dell’adempimento, da parte del debitore, della propria obbligazione pecuniaria con un “altro sistema” di pagamento (ovverosia di messa a disposizione del “valore monetario” spettante) – “sistema” che, comunque, “assicuri ugualmente la disponibilità della somma dovuta” – non legittima affatto il creditore a rifiutare il pagamento stesso essendo all’uopo necessario che il rifiuto sia sorretto anche da un “giustificato motivo”, che il creditore deve “allegare ed all’occorrenza anche provare”.

 

 

Art. 269 del codice civile. Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità. La paternità e la maternità naturale possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso. La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo. La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre. La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all'epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale. Art. 273 del codice civile. Azione nell'interesse del minore o dell'interdetto. L'azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità naturale può essere promossa, nell'interesse del minore, dal genitore che esercita la potestà prevista dall'articolo 316 o dal tutore. Il tutore però deve chiedere l'autorizzazione del giudice, il quale può anche nominare un curatore speciale. Occorre il consenso del figlio per promuovere o per proseguire l'azione se egli ha compiuto l'età di sedici anni. Per l'interdetto l'azione può essere promossa dal tutore previa autorizzazione del giudice. Il tribunale dei minorenni ordinerà al presunto padre di sottoporsi al Test del DNA, al fine di accertare la paternità. Il rifiuto da parte del padre, a sottoporsi al test del DNA (con prelievo del sangue) comporta in concreto, l'ammissione di paternità, per giurisprudenza consolidata (vedi ad esempio sentenza del tribunale dei minorenni di L'Aquila del 19/04/2007). La madre non può impedire al padre di riconoscere il figlio; il figlio ha diritto di avere un padre ed una madre. Ha diritto di essere educato e mantenuto da un padre ed una madre !!! Ai sensi dell'articolo 250, comma 4 del codice civile, la madre non può impedire il riconoscimento del padre, laddove questo comportamento non risponda all'interesse del figlio.

Art. 269 del codice civile. Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità.
La paternità e la maternità naturale possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso.
La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo.
La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre.
La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale.
Art. 273 del codice civile. Azione nell’interesse del minore o dell’interdetto.
L’azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità naturale può essere promossa, nell’interesse del minore, dal genitore che esercita la potestà prevista dall’articolo 316 o dal tutore. Il tutore però deve chiedere l’autorizzazione del giudice, il quale può anche nominare un curatore speciale.
Occorre il consenso del figlio per promuovere o per proseguire l’azione se egli ha compiuto l’età di sedici anni.
Per l’interdetto l’azione può essere promossa dal tutore previa autorizzazione del giudice.
Il tribunale dei minorenni ordinerà al presunto padre di sottoporsi al Test del DNA, al fine di accertare la paternità. Il rifiuto da parte del padre, a sottoporsi al test del DNA (con prelievo del sangue) comporta in concreto, l’ammissione di paternità, per giurisprudenza consolidata (vedi ad esempio sentenza del tribunale dei minorenni di L’Aquila del 19/04/2007).
La madre non può impedire al padre di riconoscere il figlio; il figlio ha diritto di avere un padre ed una madre. Ha diritto di essere educato e mantenuto da un padre ed una madre !!!
Ai sensi dell’articolo 250, comma 4 del codice civile, la madre non può impedire il riconoscimento del padre, laddove questo comportamento non risponda all’interesse del figlio.

 

“per l’opponente: «dichiarare interamente estinta, per compensazione, la obbligazione e pertanto soddisfatta la creditrice procedente e, per l’effetto, dichiarare nulli il precetto e tutti gli atti conseguenti; in subordine, nell’ipotesi di rigetto della eccezione di compensazione, dichiarare non dovute alcune voci di precetto …»; per l’opposto: «respingere l’opposizione perché infondata»” -, respinta “l’eccezione di compensazione sollevata dall’opponente” (“in quanto non stata fornita la prova del passaggio in giudicato del titolo … solo provvisoriamente eseguibile e quindi non certo”), ha accolto (“nei limiti … esposti” nella motivazione) l’opposizione ex art. 615 c.p.c. proposta dalla società di assicurazione osservando:

– “merita accoglimento la doglianza sulla illegittimità di alcune voci di precetto (ad es. consultazione col cliente, corrispondenza informativa, delega ed autentica, fascicolazione ed indice) e di tale eccezione, si osserva incidentalmente, dovrà tener conto il GE nella eventuale assegnazione del afototestameno5credito”;

– sul “motivo principale di opposizione” (da accogliere “nei limiti che seguono”): “l’assegno inviato alla creditrice prima della notifica del precetto aveva ad oggetto un importo corrispondente alle somme capitali e ai relativi interessi come dovute all’epoca del pagamento”; “secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 27158 del 19 dicembre 2006), nelle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro, il pagamento effettuato mediante corresponsione di un assegno costituisce, secondo gli usi negoziali, idoneo modo di estinguere la obbligazione, senza che occorra un preventivo accordo tra le parti”.

Per il giudice a quo, infine, “è da considerare, altresì, il comportamento della creditrice certamente contrario ai principi di correttezza e buona fede, intesa senso oggettivo (Cass. 9 luglio 2002 n. 18240; Cass. 28 luglio 1997 n. 7051)”: “il rifiuto della creditrice di ricevere l’assegno è stato oltremodo contrario a buona fede anche alla luce del motivo addotto a sostegno di tale rifiuto, vale a dire la non congruità dell’importo portato dal titolo”.

 

 

l’inciso “moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento” contenuto nel primo comma dell’art. 1277 cod. civ. “significa che i mezzi monetari impiegati si debbono riferire al sistema valutario nazionale, senza che se ne possa indurre alcuna definizione della fattispecie del pagamento solutorio”: “la moneta avente corso legale”, infatti, “non è l’oggetto del pagamento” perché questo “è rappresentato dal valore monetario o quantità di denaro”;

– “l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria inteso non come atto materiale di consegna della moneta contante, bensì come prestazione diretta all’estinzione del debito” (“nella quale le parti debbono collaborare osservando un comportamento da valutare per il creditore secondo la regola della correttezza e per il debitore secondo la regola della diligenza”);

– “nell’ambiente socio-economico l’assegno circolare e quello bancario costituiscono mezzi normali di pagamento”.

Nella medesima sentenza, poi, si è precisato che “il concetto di domicilio del creditore non coincide con il suo domicilio anagrafico soggettivamente riconducibile alla persona fisica, ma deve essere oggettivizzato e può individuarsi nella sede (filiale, agenzia o altro) della banca presso la quale il creditore ha un conto”, con la conseguenza che “se il debitore paga con assegno circolare o con altro sistema che assicuri ugualmente la disponibilità della somma dovuta, il creditore può rifiutare il pagamento solo per giustificato motivo che deve allegare ed all’occorrenza anche provare”.

Da tali principi discende che il solo fatto dell’adempimento, da parte del debitore, della propria obbligazione pecuniaria con un “altro sistema” di pagamento (ovverosia di messa a disposizione del “valore monetario” spettante) – “sistema” che, comunque, “assicuri ugualmente la disponibilità della somma dovuta” – non legittima affatto il creditore a rifiutare il pagamento stesso essendo all’uopo necessario che il rifiuto sia sorretto anche da un “giustificato motivo”, che il creditore deve “allegare ed all’occorrenza anche provare”.

Nel caso la ricorrente non ha dedotto l’esistenza di nessun motivo a giustificazione del mancato incasso dell’assegno benché l’avesse ricevuto (come accertato dal giudice a quo) oltre sei mesi prima di intraprendere l’azione esecutiva opposta dalla debitrice proprio per effetto di detto invio e tanto dimostra la effettiva contrarietà del suo «comportamento» ai «principi di correttezza e buona fede», come ritenuto dal giudice del merito.

L’infondatezza della doglianza relativa al punto di censura esaminato, in una con la già evidenziata autonomia di questa ratio decidendi a sorreggere da sola la decisione impugnata, rende del tutto inutile l’esame della censura avente ad oggetto l’altra ragione della medesima decisione (capacità della «corresponsione di un assegno» di «estinguere l’obbligazione», «senza che occorra un preventivo accordo tra le parti») attesa la evidente inidoneità dell’eventuale fondatezza di quest’ultima a determinare, da sola, la cassazione della sentenza impugnata

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Cassazione civile Sez. Unite 4.06.2010, n. 13658

…omissis…

Motivi della decisione

  1. Con la sentenza gravata, il Tribunale di Roma – riprodotte le seguenti “conclusioni”: “per l’opponente: «dichiarare interamente estinta, per compensazione, la obbligazione e pertanto soddisfatta la creditrice procedente e, per l’effetto, dichiarare nulli il precetto e tutti gli atti conseguenti; in subordine, nell’ipotesi di rigetto della eccezione di compensazione, dichiarare non dovute alcune voci di precetto …»; per l’opposto: «respingere l’opposizione perché infondata»” -, respinta “l’eccezione di compensazione sollevata dall’opponente” (“in quanto non stata fornita la prova del passaggio in giudicato del titolo … solo provvisoriamente eseguibile e quindi non certo”), ha accolto (“nei limiti … esposti” nella motivazione) l’opposizione ex art. 615 c.p.c. proposta dalla società di assicurazione osservando:

– “merita accoglimento la doglianza sulla illegittimità di alcune voci di precetto (ad es. consultazione col cliente, corrispondenza informativa, delega ed autentica, fascicolazione ed indice) e di tale eccezione, si osserva incidentalmente, dovrà tener conto il GE nella eventuale assegnazione del credito”;

– sul “motivo principale di opposizione” (da accogliere “nei limiti che seguono”): “l’assegno inviato alla creditrice prima della notifica del precetto aveva ad oggetto un importo corrispondente alle somme capitali e ai relativi interessi come dovute all’epoca del pagamento”; “secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 27158 del 19 dicembre 2006), nelle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro, il pagamento effettuato mediante corresponsione di un assegno costituisce, secondo gli usi negoziali, idoneo modo di estinguere la obbligazione, senza che occorra un preventivo accordo tra le parti”.

Per il giudice a quo, infine, “è da considerare, altresì, il comportamento della creditrice certamente contrario ai principi di correttezza e buona fede, intesa senso oggettivo (Cass. 9 luglio 2002 n. 18240; Cass. 28 luglio 1997 n. 7051)”: “il rifiuto della creditrice di ricevere l’assegno è stato oltremodo contrario a buona fede anche alla luce del motivo addotto a sostegno di tale rifiuto, vale a dire la non congruità dell’importo portato dal titolo”.

  1. La ricorrente chiede di cassare tale decisione in forza di due motivi.
  2. Con il primo la TRALICCI – esposto che nel caso “l’assegno corrisposto dalla debitrice è consistito in un assegno bancario” – denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1182 e 1217 cod. civ. nonché dell’ art. 112 c.p.c. (error in procedendo) adducendo che – avendo questa Corte affermato, “in numerosissime massime” (“comprese quelle richiamate nella sentenza gravata”), che “ai fini dell’estinzione dell’obbligazione pecuniaria sia necessaria la ‘dazione’ di moneta contante avente corso legale … ex art. 1277 cc” ed esteso “solo recentemente” (“Cass. civ. sez. unite, 18 dicembre 2007 n. 26617”) “tale potere estintivo esclusivamente all’assegno circolare anche se con ‘determinate limitazioni’” – l’assegno bancario non rientra “nell’ambito degli ‘strumenti legali’ di estinzione delle obbligazioni pecuniarie” e conserva la “sua natura di datio pro solvendo e pertanto rifiutabile dal debitore” (“in tal senso … Cass. III, 10 febbraio 2003 n. 1939”).

La ricorrente aggiunge che il “contrasto” del “rifiuto” del “titolo di credito” da parte del creditore con “l’art. 1175 c.c.” è stato affermato da un “orientamento minoritario” di questa Corte “ma sempre con riguardo all’assegno circolare” per cui la decisione impugnata è illegittima “non solo per contrasto con gli artt. 1277 e 1182 cc ma soprattutto per omessa pronuncia su una specifica domanda di [essa] parte creditrice” (“nel caso …, al contrario l’impresa assicuratrice ha versato un assegno bancario e pertanto nessun obbligo di restituzione grava in capo allo scrivente”) “consistente” nella “carenza di efficacia ‘solutoria’ del pagamento tramite assegno bancario in luogo della moneta contate o circolare” atteso che “il giudice si è limitato a pronunciarsi … sull’efficacia solutoria dell’assegno circolare ma non su quella del titolo oggetto di causa” (“assegno bancario”).

A conclusione la TRALICCI chiede (quesito di diritto):

– “se nella fattispecie in esame in cui parte debitrice aveva inviato, alla creditrice, ad estinzione del debito portato dalla sentenza del Giudice di Pace di Roma un semplice assegno bancario, poteva la parte creditrice rifiutare la forma di pagamento utilizzata dal debitore”;

– “se nella fattispecie in esame in cui parte debitrice aveva inviato alla creditrice, quale estinzione dell’obbligazione pecuniaria pendente, un assegno bancario poteva il giudice dell’opposizione equiparare il pagamento tramite assegno bancario a quello effettuato tramite assegno circolare e pertanto considerare il rifiuto del pagamento tramite assegno bancario contrario alle regole di correttezza e buona fede”;

– “se, nella fattispecie in esame, in cui parte debitrice aveva proposto opposizione ad atto di precetto deducendo l’avvenuta estinzione dell’obbligazione per avvenuto inoltro, alla creditrice, prima della notifica del precetto, di un assegno bancario di importo pari alle spese liquidate, poteva il giudice ritenere estinta l’obbligazione pecuniaria attribuendo all’assegno bancario efficacia di datio pro soluto”.

  1. Con l’altro motivo la ricorrente – assunto aver “parte debitrice” richiesto, “nelle conclusioni dell’atto di opposizione”, di “‘condannarla a rimborsare alla Compagnia la somma di euro 220,00 versata quale sostituto d’imposta …’ (cfr. opposizione all’esecuzione)” – denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 37 c.p.c. adducendo dover “ritenersi che trattandosi di ‘controversia fra sostituito e sostituto, relativa alla legittimità delle ritenute d’acconto operate dal secondo, anche nella ipotesi in cui la domanda del sostituito venga formulata nei confronti del sostituto invocando l’art. 2043 c.c.’, il … giudice avrebbe dovuto primariamente dichiarare la sua incompetenza per materia, sulla questione, in favore delle ‘commissioni tributarie’ (cfr. Cass. civ., sez. Unite, 24 ottobre 1997 n. 10456), con la conseguenza che l’omessa declaratoria di incompetenza, cui ha fatto seguito una pronuncia del seguente tenore ‘accoglie l’opposizione …’ (pag. 4 sentenza gravata) ha determinato una violazione dell’art. 31 cpc”.

A conclusione la TRALICCI chiede (quesito di diritto)

“se nell’ipotesi di specie in cui parte debitrice, nella propria opposizione all’esecuzione, aveva richiesto la restituzione, al sostituto d’imposta, della ritenuta di acconto versata, il giudice dell’opposizione avrebbe dovuto dichiarare la sua incompetenza sulla questione in favore delle Commissioni Tributarie”.

  1. La società di assicurazioni – esposto essere “illuminante sul comportamento” della creditrice il fatto che la stessa, “pur iniziando una procedura esecutiva”, abbia trattenuto “l’assegno inviatole a saldo delle sue spettanze” -, dal suo canto, oppone (in sintesi):

– sul primo motivo dell’avverso ricorso, che “deve considerarsi altamente pregevole nell’ottica di uno sviluppo dei commerci e della effettiva rispondenza delle decisioni ai casi concreti, come il Tribunale abbia ritenuto ‘certo’ il pagamento avvenuto a mezzo dell’assegno bancario … come deve ritenersi … logica e coerente la motivazione della corte di merito laddove afferma che il ‘rifiuto della creditrice stato contrario ai criteri di correttezza e buona fede’”;

– quanto al secondo motivo del medesimo ricorso, che si tratta di una “questione … secondaria … trattata dal Tribunale solo per economia processuale e per una forma di ‘attrazione’ da parte della questione principale”.

  1. Il ricorso deve essere respinto perché infondato.
  2. La sentenza impugnata – come si evince univocamente dalle riportate argomentazioni che la sorreggono – fondata su due autonome rationes decidendi, ciascuna delle quali idonea, da sola, a sorreggere la statuizione adottata:

– l’una (a conforto della quale il Tribunale richiama la «più recente giurisprudenza di legittimità»: «Cass. … n. 27158 del 19 dicembre 2006») affermativa della idoneità della «corresponsione di un assegno» ad «estinguere l’obbligazione» («senza che occorra un preventivo accordo tra le parti»);

– l’altra fondata sulla contrarietà a «correttezza e buona fede» del «comportamento» tenuto nel caso dalla creditrice, il cui «rifiuto» è stato ritenuto (appunto) «oltremodo contrario a buona fede» perché giustificato (unicamente) con l’asserita (ma, in realtà, infondata al momento dell’invio del titolo [né la TRALICCI ha in alcun modo censurato lo specifico accertamento fattuale del giudice del merito secondo cui “l’assegno inviato alla creditrice prima della notifica del precetto aveva ad oggetto un importo corrispondente alle somme capitali e ai relativi interessi come dovute all’epoca del pagamento”]) non congruità dell’importo portato dall’assegno bancario rimesso dalla debitrice.

Tale ragione – diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente – non costituisce affatto espressione di un “orientamento minoritario” di questa Corte (né, tampoco, relativo al solo “assegno circolare”) perché (Cass., un., 23 dicembre 2009 n. 27214, in materia non contrattuale), “l’obbligo di buona fede o correttezza costituisce, ex art. 2 Cost., un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale (cfr. Cass. 5 marzo 2009 n. 5349)”, “applicabile in ambito contrattuale od extracontrattuale”, che “impone di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento leale”, comunque “volto alla salvaguardia dell’utilità altrui, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio (in termini …, Cass. 5 febbraio 2007 n. 3462)”: “il principio di correttezza e buona fede, in particolare, deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento (Cass., sez. un., 15 novembre 2007 n. 23726; Cass. 11 giugno 2008 n. 15746)”.

La necessità (affermata nella stessa decisione) di osservare la “regola della correttezza e della buona fede oggettiva” nella “valutazione del comportamento del creditore”, peraltro, costituisce l’imprescindibile fondamento logico anche della sentenza n. 26617 depositata il 18 dicembre 2007 da queste sezioni unite quando hanno affermato il principio secondo cui “nelle obbligazioni pecuniarie, il cui importo sia inferiore a 12.500 Euro o per le quali non sia imposta per legge una diversa modalità di pagamento, il debitore ha facoltà di pagare, a sua scelta, in moneta avente corso legale nello Stato o mediante consegna di assegno circolare; nel primo caso il creditore non può rifiutare il pagamento, come, invece, può nel secondo solo per giustificato motivo da valutare secondo la regola della correttezza e della buona fede oggettiva; l’estinzione dell’obbligazione con l’effetto liberatorio del debitore si verifica nel primo caso con la consegna della moneta e nel secondo quando il creditore acquista concretamente la disponibilità giuridica della somma di denaro, ricadendo sul debitore il rischio dell’inconvertibilità dell’assegno”.

Questa decisione, infatti, contiene ulteriori (pienamente condivisibili) considerazioni relative alla “valutazione del comportamento del creditore”, particolarmente utili ai fin della presente controversia, laddove osserva che :

– l’inciso “moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento” contenuto nel primo comma dell’art. 1277 cod. civ. “significa che i mezzi monetari impiegati si debbono riferire al sistema valutario nazionale, senza che se ne possa indurre alcuna definizione della fattispecie del pagamento solutorio”: “la moneta avente corso legale”, infatti, “non è l’oggetto del pagamento” perché questo “è rappresentato dal valore monetario o quantità di denaro”;

– “l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria inteso non come atto materiale di consegna della moneta contante, bensì come prestazione diretta all’estinzione del debito” (“nella quale le parti debbono collaborare osservando un comportamento da valutare per il creditore secondo la regola della correttezza e per il debitore secondo la regola della diligenza”);

– “nell’ambiente socio-economico l’assegno circolare e quello bancario costituiscono mezzi normali di pagamento”.

Nella medesima sentenza, poi, si è precisato che “il concetto di domicilio del creditore non coincide con il suo domicilio anagrafico soggettivamente riconducibile alla persona fisica, ma deve essere oggettivizzato e può individuarsi nella sede (filiale, agenzia o altro) della banca presso la quale il creditore ha un conto”, con la conseguenza che “se il debitore paga con assegno circolare o con altro sistema che assicuri ugualmente la disponibilità della somma dovuta, il creditore può rifiutare il pagamento solo per giustificato motivo che deve allegare ed all’occorrenza anche provare”.

Da tali principi discende che il solo fatto dell’adempimento, da parte del debitore, della propria obbligazione pecuniaria con un “altro sistema” di pagamento (ovverosia di messa a disposizione del “valore monetario” spettante) – “sistema” che, comunque, “assicuri ugualmente la disponibilità della somma dovuta” – non legittima affatto il creditore a rifiutare il pagamento stesso essendo all’uopo necessario che il rifiuto sia sorretto anche da un “giustificato motivo”, che il creditore deve “allegare ed all’occorrenza anche provare”.

Nel caso la ricorrente non ha dedotto l’esistenza di nessun motivo a giustificazione del mancato incasso dell’assegno benché l’avesse ricevuto (come accertato dal giudice a quo) oltre sei mesi prima di intraprendere l’azione esecutiva opposta dalla debitrice proprio per effetto di detto invio e tanto dimostra la effettiva contrarietà del suo «comportamento» ai «principi di correttezza e buona fede», come ritenuto dal giudice del merito.

L’infondatezza della doglianza relativa al punto di censura esaminato, in una con la già evidenziata autonomia di questa ratio decidendi a sorreggere da sola la decisione impugnata, rende del tutto inutile l’esame della censura avente ad oggetto l’altra ragione della medesima decisione (capacità della «corresponsione di un assegno» di «estinguere l’obbligazione», «senza che occorra un preventivo accordo tra le parti») attesa la evidente inidoneità dell’eventuale fondatezza di quest’ultima a determinare, da sola, la cassazione della sentenza impugnata.

  1. Il secondo motivo – il cui quesito ex art. 366 bis c.p.c. risulta, peraltro, imperfettamente formulato laddove fa riferimento ad ipotesi “in cui parte debitrice … aveva richiesto la restituzione, al sostituto d’imposta, della ritenuta di acconto versata” mentre il soggetto obbligato alla restituzione dovrebbe identificarsi nel “sostituito” (non nel “sostituto”) – inammissibile perché (diversamente da quanto suppone anche la società che parla comunque di “questione … trattata dal Tribunale”) diretto a censurare una pronuncia inesistente: nella sentenza impugnata, infatti, non vi è traccia (nemmeno nelle “conclusioni” della detta “debitrice” riportate nell’epigrafe) né della proposizione di siffatta richiesta da parte della “debitrice” né, soprattutto, di una qualche decisione sulla stessa adottata dal giudice a quo nella cui pronuncia di “accoglimento dell’opposizione” spiegata dalla debitrice non si rinviene alcuna condanna della odierna ricorrente a pagare alcunché in favore di quella “debitrice”.

L’eventuale violazione dell’art. 112 c.p.c. – per omissione di pronuncia attinente detta richiesta – in cui potrebbe essere incorso il giudice a quo, comunque, non è stata denunziata dalla società, unica avente interesse (art. 100 c.p.c.), per cui la pretesa domanda di restituzione (se effettivamente prospettata) deve ritenersi definitivamente estranea al thema decidendi: va, quindi, rilevata la carenza di qualsiasi presupposto fattuale che possa involgere l’applicazione dell’art. 37 c.p.c. del quale la TRALICCI denunzia la violazione con il motivo in esame.

  1. Per la sua totale soccombenza la ricorrente, sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere alla società le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate (nella misura indicata in dispositivo) in base alle vigenti tariffe forensi, al valore della controversia ed all’attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa (il cui controricorso deve ritenersi inammissibile perché proposto oltre il termine di cui all’art. 370, primo comma, c.p.c.).

 

P.Q.M.

 

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla società le spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 920,00, di cui euro 720,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Originally posted 2016-07-21 16:34:02.

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