FORLI TRIBUNALE SEPARAZIONE DIVORZIO AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA
ASSEGNO DIVORZILE LA ATTENTA DISAMINA DELLA SENTENZA
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Ciò posto e deliberato, principale, se non unico, punto di controversia del presente procedimento, per avere impegnato in modo pressoché esclusivo la dialettica processuale, è se debba essere corrisposto o meno da parte del ricorrente un assegno divorzile in favore della resistente e, in ipotesi positiva, quale debba essere la sua entità, tenuto presente, al riguardo, che, con ordinanza del 13.11.2013, il Presidente del Tribunale, tenuto conto della regolamentazione dei rapporti patrimoniali esistenti tra le parti – la sentenza di separazione stabiliva l’obbligo del marito di versare alla moglie assegno di mantenimento di Euro 2.000,00 mensili -, non sussistendo le condizioni per emettere provvedimenti urgenti ai sensi dell’art. 4, comma 8, della L. n. 898 del 1970, confermava l’attuale assegno di mantenimento in favore della resistente.
Ora, reputa il Tribunale che la domanda proposta dalla resistente Y volta ad ottenere che sia posto a carico dell’ex marito l’obbligo di corrisponderle assegno divorzile – mentre il ricorrente X chiede dichiararsi che nulla è da lui dovuto alla ex moglie o quantomeno ridursi al minimo il contributo mensile – sia fondata, sia pure in misura minore rispetto alla somma demandata di Euro 3.200,00 mensili, e debba, pertanto, essere accolta per i motivi che seguono.
Le risultanze dell’attività istruttoria si dimostrano ampiamente suscettive di fornire al Collegio tutti gli elementi utili per fare buon governo ed applicazione dei consolidati principi affermati dal costante insegnamento della giurisprudenza sui criteri di sussistenza del diritto all’assegno divorzile.
Va preliminarmente rilevato che, a norma dell’art. 5 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, l’assegno di divorzio ha funzione eminentemente assistenziale, e la sua attribuzione è quindi subordinata alla sussistenza di una situazione di squilibrio reddituale tra i coniugi, per effetto del quale uno dei due si trovi privo di mezzi adeguati per provvedere al proprio mantenimento, o nell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. La sussistenza di tale presupposto condiziona il sorgere del diritto all’assegno divorzile, mentre tutti gli altri criteri, costituiti dalle condizioni dei coniugi, dalle ragioni della decisione, dal contributo personale ed economico di ciascuno alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, e dal reddito di entrambi, sono destinati ad operare solo se l’accertamento dell’unico elemento attributivo si sia risolto positivamente, e incidono soltanto sulla quantificazione dell’assegno stesso (cfr., ex multis, Cass. civ. Sez. Un. n. 11490/1990, e Cass. civ. 12 marzo 1992 n. 3019).
Il concetto di “mezzi”, per l’ampiezza dei termini nei quali risulta formulato dal legislatore, viene comunemente interpretato nel senso di ricomprendervi non soltanto i redditi, ma anche quei cespiti patrimoniali che, pur non produttivi di reddito, consentono, anche attraverso la loro alienazione, di soddisfare i bisogni del coniuge.
Per quanto attiene, poi, al concetto di “adeguatezza” impiegato dal legislatore, esso va inteso, secondo l’interpretazione fatta propria dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in relazione all’interesse giuridicamente tutelato a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che sia necessario uno stato di bisogno dell’avente diritto, il quale può essere anche economicamente autosufficiente, rilevando l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del medesimo che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio (cfr., Cassazione civile, n. 11490/1990 cit.).
L’accertamento del diritto all’assegno di divorzio si articola, pertanto, in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio. Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerabile in astratto, e possono in ipotesi estreme valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione (cfr, ex multis, Cass. civ. 12 luglio 2007, n. 15610; Cass. civ. 22 agosto 2006, n. 18241; Cass. civ. 19 marzo 2003, n. 4040).
Sempre in via preliminare, va evidenziato, quanto ai rapporti tra assegno ex art. 5 L. n. 898 del 1970 ed assegno di mantenimento eventualmente previsto in sede di separazione, che la Suprema Corte ha stabilito come la determinazione dell’assegno divorzile sia indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separazione – nella fattispecie concreta, nelle condizioni di separazione di cui alla sentenza emessa il 23.12.2011, come visto, era stato posto a carico del marito l’obbligo di corrispondere alla moglie assegno mensile, a titolo di contributo al suo mantenimento, pari ad Euro 2.000,00 – (vedasi: Cass. civ. 28.1.2008 n. 1758 e Cass. civ. 30.11.1997 n.25010). La stessa Corte di Cassazione ha, altresì, affermato che “la determinazione dell’assegno di divorzio, alla stregua dell’art. 5 L. 1 dicembre 1970, n. 898, modificato dall’art. 10 L. 6 marzo 1987, n. 74, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, poiché data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, delle correlate e diversificate situazioni, e delle rispettive decisioni giudiziali, l’assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti, operanti nel regime di convivenza e di separazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio” (Cass. civ. 11.09.2001, n.11575; conformi Cass. n. 593/2008; Cass. civ. 28.01.2008 n.1578; Cass. civ. 2.07.2007 n. 14965; Cass. 12.07.2007 n. 15610; Cass. n. 4764/2007; Cass. n. 4021/2006). Più recentemente, ad ogni modo, la Suprema Corte ha avuto occasione di osservare che, pur essendo differenti caratteri, finalità e presupposti dell’assegno di separazione rispetto all’assegno divorzile, l’assegno di separazione può essere liberamente considerato ed apprezzato dal Giudice del divorzio (cfr., Cass. civ. Sez. VI, ordinanza 05.02.2015, n. 2164; Cass. civ. n. 20582/2010). Costituisce inoltre jus receptum che, per la determinazione dell’assegno divorzile, non rileva soltanto il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, in quanto tale assetto economico è un valore meramente sintomatico e non decisivo, ma viene in rilievo la condizione patrimoniale al momento del divorzio; ne consegue quindi che l’assegno divorzile va calcolato sulla base della situazione patrimoniale così come accertata ed esistente al momento della pronuncia del divorzio (vedasi, Cass. Civ. Sez. I, 21.11.2011, n. 24436; Cass. civ. n. 2156/2010).
Ancor più recentemente, si è statuito che, dovendo l’assegno di divorzio tendere a ricostituire il tenore di vita goduto durante il matrimonio, indice di questo può essere ritenuto anche il divario reddituale attuale tra i coniugi (così, Cass. Civ. Sez. I, 31.01.2013, n. 2313; di tenore del tutto analogo Cass. civ. Sez. VI-I ordinanza 10.02.2015 n. 2574).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI FORLI’
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Orazio Pescatore – Presidente
dott.ssa Anna Orlandi – Giudice rel. ed est.
dott. Emanuele Picci – Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. 2014 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell’anno 2013, avente ad oggetto domanda di cessazione effetti civili del matrimonio concordatario, promossa da:
X (C.F. ***) nato a (omissis) (R.) il (omissis).(…) e residente a (omissis) in via (omissis) n. (omissis), rappresentato e difeso, in forza di procura posta in calce al ricorso introduttivo, dall’Avv. FULVIO SINTUCCI del foro di Forlì-Cesena, con domicilio eletto in Forlì al Corso Diaz n. 36, presso e nello studio dell’Avv. C. Campagna;
RICORRENTE
nei confronti di
Y (C.F. ***) nata a (omissis) (P.) il (omissis).(…) e residente a (omissis) (R.) in piazza (omissis) n. (omissis), rappresentata e difesa, in forza di procura posta a margine della memoria difensiva con domanda riconvenzionale, dall’Avv. FRANCESCA IACONA del foro di Forlì-Cesena, con domicilio eletto presso e nel suo studio;
RESISTENTE
E con l’intervento obbligatorio ex lege del Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica in sede;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
In primo luogo, va senz’altro pronunziata la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto dalle parti a San Leo (PU) in data 10.04.1983, ricorrendo tutti i presupposti di cui all’art. 3, numero 2, lettera b, L. 1 dicembre 1970, n. 898, così come modificato dalla L. 6 maggio 2015, n. 55, essendo passata in giudicato la sentenza di separazione giudiziale emessa dal Tribunale di Forlì il 22.12.2011 e depositata in Cancelleria il 23.12.2011 (tale pronunzia era oggetto di gravame da parte della moglie in ordine agli aspetti economici, la Corte di Appello di Bologna rigettava l’appello principale, accoglieva parzialmente l’appello incidentale del marito in ordine alle spese di lite e la relativa sentenza non è stata oggetto di ricorso per cassazione) ed essendo ampiamente trascorso il periodo di tempo legislativamente previsto e decorrente dalla comparizione delle parti innanzi al Presidente del Tribunale di Forlì in sede di separazione personale (udienza celebratasi in data 04.02.2008), senza che le parti si siano riappacificate né abbiano ripreso la convivenza coniugale (come dimostrato dal periodo di tempo ininterrotto trascorso dalla separazione, dal fallimento del tentativo di conciliazione esperito in sede presidenziale, dalle rispettive allegazioni e produzioni delle parti e tenuto conto della circostanza che il ricorrente risulta risiedere a Cesena mentre la moglie è andata a vivere a Santarcangelo di Romagna), non potendo, quindi, essere neppure ricostituita la comunione materiale e spirituale fra i coniugi.
Ciò posto e deliberato, principale, se non unico, punto di controversia del presente procedimento, per avere impegnato in modo pressoché esclusivo la dialettica processuale, è se debba essere corrisposto o meno da parte del ricorrente un assegno divorzile in favore della resistente e, in ipotesi positiva, quale debba essere la sua entità, tenuto presente, al riguardo, che, con ordinanza del 13.11.2013, il Presidente del Tribunale, tenuto conto della regolamentazione dei rapporti patrimoniali esistenti tra le parti – la sentenza di separazione stabiliva l’obbligo del marito di versare alla moglie assegno di mantenimento di Euro 2.000,00 mensili -, non sussistendo le condizioni per emettere provvedimenti urgenti ai sensi dell’art. 4, comma 8, della L. n. 898 del 1970, confermava l’attuale assegno di mantenimento in favore della resistente.
Ora, reputa il Tribunale che la domanda proposta dalla resistente Y volta ad ottenere che sia posto a carico dell’ex marito l’obbligo di corrisponderle assegno divorzile – mentre il ricorrente X chiede dichiararsi che nulla è da lui dovuto alla ex moglie o quantomeno ridursi al minimo il contributo mensile – sia fondata, sia pure in misura minore rispetto alla somma demandata di Euro 3.200,00 mensili, e debba, pertanto, essere accolta per i motivi che seguono.
Le risultanze dell’attività istruttoria si dimostrano ampiamente suscettive di fornire al Collegio tutti gli elementi utili per fare buon governo ed applicazione dei consolidati principi affermati dal costante insegnamento della giurisprudenza sui criteri di sussistenza del diritto all’assegno divorzile.
Va preliminarmente rilevato che, a norma dell’art. 5 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, l’assegno di divorzio ha funzione eminentemente assistenziale, e la sua attribuzione è quindi subordinata alla sussistenza di una situazione di squilibrio reddituale tra i coniugi, per effetto del quale uno dei due si trovi privo di mezzi adeguati per provvedere al proprio mantenimento, o nell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. La sussistenza di tale presupposto condiziona il sorgere del diritto all’assegno divorzile, mentre tutti gli altri criteri, costituiti dalle condizioni dei coniugi, dalle ragioni della decisione, dal contributo personale ed economico di ciascuno alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, e dal reddito di entrambi, sono destinati ad operare solo se l’accertamento dell’unico elemento attributivo si sia risolto positivamente, e incidono soltanto sulla quantificazione dell’assegno stesso (cfr., ex multis, Cass. civ. Sez. Un. n. 11490/1990, e Cass. civ. 12 marzo 1992 n. 3019).
Il concetto di “mezzi”, per l’ampiezza dei termini nei quali risulta formulato dal legislatore, viene comunemente interpretato nel senso di ricomprendervi non soltanto i redditi, ma anche quei cespiti patrimoniali che, pur non produttivi di reddito, consentono, anche attraverso la loro alienazione, di soddisfare i bisogni del coniuge.
Per quanto attiene, poi, al concetto di “adeguatezza” impiegato dal legislatore, esso va inteso, secondo l’interpretazione fatta propria dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in relazione all’interesse giuridicamente tutelato a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che sia necessario uno stato di bisogno dell’avente diritto, il quale può essere anche economicamente autosufficiente, rilevando l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del medesimo che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio (cfr., Cassazione civile, n. 11490/1990 cit.).
L’accertamento del diritto all’assegno di divorzio si articola, pertanto, in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio. Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerabile in astratto, e possono in ipotesi estreme valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di quantificazione (cfr, ex multis, Cass. civ. 12 luglio 2007, n. 15610; Cass. civ. 22 agosto 2006, n. 18241; Cass. civ. 19 marzo 2003, n. 4040).
Sempre in via preliminare, va evidenziato, quanto ai rapporti tra assegno ex art. 5 L. n. 898 del 1970 ed assegno di mantenimento eventualmente previsto in sede di separazione, che la Suprema Corte ha stabilito come la determinazione dell’assegno divorzile sia indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separazione – nella fattispecie concreta, nelle condizioni di separazione di cui alla sentenza emessa il 23.12.2011, come visto, era stato posto a carico del marito l’obbligo di corrispondere alla moglie assegno mensile, a titolo di contributo al suo mantenimento, pari ad Euro 2.000,00 – (vedasi: Cass. civ. 28.1.2008 n. 1758 e Cass. civ. 30.11.1997 n.25010). La stessa Corte di Cassazione ha, altresì, affermato che “la determinazione dell’assegno di divorzio, alla stregua dell’art. 5 L. 1 dicembre 1970, n. 898, modificato dall’art. 10 L. 6 marzo 1987, n. 74, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti, per accordo tra le parti e in virtù di decisione giudiziale, in vigenza di separazione dei coniugi, poiché data la diversità delle discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei relativi trattamenti, delle correlate e diversificate situazioni, e delle rispettive decisioni giudiziali, l’assegno divorzile, presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti, operanti nel regime di convivenza e di separazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio” (Cass. civ. 11.09.2001, n.11575; conformi Cass. n. 593/2008; Cass. civ. 28.01.2008 n.1578; Cass. civ. 2.07.2007 n. 14965; Cass. 12.07.2007 n. 15610; Cass. n. 4764/2007; Cass. n. 4021/2006). Più recentemente, ad ogni modo, la Suprema Corte ha avuto occasione di osservare che, pur essendo differenti caratteri, finalità e presupposti dell’assegno di separazione rispetto all’assegno divorzile, l’assegno di separazione può essere liberamente considerato ed apprezzato dal Giudice del divorzio (cfr., Cass. civ. Sez. VI, ordinanza 05.02.2015, n. 2164; Cass. civ. n. 20582/2010). Costituisce inoltre jus receptum che, per la determinazione dell’assegno divorzile, non rileva soltanto il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, in quanto tale assetto economico è un valore meramente sintomatico e non decisivo, ma viene in rilievo la condizione patrimoniale al momento del divorzio; ne consegue quindi che l’assegno divorzile va calcolato sulla base della situazione patrimoniale così come accertata ed esistente al momento della pronuncia del divorzio (vedasi, Cass. Civ. Sez. I, 21.11.2011, n. 24436; Cass. civ. n. 2156/2010).
Ancor più recentemente, si è statuito che, dovendo l’assegno di divorzio tendere a ricostituire il tenore di vita goduto durante il matrimonio, indice di questo può essere ritenuto anche il divario reddituale attuale tra i coniugi (così, Cass. Civ. Sez. I, 31.01.2013, n. 2313; di tenore del tutto analogo Cass. civ. Sez. VI-I ordinanza 10.02.2015 n. 2574).
Ciò premesso in punto di diritto, le risultanze dell’indagine sui redditi e sul patrimonio personale delle parti delegate alla Guardia di Finanza di Forlì-Cesena, l’abbondante documentazione depositata, nonché le allegazioni svolte in merito dalle stesse parti e le loro dichiarazioni nel corso del giudizio, hanno consentito di accertare, quanto alla posizione del ricorrente X , che il medesimo, imprenditore, è responsabile tecnico, presidente del consiglio di amministrazione e consigliere della società “W.T. S.r.l.”, con sede in C., amministratore unico della società “W.T.H. S.r.l.”, sempre con sede in C., nonché consigliere e preposto alla gestione tecnica della società “E. S.r.l.” corrente in Rimini, ha percepito nell’anno 2012 un reddito complessivo di Euro 283.820,00, nell’anno 2013 un reddito complessivo di Euro 193.175,00, nell’anno 2014 un reddito complessivo di Euro 158.802,00 con un imponibile pari ad Euro 115.336,00, e nell’anno 2015 un reddito complessivo pari ad Euro 162.034,00 con un imponibile di Euro 117.625,00, è proprietario dell’immobile di C. che era adibito a casa familiare, nonché di ulteriori immobili siti a V. e a B., e ha recentemente contratto un mutuo con saldo nel marzo 2018 al fine di provvedere alla liquidazione della quota di un socio uscente per quasi Euro 250.000,00 e le società da lui gestite hanno dovuto fare fronte ad una richiesta dell’Inps di circa Euro 40.500 e di Equitalia per Euro 26.800. Riguardo alle condizioni economico-reddituali della resistente Y , la stessa durante il matrimonio era casalinga, non ha svolto e non svolge tuttora alcuna attività lavorativa né le condizioni anagrafiche le potrebbero consentire un agevole reinserimento nel mondo del lavoro, non è proprietaria di immobili, e, dopo la causa promossa dal marito al fine di ottenere il rilascio della casa familiare, si è trasferita a Santarcangelo di Romagna in appartamento condotto in locazione con un canone mensile di Euro 650,00, ha percepito negli ultimi cinque anni un reddito complessivo di circa Euro 24.000/24.500, era intestataria di quote di una delle società gestite dal ricorrente e, a seguito di vertenza instaurata durante il giudizio di separazione, ha percepito a titolo di liquidazione degli utili mai versati, la significativa somma di Euro 332.000 – e tale circostanza induce a due riflessioni: in primo luogo, si deve ritenere che anche la Y, con il proprio lavoro ed il suo personale apporto anche in semplice forma di partecipazione societaria, contribuiva a determinare il tenore di vita, decisamente buono anche se non elevatissimo, della famiglia, in secondo luogo il fatto che di questo contributo abbia ricevuto una liquidazione nel 2012 consente di ritenere che la stessa abbia in una certa misura capitalizzato il contributo fornito, essendole stata corrisposta elevata somma di denaro che le consente, in parte, di disporre di mezzi adeguati a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio -.
Continua a sussistere in ogni caso, senza dubbio alcuno, una significativa disparità reddituale tra le parti – atteso che il X svolge tuttora attività imprenditoriale, gestisce due società dalle quali ricava elevati guadagni, mentre la Y ha sì ricevuto la liquidazione di cui si è detto sopra ma non ha alcuna entrata mensile se non quella dell’assegno che il marito le corrisponde – con il conseguente diritto della resistente a ricevere assegno divorzile.
In base a quanto sopra argomentato ed esposto e tenuto conto anche della durata del matrimonio (circa 25 anni) e del contributo dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio, si ritiene congruo e proporzionato porre a carico dell’ex-marito l’obbligo di corrispondere alla resistente assegno divorzile dell’importo di Euro 2.000,00 mensili, da aggiornarsi annualmente secondo gli indici Istat.
La parziale, reciproca, soccombenza sugli aspetti economici giustifica la compensazione per l’intero delle spese processali tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Forlì in composizione collegiale, ogni diversa istanza, domanda ed eccezione disattesa, definitivamente decidendo nella causa avente ad oggetto domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario promossa da X nei confronti di Y , con ricorso depositato in data 10.06.2013, provvede come segue:
– PRONUNZIA la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto il (omissis).1983 in (omissis) (PU) tra X , nato a (omissis) il (omissis).1952, e Y , nata a (omissis) il (omissis).1958, e trascritto nel Registro dello Stato Civile del Comune di (omissis) dell’anno 1983, al numero (omissis), parte (omissis), Serie (omissis), ordinando all’Ufficiale dello Stato Civile di detto Comune di procedere alla annotazione della presente sentenza;
– PONE a carico del ricorrente X l’obbligo di corrispondere alla resistente Y assegno divorzile dell’importo di Euro 2.000,00 mensili, rivalutabili annualmente secondo gli indici Istat e da versarsi entro il giorno 5 di ogni mese;
– COMPENSA integralmente le spese processuali tra le parti;
– MANDA alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza.
Conclusione
Così deciso in Forlì nella Camera di consiglio del 27 febbraio 2017.
Depositata in Cancelleria il 14 marzo 2017.
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