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ITALIANI ALL’ESTERO – Ente previdenziale estero – Surroga nel diritto risarcitorio del proprio assicurato – Non sussiste – Applicazione della normativa previdenziale italiana, in base al principio della territorialità – Percezione, per lo stesso fatto ed evento invalidante, anche della rendita Inail
L’ente previdenziale tedesco D.R.S. adì il giudice del lavoro del Tribunale di Ancona per sentir condannare la società N.T. di C. & C. s.a.s. e G.S. al rimborso della somma di € 146.727,18, corrispondente al totale da indennizzare all’operaio K.H.J. per l’invalidità residuatagli dall’infortunio sul lavoro occorsogli ad Osimo mentre era alle dipendenze della predetta società. L’infortunio, che aveva causato al K. una totale invalidità permanente, era stato causato, secondo l’ente ricorrente, per colpa della datrice di lavoro che non aveva rispettato il piano sostitutivo ed operativo di sicurezza nel cantiere teatro dell’incidente, tanto che il direttore dei lavori G. era stato condannato per tale motivo in sede penale.
Pertanto, essendo il K. soggetto all’assicurazione obbligatoria estera per aver lavorato in Germania dal 1974 al 2003, l’ente tedesco chiese di surrogarsi nel diritto risarcitorio del proprio assicurato fino all’ammontare degli importi erogati a titolo di pensione di invalidità capitalizzata nella suddetta somma ai sensi dell’art. 1916 cod. civ., norma esistente anche nel diritto germanico e ciò in relazione all’art. 93 del Regolamento CEE 14 giugno 1971, n. 1408.
Il giudice adito dichiarò la nullità del ricorso per la mancata specificazione del tipo di danno coperto dall’assicurazione sociale in Germania e degli elementi utili alla sua determinazione.
A seguito di impugnazione dell’ente previdenziale tedesco, la Corte d’appello di Ancona (sentenza del 14.6.2012) ha parzialmente riformato la gravata decisione rigettando nel merito la domanda di surrogazione.
La Corte territoriale ha spiegato che l’ente di previdenza tedesco aveva erogato al suo assistito una pensione per invalidità totale assimilabile alla pensione ordinaria di inabilità italiana di cui all’art. 2 della legge n. 222 del 1984, ma che tuttavia non ricorrevano i presupposti per l’invocata surrogazione, atteso che nell’ordinamento giuridico italiano è previsto l’espresso divieto di cumulo tra la rendita erogata dall’Inail, che è abilitato all’esercizio dell’azione di regresso nei confronti del datore di lavoro responsabile civile del danno, e la pensione ordinaria di inabilità. Ne conseguiva che, trattandosi di inabilità totale riconducibile ad infortunio sul lavoro, trovava applicazione nell’ordinamento giuridico interno la regola di cui all’art. 6, comma 1, lettera b) della legge n. 222/1984, secondo cui l’iscritto nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità aveva diritto alla pensione ordinaria di inabilità solo quando dall’evento non derivava il diritto a rendita a carico dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, con conseguente applicazione del divieto di cumulo tra le suddette prestazioni.
Per la cassazione della sentenza ricorre l’ente D.R.S. con cinque motivi.
Resiste con controricorso la società N.T. di C.P. & C. s.a.s., mentre rimane intimato S. G..
Ragioni della decisione
- Col primo motivo l’istituto ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del regolamento CE n. 1408/1971 (sull’applicabilità dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati ed ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità Europea) e, dopo aver premesso che tale norma sancisce l’impossibilità di mantenere il diritto a beneficiare di più prestazioni della stessa natura riguardanti uno stesso periodo di assicurazione obbligatoria, precisa di aver sempre sostenuto nei giudizi di merito che le erogazioni effettuate in favore di K.H.J., così come la conseguente rivalsa verso la sua datrice di lavoro, concernevano esclusivamente il periodo in cui quest’ultimo aveva lavorato in Germania, tanto che la pensione di invalidità era stata calcolata in proporzione agli anni di effettiva attività lavorativa svolta in tale Stato, ove erano stati versati i relativi contributi, senza alcun riferimento al periodo in cui l’assicurato aveva lavorato in Italia. Ne conseguiva l’erroneità della tesi difensiva della società datrice di lavoro “N.T. di C. & C. s.a.s.”, secondo cui la rivalsa dell’ente tedesco riguardava l’intera vita lavorativa del K..
- Col secondo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 93 del Regolamento CE n. 1408/1971, si sostiene che tale norma, nel prevedere l’applicazione della legge del luogo in cui è avvenuto l’infortunio, si riferisce esclusivamente alla regolamentazione della responsabilità per il fatto illecito ed in particolare ai diritti che la vittima o i suoi aventi causa hanno nei confronti dell’autore del danno, nei cui diritto l’ente di previdenza si surroga, per cui la Corte di merito sarebbe incorsa in errore nel ritenere che il caso di specie era disciplinato dal diritto italiano per quel che concerneva anche l’aspetto previdenziale.
- Col terzo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del Regolamento CE n. 1408/1971, il ricorrente rileva che tale norma, in base alla quale il lavoratore occupato in uno Stato è soggetto alla legislazione dello stesso, comporta che il medesimo, il quale sposti in un altro Stato comunitario il luogo di svolgimento della sua attività lavorativa, rimane soggetto ad una sola gestione previdenziale o regime di sicurezza sociale per ciascun periodo di assicurazione. Quindi, un lavoratore che abbia svolto la propria attività in diversi Stati sarà soggetto, secondo il ricorrente, alle diverse leggi dei paesi in cui ha lavorato ai fini delle relative determinazioni previdenziali e assistenziali, rapportate ad ogni singolo periodo assicurativo.
- Col quarto motivo, proposto per violazione e falsa applicazione degli artt. 46, 50 e 52 del Regolamento CE n. 883/2004, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non ha tenuto conto del fatto che in base all’art. 46 del predetto regolamento il lavoratore che sia stato soggetto alle legislazioni di più Stati membri, delle quali una almeno rientrante nella categoria denominata di tipo “A” (Repubblica Ceca, Estonia, Irlanda, Grecia, Lettonia, Finlandia, Svezia e Regno Unito) beneficia delle prestazioni a norma del capitolo 5 dello stesso regolamento, per effetto del quale tutte le istituzioni competenti determinano il diritto alle prestazioni ai sensi di tutte le legislazioni degli Stati membri alle quali l’interessato è stato soggetto. Invece, sia in Italia che in Germania per il calcolo delle prestazioni di invalidità si ricorre al metodo contributivo, avendo entrambe una legislazione di tipo “B”, per la quale le pensioni di invalidità sono calcolate in funzione della durata dei periodi assicurativi in ciascun Paese, contrariamente agli Stati aventi una legislazione di tipo “A”, i quali applicano il sistema basato sulla liquidazione di una pensione di importo fisso, indipendentemente dalla durata dei periodi assicurativi. Conseguentemente, se l’interessato ha lavorato ed è stato assicurato solo in paesi con legislazioni di tipo “B” (come nel caso di specie), secondo tale assunto difensivo riceve una pensione distinta da ciascun Paese in funzione dei periodi assicurativi maturati.
- Col quinto motivo, proposto per violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 43, della legge n. 335 del 1995, il ricorrente assume che anche se si volesse applicare al caso di specie la legislazione italiana, che sancisce il divieto di cumulo tra pensione ordinaria di inabilità e rendita Inail, non potrebbe egualmente ricorrersi a tale principio in quanto la pensione di invalidità erogata dall’ente di previdenza tedesco non è equiparabile, in base a quanto erroneamente sostenuto dai giudici d’appello, a quella liquidata in Italia dall’Inps, ma ha la stessa natura di una rendita Inail ed è proporzionale ai soli anni in cui il K. aveva lavorato in Germania.
- Osserva la Corte che per ragioni di connessione i suddetti motivi possono essere esaminati congiuntamente.
CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 marzo 2018, n. 5382
Infortunio sul lavoro – Totale invalidità permanente – Mancato rispetto il piano operativo di sicurezza – Responsabilità del datore di lavoro – Ente previdenziale estero – Surroga nel diritto risarcitorio del proprio assicurato – Non sussiste – Applicazione della normativa previdenziale italiana, in base al principio della territorialità – Percezione, per lo stesso fatto ed evento invalidante, anche della rendita Inail
Fatti di causa
L’ente previdenziale tedesco D.R.S. adì il giudice del lavoro del Tribunale di Ancona per sentir condannare la società N.T. di C. & C. s.a.s. e G.S. al rimborso della somma di € 146.727,18, corrispondente al totale da indennizzare all’operaio K.H.J. per l’invalidità residuatagli dall’infortunio sul lavoro occorsogli ad Osimo mentre era alle dipendenze della predetta società. L’infortunio, che aveva causato al K. una totale invalidità permanente, era stato causato, secondo l’ente ricorrente, per colpa della datrice di lavoro che non aveva rispettato il piano sostitutivo ed operativo di sicurezza nel cantiere teatro dell’incidente, tanto che il direttore dei lavori G. era stato condannato per tale motivo in sede penale.
Pertanto, essendo il K. soggetto all’assicurazione obbligatoria estera per aver lavorato in Germania dal 1974 al 2003, l’ente tedesco chiese di surrogarsi nel diritto risarcitorio del proprio assicurato fino all’ammontare degli importi erogati a titolo di pensione di invalidità capitalizzata nella suddetta somma ai sensi dell’art. 1916 cod. civ., norma esistente anche nel diritto germanico e ciò in relazione all’art. 93 del Regolamento CEE 14 giugno 1971, n. 1408.
Il giudice adito dichiarò la nullità del ricorso per la mancata specificazione del tipo di danno coperto dall’assicurazione sociale in Germania e degli elementi utili alla sua determinazione.
A seguito di impugnazione dell’ente previdenziale tedesco, la Corte d’appello di Ancona (sentenza del 14.6.2012) ha parzialmente riformato la gravata decisione rigettando nel merito la domanda di surrogazione.
La Corte territoriale ha spiegato che l’ente di previdenza tedesco aveva erogato al suo assistito una pensione per invalidità totale assimilabile alla pensione ordinaria di inabilità italiana di cui all’art. 2 della legge n. 222 del 1984, ma che tuttavia non ricorrevano i presupposti per l’invocata surrogazione, atteso che nell’ordinamento giuridico italiano è previsto l’espresso divieto di cumulo tra la rendita erogata dall’Inail, che è abilitato all’esercizio dell’azione di regresso nei confronti del datore di lavoro responsabile civile del danno, e la pensione ordinaria di inabilità. Ne conseguiva che, trattandosi di inabilità totale riconducibile ad infortunio sul lavoro, trovava applicazione nell’ordinamento giuridico interno la regola di cui all’art. 6, comma 1, lettera b) della legge n. 222/1984, secondo cui l’iscritto nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità aveva diritto alla pensione ordinaria di inabilità solo quando dall’evento non derivava il diritto a rendita a carico dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, con conseguente applicazione del divieto di cumulo tra le suddette prestazioni.
Per la cassazione della sentenza ricorre l’ente D.R.S. con cinque motivi.
Resiste con controricorso la società N.T. di C.P. & C. s.a.s., mentre rimane intimato S. G..
Ragioni della decisione
- Col primo motivo l’istituto ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del regolamento CE n. 1408/1971 (sull’applicabilità dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati ed ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità Europea) e, dopo aver premesso che tale norma sancisce l’impossibilità di mantenere il diritto a beneficiare di più prestazioni della stessa natura riguardanti uno stesso periodo di assicurazione obbligatoria, precisa di aver sempre sostenuto nei giudizi di merito che le erogazioni effettuate in favore di K.H.J., così come la conseguente rivalsa verso la sua datrice di lavoro, concernevano esclusivamente il periodo in cui quest’ultimo aveva lavorato in Germania, tanto che la pensione di invalidità era stata calcolata in proporzione agli anni di effettiva attività lavorativa svolta in tale Stato, ove erano stati versati i relativi contributi, senza alcun riferimento al periodo in cui l’assicurato aveva lavorato in Italia. Ne conseguiva l’erroneità della tesi difensiva della società datrice di lavoro “N.T. di C. & C. s.a.s.”, secondo cui la rivalsa dell’ente tedesco riguardava l’intera vita lavorativa del K..
- Col secondo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 93 del Regolamento CE n. 1408/1971, si sostiene che tale norma, nel prevedere l’applicazione della legge del luogo in cui è avvenuto l’infortunio, si riferisce esclusivamente alla regolamentazione della responsabilità per il fatto illecito ed in particolare ai diritti che la vittima o i suoi aventi causa hanno nei confronti dell’autore del danno, nei cui diritto l’ente di previdenza si surroga, per cui la Corte di merito sarebbe incorsa in errore nel ritenere che il caso di specie era disciplinato dal diritto italiano per quel che concerneva anche l’aspetto previdenziale.
- Col terzo motivo, formulato per violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del Regolamento CE n. 1408/1971, il ricorrente rileva che tale norma, in base alla quale il lavoratore occupato in uno Stato è soggetto alla legislazione dello stesso, comporta che il medesimo, il quale sposti in un altro Stato comunitario il luogo di svolgimento della sua attività lavorativa, rimane soggetto ad una sola gestione previdenziale o regime di sicurezza sociale per ciascun periodo di assicurazione. Quindi, un lavoratore che abbia svolto la propria attività in diversi Stati sarà soggetto, secondo il ricorrente, alle diverse leggi dei paesi in cui ha lavorato ai fini delle relative determinazioni previdenziali e assistenziali, rapportate ad ogni singolo periodo assicurativo.
- Col quarto motivo, proposto per violazione e falsa applicazione degli artt. 46, 50 e 52 del Regolamento CE n. 883/2004, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non ha tenuto conto del fatto che in base all’art. 46 del predetto regolamento il lavoratore che sia stato soggetto alle legislazioni di più Stati membri, delle quali una almeno rientrante nella categoria denominata di tipo “A” (Repubblica Ceca, Estonia, Irlanda, Grecia, Lettonia, Finlandia, Svezia e Regno Unito) beneficia delle prestazioni a norma del capitolo 5 dello stesso regolamento, per effetto del quale tutte le istituzioni competenti determinano il diritto alle prestazioni ai sensi di tutte le legislazioni degli Stati membri alle quali l’interessato è stato soggetto. Invece, sia in Italia che in Germania per il calcolo delle prestazioni di invalidità si ricorre al metodo contributivo, avendo entrambe una legislazione di tipo “B”, per la quale le pensioni di invalidità sono calcolate in funzione della durata dei periodi assicurativi in ciascun Paese, contrariamente agli Stati aventi una legislazione di tipo “A”, i quali applicano il sistema basato sulla liquidazione di una pensione di importo fisso, indipendentemente dalla durata dei periodi assicurativi. Conseguentemente, se l’interessato ha lavorato ed è stato assicurato solo in paesi con legislazioni di tipo “B” (come nel caso di specie), secondo tale assunto difensivo riceve una pensione distinta da ciascun Paese in funzione dei periodi assicurativi maturati.
- Col quinto motivo, proposto per violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 43, della legge n. 335 del 1995, il ricorrente assume che anche se si volesse applicare al caso di specie la legislazione italiana, che sancisce il divieto di cumulo tra pensione ordinaria di inabilità e rendita Inail, non potrebbe egualmente ricorrersi a tale principio in quanto la pensione di invalidità erogata dall’ente di previdenza tedesco non è equiparabile, in base a quanto erroneamente sostenuto dai giudici d’appello, a quella liquidata in Italia dall’Inps, ma ha la stessa natura di una rendita Inail ed è proporzionale ai soli anni in cui il K. aveva lavorato in Germania.
- Osserva la Corte che per ragioni di connessione i suddetti motivi possono essere esaminati congiuntamente.
Il ricorso è infondato per le seguenti ragioni: – Anzitutto, dagli atti di causa emerge che in conseguenza dell’incidente sul lavoro verificatosi in Italia in data 1.10.2004, Heinz Jurgen K., all’epoca dipendente della società italiana N.T. s.r.l., si vide riconoscere dall’ente di previdenza tedesco Deutsce Rentenversicherung Schwaben la pensione per invalidità da infortunio nella misura mensile di € 761,27 a decorrere dall’1.1.2005, beneficiando il medesimo della copertura assicurativa sociale obbligatoria presso il suddetto ente straniero, per aver lavorato in Germania dall’1.9.1974 al 31.3.2003. L’istituto ricorrente tedesco sostiene che le erogazioni riguardavano esclusivamente il periodo lavorativo in Germania (1.9.1974 – 31.3.2003) e che la pensione era stata calcolata in proporzione agli anni di effettiva attività lavorativa ed ai versamenti contributivi concernenti il suddetto arco temporale, aggiungendo che tale pensione di invalidità non è equiparabile a quella italiana di inabilità erogata dall’Inps, avendo la stessa natura di una rendita Inail, per cui non opererebbe il regime di incompatibilità tra pensione di invalidità e rendita Inail.
Invece, secondo la controricorrente società il lavoratore starebbe percependo due provvidenze, in quanto era stato assicurato anche presso l’Inail durante il periodo in cui aveva lavorato in Italia, con diritto a percepire la relativa rendita e, quindi, l’accoglimento della domanda dell’odierno istituto tedesco la esporrebbe al rischio concreto di subire gli effetti pregiudizievoli di analoga azione di rivalsa da parte dell’Inail per lo stesso fatto. Tra l’altro, non può non rilevarsi, che anche nella sentenza impugnata si fa riferimento al fatto che in Italia l’infortunato ha percepito, per lo stesso evento invalidante, la rendita vitalizia a carico dell’Inail, circostanza, questa, nemmeno messa in dubbio dall’attuale ente ricorrente.
- Tali essendo i presupposti di fatto della vicenda occorre, anzitutto, rilevare che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente istituto, la fattispecie in esame non può che essere disciplinata dalla normativa previdenziale italiana, in base al principio della territorialità, atteso che l’evento invalidante, rispetto al quale è stata riconosciuta la pensione di inabilità tedesca per la quale l’odierno ricorrente agisce in surroga, si è verificato in Italia. Inoltre, non può sfuggire che la norma di cui all’art. 13, comma 2, del Regolamento CE n. 1408 del 1971, contenuta nel titolo II sulla determinazione della legislazione applicabile, stabilisce alla lettera a) – fatta salva la riserva delle disposizioni degli articoli da 14 a 17 che nella fattispecie non interessano – che “il lavoratore occupato nel territorio di uno Stato membro è soggetto alla legislazione di tale Stato anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro o se l’impresa o il datore di lavoro da cui dipende ha la propria sede o il proprio domicilio nel territorio di un altro Stato membro” (lett. a).
Ciò chiarito va poi evidenziato che l’articolo 12 dello stesso regolamento CE, in materia di divieto di cumulo delle prestazioni, stabilisce espressamente nel primo inciso del comma 1 che “il presente regolamento non può conferire, ne mantenere il diritto a beneficiare di più prestazioni della stessa natura riferentesi ad uno stesso periodo di assicurazione obbligatoria”.
La norma prevede che tale disposizione non si applica tuttavia alle prestazioni per invalidità, vecchiaia, morte (pensioni) o per malattia professionale che sono liquidate dalle istituzioni di due o più Stati membri ai sensi dell’articolo 41, dell’articolo 43, paragrafi 2 e 3, degli articolo 46, 50 e 51, oppure dell’articolo 60, paragrafo 1, lettera b), ma tali situazioni specifiche non rilevano ai fini del presente giudizio.
Quanto alla natura giuridica della prestazione in esame giova osservare che nella parte narrativa della sentenza impugnata si dà atto della circostanza che l’ente pubblico tedesco aveva chiesto di surrogarsi nel diritto del proprio assicurato fino all’ammontare degli importi erogati a titolo di pensione di invalidità capitalizzata in € 146.727,18 ai sensi dell’art. 1916 cod. civ., norma esistente anche nel diritto germanico.
Inoltre, nella parte motivazionale, si ribadisce che l’ente tedesco aveva erogato al suo assistito un trattamento pensionistico denominato come “pensione per invalidità totale”, così definita nella stessa missiva di comunicazione di erogazione pensionistica riconducibile, per quanto precisato dalla medesima parte appellante, alla pensione di inabilità di cui all’art. 2 della legge n. 222 del 1984. Da parte sua, anche nella parte narrativa del presente ricorso, l’istituto tedesco fa riferimento ad una pensione per invalidità da infortunio dell’importo mensile di euro 761,27 che gli comporterà un onere complessivo di euro 146.727,18 (salvo più aggiornati ricalcoli), mentre solo nell’illustrare il quinto motivo avanza la tesi, non suffragata da elementi concreti, che la prestazione in esame non è equiparabile alla pensione proveniente dall’Inps, avendo la stessa natura della rendita Inail. Tuttavia, si osserva che tale apodittica affermazione, tra l’altro in contrasto con quella precedente della parte narrativa, viene fatta al solo scopo di supportare la tesi dell’asserita insussistenza, nella fattispecie, del divieto di cumulo tra pensione Inps e rendita Inail
- Pertanto, correttamente la Corte di merito ha osservato che, trattandosi di inabilità totale riconducibile ad infortunio sul lavoro, trova applicazione nell’ordinamento giuridico interno la regola di cui all’art. 6, comma 1, lettera b) della legge n. 222/1984, secondo cui l’iscritto nell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità ha diritto alla pensione ordinaria di inabilità solo quando dall’evento non derivi il diritto a rendita a carico dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, con conseguente applicazione del divieto di cumulo tra le suddette prestazioni.
In maniera altrettanto corretta la stessa Corte ha tratto la conseguenza che nella fattispecie non ricorrevano i presupposti per l’invocata surrogazione da parte dell’istituto di previdenza straniero, non ricorrendo la condizione di reciprocità, atteso che l’infortunato in Italia aveva percepito, per lo stesso fatto ed evento invalidante, anche la rendita Inail.
La riprova della correttezza del ragionamento seguito dalla Corte territoriale deriva anche dalla considerazione che la domanda di surrogazione avanzata dall’istituto di previdenza tedesco, una volta accolta, avrebbe comportato l’accettazione del rischio concreto di una iniqua sovrapposizione di un’azione di regresso esperibile dall’Inail, sempre per lo stesso fatto invalidante nei confronto del medesimo soggetto responsabile.
- In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo in favore della società controricorrente. Non va, invece, adottata alcuna statuizione sulle spese nei confronti di G.S. che è rimasto solo intimato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nella misura di € 5700,00, di cui € 5500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge in favore della società N.T. di C. & C. s.a.s. Nulla spese nei confronti di G.S.
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