CESENA CASSAZIONE INCIDENTE MORTALE DANNO AI FAMIGLIARI
il pregiudizio non patrimoniale di cui si chiede il ristoro deve avere superato una soglia minima di apprezzabilita’ (Sez. 3, Sentenza n. 16133 del 15/07/2014, Rv. 632536; Sez. L, Sentenza n. 5237 del 04/03/2011, Rv. 616447; Sez. 3, Sentenza n. 2847 del 09/02/2010, Rv. 611428; Sez. 3, Sentenza n. 24030 del 13/11/2009, Rv. 609979).
L’accertamento e la liquidazione del danno non patrimoniale, in definitiva, costituiscono questioni concrete e non astratte. Esse non chiedono all’interprete la creazione di astratte tassonomie classificatorie, ma lo obbligano alla ricerca della sussistenza di effettivi pregiudizi. Costituiscono il frutto di giudizi analitici a posteriori, e non di giudizi sintetici a priori.
Non e’ dunque giuridicamente corretto pretendere di stabilire ex ante che immancabilmente, al cospetto d’un lutto familiare, ai superstiti spettera’ sempre e comunque il ristoro del danno “da perdita del rapporto parentale”, di quello “morale” e di quello alla “vita di relazione”, per poi calare in queste categorie astratte somme di denaro piu’ o meno fantasiosamente determinate.
La piu’ recente giurisprudenza ha ritenuto opportuno estendere il diritto alla riparazione del pregiudizio in questione anche ad altri soggetti (si pensi, ad esempio, al convivente more uxorio, , ancora, al legame affettivo tra il nonno e il nipote) purché si dimostri, sul piano più prettamente probatorio, di aver subito uno sconvolgimento affettivo-relazionale causalmente riconducibile all’evento dannoso. Inizialmente inoltre, per il riconoscimento dei pregiudizi subiti da soggetti non appartenenti alla famiglia nucleare del defunto,
varrà precisare come il danno derivante dalla perdita di un rapporto parentale (così come configurato dal riconoscimento della giurisprudenza e dalla conforme riflessione dottrinaria) chieda d’essere identificato nell’insieme di quelle specifiche conseguenze dannose di natura non patrimoniale che discendono dalla definitiva cancellazione di una relazione personale caratterizzata dalla particolare pregnanza emotiva e implicazione affettiva (come, nella specie, nel rapporto tra genitore e figlio) destinato a tradursi, sul piano dei pregiudizi alla persona, nella duplice dimensione del c.d. danno morale ossia della sofferenza puramente interiore patita per la perdita affettiva riscontrabile sul piano dell’afflizione e della compromissione dell’ordinario equilibrio emotivo (senza tuttavia alcuna degenerazione patologica suscettibile di accertamento medico-legale) – e, sotto altro profilo, del danno rappresentato dalla modificazione delle attività della vita quotidiana e degli eventuali aspetti dinamico-relazionali in conseguenza di tale perdita affettiva; si tratta, in relazione a questa duplice lettura del danno non patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale, sempre e comunque di conseguenze dannose riferibili alla compromissione di quello specifico interesse legato alla conservazione dell’integrità del proprio nucleo familiare e/o affettivo; viceversa, il discorso condotto con riguardo al danno biologico determinato dall‘uccisione di un proprio congiunto non guarda alle conseguenze che si ricollegano alla lesione inferta all’integrità del proprio nucleo familiare e/o affettivo (in sè considerato), bensì alle conseguenze che, sul piano morale e su quello legato alle implicazioni di tipo dinamicorelazionali, derivano dalla compromissione del diverso interesse legato alla conservazione dell’integrità della propria salute: bene, quest’ultimo, che dev’essere considerato logicamente e ontologicamente del tutto diverso dal primo (così come, specularmente, del tutto diversi devono ritenersi gli interessi che trovano riferimento nelle previsioni di tutela di cui all’art. 29 Cost., rispetto a quelli considerati nell’art. 32 Cost.)
Una giurisprudenza più recente, invece, ha ritenuto che “ben possono ipotizzarsi convivenze non fondate su vincoli affettivi ma determinati da necessità economiche, egoismi o altro e non convivenze determinate da esigenze di studio o di lavoro o non necessitate da bisogni assistenziali e di cura ma che non implicano, di per sé, carenza di intensi rapporti affettivi o difetto di relazioni di reciproca solidarietà”
riparto dell’onere probatorio,
La Suprema Corte che il danno da perdita del rapporto parentale – quando si tratti del coniuge, del genitore, dei figli o dei fratelli – non necessiti di specifica prova da parte dei danneggiati, dovendo la liquidazione avvenire in base a valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo familiare, della convivenza e di ogni altra ulteriore circostanza allegata. Sul punto, è stato condivisibilmente affermato che, “nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello), l’esistenza stessa del rapporto di parentela deve far presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è per comune esperienza, di norma, connaturale all’essere umano. Naturalmente si tratterà pur sempre di una praesumptio hominis, con la conseguente possibilità per il convenuto di dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra la vittima ed il superstite” (Cass. Civ., Sez. VI, 15/02/2018 – ud. 14/12/2017, n. 3767; Cass. Civ., Sez. III, 24/09/2019, n. 23632)” (Tribunale Venezia 1 giugno 2021 su onere della prova e danno perdita rapporto parentale).
Danno da perdita parentale: prova e limiti alla presunzione
Danno da perdita del rapporto parentale:
onere della prova. La sentenza Tribunale Venezia 1 giugno 2021 evidenzia come, pur sussistendo tale presunzione, occorra in giudizio la deduzione e la prova di circostanze che permettano al giudice di quantificare tale danno derivante dalla perdita del rapporto parentale.
La sentenza sottolinea, infatti, che “ancorché – secondo indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato (e qui condiviso: supra par.8) – la sofferenza del superstite per la morte del fratello debba presumersi, detta presunzione trova un limite logico – prima che giuridico – nell’assenza degli elementi minimi per apprezzare la consistenza del danno lamentato, in considerazione delle peculiari circostanze del caso concreto. Va infatti ricordato che il danno-conseguenza derivante dalla perdita del rapporto parentale si concreta non già nella recisione di un rapporto di parentela in senso formale, ma nello sconvolgimento esistenziale e nella sofferenza interiore che da tale recisione derivano. Esso non è in re ipsa e dunque non coincide con la lesione dell’interesse, dovendo essere allegato e provato da chi ne chiede il risarcimento. Anche dunque nell’ambito della famiglia ristretta, non è sufficiente – più precisamente, non può ritenersi sempre sufficiente – allegare il rapporto per provare anche in via presuntiva il danno”
Danno perdita parentale: valutazioni sull’onere della prova
Danno da perdita del rapporto parentale: onere della prova. La sentenza Tribunale Venezia 1 giugno 2021, nella sostanza, sembra indicare che, in tema di danno da perdita del rapporto parentale, se la regola generale è quella per la quale allo stretto legame di parentela corrisponde generalmente uno stretto legame affettivo, non è detto che sia sempre così.
Ciò è sicuramente vero ma l’aspetto determinante sulla questione che riguarda il danno da perdita del rapporto parentale è, a nostro avviso, quello giuridico.
Se, come indica la S.C., tale rapporto affettivo si può presumere nei casi di prossimi congiunti (coniuge, genitore, figlio, fratello) è possibile, fornita la prova della parentela, rigettare la domanda risarcitoria concernente il danno da perdita del rapporto parentale?
A nostro avviso no, a meno che in giudizio non siano presenti elementi idonei a dimostrare che il legame affettivo tra i prossimi congiunti non vi era.
Se, appunto, come indica la Cassazione, in materia di danno da perdita del rapporto parentale esiste la presunzione ricordata, questa presunzione deve valere fino a prova contraria: vale a dire, fino a quando non sia fornita la prova dell’assenza del legame affettivo.
E’, invece, giuridicamente corretto stabilire ex post se ed in che misura il lutto abbia nuociuto al benessere materiale, fisico e morale del superstite, secondo quanto dedotto e provato in giudizio, provvedendo ad una liquidazione unitaria che tenga conto di tutti i pregiudizi concretamente accertati.
CESENA CASSAZIONE INCIDENTE MORTALE DANNO AI FAMIGLIARI
CESENA CASSAZIONE INCIDENTE MORTALE DANNO AI FAMIGLIARI
CESENA CASSAZIONE INCIDENTE MORTALE DANNO AI FAMIGLIARI
CESENA CASSAZIONE INCIDENTE MORTALE DANNO AI FAMIGLIARI
Del pari inconferente, infine, e’ il richiamo compiuto dal ricorrente (alle pp. 61-62 del proprio ricorso) ai criteri utilizzati dalla giurisprudenza di merito per la monetizzazione del danno alla salute.
I criteri di liquidazione del danno alla salute, infatti, costituiscono oggetto d’una valutazione di merito sottratta al sindacato di questa Corte, con gli unici limiti gia’ sopra ricordati:
-) il divieto di automatismi risarcitori;
-) il divieto di duplicazioni risarcitorie;
-) l’accertamento in concreto d’un pregiudizio che abbia superato la soglia minima di tollerabilita’.
Ne consegue che, quali che siano i criteri concretamente adottati dal giudice di merito per la aestimatio del danno non patrimoniale, essi non possono essere invocati quali regole di diritto per stabilire quale debba essere la corretta interpretazione dell’articolo 2059 codice civile.
- Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 3. Si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 1226, 2056 e 2059 codice civile.
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe liquidato il risarcimento in misura inferiore a quella massima prevista dalla tabella di riferimento, sulla base della sola circostanza che l’attore ed il figlio deceduto non convivessero. Sostiene che tale scelta sarebbe erronea perche’ frutto di un automatismo, e che la lesione del rapporto tra padre e figlio “e’ sempre risarcibile nella massima entita’ “.
2.2. Il motivo e’ manifestamente inammissibile. Stabilire quale debba essere il pretium doloris spettante al genitore per la morte d’un figlio e’ infatti un tipico accertamento di merito, non una valutazione in iure.
La manifesta erroneita’ di talune deduzioni del ricorrente impone nondimeno di rilevare che il ricorso sarebbe comunque anche infondato, dal momento che la Corte d’appello non e’ incorsa in un alcun automatismo. Essa infatti ha determinato la misura del risarcimento facendo riferimento non gia’ alla sola circostanza della non convivenza tra padre e figlio, ma al complesso della situazione familiare (separazione dei coniugi; residenza del figlio da molti anni all’estero; convivenza degli altri figli con la madre).
afferma la sprema corte
Questa Corte ha infatti gia’ ripetutamente affermato che i genitori di persona deceduta in conseguenza dell’altrui fatto illecito, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale futuro provocato dalla perdita degli alimenti che la vittima avrebbe potuto erogare in loro favore, devono provare che, sulla base dell’insieme delle circostanze attuali, sia pronosticabile che in futuro essi si possano trovare in uno stato di indigenza tale da aver bisogno della corresponsione di alimenti senza che nessun altro possa prestarli. Parimenti, per dar prova della frustrazione dell’aspettativa ad un contributo economico da parte del familiare prematuramente scomparso, hanno l’onere di allegare e provare che il figlio deceduto avrebbe verosimilmente contribuito ai bisogni della famiglia. A tal fine la previsione va operata sulla base di criteri ragionevolmente probabilistici, non gia’ in via astrattamente ipotetica, ma alla luce delle circostanze del caso concreto, conferendo rilievo alla condizione economica dei genitori sopravvissuti, alla eta’ loro e del defunto, alla prevedibile entita’ del reddito di costui, dovendosi escludere che sia sufficiente la sola circostanza che il figlio deceduto avrebbe goduto di un reddito proprio (Sez. 3, Sentenza n. 8333 del 03/05/2004, Rv. 572535).
Corte di Cassazione|Sezione 3|Civile|Sentenza|7 marzo 2016| n. 4379
Data udienza 27 novembre 2015
Integrale
Sinistro stradale – Decesso di uno dei soggetti coinvolti – Danno non patrimoniale – Danno da perdita del rapporto parentale – Verifica delle circostanze concrete – Liquidazione unitaria di tutti i pregiudizi concretamente accertati – Morte immediata della vittima – Esclusione della risarcibilità del pregiudizio iure hereditatis – Danno patrimoniale futuro da perdita degli alimenti che la vittima avrebbe potuto erogare in favore dei congiunti – Prova del possibile stato di indigenza futura – Criteri ragionevolmente probabilistici – Mancata prova – Rigetto del ricorso
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente
Dott. ARMANO Uliana – Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9524-2013 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), padre del defunto (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 1479/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 05/03/2013, R.G.N. 2673/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/11/2015 dal Consigliere Dott. ROSSETTI Marco;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega non scritta;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso e condanna alle spese previa compensazione in ragione di un quinto (1 e 3 motivo) in subordine rimessione alle S.U. con riferimento al 1 motivo di ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
- Il (OMISSIS) (OMISSIS) perse la vita in conseguenza di un sinistro stradale, allorche’ il veicolo da lui condotto si scontro’ con quello condotto da (OMISSIS).
Nel 2007, esaurito il procedimento penale nei confronti di quest’ultimo, il padre della vittima, (OMISSIS), convenne dinanzi al Tribunale di Forli’, sezione di Cesena, (OMISSIS) ed il suo assicuratore della responsabilita’ civile, ovvero la societa’ (OMISSIS) s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento del danno.
- Il Tribunale di Forli’ con sentenza 2.11.2011 n. 319 accolse la domanda.
La sentenza venne appellata da (OMISSIS), il quale lamento’ la sottostima del danno da parte del Tribunale, sotto vari aspetti: la quantificazione del danno morale, di quello da perdita della vita, del danno per spese funerarie, del danno consistito nelle spese di assistenza legale stragiudiziale.
- La Corte d’appello di Bologna con sentenza 5.3.2013 n. 1479 rigetto’ il gravame.
La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS), sulla base di nove motivi illustrati da memoria.
Ha resistito la sola Milano con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
- Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 3. Lamenta, in particolare, la violazione dell’articolo 2059 codice civile. Deduce il ricorrente che il Tribunale prima, e la Corte d’appello poi, avrebbero errato nell’accordare al padre della vittima soltanto il risarcimento per il “danno biologico” e per il “danno da perdita del rapporto parentale”. All’attore sarebbe spettato infatti anche il risarcimento del “danno morale soggettivo e/o da sofferenza transeunte”.
Soggiunge a tal riguardo il ricorrente (invocando il precedente di questa Corte n. 29191/08) che il “danno morale” costituirebbe una categoria di danno dotata di “ontologica autonomia” rispetto agli altri pregiudizi non patrimoniali, la cui liquidazione deve pertanto necessariamente aggiungersi a quella di questi ultimi. Spiega che tanto si desumerebbe:
(a) dalla giurisprudenza di questa Corte (vengono citate al riguardo le decisioni nn. 28407/08; 29191/08; 479/09; 11701/09);
(b) dal Decreto del Presidente della Repubblica 3 marzo 2009, n. 37, il quale – nel determinare i criteri di indennizzo dei militari esposti agli effetti dell’uranio impoverito – ha espressamente distinto il danno biologico da quello morale;
(c) dalla circostanza che il Tribunale di Milano, nel predisporre i criteri uniformi cui si sarebbe attenuto per la liquidazione del danno alla salute a partire dall’anno 2009 (c.d. “Tabelle”), ha adottato un sistema nel quale il risarcimento previsto per la lesione della salute avrebbe “conglobato” gli importi precedentemente liquidati in modo separato a titolo di “danno morale”; e da tanto si dovrebbe desumere, secondo il ricorrente, che il risarcimento dovuto per quest’ultimo pregiudizio continua a cumularsi con quello dovuto per le lesioni della salute.
1.2. Il motivo e’ infondato.
Il nostro ordinamento giuridico non conosce altre distinzioni, in tema di danni, che quelle:
(a) tra danno emergente e lucro cessante (articolo 1223 c.c.);
(b) tra danno patrimoniale e non patrimoniale (articolo 2059 c.c.).
Il danno non patrimoniale consiste nella lesione di qualsiasi interesse della persona non suscettibile di valutazione economica (Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605490), ed ha natura unitaria ed omnicomprensiva.
“Natura unitaria” vuol dire che non vi e’ alcuna diversita’ dogmatica nell’accertamento e nella liquidazione del danno causato – poniamo – da una lesione della reputazione, piuttosto che di quello causato dall’uccisione di un parente.
“Natura omnicomprensiva”, invece, vuoi dire che nella liquidazione di qualsiasi pregiudizio non patrimoniale il giudice deve tenere conto di tutte le conseguenze che ne sono derivate, nessuna esclusa, osservando due soli limiti:
-) non si puo’ attribuire nomi diversi a pregiudizi identici, per procedere a due liquidazioni (Sez. L, Sentenza n. 10864 del 12/05/2009, Rv. 608452; Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605495; Sez. 3, Sentenza n. 9320 del 08/05/2015, Rv. 635319; Sez. 3, Sentenza n. 21716 del 23/09/2013, Rv. 628100; Sez. 3, Sentenza n. 4043 del 19/02/2013, Rv. 625455;
-) il pregiudizio non patrimoniale di cui si chiede il ristoro deve avere superato una soglia minima di apprezzabilita’ (Sez. 3, Sentenza n. 16133 del 15/07/2014, Rv. 632536; Sez. L, Sentenza n. 5237 del 04/03/2011, Rv. 616447; Sez. 3, Sentenza n. 2847 del 09/02/2010, Rv. 611428; Sez. 3, Sentenza n. 24030 del 13/11/2009, Rv. 609979).
L’accertamento e la liquidazione del danno non patrimoniale, in definitiva, costituiscono questioni concrete e non astratte. Esse non chiedono all’interprete la creazione di astratte tassonomie classificatorie, ma lo obbligano alla ricerca della sussistenza di effettivi pregiudizi. Costituiscono il frutto di giudizi analitici a posteriori, e non di giudizi sintetici a priori.
Non e’ dunque giuridicamente corretto pretendere di stabilire ex ante che immancabilmente, al cospetto d’un lutto familiare, ai superstiti spettera’ sempre e comunque il ristoro del danno “da perdita del rapporto parentale”, di quello “morale” e di quello alla “vita di relazione”, per poi calare in queste categorie astratte somme di denaro piu’ o meno fantasiosamente determinate.
E’, invece, giuridicamente corretto stabilire ex post se ed in che misura il lutto abbia nuociuto al benessere materiale, fisico e morale del superstite, secondo quanto dedotto e provato in giudizio, provvedendo ad una liquidazione unitaria che tenga conto di tutti i pregiudizi concretamente accertati.
1.3. Questi essendo i criteri che debbono presiedere all’accertamento ed alla liquidazione del danno non patrimoniale da lutto, essi risultano rispettati dalla Corte d’appello di Bologna.
Questa, infatti:
-) ha accertato che la morte del figlio causo’ – com’e’ ovvio – al padre una sofferenza morale (p. 9, primo capoverso);
-) ha accertato che la morte del figlio causo’ al padre un danno alla salute;
-) ha rilevato che il Tribunale, nel liquidare il danno non patrimoniale, tenne conto dell’una e dell’altro.
Per un verso, dunque, il giudice di merito ha tenuto conto di tutte le conseguenze non patrimoniali causate dal sinistro, per come dedotte e provate in giudizio; dall’altro lato l’odierno ricorrente non indica quali sarebbero le conseguenze dannose ulteriori non prese in esame dalla Corte d’appello, trincerandosi dietro la formalistica deduzione secondo cui la sentenza impugnata sarebbe erronea sol perche’ non vi compaiono le parole “danno morale”.
1.4. Per quanto attiene, infine, alle argomentazioni in iure spese dal ricorrente alle pp. 55-63 del ricorso, va osservato quanto segue.
1.4.1. E’ vero che in alcune isolate decisioni di questa Corte si e’ affermato che il danno c.d. “morale” (rectius, il danno non patrimoniale consistente nel turbamento dell’animo causato dall’illecito) avrebbe natura “ontologicamente” diversa dagli altri pregiudizi non patrimoniali, “con la conseguenza che va risarcito autonomamente, ove provato, senza che cio’ comporti alcuna duplicazione risarcitoria” (da ultimo, in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 11851 del 09/06/2015, Rv. 635701)
E’ tuttavia altresi’ vero che tale orientamento per un verso non puo’ in alcun modo essere condiviso, ponendosi in frontale contrasto con la sistemazione della materia adottata dalle Sezioni Unite di questa Corte, cui questo Collegio convintamente aderisce (cosi’ come, da ultimo, Sez. L, Sentenza n. 23793 del 20/11/2015, Rv. 637826); per altro verso v’e’ da rilevare che il contrasto da esso inaugurato ha natura solo apparente, e nel caso di specie anche l’adozione dell’orientamento minoritario non porterebbe all’accoglimento del ricorso.
Infatti anche le decisioni di questa Corte le quali ritengono di potere distinguere “ontologicamente” i vari pregiudizi non patrimoniali, sono nondimeno concordi nell’affermare che la pretesa della liquidazione separata di ciascuno di essi puo’ essere accolta solo ove sia dimostrata e provata l’esistenza effettiva d’un pregiudizio diverso da quelli ordinariamente derivanti dal lutto (Sez. 3, Sentenza n. 16992 del 20/08/2015, Rv. 636308; Sez. 3, Sentenza n. 11851 del 09/06/2015, Rv. 635701; Sez. 3, Sentenza n. 10527 del 13/05/2011, Rv. 618207: secondo tutte queste decisioni, “il danno non patrimoniale, anche nel caso di lesione di diritti inviolabili, non puo’ mai ritenersi “in re ipsa”, ma va debitamente allegato e provato da chi lo invoca, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici”).
1.4.2. Del tutto inconferente, ai nostri fini, e’ poi il richiamo al Decreto del Presidente della Repubblica 3 marzo 2009, n. 37. Tale decreto (oggi abrogato e rifluito nel Decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, articolo 1082 recante “Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare”) prevede infatti un indennizzo, e non un risarcimento, a titolo di causa di servizio ed a favore dei militari esposti a particolari fattori di rischio.
Si tratta dunque d’una norma a contenuto previdenziale ed a carattere speciale: sicche’ non risponde ai corretti criteri di ermeneutica pretendere di interpretare una norma generale (l’articolo 2059 codice civile) alla luce delle previsioni d’una norma speciale.
1.4.3. Del pari inconferente, infine, e’ il richiamo compiuto dal ricorrente (alle pp. 61-62 del proprio ricorso) ai criteri utilizzati dalla giurisprudenza di merito per la monetizzazione del danno alla salute.
I criteri di liquidazione del danno alla salute, infatti, costituiscono oggetto d’una valutazione di merito sottratta al sindacato di questa Corte, con gli unici limiti gia’ sopra ricordati:
-) il divieto di automatismi risarcitori;
-) il divieto di duplicazioni risarcitorie;
-) l’accertamento in concreto d’un pregiudizio che abbia superato la soglia minima di tollerabilita’.
Ne consegue che, quali che siano i criteri concretamente adottati dal giudice di merito per la aestimatio del dannonon patrimoniale, essi non possono essere invocati quali regole di diritto per stabilire quale debba essere la corretta interpretazione dell’articolo 2059 codice civile.
- Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 3. Si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 1226, 2056 e 2059 codice civile.
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe liquidato il risarcimento in misura inferiore a quella massima prevista dalla tabella di riferimento, sulla base della sola circostanza che l’attore ed il figlio deceduto non convivessero. Sostiene che tale scelta sarebbe erronea perche’ frutto di un automatismo, e che la lesione del rapporto tra padre e figlio “e’ sempre risarcibile nella massima entita’ “.
2.2. Il motivo e’ manifestamente inammissibile. Stabilire quale debba essere il pretium doloris spettante al genitore per la morte d’un figlio e’ infatti un tipico accertamento di merito, non una valutazione in iure.
La manifesta erroneita’ di talune deduzioni del ricorrente impone nondimeno di rilevare che il ricorso sarebbe comunque anche infondato, dal momento che la Corte d’appello non e’ incorsa in un alcun automatismo. Essa infatti ha determinato la misura del risarcimento facendo riferimento non gia’ alla sola circostanza della non convivenza tra padre e figlio, ma al complesso della situazione familiare (separazione dei coniugi; residenza del figlio da molti anni all’estero; convivenza degli altri figli con la madre).
- Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 3. Si lamenta, in particolare, la violazione dell’articolo 2059 codice civile. Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe commesso un duplice errore:
- a) avrebbe erroneamente negato il diritto al padre della vittima al risarcimento del danno da perdita della vita di quest’ultima, a lui trasmesso jure haereditario;
- b) avrebbe erroneamente negato il diritto del padre della vittima al risarcimento del danno patito da quest’ultima tra il ferimento e la morte, la quale non fu immediata.
3.2. Nella parte in cui lamenta la mancata liquidazione del danno da “perdita della vita” il motivo e’ infondato alla luce di quanto stabilito da Sez. U, Sentenza n. 15350 del 22/07/2015, Rv. 635985, secondo cui in caso di mortecagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente e’ costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicche’, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilita’ iure hereditatis di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilita’ di uno spazio di vita brevissimo.
3.3. Nella parte in cui lamenta la mancata liquidazione del danno non patrimoniale patito dalla vittima nell’intervallo tra le lesioni e la morte il motivo e’ invece inammissibile: la Corte d’appello ha infatti stabilito in fatto, con accertamento non censurato e non censurabile in questa sede, che la vittima “subi’ nel sinistro lesioni che ne cagionarono la morte immediata”, il che esclude la concepibilita’ stessa d’un danno patito nel periodo di tempo tra l’urto e la morte.
- Il quarto motivo di ricorso.
4.1. Col quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 3. Si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 1226 e 2729 codice civile.
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel negare il risarcimento del danno per spese funerarie ritenendolo non provato, perche’ la sussistenza di esse e la loro liquidazione poteva avvenire in via equitativa.
4.2. Il motivo e’ manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha rigettato la domanda di risarcimento del danno per spese funerarie sul presupposto che l’attore non avesse ne’ provato, ne’ chiesto di provare, per quali ragioni oggettive si era trovato nell’impossibilita’ di dimostrarne il relativo ammontare, ne’ se le avesse effettivamente sostenute: circostanza, questa, ritenuta dal Tribunale incerta, in considerazione del fatto che anche altro familiare della vittima ne aveva domandato il risarcimento in un separato giudizio.
La sentenza dunque ha correttamente escluso la possibilita’ del ricorso all’articolo 1226 codice civile, del quale non sussistevano ambo i presupposti: ovvero la certezza dell’esistenza del danno, e l’oggettiva ed incolpevole impossibilita’ di provarne l’ammontare.
- Il quinto motivo di ricorso.
5.1. Col quinto motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 3. Si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 1226, 2043 e 2056 codice civile.
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato l’articolo 2043 codice civile, la’ dove ha escluso la sussistenza d’un danno patrimoniale del padre per la perdita del figlio: sia perche’ in tal modo il padre ha perso il principale obbligato agli alimenti; sia perche’ ha perso la chance di essere sostenuto dal figlio, se da vecchio si dovesse trovare in difficolta’ economiche.
5.2. Il motivo e’ manifestamente infondato.
Questa Corte ha infatti gia’ ripetutamente affermato che i genitori di persona deceduta in conseguenza dell’altrui fatto illecito, ai fini della liquidazione del danno patrimoniale futuro provocato dalla perdita degli alimenti che la vittima avrebbe potuto erogare in loro favore, devono provare che, sulla base dell’insieme delle circostanze attuali, sia pronosticabile che in futuro essi si possano trovare in uno stato di indigenza tale da aver bisogno della corresponsione di alimenti senza che nessun altro possa prestarli. Parimenti, per dar prova della frustrazione dell’aspettativa ad un contributo economico da parte del familiare prematuramente scomparso, hanno l’onere di allegare e provare che il figlio deceduto avrebbe verosimilmente contribuito ai bisogni della famiglia. A tal fine la previsione va operata sulla base di criteri ragionevolmente probabilistici, non gia’ in via astrattamente ipotetica, ma alla luce delle circostanze del caso concreto, conferendo rilievo alla condizione economica dei genitori sopravvissuti, alla eta’ loro e del defunto, alla prevedibile entita’ del reddito di costui, dovendosi escludere che sia sufficiente la sola circostanza che il figlio deceduto avrebbe goduto di un reddito proprio (Sez. 3, Sentenza n. 8333 del 03/05/2004, Rv. 572535).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha rilevato come nel corso del processo non fosse stata ne’ dedotta, ne’ provata:
- a) la situazione economica dell’attore;
- b) la situazione economica della vittima;
- c) la sussistenza d’una contribuzione della seconda in favore del primo.
La Corte d’appello, quindi, nell’escludere la sussistenza d’un danno risarcibile ha correttamente applicato i principi stabiliti da questa Corte.
- Il sesto motivo di ricorso.
6.1. Col sesto motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 3. Si lamenta, in particolare, la violazione dell’articolo 429 codice procedura civile. Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe violato la suddetta norma perche’ non ha cumulato interessi e rivalutazione.
6.2. Il motivo appare quasi temerario, posto che l’articolo 429 codice procedura civile si applica alle cause di lavoro, non a quelle istruite col rito del lavoro.
- Il settimo motivo di ricorso.
7.1. Col settimo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 3. Non vengono indicate le norme che si assumono violate. Nella illustrazione del motivo, nondimeno, il ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato i principi che presiedono alla liquidazione del danno biologico, omettendo di “personalizzare” il risarcimento, ovvero di adattare la misura standard di esso alle specificita’ del caso concreto.
7.2. Il motivo e’ infondato.
La liquidazione del danno alla salute deve avvenire in due fasi:
(a) dapprima accertando e monetizzando le conseguenze standard della lesione, e cioe’ quelle che qualunque soggetto, vittima del medesimo pregiudizio, sarebbe costretto a patire;
(b) quindi accertando e monetizzando le eventuali conseguenze peculiari, quelle cioe’ che non costituiscono una costante per tutti i danneggiati a parita’ di postumi, ma che nondimeno sono state concretamente sofferte dalla vittima nel caso specifico.
La monetizzazione del primo tipo di pregiudizi deve avvenire con un criterio uniforme uguale per tutti, al fine di garantire la parita’ di trattamento a parita’ di lesioni; la monetizzazione del secondo tipo di pregiudizi deve invece avvenire in modo “personalizzato”, ma al di fuori di qualsiasi automatismo, adeguatamente soppesando le circostanze specifiche che la vittima ha saputo o potuto allegare e provare.
Ne consegue che la c.d. “personalizzazione” del risarcimento del danno biologico non e’ indefettibile: essa manchera’ se il danneggiato non abbia dedotto o dimostrato il quid pluris che la sua situazione presenta, rispetto ai casi consimili.
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Bologna ha fatto corretta applicazione di questi principi. Essa infatti ha escluso – con accertamento di fatto insindacabile – che fossero state allegate o provate circostanze tali da giustificare un adeguamento del risarcimento al caso concreto, e correttamente si e’ astenuta dalla relativa liquidazione.
- L’ottavo motivo di ricorso.
8.1. Con l’ottavo motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 3; sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 5 (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito nella Legge 7 agosto 2012, n. 134). Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello avrebbe errato nel rigettare la sua domanda di risarcimento del danno patrimoniale consistito negli esborsi sostenuti per la “difesa” nel giudizio penale a carico di (OMISSIS).
Sostiene che, pur non essendosi mai costituito parte civile in quel processo, nondimeno aveva dovuto farne “studiare ed esaminare” gli atti.
8.2. Il motivo e’ inammissibile: risulta infatti dalla sentenza impugnata che l’odierno ricorrente si dolse, in appello, dalla mancata liquidazione del danno consistito nelle “spese del processo penale”.
“Spese del processo penale” vuoi dire le spese sostenute per affrontare in qualunque veste un processo penale.
Nel presente ricorso, invece, il ricorrente lamenta la mancata liquidazione del danno consistito – in tesi – nelle spese legali sostenute per dovere far esaminare ad un avvocato gli atti del processo penale: il che costituisce una prospettazione del tutto nuova rispetto a quella svolta in appello, e come tale inammissibile.
- Il nono motivo di ricorso.
9.1. Col nono motivo di ricorso il ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 3 (non si indicano le norme violate); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 5, (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito nella Legge 7 agosto 2012, n. 134).
Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello ha errato nel rigettare la domanda di risarcimento del danno per spese legali stragiudiziali. Infatti in sede stragiudiziale era stata svolta intensa attivita’ epistolare, ivi compresa quella obbligatoria e necessaria per rendere proponibile la domanda (richiesta scritta all’assicuratore).
9.2. Nella parte in cui lamenta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo (articolo 360 codice procedura civile, n. 5), il motivo e’ inammissibile.
La sentenza d’appello impugnata in questa sede e’ stata depositata dopo l’11.9.2012. Al presente giudizio, di conseguenza, si applica il nuovo testo dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 5.
Le Sezioni Unite di questa Corte, nel chiarire il senso della nuova norma, hanno stabilito che per effetto della riforma “e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Nella motivazione della sentenza appena ricordata, inoltre, si precisa che “l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti”.
Nel caso di specie, per contro, il ricorrente prospetta come “vizio di omesso esame d’un fatto decisivo” proprio la mancata considerazione di taluni documenti: dunque una censura non piu’ consentita.
9.3. Nella parte in cui prospetta (genericamente) la violazione di legge il motivo e’ infondato, sebbene la motivazione debba essere corretta.
Gli esborsi sostenuti dalla vittima di un fatto illecito per assicurarsi l’assistenza d’un legale nella fase stragiudiziale delle trattative, nel caso in cui queste ultime non vadano a buon fine e sfocino in una controversia giudiziaria, diventano una componente delle spese giudiziali, da liquidare secondo la relativa tariffa (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 2275 del 02/02/2006, Rv. 588091).
Nel caso di specie risulta tuttavia che in primo grado il Tribunale condanno’ le parti soccombenti alla rifusione delle spese in favore dell’attore.
Sicche’, ove il ricorrente avesse inteso dolersi della erroneita’ di tale liquidazione, avrebbe dovuto con l’atto d’appello indicare la voce di tariffa che assumeva violata, e le ragioni della violazione.
In difetto di tale deduzione, pertanto, correttamente la Corte d’appello ha escluso la rifusione di tali spese, dovendo ritenersi che esse fossero gia’ state incluse dal Tribunale nella liquidazione delle spese del grado.
- Le spese.
Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’articolo 385 codice procedura civile, comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
la Corte di cassazione, visto l’articolo 380 codice procedura civile:
(-) rigetta il ricorso;
-) condanna (OMISSIS) alla rifusione in favore di (OMISSIS) s.p.a. delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 8.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, ex articolo 2, comma 2;
(-) da’ atto che sussistono i presupposti previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di (OMISSIS) di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
CESENA CASSAZIONE INCIDENTE MORTALE DANNO AI FAMIGLIARI
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