziente, di ulteriori informazioni sulla sua effettiva indispensabilità ed anche in funzione dell’indirizzarsi altrove per la sua esecuzione, la stessa circostanza che al paziente sia rimasta preclusa la possibilità di fruire di tali possibilità e, quindi, anche di beneficiare dell’apporto positivo che la loro fruizione avrebbe avuto sul grado di predisposizione psichica a subire l’intervento e le sue rilevanti conseguenze, si configura come danno conseguenza che in alcun modo è eliso dall’esito positivo dell’intervento: la preclusione di tali possibilità di autodeterminarsi e di beneficiare della diminuzione della sofferenza psichica conseguente all’autodeterminazione in alcun modo risultano compensate dall’esito favorevole dell’intervento. La ragione è di tutta evidenza: tale esito favorevole avrebbe potuto comunque essere conseguito all’esito di una situazione psichica del paziente, che, in quanto determinata dalla constatazione che anche altrove le si consigliava lo stesso intervento e che, dunque, esso si presentava veramente ineluttabile, meglio sarebbe stata predisposta ad accettare le conseguenze demolitorie dell’intervento. Detta situazione psichica risulta ben diversa da quella in cui il paziente si viene a trovare “a sorpresa” ex post soltanto quando constata gli effetti dell’intervento eseguito senza il suo consenso informato e si domanda se si sarebbe potuto fare altrimenti e se egli stesso avrebbe potuto scegliere diversamente, compresa la possibilità di non fare. Si tratta di situazione psichica mancata che nel suo oggettivo carattere dannoso non è in alcun modo eliminata: ciò per l’assorbente ragione che l’esito favorevole dell’intervento avrebbe potuto dispiegare i suoi effetti anche se quella situazione si fosse potuta verificare, onde il danno derivante dal fatto che essa è stata impedita, non risulta in alcun modo inciso.
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2.5. Le svolte considerazioni evidenziano allora l’erroneità della sentenza impugnata là dove ha attribuito all’esito risolutivo della patologia dell’intervento eseguito il valore di elidere la lesione del diritto al consenso informato.
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L’elisione di tale lesione è frutto della mancata percezione in iure dell’esatta consistenza della fattispecie astratta di violazione del diritto al consenso informato con riferimento alla struttura del relativo illecito ed alla distinzione fra danno evento e danno conseguenza ad essa riferibili.
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Alla stregua del ragionamento svolto dalla corte aquilana ogni intervento medico eseguito senza previa acquisizione del consenso informato, pur possibile (e con ciò, naturalmente, si vuole escludere la problematica degli interventi eseguiti in situazione in cui l’acquisizione del consenso non è possibile per lo stato di incoscienza del paziente), si dovrebbe considerare non lesivo del diritto alla prestazione del consenso, nè sul piano contrattuale, dove il rapporto si iscriva in tale cornice, nè su quello extracontrattuale, purchè la scelta terapeutica fosse l’unica possibile per ovviare alla patologia esistente e l’intervento sia poi riuscito in tal senso. L’attività di ingerenza del medico sulla persona del paziente risulterebbe lecita sul piano civilistico sempre in ragione della sua utilità per la salute.
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Si ricorda, al riguardo che l’origine e, quindi, la doverosa dimensione funzionale e le implicazioni del consenso informato bene sono state delineate da Cass. n. 21748 del 2007, nel senso che: “Il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario: senza il consenso informato l’intervento del medico è, al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità, sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente; la pratica del consenso libero e informato rappresenta una forma di rispetto per la libertà dell’individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi. Il consenso informato ha come correlato la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma – atteso il principio personalistico che anima la nostra Costituzione (la quale vede nella persona umana un valore etico in sè e guarda al limite del “rispetto della persona umana” in riferimento al singolo individuo, in qualsiasi momento della sua vita e nell’integralità della sua persona, in considerazione del fascio di convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofìche che orientano le sue determinazioni volitive) e la nuova dimensione che ha assunto la salute (non più intesa come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico e psichico, e quindi coinvolgente, in relazione alla percezione che ciascuno ha di sè, anche gli aspetti interiori della vita come avvertiti e vissuti dal soggetto nella sua esperienza) – altresì di eventualmente rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale”.
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Si rammenta, altresì, che la già citata Cass. n. 2847 del 2010, ha avuto modo di rimarcare innanzitutto che, “secondo la definizione della Corte costituzionale (sentenza n. 438 del 2008, sub. n. 4 del “Considerato in diritto”) il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, si configura quale vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi espressi nell’art. 2 Cost., che ne tutela e promuove i diritti fondamentali, e negli artt. 13 è 32 Cost., i quali stabiliscono rispettivamente che “la libertà personale è inviolabile” e che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
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Afferma ancora la Consulta che numerose norme internazionali (che è qui superfluo richiamare ancora una volta) prevedono esplicitamente la necessità del consenso informato del paziente nell’ambito dei trattamenti medici. La diversità tra i due diritti è resa assolutamente palese dalle elementari considerazioni che, pur sussistendo il consenso consapevole, ben può configurarsi responsabilità da lesione della salute se la prestazione terapeutica sia tuttavia inadeguatamente eseguita; e che la lesione del diritto all’autodeterminazione non necessariamente comporta la lesione della salute, come accade quando manchi il consenso ma l’intervento terapeutico sortisca un esito assolutamente positivo (è la fattispecie cui ha avuto riguardo Cass. pen., sez. un., n. 2437 del 2009, concludendo per l’inconfigurabilità del delitto di violenza privata). Nel primo caso il consenso prestato dal paziente è irrilevante, poichè la lesione della salute si ricollega causalmente alla colposa condotta del medico nell’esecuzione della prestazione terapeutica, inesattamente adempiuta dopo la diagnosi. Nel secondo, la mancanza di consenso può assumere rilievo a fini risarcitori, benchè non sussista lesione della salute (cfr. Cass., nn. 2468/2009) o se la lesione della salute non sia causalmente collegabile alla lesione di quel diritto, quante volte siano configurabili conseguenze pregiudizievoli (di apprezzabile gravità, se integranti un danno non patrimoniale) che siano derivate dalla violazione del diritto fondamentale all’autodeterminazione in se stesso considerato (cfr., con riguardo al caso di danno patrimoniale e non patrimoniale da omessa diagnosi di feto malformato e di conseguente pregiudizio della possibilità per la madre di determinarsi a ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza, la recentissima Cass., n. 13 del 2010 e le ulteriori sentenze ivi richiamate)”.
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2.8. Sempre la sentenza n. 2847 del 2010 – immediatamente di seguito alla riportata motivazione e con considerazioni che evidenziavano già il profilo strutturale dell’illecito da lesione del diritto al consenso informato, siccome lo si è delineato nei precedenti paragrafi – ha poi, osservato che: “Viene anzitutto in rilievo il caso in cui alla prestazione terapeutica conseguano pregiudizi che il paziente avrebbe alternativamente preferito sopportare nell’ambito di scelte che solo a lui è dato di compere.
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Non sarebbe utile a contrastare tale conclusione il riferimento alla prevalenza del bene “vita” o del bene “salute” rispetto ad altri possibili interessi, giacchè una valutazione comparativa degli interessi assume rilievo nell’ambito del diritto quando soggetti diversi siano titolari di interessi confliggenti e sia dunque necessario, in funzione del raggiungimento del fine perseguito, stabilire quale debba prevalere e quale debba rispettivamente recedere o comunque rimanere privo di tutela; un “conflitto” regolabile ab externo è, invece, escluso in radice dalla titolarità di pur contrastanti interessi in capo allo stesso soggetto, al quale soltanto, se capace, compete la scelta di quale tutelare e quale sacrificare. Così, a titolo meramente esemplificativo, non potrebbe a priori negarsi tutela risarcitoria a chi abbia consapevolmente rifiutato una trasfusione di sangue perchè in contrasto con la propria fede religiosa (al caso dei Testimoni di Geova si sono riferite, con soluzioni sostanzialmente opposte, Cass., nn. 23676/2008 e 4211/2007), quand’anche gli si sia salvata la vita praticandogliela, giacchè egli potrebbe aver preferito non vivere, piuttosto che vivere nello stato determinatosi; così, ancora, non potrebbe in assoluto escludersi la risarcibilità del danno non patrimoniale da acuto o cronico dolore fisico (sul punto cfr. Cass., n. 23846/2008) nel caso in cui la scelta del medico di privilegiare la tutela dell’integrità fisica del paziente o della sua stessa vita, ma a prezzo di sofferenze fisiche che il paziente avrebbe potuto scegliere di non sopportare, sia stata effettuata senza il suo consenso, da acquisire in esito alla rappresentazione più puntuale possibile del dolore prevedibile, col bilanciamento reso necessario dall’esigenza che esso sì a prospettato con modalità idonee a non ingenerare un aprioristico rifiuto dell’atto terapeutico, chirurgico o farmacologico. E nello stesso ambito dovrebbe inquadrarsi il diritto al risarcimento per la lesione derivata da un atto terapeutico che abbia salvaguardato la salute in un campo a discapito di un secondario pregiudizio sotto altro pure apprezzabile aspetto, che non sia stato tuttavia adeguatamente prospettato in funzione di una scelta consapevole del paziente, che la avrebbe in ipotesi compiuta in senso difforme da quello privilegiato dal medico. Viene, in secondo luogo, in rilievo la considerazione del turbamento e della sofferenza che deriva al paziente sottoposto ad atto terapeutico dal verificarsi di conseguenze del tutto inaspettate perchè non prospettate e, anche per questo, più difficilmente accettate.
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L’informazione cui il medico è tenuto in vista dell’espressione del consenso del paziente vale anche, ove il consenso sia prestato, a determinare nel paziente l’accettazione di quel che di non gradito può avvenire, in una sorta di condivisione della stessa speranza del medico che tutto vada bene; e che non si verifichi quanto di male potrebbe capitare, perchè inevitabile. Il paziente che sia stato messo in questa condizione – la quale integra un momento saliente della necessaria “alleanza terapeutica” col medico – accetta preventivamente l’esito sgradevole e, se questo si verifica, avrà anche una minore propensione ad incolpare il medico. Se tuttavia lo facesse, il medico non sarebbe tenuto a risarcirgli alcun danno sotto l’aspetto del difetto di informazione (salva la sua possibile responsabilità per avere, per qualunque ragione, mal diagnosticato o mal suggerito o male operato; ma si tratterebbe – come si è già chiarito – di un aspetto del tutto diverso, implicante una “colpa” collegata all’esecuzione della prestazione successiva). Ma se il paziente non sia stato convenientemente informato, quella condizione di spirito è inevitabilmente destinata a realizzarsi, ingenerando manifestazioni di turbamento di intensità ovviamente correlata alla gravità delle conseguente verificatesi e non prospettate come possibili. Ed è appunto questo il danno non patrimoniale che, nella prevalenza dei casi, costituisce l’effetto del mancato rispetto dell’obbligo di informare il paziente.
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Condizione di risarcibilità di tale tipo di danno non patrimoniale è che esso varchi la soglia della gravità dell’offesa secondo i canoni delineati dalle sentenze delle Sezioni unite nn. da 26972 a 26974 del 2008, con le quali s’è stabilito che il diritto deve essere inciso oltre un certo livello minimo di tollerabilità, da determinarsi dal giudice nel bilanciamento tra principio di solidarietà e di tolleranza secondo il parametro costituito dalla coscienza sociale in un determinato momento storico. Non pare possibile offrire più specifiche indicazioni”.
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2.9. Ancora di recente si possono ricordare come mosse dalla stessa logica le considerazioni di Cass. n. 19731 del 2014.
Purtroppo moltissimi sono i danni da malasanità
tribunale del malato
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malasanità risarcimento danni |
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denuncia malasanità |
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scadenze per intentare causa malasanità |
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scadenza domanda risarcimento malasanità |
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malasanità risarcimento danni |
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avvocato malasanità |
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responsabilità medica |
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malasanita’ |
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errori sanitari
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danno medico |
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danno suscettibile di accertamento medico legale |
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danno biologico medico legale |
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tabella danno biologico medico legale |
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danno colpa medica prescrizione |
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danni cavitazione medica |
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risarcimento danni medico convenzionato |
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calcolo danno medico |
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risarcimento danni medico dentista |
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danno estetico valutazione medico-legale |
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quantificazione danno medico |
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danno estetico valutazione medico-legale |
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valutazione danno medico legale |
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QUALI FATTISPECIE NORMATIVA
NATURA COLPOSA DELLA CONDOTTA MEDICA
Secondo la più consolidata giurisprudenza, il medico sarà ritenuto responsabile:
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per l’insuccesso di interventi o prestazioni routinari, anche solo con l’accertamento della colpa lieve;
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per l’insuccesso di interventi o prestazioni non routinari, solo con l’accertamento della colpa grave;
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per l’insuccesso di interventi o prestazioni non routinari, anche solo con l’accertamento della colpa lieve purché la colpa sia consistita in negligenza o imperizia.
Tendenzialmente, si ha colpa lieve quando il medico, nell’intervenire ovvero nel rendere la propria prestazione, non si sia attenuto alle comuni regole della scienza e della pratica.
QUALE NESSO CAUSALE TRA CONDOTTA E DANNO
Per poter affermare la responsabilità del medico è necessario accertare che, qualora il medico avesse tenuto il comportamento alternativo corretto, il paziente non avrebbe subito pregiudizi (avrebbe cioè evitato la morte ovvero il danno alla salute).
Tale accertamento, avendo ad oggetto fatti che non si sono verificati o che non possono più verificarsi, deve fondarsi non su un giudizio di certezza assoluta, ma di ragionevole probabilità.
QUALI DANNI RISARCIBILI ?
Sono risarcibili tanto i danni patrimoniali quanto i danni non patrimoniali, quali danno morale, biologico ed esistenziale.
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