EREDE RISOLVI ADESSO SUCCESSIONE LITE EREDITARIA BOLOGNA PADOVA RAVENNA VICENZA SEI PREOCCUPATO DI COME STANNO0 ANDANDO LE COSE PER LA TUA EREDITA’ E HAI PAURA CHE NON TI VENGA RICNOSCIUTA LA TUA QUOTA? BOLOGNA ,VICENZA,RAVENNA, IMOLA ,FORLI, CESENA, PADOVA,  ROVIGO EREDE RISOLVI ADESSO SUCCESSIONE LITE EREDITARIA BOLOGNA PADOVA RAVENNA VICENZA AVVOCATO SERGIO ARMAROLI 051 6447838

EREDE RISOLVI ADESSO SUCCESSIONE LITE EREDITARIA BOLOGNA PADOVA RAVENNA VICENZA
SEI PREOCCUPATO DI COME STANNO0 ANDANDO LE COSE PER LA TUA EREDITA’ E HAI PAURA CHE NON TI VENGA RICONOSCIUTA LA TUA QUOTA?
BOLOGNA ,VICENZA,RAVENNA, IMOLA ,FORLI, CESENA, PADOVA,  ROVIGO
EREDE RISOLVI ADESSO SUCCESSIONE LITE EREDITARIA BOLOGNA PADOVA RAVENNA VICENZA AVVOCATO SERGIO ARMAROLI 051 6447838

In materia di edilizia residenziale pubblica, a seguito degli interventi legislativi di cui all’art. 5, comma 3-bis, del d.l. n. 70 del 2011, introdotto in sede di conversione dalla l. n. 106 del 2011, e all’art. 25-undecies del d.l. n. 119 del 2018

 

In materia di edilizia residenziale pubblica, a seguito degli interventi legislativi di cui all'art. 5, comma 3-bis, del d.l. n. 70 del 2011, introdotto in sede di conversione dalla l. n. 106 del 2011, e all'art. 25-undecies del d.l. n. 119 del 2018

In materia di edilizia residenziale pubblica, a seguito degli interventi legislativi di cui all’art. 5, comma 3-bis, del d.l. n. 70 del 2011, introdotto in sede di conversione dalla l. n. 106 del 2011, e all’art. 25-undecies del d.l. n. 119 del 2018

 

 

  1. Patrizia Caterina M. convenne in giudizio Daniele C., davanti al Tribunale di Rimini, per sentirlo condannare alla restituzione di somme di denaro a lui consegnate in ragione di un rapporto di mandato; chiese, altresì, che venisse accertato l’inadempimento del mandatario e che lo stesso fosse condannato al risarcimento del danno a titolo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.

A sostegno della domanda l’attrice espose di aver conferito al convenuto il mandato ad acquistare un immobile, in nome proprio ma per suo conto, con obbligo di trasferirle la proprietà del bene da lei individuato. Aggiunse di avergli consegnato a tal fine la somma di euro 262.843 e che le trattative erano state seguite dal convenuto, il quale aveva stipulato la compravendita, in data 13 giugno 2007, al prezzo di euro 290.000, corrisposto in parte in contanti e in parte mediante mutuo di euro 190.000 sottoscritto dallo stesso C. Ottenuta copia dell’atto notarile, la M. si era accorta che il prezzo ivi indicato era notevolmente inferiore (euro 189.827,00), in quanto l’immobile era soggetto alla disciplina di edilizia agevolata, con prezzo di rivendita vincolato. Per tali ragioni l’attrice dichiarò di aver chiesto al mandatario la restituzione delle somme eccedenti quelle dovute ed aggiunse che, ove il corrispettivo versato fosse stato effettivamente uguale alla somma risultante dall’atto, cioè euro 290.000, tale pattuizione sarebbe stata da considerare nulla quanto all’eccedenza rispetto al prezzo vincolato.

Si costituì in giudizio il C., chiedendo il rigetto della domanda.

Espose il convenuto, tra l’altro, che il prezzo pagato era stato ritenuto congruo dalla stessa attrice, dichiarò di essere disponibile al trasferimento dell’immobile alla M. previo accollo del mutuo residuo e aggiunse che la condanna alla restituzione della differenza di prezzo necessariamente postulava il previo accertamento della nullità parziale del contratto di compravendita relativamente al corrispettivo.

Il Tribunale di Rimini accolse parzialmente la domanda e, accertato l’inadempimento del convenuto, lo condannò al pagamento della somma di euro 95.173, con il carico delle spese di lite.

  1. La sentenza è stata impugnata in via principale dalla M. e in via incidentale dal C. e la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 25 ottobre 2018, ha accolto parzialmente l’appello incidentale, ha respinto quello principale e, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato tutte le domande proposte dalla M., condannando quest’ultima alla rifusione dei due terzi delle spese dei due gradi di merito, compensate quanto al terzo residuo.

Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che l’immobile in oggetto ben poteva essere venduto a prezzo libero, senza incorrere nella sanzione della nullità parziale. Ciò in quanto la giurisprudenza di legittimità era «ormai consolidata» nell’affermare che l’obbligo di contenere i prezzi di cessione degli immobili costruiti in base a concessione edilizia a contributo ridotto «grava soltanto sul costruttore titolare della concessione o su colui che è in questa subentrato, ma non sull’acquirente che intenda, a sua volta, rivenderlo» (è stata richiamata, in particolare, la sentenza 16 settembre 2015, n. 18135, delle Sezioni unite di questa Corte). Trattandosi, nella specie, di immobile costruito secondo la disciplina di cui agli artt. 7 e 8 della l. 28 gennaio 1977, n. 10, la Corte d’appello ha aggiunto che, essendo stato il bene venduto al C. dai proprietari precedenti, i quali l’avevano acquistato direttamente dalla società cooperativa costruttrice, lo stesso poteva essere venduto a prezzo libero «senza incorrere nella sanzione di nullità parziale, prevista dalla legge solo per il diverso caso di prima cessione del bene da parte del costruttore».

IL PERCORSO ARGOMENTATIVO DELLA SUPREMA CORTE A SEZIONI UNITE 6 luglio 2022, n. 21348

 

Si segnala, a questo proposito, innanzitutto la l. 17 febbraio 1992, n. 179, il cui art. 20 dispone che gli alloggi di edilizia agevolata possono essere alienati o locati senza condizioni a decorrere dalla fine del quinquennio successivo all’assegnazione o all’acquisto e, ricorrendo le particolari condizioni ivi indicate e previa autorizzazione della Regione, anche entro il quinquennio medesimo. Il successivo art. 23 della legge, poi, incide in modo significativo sull’art. 35 della l. n. 865 del 1971, abrogandone i commi dal quindicesimo al diciannovesimo (di cui si è detto in precedenza). Cade, cioè, il vincolo di inalienabilità degli alloggi costruiti ai sensi dell’art. 35 e, con esso, la nullità dei relativi atti di disposizione.

Segue poi, a breve distanza di tempo, l’intervento di cui alla l. 23 dicembre 1996, n. 662, il cui art. 3, comma 63, incide in modo molto significativo, ancora una volta, sul testo dell’art. 35 della l. n. 865 del 1971. La disposizione in esame, infatti, sostituisce i commi decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo della norma citata e, innovando rispetto alla previsione originaria, introduce la possibilità che gli alloggi in questione vengano ceduti non solo in diritto di superficie, ma anche «in proprietà a cooperative edilizie e loro consorzi, ad imprese di costruzione e loro consorzi e ai singoli, con preferenza per i proprietari espropriati» ai sensi della legge stessa. Il comma tredicesimo, poi, stabilisce che, contestualmente all’atto di cessione della proprietà dell’area, venga stipulata, tra il comune (o il consorzio) e il cessionario, una convenzione «con l’osservanza delle disposizioni di cui all’art. 8, commi primo, quarto e quinto, della legge 28 gennaio 1977, n. 10». Il che significa, in sostanza, che il modello di convenzione che deve essere stipulata per la cessione degli immobili costruiti in base all’art. 35 della l. n. 865 del 1971 (PEEP) è identico a quello previsto dalla legge Bucalossi (che nel frattempo era già da anni entrata in vigore).

Il passaggio decisivo ai fini di una sostanziale sovrapposizione tra i due tipi di convenzione avviene, però, con l’entrata in vigore della l. 23 dicembre 1998, n. 448, la quale, all’art. 31, comma 46, stabilisce espressamente (fin dal suo testo originario) che le convenzioni di cui all’art. 35 della l. n. 865 del 1971 «possono essere sostituite con la convenzione di cui all’art. 8, commi primo, quarto e quinto, della legge n. 10 del 1977», purché alle condizioni ivi previste. I commi 45 e 47 dell’art. 31 ora citato, mentre prevedono che i comuni possano «cedere in proprietà» le aree comprese nei piani approvati a norma della l. n. 167 del 1962 «già concesse in diritto di superficie» ai sensi dell’art. 35, quarto comma, della l. n. 865 del 1971, dispongono che la trasformazione possa avvenire «a seguito di proposta da parte del comune e di accettazione da parte dei singoli proprietari degli alloggi», ma dietro pagamento di un corrispettivo determinato ai sensi del successivo comma 48.

Unitamente alla chiara parificazione tra i due tipi di convenzione, quindi, viene introdotta nel sistema la previsione del necessario pagamento di un corrispettivo per l’acquisizione, da parte dei privati, della proprietà degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

Nonostante gli interventi legislativi fin qui ricordati siano stati animati da un filo conduttore abbastanza chiaro, sono insorti negli operatori (tra cui i notai e le amministrazioni comunali) e nei cittadini una serie di dubbi applicativi, sia in ordine alla permanenza o meno del vincolo di prezzo per le successive alienazioni sia in ordine ai problemi conseguenti all’eventuale inerzia dei comuni nella fissazione dei corrispettivi previsti dalla legge. Non a caso, del resto, da parte di alcuni si riteneva che il venir meno del divieto di alienazione degli immobili costruiti sulle aree cedute in proprietà avesse fatto venire meno anche l’onere consistente nella fissazione di un prezzo massimo di cessione; e tale opinione, come in seguito si vedrà, ha trovato eco anche nella giurisprudenza di questa Corte.

La situazione di incertezza esistente spingerà il legislatore a successivi interventi, nel tentativo di razionalizzare un quadro normativo che non costituiva, sul piano della complessiva coerenza interna, un modello di chiarezza.

Si giunge, così, all’art. 5, comma 3-bis, del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, inserito dalla legge di conversione 12 luglio 2011, n. 106, il quale, al fine dichiarato di «agevolare i trasferimenti dei diritti immobiliari», aggiunge all’art. 31 della l. n. 448 del 1998 i commi 49-bis e 49-ter.

In particolare, il comma 49-bis dispone che i vincoli «relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e successive modificazioni, per la cessione del diritto di proprietà, stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 179, ovvero per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con convenzione in forma pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario e soggetta a trascrizione per un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale»; corrispettivo determinato secondo i criteri ivi fissati.

Il comma 49-ter, da parte sua, stabilisce che le disposizioni del comma 49-bis «si applicano anche alle convenzioni previste dall’articolo 18 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».

Il senso complessivo della modifica è evidente: i vincoli di prezzo esistono ma possono essere eliminati, benché solo dietro richiesta del proprietario, pagando un corrispettivo, e la vicenda estintiva è identica tanto per le convenzioni c.d. PEEP quanto per quelle c.d. Bucalossi.

Il successivo passaggio, che si colloca in un momento più recente, è costituito dall’art. 25-undecies del d.l. n. 119 del 2018, inserito dalla legge di conversione n. 136 del 2018, il quale riscrive il comma 49-bis appena ricordato, ampliandone la portata nel senso di estendere la possibilità di affrancazione a tutte le convenzioni dell’art. 35 cit. (scompare il riferimento alla l. n. 179 del 1992) e, soprattutto, consente tale facoltà a tutte «le persone fisiche che vi hanno interesse, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile».

Tale modifica, come meglio si dirà, è finalizzata a consentire anche a chi ha venduto a prezzo di mercato (cioè a chi non è più proprietario) di non essere esposto all’azione di ripetizione da parte dell’acquirente. La norma, infatti, consente l’eliminazione del vincolo, sempre che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, anche al venditore, a sue spese. Non a caso, infatti, il comma 1 dell’art. 25-undecies ora richiamato introduce, nel corpo dell’art. 31 della l. n. 448 del 1998, anche il comma 49-quater, il quale testualmente così dispone: «In pendenza della rimozione dei vincoli di cui ai commi 49-bis e 49-ter, il contratto di trasferimento dell’immobile non produce effetti limitatamente alla differenza tra il prezzo convenuto e il prezzo vincolato. L’eventuale pretesa di rimborso della predetta differenza, a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli secondo le modalità di cui ai commi 49-bis e 49-ter. La rimozione del vincolo del prezzo massimo di cessione comporta altresì la rimozione di qualsiasi vincolo di natura soggettiva».

Il comma 2 dell’art. 25-undecies, infine, prevede che le disposizioni del comma 1 si applichino «anche agli immobili oggetto dei contratti stipulati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».

La disposizione ora ricordata è stata scrutinata dalla Corte costituzionale nella recentissima sentenza n. 210 del 2021, della quale si dirà più avanti.

Resta solo da aggiungere, ai fini di una ricostruzione del sistema, che il comma 49-bis dell’art. 31 della l. n. 448 del 1998 è stato ancora ulteriormente riscritto dall’art. 22-bis del d.l. 31 maggio 2021, n. 77, inserito in sede di conversione dalla l. 29 luglio 2021, n. 108. Le modifiche apportate da tale ultimo intervento non rilevano ai fini del giudizio odierno, in quanto si sostanziano nell’individuazione, con criteri più precisi rispetto al passato, di un tetto al corrispettivo di affrancazione che dovrà essere versato per la rimozione dei vincoli e nell’individuazione di un termine entro il quale il comune dovrà rispondere all’istanza del privato.

In attuazione dei citati commi 49-bis e 49-ter è stato emanato il d.m. 28 settembre 2020, n. 151 (Regolamento recante rimozione dai vincoli di prezzo gravanti sugli immobili costruiti in regime di edilizia convenzionata), il cui art. 1, comma 4, regola il momento in cui il vincolo è da considerare rimosso.

La giurisprudenza di legittimità fino al 2015.

  1. Le incertezze derivanti dalle numerose modifiche del quadro normativo trovano un’evidente eco nella giurisprudenza di questa Corte.

Il punto che maggiormente ha dato adito a dubbi è stato quello di stabilire se, in relazione agli atti di cessione degli immobili in questione, il vincolo di prezzo sussista solo per il concessionario, cioè per chi ha stipulato la convenzione con il comune, senza trasmettersi agli acquirenti successivi, ovvero se tale vincolo si estenda anche ai successivi passaggi di proprietà; e se le convenzioni c.d. PEEP (cioè quelle regolate dal più volte citato art. 35) siano o meno uguali, sotto questo profilo, rispetto alle convenzioni di cui alla legge Bucalossi.

Fin dall’inizio una parte della giurisprudenza ha affermato che l’art. 35 della l. n. 865 del 1971 contiene una delega ai comuni per la fissazione dei criteri per la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi in materia di edilizia convenzionata, con la conseguenza che i relativi atti amministrativi, in quanto emanati sulla base della delega legislativa, traggono da questa il loro carattere di imperatività. Ai sensi degli artt. 1339 e 1419, secondo comma, c.c., quindi, la conseguenza tipica della difformità di una clausola negoziale rispetto alla norma imperativa (relativa al prezzo di vendita) è la sanzione della nullità della clausola stessa, la quale tuttavia non comporta la nullità dell’intero contratto qualora sia possibile la sua sostituzione da parte della norma imperativa (sentenza 21 dicembre 1994, n. 11032, ribadita dalle successive sentenze 10 febbraio 2010, n. 3018, e 24 novembre 2020, n. 26689). Alla luce di tale interpretazione, qualora venga pattuito un prezzo di vendita (o un canone di locazione) superiore rispetto a quello vincolato, il contratto potrà sopravvivere con l’inserzione automatica della clausola legale, ossia sostituendo al prezzo concordato quello stabilito per legge.

La previsione della nullità parziale costituisce, secondo questa giurisprudenza, una prescrizione di ordine pubblico generale dettata dal legislatore per prevenire l’eventualità che le agevolazioni concesse nel quadro di una politica abitativa di interesse sociale possano trasformarsi in un inammissibile strumento di speculazione (v. in tal senso la sentenza 2 settembre 1995, n. 9266). Un’eco di siffatta impostazione si ritrova anche nella sentenza di queste Sezioni unite 12 gennaio 2011, n. 506, la quale ribadisce che il divieto di vendere ad un prezzo maggiorato vale anche per i passaggi successivi di proprietà, proprio per evitare le possibili speculazioni da parte di chi, avendo acquistato l’immobile ad un prezzo vincolato, lo rivenda poi a prezzo di mercato.

A partire dall’anno 2000, però, si è affermato nella giurisprudenza di questa Corte anche un orientamento secondo cui tra le convenzioni regolate dall’art. 35 della l. n. 865 del 1971 e quelle regolate dagli artt. 7 e 8 della l. n. 10 del 1977 vi sarebbe una differenza.

Si trova una chiara esposizione di questa impostazione nella sentenza 11 agosto 2000, n. 10683, la quale afferma che, per quanto entrambe le convenzioni costituiscano oggetto dell’edilizia convenzionata, non vi sarebbe ragione per ritenere che esse siano soggette alla stessa disciplina. La distinzione, originariamente esistente, secondo la citata sentenza permane fino all’entrata in vigore dell’art. 3, comma 63, della l. n. 662 del 1996.

Sulla scia di questa decisione, la coeva sentenza 2 ottobre 2000, n. 13006, affermerà che il vincolo di prezzo di cui all’art. 35 della l. n. 865 del 1971 non può trovare applicazione anche per le convenzioni di cui all’art. 7 della l. n. 10 del 1977, ritenendo che il richiamo all’art. 35 della l. n. 865 del 1971 sia fuorviante in relazione alle convenzioni di cui alla legge Bucalossi. Per queste ultime, infatti, la lettera della legge «si presenta chiara nell’individuare in chi abbia ottenuto la concessione edilizia a contributo ridotto (…) il destinatario degli obblighi assunti di contenere i prezzi di cessione e i canoni di locazione degli alloggi»; per cui l’estensione di tali obblighi ad altri «non trova giustificazione nell’esplicita norma di legge, che non esprime alcun riferimento soggettivo ulteriore rispetto a quello del concessionario costruttore, del comune e della regione» (siffatto orientamento è stato confermato anche dalla successiva sentenza 4 aprile 2011, n. 7630).

Non è mancata, poi, nella giurisprudenza di questa Corte, come anticipato in precedenza, l’affermazione secondo cui la liberalizzazione delle operazioni di dismissione degli alloggi di edilizia convenzionata determinatasi a seguito delle modifiche disposte dalla l. n. 179 del 1992 aveva comportato il venir meno anche di ogni vincolo di prezzo, dovendosi ritenere esistente a carico dei proprietari «solo il vincolo del rispetto di un termine di mantenimento quinquennale in proprietà (o assegnazione), peraltro derogabile, previa autorizzazione della regione, ove sussistenti gravi, sopravvenuti e documentati motivi» (così la sentenza 10 novembre 2008, n. 26915).

Può quindi affermarsi che gli orientamenti giurisprudenziali di legittimità non erano conformi, soprattutto per quanto riguardava il permanere o meno del vincolo di prezzo per le alienazioni degli immobili successive alla prima (cioè quella nella quale il dante causa era il concessionario che aveva stipulato la convenzione con il comune). Pur con tutte le incertezze – dovute probabilmente anche al fatto che nelle sentenze fin qui richiamate non sempre ci si è fatti carico di stabilire in quale momento storico le alienazioni fossero state compiute – può tuttavia ritenersi che vi fosse una tendenza prevalente, nella giurisprudenza antecedente l’intervento delle Sezioni unite di cui ora si dirà, nel senso che il vincolo del prezzo di cessione permaneva anche per le vendite successive in relazione alle sole convenzioni PEEP, mentre esisteva per il solo concessionario in relazione alle convenzioni di cui alla legge Bucalossi.

La sentenza delle Sezioni unite n. 18135 del 2015.

  1. Così ricostruiti, nelle loro linee essenziali, gli orientamenti della giurisprudenza di questa Corte sul punto controverso, occorre esaminare la decisione ora indicata.

È opportuno osservare, prima di tutto, che essa si colloca, da un punto di vista temporale, all’indomani dell’entrata in vigore dell’art. 5, comma 3-bis, del d.l. n. 70 del 2011, ma prima dell’ulteriore modifica introdotta dall’art. 25-undecies del d.l. n. 119 del 2018.

In secondo luogo, poi, bisogna tenere presente che la decisione ora in esame ebbe ad oggetto un caso di edilizia convenzionata di cui all’art. 35 della l. n. 865 del 1971, come risulta dal riferimento all’edificazione su area concessa in diritto di superficie dal Comune di Roma.

Ciò premesso per chiarire il contesto nel quale le Sezioni unite sono state chiamate a pronunciarsi, la citata sentenza distingue le convenzioni aventi ad oggetto il diritto di superficie da quelle aventi ad oggetto il diritto di proprietà e afferma che, per le prime, non era previsto il vincolo di inalienabilità, stabilito invece (in origine) per le seconde. Per contro, ribadisce la sentenza, «il vincolo alla determinazione del prezzo discende, in tutti i casi, direttamente dalla legge».

La sentenza, quindi, introduce una distinzione tra le due convenzioni in esame e, pur dichiarando esplicitamente che le convenzioni di cui alla legge Bucalossi erano estranee al caso di specie, afferma che solo per queste ultime «il titolare di alloggio su concessione edilizia rilasciata con contributo ridotto non è obbligato a rispettare, in sede di vendita, il prezzo stabilito dalla convenzione-tipo approvata dalla regione, ai sensi dell’art. 7 della legge n. 10/1977». Ciò perché «destinatario dell’obbligo di contenere i prezzi di cessione (od il canone di locazione) nei limiti fissati dalla detta convenzione è soltanto il costruttore titolare della concessione (Cass., 2 ottobre 2000, n. 13006). Per gli immobili di edilizia convenzionata ex lege n. 10/1977 appare chiara, infatti, l’individuazione, in chi abbia ottenuto la concessione edilizia a contributo ridotto, del destinatario degli obblighi assunti di contenere il prezzo di cessione degli alloggi, nei limiti indicati dalla stessa convenzione e per la prevista durata di sua validità».

A sostegno della tesi secondo cui tra i due tipi di convenzione vi sarebbe tale differenza, le Sezioni unite richiamano il comma 49-bis dell’art. 31 della l. n. 448 del 1998, introdotto dal citato d.l. n. 70 del 2011, affermando che per le convenzioni PEEP la possibilità di rimuovere i vincoli relativi alla determinazione del prezzo massimo di cessione è subordinata a tre presupposti: 1) il passaggio di almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, 2) la richiesta del proprietario e 3) la determinazione della percentuale del corrispettivo, calcolata secondo i parametri legali da parte del comune.

La conclusione è nel senso che «il vincolo del prezzo non è affatto soppresso automaticamente a seguito della caduta del divieto di alienare; ed anzi, in assenza di convenzione ad hoc (…), segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita». Soluzione, questa, che il Collegio ritiene in linea con l’obiettivo di facilitare l’acquisizione di alloggi a prezzo contenuto in favore dei ceti meno abbienti.

È opportuno rilevare che l’affermazione secondo cui, per le convenzioni di cui alla legge Bucalossi, il vincolo di prezzo sussisterebbe solo per il concessionario costituisce in effetti un obiter dictum, poiché il caso sottoposto all’esame delle Sezioni unite era quello di una convenzione di cui all’art. 35 della l. n. 865 del 1971. Ciò che rileva è che per la sentenza in esame il vincolo di prezzo permane fino a quando non intervenga la procedura di affrancazione, dietro pagamento del corrispettivo secondo i criteri fissati dalla legge; le Sezioni unite, invece, non fanno alcun riferimento all’art. 31, comma 49-ter, della l. n. 448 del 1998, benché esso sia stato introdotto, come s’è detto, contestualmente al comma 49-bis.

La giurisprudenza successiva.

  1. La giurisprudenza successiva sembra allinearsi alla decisione delle Sezioni unite.

Le pronunce più recenti, infatti, da un lato confermano che, nelle convenzioni di cui all’art. 35 della l. n. 865 del 1971, il vincolo di prezzo permane anche in capo ai successivi acquirenti (come onere reale) fino a quando non si sia perfezionata la convenzione di rimozione di cui all’art. 31, comma 49-bis, della l. n. 448 del 1998 (così le sentenze 14 maggio 2016, n. 4948, 3 gennaio 2017, n. 21, e l’ordinanza 27 dicembre 2017, n. 30951); dall’altro aggiungono che sussiste diversità tra le c.d. convenzioni PEEP e le c.d. convenzioni Bucalossi, nel senso che solo per queste ultime unico destinatario di obblighi e divieti è il costruttore concessionario, per espressa formulazione di legge (sentenza 28 maggio 2018, n. 13345). In concreto, ciò significa che per le convenzioni PEEP la clausola sul prezzo che esorbita i limiti di legge costituisce una pattuizione nulla, cui segue la eterointegrazione del prezzo imposto dalla legge, trattandosi di nullità parziale.

  1. Ciò nonostante, potrebbe dirsi con una metafora che il fuoco continuava a covare sotto la cenere.

Un segno evidente della difficoltà creata dalla distinzione compiuta dalle Sezioni unite tra i due tipi di convenzione emerge dalla sentenza 4 dicembre 2017, n. 28949, richiamata dall’odierna ricorrente.

In questa decisione la Seconda Sezione, dopo aver ricapitolato lo stato dell’arte alla luce della sentenza n. 18135 del 2015 mostrando di prestarvi adesione, aggiunge un passaggio che è di estremo rilievo, perché ricorda che il d.l. n. 70 del 2011 non ha inserito, nel testo dell’art. 31 della l. n. 448 del 1998, il solo comma 49-bis, ma anche il comma 49-ter, che estende l’applicazione del comma 49-bis anche alle convenzioni di cui all’art. 18 del d.P.R. n. 380 del 2001. Ciò comporta, secondo la sentenza ora in esame, che anche per gli alloggi oggetto delle convenzioni a contributo ridotto di cui alla legge Bucalossi «l’efficacia del vincolo di prezzo non dovrebbe, allora, ritenersi limitata al primo atto di trasferimento, ma andrebbe estesa a tutti i successivi passaggi di proprietà dell’immobile fino a quando non sia intervenuta la convenzione di rimozione ex art. 31, comma 49-bis». Il vincolo di prezzo, quindi, permane (per entrambe le convenzioni) fino a quando non venga stipulata l’apposita convenzione, seguendo il bene nei successivi passaggi di proprietà «con naturale efficacia indefinita».

È palese, perciò, che la sentenza n. 28949 del 2017 compie, in effetti, un passo in avanti che va in qualche misura a contraddire la decisione delle Sezioni unite. Detta sentenza è rimarchevole anche perché esclude, nel caso specifico, che il venditore possa «sanare retroattivamente il trasferimento dell’immobile, liberando ex post il bene dal vincolo del prezzo massimo di cessione attraverso la stipula di apposita convenzione con il Comune, in maniera da sottrarsi alla pretesa dell’acquirente di ripetizione del prezzo pagato in eccedenza»; ciò in quanto, ricorda la sentenza, è solo l’acquirente che può procedere alla rimozione del vincolo.

Tale conclusione, sulla quale in seguito si tornerà, è coerente con il quadro normativo in allora vigente, posto che, quando la sentenza in esame viene pronunciata, non era ancora stata approvata l’ulteriore modifica di cui all’art. 25-undecies del d.l. n. 119 del 2018.

La soluzione della questione di massima.

  1. Giunti a questo punto, si possono tirare le fila del lungo discorso svolto sin qui, indicando il percorso da seguire per la soluzione del problema.

13.1. Ritengono queste Sezioni unite che la complessa evoluzione normativa che si è cercato in precedenza di tratteggiare dimostri in modo evidente, da un lato, che le convenzioni PEEP e le convenzioni Bucalossi hanno percorso un ideale cammino indirizzato verso una progressiva parificazione di effetti, e, dall’altro, che il vincolo di prezzo previsto per la vendita degli alloggi in questione permane anche per le vendite successive alla prima, fino a quando non venga eliminato con la procedura di affrancazione.

La sostanziale sovrapponibilità tra i due tipi di convenzione, già in qualche modo annunciata dalla l. n. 179 del 1992, si è compiuta, come si è visto, con le modifiche di cui all’art. 3, comma 63, della l. n. 662 del 1996 e di cui all’art. 31, comma 46, della l. n. 448 del 1998. L’ulteriore e decisiva conferma proviene, senza possibilità di dubbio, dalla contemporanea aggiunta, nel testo dell’art. 31 ora cit., dei due commi 49-bis e 49-ter, i quali accomunano le due convenzioni nella medesima sorte, imponendo il pagamento di un corrispettivo per affrancare il bene ed immetterlo sul mercato nel suo pieno valore. Il che, in definitiva, è del tutto logico e risponde a quelle che sono le finalità dell’edilizia residenziale pubblica (v., in argomento, anche la sentenza n. 135 del 1998 della Corte costituzionale), il cui obiettivo è il soddisfacimento, per le categorie meno abbienti, della primaria necessità di acquistare un’abitazione a prezzi ragionevoli.

Il sistema normativo, quindi, tende ad evitare che, su questi alloggi, possano intervenire manovre speculative; e tali sono sia quella dei venditori che, dopo aver acquistato l’immobile dal costruttore a prezzo vincolato, lo rivendano a prezzo libero, sia quella dei successivi acquirenti che, dopo aver comprato il bene a prezzo libero, agiscano nei confronti del venditore chiedendo la restituzione del prezzo pagato in eccedenza per poi procedere all’affrancazione in modo da poter vendere a prezzo libero.

In questa chiave di lettura si rivela quanto mai coerente la modifica disposta dall’art. 25-undecies del d.l. n. 119 del 2018 il quale, innovando rispetto alla previsione di cui al d.l. n. 70 del 2011, ha esteso la facoltà di affrancazione, come si è visto, a tutti gli interessati, anche se non più titolari di diritti reali sul bene immobile.

Come la Corte costituzionale ha definitivamente chiarito nella citata sentenza n. 210 del 2021, «l’estensione della legittimazione all’affrancazione in capo ai venditori non si traduce in un ausilio foriero di disparità di trattamento, ma risponde, invece, a una finalità di riequilibrio che trova giustificazione proprio nei principi di uguaglianza e di ragionevolezza. Non può, infatti, disconoscersi che, alla stregua dell’assetto regolatorio chiarito dal diritto vivente, l’acquirente dell’alloggio sociale a prezzo di mercato avrebbe potuto agire in ripetizione dell’indebito e al contempo affrancare, in quanto proprietario, il bene per poi rivenderlo a prezzo libero. Per contro, la formulazione ratione temporis dell’art. 31, comma 49-bis, della l. n. 448 del 1998 non permetteva al venditore attinto dalla pretesa restitutoria di adeguare, attraverso l’affrancazione, il valore del bene ceduto al prezzo concordato con la controparte».

La logica del sistema attualmente vigente, pertanto, è nel senso che chi vuole vendere l’immobile a prezzo di mercato può farlo solo attraverso la procedura di affrancazione, pagando una somma – la cui soglia è stata peraltro limitata dall’ultima modifica del comma 49-bis intervenuta ad opera del d.l. n. 77 del 2021 – che costituisce una sorta di compenso per lo svincolo, in modo da restituire all’immobile il suo pieno valore di mercato. Il che trova autorevole conferma in un altro passaggio della citata sentenza della Corte costituzionale, là dove essa ricorda che il riconoscimento «della facoltà di affrancare l’alloggio sociale dopo cinque anni dalla prima assegnazione non incide sulla funzione pubblicistica dell’edilizia convenzionata, ed evidentemente non comporta né la soppressione né la limitazione di alcun diritto, ma consente al beneficiario del servizio di scegliere se continuare a fruire dell’immobile a fini abitativi ovvero se utilizzare, nell’esercizio dell’autonomia privata, le potenzialità reddituali dell’immobile immettendolo – previo versamento di un corrispettivo pecuniario al Comune – nel libero mercato».

Non può essere condivisa, pertanto, la tesi – che pure ha trovato, come si è detto, qualche riscontro anche nella giurisprudenza di questa Corte – secondo la quale il venir meno del divieto di alienazione degli immobili in questione avrebbe comportato anche il venir meno del vincolo di prezzo.

Queste Sezioni unite, quindi, ritengono di rispondere al quesito posto dall’ordinanza interlocutoria modificando, in parte, il principio stabilito dalla precedente sentenza n. 18135 del 2015 e affermando che le convenzioni di cui all’art. 35 della l. n. 865 del 1971 e quelle di cui agli artt. 7 e 8 della l. n. 10 del 1977 sono accomunate dal medesimo regime giuridico. Ciò significa che i soggetti interessati possono scegliere di continuare a vivere negli immobili in questione ovvero di reimmetterli sul mercato a prezzo libero, avvalendosi della procedura di affrancazione di cui all’art. 31, commi 49-bis e 49-ter, della l. n. 448 del 1998, applicabile indistintamente per entrambi i tipi di convenzione.

 

IL PRINCIPIO ESPRESSO DELLA CASSAZION E A SEZIONI UNITE:

«In materia di edilizia residenziale pubblica, a seguito degli interventi legislativi di cui all’art. 5, comma 3-bis, del d.l. n. 70 del 2011, introdotto in sede di conversione dalla l. n. 106 del 2011, e all’art. 25-undecies del d.l. n. 119 del 2018, introdotto in sede di conversione dalla l. n. 136 del 2018, il vincolo del prezzo massimo di cessione degli immobili permane fino a quando lo stesso non venga eliminato con la procedura di affrancazione di cui all’art. 31, comma 49-bis, della l. n. 448 del 1998. Tale vincolo sussiste, in virtù della sostanziale equiparazione disposta dall’art. 3, comma 63, della l. n. 662 del 1996 e dall’art. 31, comma 46, della l. n. 448 del 1998, sia per le convenzioni di cui all’art. 35 della l. n. 865 del 1971 (c.d. convenzioni PEEP) sia per quelle di cui agli artt. 7 e 8 della l. n. 10 del 1977 (c.d. convenzioni Bucalossi), poi trasferiti, senza significative modifiche, negli artt. 17 e 18 del d.P.R. n. 380 del 2001».

«La procedura di affrancazione finalizzata all’eliminazione del vincolo di prezzo per i successivi acquirenti degli immobili di edilizia residenziale pubblica, che l’art. 25-undecies del d.l. n. 119 del 2018 ha esteso in favore di tutti gli interessati, è consentita, secondo la previsione del comma 2 della citata disposizione, anche in relazione agli atti di cessione avvenuti anteriormente alla data di entrata in vigore dell’art. 5, comma 3-bis, del d.l. n. 70 del 2011 (13 luglio 2011); e la pendenza della procedura di rimozione dei vincoli determina la limitazione degli effetti dei relativi contratti di trasferimento degli immobili nei termini di cui all’art. 31, comma 49-quater, della l. n. 448 del 1998».

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