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INCIDENTE  LESIONI SEDIE A ROTELLE GRAVISSIMO DANNO COME ?

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REATO DI MALTRATTAMENTI LUOGO DI LAVORO - VIOLENZA PRIVATA

REATO DI MALTRATTAMENTI LUOGO DI LAVORO – VIOLENZA PRIVATA

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INCIDENTE MORTALE ,FERITI AUTOSTRADA AVVOCATO DANNI

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INCIDENTE  LESIONI SEDIE A ROTELLE GRAVISSIMO DANNO COME ?

 

EVIDENTE CHE TRATTASI DI DANNO GRAVISSIMO CHE MERITA RISARCIMENTO ANCHE SUPERIORE AL DANNO MORTALE

 

 

ANCHE PER I FAMIGLIARI

 

Il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza gravata che aveva ritenuto insussistente o, comunque, pienamente ristorato con il riconoscimento del danno biologico proprio, il danno cosiddetto parentale patito dalla ricorrente per le lesioni subite dal convivente a seguito di un sinistro, omettendo di considerare l’entità non lieve delle lesioni personali riportate dal danneggiato, quantificate al 79%, e la relativa incidenza sull’ambito dinamico-relazionale della stessa ricorrente).

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Ordinanza 24 aprile 2019, n. 11212   (CED Cassazione 2019)

 

INCIDENTE CON VITTIME, FERITI GRAVI STRDA AUTOSTRADA

INCIDENTE CON VITTIME, FERITI GRAVI STRDA AUTOSTRADA

 nella sentenza n. 7774/2016, la Corte aveva precisato che si tratta di un “danno emergente” già verificatosi, perché riguardante le spese sostenute nel “periodo di tempo compreso tra il sinistro e la data della liquidazione”, con la conseguenza che “trattandosi di un pregiudizio che si assume già avvenuto, il giudice non può prescindere dall’accertarne la concreta sussistenza, senza potere ricorrere a “ragionevoli previsioni”, consentite… solo con riferimento al danno futuro”.

 

L’esistenza del danno in questione, quindi, non essere provata presuntivamente, né in virtù di una liquidazione equitativa, mentre , una volta che il danneggiato abbia provato la sua effettiva sussistenza, può giovarsi della prova presuntiva ovvero della liquidazione equitativa del risarcimento, quanto l’ammontare del danno sia difficilmente dimostrabile.

 

In pratica, con riguardo all’anzidetta spesa “delle due l’una: o il danneggiato dimostra di averla sostenuta (anche attraverso presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c.), oppure nessuna liquidazione può essere consentita. Il danno per spese di assistenza, infatti, quando si assuma essere già maturato al momento della liquidazione, è rappresentato dalla spesa sostenuta, non dalla necessità di sostenerla”.

 

 danni risarcibili a cui ha diritto una persona rimasta gravemente lesa a seguito di un incidente o un infortunio sono:

  • il danno biologico: temporanea o permanente compromissione dell’integrità psicofisica dell’individuo, espressa in punti percentuali di invalidità permanente e in periodi di tempo di inabilità temporanea. Per il calcolo del danno biologico per lesioni macropermanenti, ossia per quelle menomazioni che comportano un’invalidità permanente superiore a 9 punti percentuali, le tabelle più utilizzate nei tribunali italiani e considerate le più idonee a garantire un’equità del risarcimento sono quelle elaborate dal tribunale di Milano;
  • il danno morale subiettivo: dolore o patema d’animo interiore;
  • il danno esistenziale: pregiudizio che determina uno sconvolgimento delle abitudini di vita e degli assetti relazionali propri del soggetto;
  • il danno da lucro cessante: danno patrimoniale costituto dal mancato guadagno subito e futuro (come ad esempio una riduzione della capacità lavorativa);
  • il danno emergente: le perdite economiche subite e chi si subiranno a causa delle lesioni riportate (come ad esempio i costi sostenuti per curare la menomazione).

 

la “personalizzazione” del risarcimento del danno alla salute consiste in una variazione in aumento (ovvero, in astratta ipotesi, anche in diminuzione) del valore standard del risarcimento, per tenere conto delle specificità del caso concreto; la L. n. 124 del 2017 – che ha modificato gli artt. 138 e 139 Codice delle assicurazioni private-discorre espressamente di incidenza rilevante su specifici aspetti dinamico- relazionali. Questi ultimi devono consistere, secondo il più recente insegnamento di questo giudice di legittimità, in circostanze eccezionali e specifiche, sicché non può essere accordata alcuna variazione in aumento del risarcimento standard previsto dalle “tabelle” per tenere conto di pregiudizi che qualunque vittima che abbia patito le medesime lesioni deve sopportare, secondo l’id quod plerumque accidit, trattandosi di conseguenze già considerate nella liquidazione tabellare del danno (cfr. Cass. n. 7513/2018, Cass. n. 10912/2018, Cass. n. 23469/2018, Cass. n. 27482/2018 e, da ultimo, Cass. 28988/2019). Nel caso di specie, invece, la Corte territoriale ha accordato la personalizzazione “in quanto non si rinvengono in atti elementi utili che consentano di altrimenti valutare in termini economici la perdita di capacità di lavoro, sia generica che specifica” ed a fronte del fatto che la vittima si trovi nella “indubbia impossibilità di cimentarsi in attività fisiche (le uniche che si ritiene potessero essere svolte dal F. )”, ritenendo che tale circostanza non possa “essere del tutto trascurata” e pertanto vada “assunta quale elemento per la personalizzazione nell’ambito del danno biologico

 

 

lL “danno dinamico-relazionale”, sino all’abrogazione ad opera del d.lgs. 209/2005 (Codice delle Assicurazioni Private), compariva inoltre all’art. 5 della l. 57/2001 in materia di danni causati dalla circolazione dei veicoli; si prevedeva infatti che il risarcimento del danno biologico poteva essere aumentato per tenere conto delle “condizioni soggettive del danneggiato”. 

 

 

 

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 giugno – 23 settembre 2013, n. 21726
Presidente Petti – Relatore Scrima

Svolgimento del processo

In data (omissis) C.S. , mentre era fermo a bordo della sua auto Alfa 164 sulla tangenziale (omissis) , veniva tamponato da un’auto condotta da V.L. e nella circostanza il veicolo del C. riportava danni al paraurti posteriore. Il giorno successivo, il medico di famiglia, al quale il C. riferiva di avvertire un forte dolore alla parte bassa della schiena, gli prescriveva dell’Aulin e degli esami radiografici.
Dopo oltre venti giorni, il (omissis) , il C. avvertiva un forte dolore alla schiena e, trasportato immediatamente al pronto soccorso, gli veniva diagnosticata un’ernia discale espulsa con compressione del midollo e veniva subito sottoposto ad intervento
chirurgico ma rimaneva paraplegico.
Il C. , quindi, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Milano, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, il V. , la AIG Europe SA, assicuratrice del veicolo tamponante, la Automaggiore S.p.a., proprietaria dello stesso, e il medico curante, Dott. B. , la cui negligenza professionale assumeva costituisse concausa dell’esito infausto.
Interveniva in giudizio volontariamente S.A. , moglie dell’attore, chiedendo il risarcimento dei danni da lei subiti.
Il Tribunale adito, con sentenza del 22 gennaio 2004, dichiarava esclusivo responsabile del sinistro del 21 aprile 1997 il Varese e lo condannava, in solido con la AIG Europe SA e la Automaggiore S.p.a. al risarcimento dei soli danni materiali riportati dall’Alfa 164 in occasione del ricordato tamponamento, rigettava ogni domanda proposta dal C. in relazione a danni alla persona nonché le domande proposte nei confronti del B. e compensava le spese tra tutte le parti.
Avverso tale decisione i coniugi C. S. proponevano appello, cui resistevano tutti gli appellati chiedendone il rigetto.
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 5 ottobre 2006, rigettava il gravame e condannava gli appellanti alle spese.
Avverso la sentenza della Corte di merito C.S. e S.A. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Hanno resistito con controricorso V.L. , Maggiore Fleet S.p.a. ed AIG Europe SA nonché, con distinto controricorso, B.L. .
Quest’ultimo e i ricorrenti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. – inserito nel codice di rito dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, applicabile, ai sensi del comma 2 dell’art. 27 del medesimo decreto legislativo, ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati dalla data di entrata in vigore dello stesso (2 marzo 2006), e successivamente abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18 giugno 2009, n. 69 a decorrere dal 4 luglio 2009 – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (5 ottobre 2006).
2. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano “violazione e falsa applicazione degli artt. 115, II co. e 116 cod. proc. civ. e del combinato disposto degli artt. 2056 e 1223 cod. civ. e dei principi che disciplinano la valutazione delle prove e che impongono al Giudice, una volta disposta la consulenza tecnica d’ufficio, diretta ad accertare il nesso di causalità, tra l’incidente occorso e la patologia lamentata dal danneggiato, di fare riferimento alle risultanze tecnico scientifiche di cui all’elaborato peritale, per condividerne il contenuto, ovvero in relazione alle quali motivare il proprio dissenso” (art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.) nonché omessa illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.).
2.1. In relazione al primo motivo i coniugi C. S. pongono i seguenti quesiti di diritto:
– “Dica la Corte se, una volta disposta la consulenza tecnica d’ufficio, diretta ad accertare, in modo specifico, il nesso di causalità tra il fatto lesivo e le lesioni refertate e certificate ovvero se l’evento abbia cagionato anche solo un peggioramento delle condizioni del soggetto rispetto a quelle preesistenti, il Giudice, dopo aver riconosciuto la sussistenza di elementi, in relazione ai quali i CTU hanno riconosciuto che è difficile negare un ruolo concausale tra l’evento traumatico e la lesione certificata, sia vincolato a prendere in considerazione tali valutazioni tecnico-scientifiche e a riconoscere la sussistenza del nesso di causalità, seppure quale mera concausa, ovvero possa discostarsi da tali valutazioni, senza alcuna motivazione”.
– “Dica la Corte se, accertata la sussistenza degli elementi in fatto in relazione alla cui esistenza i CTU hanno riconosciuto di non poter negare il nesso di causalità o concausale tra l’evento traumatico e la lesione certificata, la Corte possa, senza motivazione in ordine alle ragioni del dissenso rispetto alle conclusioni dei CTU escludere la invocata responsabilità in relazione alla mancanza del nesso causale”.
2.2. Osserva la Corte che – al di là della non del tutto corretta formulazione dei quesiti che precedono, alla luce dei canoni indicati al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità, risolvendosi gli stessi nel mero interpello della Corte in ordine alla correttezza o meno dell’operato del giudice del merito e difettando, comunque, il mezzo in parola di autosufficienza, essendosi i ricorrenti limitati a riportare, in ricorso, solo qualche frase, estrapolata dal contesto, tratta dalla relazione di ctu, pur avendo sulle risultanze dell’accertamento tecnico incentrato le censure all’esame – il motivo è infondato.
2.3. Ed invero, non sussistono né il vizio di violazione o falsa applicazione di legge indicato nella rubrica del motivo né i lamentati vizi motivazionali, evidenziandosi che, in relazione alla ritenuta insussistenza del nesso causale – la ricorrenza del quale era onere dei ricorrenti provare – tra il sinistro del 21 aprile 1997 e la paraplegia verificatasi il 14 maggio 1997, la Corte di merito ha dato ampia, congrua e coerente motivazione, immune da vizi logici e giuridici.
Al riguardo si evidenzia che i Giudici del secondo grado hanno tenuto conto che nel modulo di constatazione amichevole, stilato dai conducenti dei veicoli coinvolti nell’immediatezza del fatto, si da atto che l’auto del C. ha riportato solo danni al paraurti posteriore, il che lascia presumere che l’urto sia stato di lieve entità, e tanto risulta confermato dalle modeste riparazioni effettuate; inoltre, in relazione al punto del predetto modulo attinente a “feriti, anche se lievi”, risulta barrata la casella “NO”, a testimonianza che l’impatto non ha cagionato problemi fisici al C. , il quale dopo il fatto non si é neppure recato al pronto soccorso, non accusando, evidentemente, dolore o comunque conseguenze al tratto dorsale della colonna vertebrale. Tale quadro asintomatico, perfettamente coerente con il tipo di incidente verificatosi, considerato che i tamponamenti di lieve entità, quando arrecano conseguenze fisiche al conducente del veicolo tamponato, interessano il rachide cervicale (c.d. colpo di frusta) ma non la parte bassa del dorso, risulta corroborato, secondo la Corte di appello, dalla circostanza, riferita dallo stesso C. che lo stesso indossava al momento del tamponamento la cintura di sicurezza, la quale notoriamente mantiene praticamente fissa contro il sedile la parte bassa del dorso della persona.
Ha aggiunto la Corte di merito che in sede di anamnesi raccolta in occasione del ricovero presso l’Ospedale di Legnano, in data 14 maggio 1997, il C. ha riferito ai sanitari che all’esito del sinistro stradale in questione non accusava dolore né disturbi neurologici specifici e che solo la mattina di quel ricovero aveva avvertito, subito dopo il risveglio, lombalgia e successivamente parestesia. La Corte territoriale ha evidenziato, altresì, che, pur avendo il giorno dopo il sinistro il medico curante diagnosticato una “forte lombalgia bassa – D10/D12 da riferito incidente stradale” al C. , questi, in occasione della visita, ha riferito ai ctu di aver accusato nella notte precedente solo un “indolenzimento” alla schiena, risolto con l’assunzione di Aulin per un paio di giorni, ed ha posto in rilievo che l’attuale ricorrente aveva ripreso sin da subito il suo lavoro di imprenditore e si era astenuto – evidentemente non avvertendone né la necessità né l’opportunità – dall’effettuare i controlli che il medico curante gli aveva prescritto.
La Corte di merito sulla base delle riferite circostanze, considerate dalla stessa concordanti, univoche e precise, ha ritenuto che il C. , in occasione del sinistro di cui si discute in causa, non abbia subito in realtà alcun trauma alla schiena o, a tutto voler concedere, abbia subito un trauma del tutto lieve e senza conseguenze, inidoneo a costituire concausa delle gravi lesioni poi insorte. I Giudici di secondo grado hanno pure osservato che all’inidoneità lesiva ricavabile dalle stesse caratteristiche, entità e importanza dell’evento del (OMISSIS) andava aggiunto che nei successivi venti giorni circa il C. aveva continuato a lavorare e a svolgere le sue normalità attività in situazione di piena asintomaticità e che alcun riscontro probatorio ha trovato la c.d. “sindrome a ponte”, dedotta dagli attuali ricorrenti, evidenziando a tale riguardo che né i sanitari che eseguirono l’intervento, né gli altri controlli successivi né il collegio di ctu che ha esaminato il caso hanno potuto accertare quando la lesione intravertebrale e il distacco del frammento siano avvenuti ed ha conclusivamente escluso, per le ragioni già riportate, che il tamponamento del 21 aprile 1997 potesse cagionare tale conseguenza.
3. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e “dei principi e delle norme che disciplinano la corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato e secondo cui il Giudice deve pronunciarsi con sentenza, che come tale deve constare, necessariamente di una parte motiva, su tutte le domande proposte” (art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c.); 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. e “dei principi e norme che impongono all’appellante specifiche censure tese a scardinare il ragionamento logico-giuridico posto a base della sentenza impugnata se ed allorquando esista una motivazione cosicché laddove non esiste una motivazione è sufficiente che l’appellante si limiti a censurare la sentenza per omessa pronuncia e a riproporre la domanda” (art. 360, primo comma, c.p.c.); 3) insufficiente e illogica motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.).
3.1. In relazione al secondo motivo i ricorrenti pongono i seguenti quesiti di diritto:
“Dica la Corte se allorquando sia stata proposta una domanda da parte dell’intervenuta volontariamente, che ha invocato jure proprio danni morali esistenziali e patrimoniali in conseguenza dei danni alla persona subiti dal coniuge che diviene affetto da paraplegia, e con ordinanza il giudice abbia rilevato l’inammissibilità dell’intervento, la sentenza che definisce il grado, che si limiti ad indicare nell’epigrafe la parte che ha spiegato intervento e che nel dispositivo pronunci in tal senso: rigetta le ulteriori domande di risarcimento danni alla persona, sentii alcuna motivazione in ordine alla ammissibilità dell’intervento e delle domande con esso spiegate, debba ritenersi viziata ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., per violazione dell’art. 112 c.p.c., ovvero possa ritenersi idonea a costituire, comunque, una pronuncia specifica sulle domande proposte dal soggetto che ha spiegato intervento”;
– “Dica la Corte se, allorquando sulla domanda proposta dalla parte che ha spiegato intervento volontario, il Giudice abbia deciso, limitandosi a rigettare tutte le domande, senza alcuna specifica motivazione, in ordine alla ammissibilità e fondatezza delle domande proposte dalla parte intervenuta volontariamente, la stessa parte, che propone appello avverso la predetta sentenza, lamentando il difetto di pronuncia sulla domanda e limitandosi a riproporre la stessa, sia, o meno, onerata anche a prospettare specifiche ragioni di merito per cui il suo intervento debba essere dichiarato ammissibile”;
– “Dica la Corte se, allorquando il Giudice con ordinanza istruttoria abbia affermato l’inammissibilità dell’intervento e con la sentenza che definisce il giudizio si sia limitato a pronunciare il rigetto delle domande, senza alcuna motivazione in ordine all’inammissibilità dell’intervento stesso, possa ritenersi che l’ordinanza istruttoria, considerato che nell’epigrafe della sentenza viene indicata la parte intervenuta e il dispositivo contempla il rigetto delle domande, (possa ritenersi che l’ordinanza) sia trasfusa nella sentenza, con conseguente sanatoria del vizio di forma, ovvero debba ritenersi che, a tal fine, la sentenza avrebbe dovuto, nella parte motiva, richiamare, quanto meno, l’ordinanza ovvero argomentare le ragioni della inammissibilità dell’intervento”.
3.2. Il rigetto del primo motivo del ricorso assorbe l’esame delle questioni sollevate con il secondo motivo del ricorso, atteso che risulta comunque del tutto superfluo esaminare la domanda proposta dalla S. , il cui esito é strettamente connesso alla fondatezza o meno delle domande proposte dal C. .
4. Tenuto conto della peculiarità delle questioni esaminate e della particolarità della vicenda oggetto di causa, va disposta l’integrale compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra tutte le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo; compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

 

 

 

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 novembre 2015, n. 23691

Inail – Incidente sul lavoro – Invalidità temporanea – Danno biologico – Indennizzo

Svolgimento del processo

S.G., premesso che l’INAIL gli aveva liquidato la sola invalidità temporanea per un incidente sul lavoro, chiedeva al Giudice del lavoro di Cagliari il riconoscimento dell’indennizzo dovuto in capitale in relazione al danno biologico subito. L’INAIL deduceva che il danno biologico subito era al di sotto del minimo indennizzabile posto che il ricorrente era affetto da preesistenti gravissime patologie derivanti da cause a carattere non lavorativo. Il Tribunale di Cagliari accoglieva parzialmente la domanda e riconosceva il diritto ad un indennizzo in capitale pari ad un danno biologico del 15%. Avverso la sentenza interponeva ricorso il S. ma la Corte di appello di Cagliari con sentenza del 31.10.2007 rigettava l’appello. La Corte territoriale osservava che effettivamente il S., alla luce della consulenza peritale svoltasi in appello, era affetto da gravi patologie preesistenti all’infortunio con un danno extra lavorativo rappresentato non soltanto dalla paraparesi con deficit di forza di media gravità e con deambulazione deficitaria ma anche da una anchilosi di rachide dorsale e lombare in grave scoliosi paralitica nella misura dell’85% secondo la valutazione del consulente di appello (e del 80% per quello scelto dal Tribunale): il danno del nuovo infortunio era pari al 3% alla luce di quanto concordemente affermato dai due CTU posto che i fenomeni di destabilizzazione della colonna vertebrale e di aggravamento della situazione non potevano essere ascritti all’infortunio ma a alle patologie precedenti.

Nel settembre del 2003 il S. era ancora in condizioni di lavorare. Il ruolo causale dell’infortunio del gennaio del 2002 nel successivo aggravamento era stato per il consulente modesto. Pertanto applicando la formula del G. si arrivava ad un danno biologico del 15% secondo il consulente di primo grado o del 20% secondo il consulente di appello: per la Corte appariva preferibile la prima opzione posto che la misura dell’85% di inabilità preesistente era obiettivamente superiore a quella oggettivamente accertata e riservata alla paraplegia; mentre il S. non appariva essere affetto da un danno extra lavorativo così grave.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso con un motivo, resiste controparte con controricorso.

Motivi della decisione

Con il motivo proposto si allega la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 comma sesto del D.Ivo n. 38/2000, nonché l’omessa e insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione agli artt. 113, 115, 116 c.p.c.: dopo l’infortunio la capacità lavorativa era nulla, mentre era stata calcolata solo come fortemente ridotta. La formula G. era stata conseguentemente erroneamente applicata.

La parte del motivo sviluppata in relazione del preteso vizio motivazionale va dichiarata inammissibile in quanto nel motivo non viene offerto il cosiddetto quesito di sintesi, previsto dall’art. 366 bis c.p.c.- applicabile ratione temporis- a pena di inammissibilità cioè” la chiara indicazione del fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”. Circa l’ulteriore profilo il motivo appare infondato in quanto la motivazione appare congrua e logicamente coerente posto che la Corte indica specificamente gli elementi utilizzati per la formula G. specificando il grado di inabilità preesistente all’infortunio e di natura extra lavorativa, l’incidenza invalidante dell’infortunio ed il grado di inabilità residuato dopo l’infortunio. Le censure appaiono in realtà di merito, come tali inammissibili in questa sede, perché concernono la valutazione di quest’ultimo elemento nella misura del 100%, contrariamente a quanto stabilito in sentenza sulla base di quanto accertato in sede peritale. La Corte spiega accuratamente perché, anche dopo l’infortunio, l’inabilità non fosse pari al 100% e perché il progressivo peggioramento della situazione fosse da ascrivere a ragioni preesistenti l’infortunio. Quel che rileva, conclusivamente, non è una situazione di inabilità assoluta in quanto tale, ma che tale situazione si sia prodotta immediatamente dopo l’infortunio, il che risulta escluso dalla sentenza ancora con motivazione idonea e logicamente coerente la Corte ha spiegato perché fosse da preferire la valutazione del danno preesistente all’infortunio raggiunta dal consulente di primo grado rispetto a quella del consulente nominato in appello (v, pag. 13 della sentenza impugnata). Pertanto non è vero che sia stata erroneamente applicata la formula G., ma la stessa è stata applicata tenendo conto di elementi che il ricorrente contesta nel merito senza neppure produrre le due consulenze o riprodurle nel ricorso e senza evidenziare errori di ordine scientifico da parte dei consulenti. Si deve quindi rigettare il proposto ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 100,00 per esborsi, nonché in euro 3.000,00 per compensi oltre accessori come per legge

 

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