DANNO NON PATRIMONIALE AL CONVIVENTE, DIRITTI DEL CONVIVENTE ….
Nella specie, è mancata la prova dell’esistenza di una relazione tendenzialmente stabile e di una mutua assistenza morale e materiale tra la D. S. e la vittima. Sicché il giudice, facendo applicazione del principio sopra enunciato, ha escluso che la donna potesse vantare diritti risarcitori a cagione della morte dell’uomo.
Il motivo di ricorso in esame – che, pure, tende ad affermare che la comunanza spirituale e materiale tra due persone è presupposto per il riconoscimento del risarcimento del danno – si limita a censurare il fatto che il giudice abbia tratto dal certificato anagrafico la prova dell’inesistenza di una vita familiare tra i due; nulla dice, invece, in ordine alle prove ed alle situazioni di fatto in ragione delle quali, invece, si sarebbe dovuto dedurre siffatto genere di convivenza e, dunque, il diritto al risarcimento del danno.
L’argomentazione utilizzata dal giudice per negare al T. il diritto al risarcimento del danno patrimoniale per la morte del padre è viziata sia sotto il profilo logico, sia sotto quello giuridico. Essa contraddice il diritto stesso del figlio a conseguire dal padre le somme necessarie al proprio mantenimento, all’educazione ed all’istruzione ed alle sue aspettative (valutabili anche presuntivamente) di future elargizioni economiche. Sicché, rimane del tutto ininfluente la circostanza che il superstite conseguisse o meno provviste economiche dal padre (ciò può semmai influire sul quantum risarcitorio), posto che siffatto sostegno il T. aveva il diritto di conseguire anche coattivamente.
Cassazione SEZ. III CIVILE – SENTENZA 16 settembre 2008, n.23725
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Udine respinse la domanda proposta dalla D. S. e dal T., contro il C. e la omissis Ass.ni s.p.a., per il risarcimento dei danni patiti a seguito della morte di C. T., vittima di un incidente stradale mentre era trasportato a bordo del veicolo condotto dal C..
La Corte d’appello di Trieste, parzialmente riformando la prima sentenza, ha condannato i convenuti a risarcire il danno morale in favore di M. T., escludendo il diritto di questo al danno biologico ed al danno patrimoniale, nonché ogni diritto della D. S., non essendo ella né coniuge, né convivente more uxorio della vittima.
La D. S. ed il T. propongono ricorso per la cassazione della Corte di Trieste, svolgendo cinque motivi. Si difende con controricorso la sola compagnia assicuratrice.
Motivi della decisione
Il primo motivo (violazione artt. 8 L. 121/1985, 2043, 2059, 2056, 1223 c.c., 2 Cost.) censura la sentenza per avere negato alla D. S. il diritto al risarcimento del danno nella considerazione che ella aveva contratto con la vittima un matrimonio canonico privo di effetti civili e che non era provata la loro convivenza more uxorio. In particolare, la ricorrente non pone in discussione che un soggetto, a fronte di un matrimonio contratto solo con il rito canonico e trascritto, non possa vantare diritti patrimoniali nei confronti del coniuge defunto; tuttavia – aggiunge – non è giusto che la mancata trascrizione debba privare di rilevanza la affectio maritalis, la comunanza di spirito e di ideali che sicuramente possono avvincere anche due persone che si siano sposate solo religiosamente e che costituiscono il presupposto fondante del riconoscimento del danno morale ove intervenga la morte del congiunto.
Il motivo è infondato.
Da tempo questa Corte ha ammesso che il diritto al risarcimento da fatto illecito concretatosi in un evento mortale va riconosciuto (con riguardo sia al danno morale, sia a quello patrimoniale, che presuppone, peraltro, la prova di uno stabile contributo economico apportato, in vita dal defunto al danneggiato) anche al convivente more uxorio del defunto stesso, quando risulti concretamente dimostrata siffatta relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale, al qual fine non sono sufficienti né le dichiarazioni rese dagli interessati a fine di formazione di un atto di notorietà, né le indicazioni dai medesimi fornite alla pubblica amministrazione per fini anagrafici (cfr. soprattutto Cass. 28 marzo 1994, n. 2988).
Nella specie, è mancata la prova dell’esistenza di una relazione tendenzialmente stabile e di una mutua assistenza morale e materiale tra la D. S. e la vittima. Sicché il giudice, facendo applicazione del principio sopra enunciato, ha escluso che la donna potesse vantare diritti risarcitori a cagione della morte dell’uomo.
Il motivo di ricorso in esame – che, pure, tende ad affermare che la comunanza spirituale e materiale tra due persone è presupposto per il riconoscimento del risarcimento del danno – si limita a censurare il fatto che il giudice abbia tratto dal certificato anagrafico la prova dell’inesistenza di una vita familiare tra i due; nulla dice, invece, in ordine alle prove ed alle situazioni di fatto in ragione delle quali, invece, si sarebbe dovuto dedurre siffatto genere di convivenza e, dunque, il diritto al risarcimento del danno.
Infondato è anche il secondo motivo (violazione artt. 2043, 2059, 2056, 1223, 1226 c.c., 2 Cost.), laddove ci si duole che l’importo risarcitorio liquidato a titolo di danno morale in favore del T. sia “assolutamente incongruo e scandalosamente inadeguato rispetto all’intero quadro delle circostanze venuto al vaglio dei giudici”.
Basti dire in proposito che è censurabile in sede di legittimità l’esercizio del potere equitativo del giudice di merito in ordine alla determinazione del danno morale solo quando la liquidazione del danno stesso appaia manifestamente simbolica o per nulla correlata con le premesse in fatto in ordine alla natura ed all’entità del danno dal medesimo giudice accertate (Cass. 2 marzo 2004, n. 4186). Nella specie, la liquidazione è stata nient’affatto simbolica (euro 60.000) e, per di più, è stata concretamente riferita alla vicenda in esame.
Il terzo motivo lamenta che, benché sin dall’origine il T. avesse promosso una richiesta risarcitoria onnicomprensiva, il giudice abbia motivato in ordine all’esclusione del danno biologico jure proprio e del danno patrimoniale, ma nulla abbia affermato quanto al danno da rottura del vincolo parentale.
Il motivo è fondato.
E’ ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui il soggetto che chiede iure proprio il risarcimento del danno subito in conseguenza della uccisione di un congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale lamenta l’incisione di un interesse giuridico diverso sia dal bene salute, del quale è titolare (la cui tutela ex art. 32 Cost., ove risulti intaccata l’integrità psicofisica, si esprime mediante il risarcimento del danno biologico), sia dall’interesse all’integrità morale (la cui tutela, ricollegabile all’art. 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo), e ciò in quanto l’interesse fatto valere è quello alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.. Si tratta di interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad una riparazione ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. – senza il limite ivi previsto in correlazione all’art. 185 cod. pen. in ragione della natura del valore inciso – vertendosi in materia di danno che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato (cfr. la sentenza pilota, Cass. 31 maggio 2003, n. 8828).
L’onnicomprensiva richiesta risarcitoria del T. includeva anche siffatta voce di danno, sicché deve essere cassata la sentenza che in ordine ad essa non ha provveduto. Il giudice del rinvio procederà, dunque, alla liquidazione del danno cosiddetto parentale in favore del T., tenendo però presente quanto già liquidato a titolo di danno morale e l’ulteriore principio (pure ricavabile dal già menzionato precedente) secondo cui il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, in quanto ontologicamente diverso dal danno morale soggettivo contingente, può essere riconosciuto a favore dei congiunti unitamente a quest’ultimo, senza che ciò implichi, di per sé, una duplicazione di risarcimento. Tuttavia, essendo funzione e limite del risarcimento del danno alla persona, unitariamente considerata, la riparazione del pregiudizio effettivamente subito, il giudice di merito, nel caso di attribuzione congiunta del danno morale soggettivo e del danno da perdita del rapporto parentale, deve considerare, nel liquidare il primo, la più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente che gli va riconosciuta, poiché, diversamente, sarebbe concreto il rischio di duplicazioni del risarcimento, e deve assicurare che sia raggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo risarcimento.
Altrettanto fondato è il quarto motivo, che censura la sentenza nel punto in cui ha negato al T. il risarcimento del danno patrimoniale nella considerazione che l’unica testimonianza assunta a riguardo non consentiva di ritenere che il figlio potesse fare affidamento sul concreto apporto economico del padre.
L’argomentazione utilizzata dal giudice per negare al T. il diritto al risarcimento del danno patrimoniale per la morte del padre è viziata sia sotto il profilo logico, sia sotto quello giuridico. Essa contraddice il diritto stesso del figlio a conseguire dal padre le somme necessarie al proprio mantenimento, all’educazione ed all’istruzione ed alle sue aspettative (valutabili anche presuntivamente) di future elargizioni economiche. Sicché, rimane del tutto ininfluente la circostanza che il superstite conseguisse o meno provviste economiche dal padre (ciò può semmai influire sul quantum risarcitorio), posto che siffatto sostegno il T. aveva il diritto di conseguire anche coattivamente.
Il giudice del rinvio provvederà, dunque, a liquidare in favore del T. il danno patrimoniale subito a causa della morte del padre, pur ricorrendo a presunzioni che tengano conto della concreta fattispecie esaminata.
Inammissibile è il quinto motivo, attraverso il quale i ricorrenti si dolgono del fatto che la sentenza d’appello non abbia riconosciuto il risarcimento jure haereditario del danno biologico sofferto dalla vittima. Si tratta di domanda del tutto autonoma e diversa dalle altre, che non risulta neppure proposta nel giudizio di merito.
In conclusione, respinti i motivi primo, secondo e quinto ed accolti i motivi terzo e quarto, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione a questi ultimi. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta i motivi primo, secondo e quinto, accoglie i motivi terzo e quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Trieste, in diversa composizione, anche perché provveda sulle spese del giudizio di cassazione.
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