cropped-AVVOCATO-BOLOGNA-ESPERTO

CAMION RAVENNA INCIDENTE MORTALE AUTO COLPA

se la differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente consiste nel fatto che versa nel primo atteggiamento psicologico l’agente che prevede in concreto la possibilità di realizzazione dell’evento e agisce ugualmente, accettandone il rischio, mentre versa nel secondo chi ritiene in concreto impossibile il verificarsi dell’evento, confidando sulle proprie capacità di controllo dell’azione – non vi era dubbio che, nella specie, l’elemento soggettivo del reato era stato il dolo e non la colpa. D. aveva percepito l’urto dell’auto contro il proprio autoarticolato e si era accorto altrettanto certamente che aveva agganciato la vettura e se la stava tirando dietro. L’auto aveva lasciato sull’asfalto evidenti tracce di scarrocciamento e le lamiere dell’autoarticolato e dell’auto erano contorte a tal punto, durante la manovra di trascinamento, che non era ragionevole pensare che il conducente del camion non avesse percepito cosa stesse accadendo. In una simile situazione, l’imputato non poteva fondatamente escludere la possibilità di decesso del poveretto rimasto incastrato nell’auto; nè aveva alcuna ragione di ritenere che dentro il mezzo non ci fosse nessuno. L’intrico createsi tra le lamiere dei due veicoli era tale da non consentire ad alcuna persona dotata di media esperienza di confidare di poter controllare il dinamismo delle forze cinetiche che determinarono la distruzione delle strutture dell’auto e lo schiacciamento del corpo del povero C.. La previsione concreta della produzione di lesioni mortali, e la consapevolezza dell’impossibilità di evitarle, erano alla portata di chiunque.

FATTO DI INCIDENTE MOrTALE

ACAMION-INCIDENTE-SCRITTA

ACAMION-INCIDENTE-SCRITTA

D.M. veniva tratto a giudizio dal Tribunale di Ravenna per rispondere dei seguenti reati:

  1. a) “del reato P e P dall’ 589c.p.. comma 2, art. 61c.p., nn. 3 e 8 perchè per colpa, alla guida di un autoarticolato, cagionava il decesso di C.S. che marciava alla guida della propria auto nella stessa direzione ((OMISSIS)) dietro all’autotreno.

Colpa consistita genericamente in imprudenza, negligenza ed imperizia nonchè specificamente nell’aver oltrepassato la doppia striscia longitudinale continua di mezzeria ed eseguito una manovra di inversione di marcia sulla Strada Statale (OMISSIS) in violazione del disposto di cui all’art. 6 C.d.S., commi 4 – 14 e art. 146 C.d.S., comma 2; nell’aver proseguito tale manovra per circa 100 metri nonostante si fosse accorto del primo impatto con la vettura, nell’aver effettuato altre manovre per consentire il distacco dell’auto dal semirimorchio e darsi alla fuga. La vittima, non potendo evitare il primo impatto, incastrata con la parte anteriore del proprio veicolo sotto la parte posteriore sinistra del semirimorchio, veniva trascinata per circa 100 metri, il decesso del C. avveniva non in seguito al primo impatto, ma alle successive manovre effettuate da D. a causa delle quali il conducente della vettura rimaneva schiacciato tra le lamiere della stessa e l’autoarticolato. Fatto aggravato dal comportamento dell’indagato che, essendosi accorto del primo impatto, portava a termine la manovra di trascinamento pur prevedendo l’evento infausto, così aggravando le conseguenze del fatto”. B) “del reato p. e p. all’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, perchè a seguito dell’incidente descritto al capo a), ometteva di fermarsi e prestare assistenza dandosi alla fuga”.

 

AVVOCATO-CAMION-INCIDENTE-2

camion, rimorchi, incidente

Osserva il P.G. ricorrente che – se la differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente consiste nel fatto che versa nel primo atteggiamento psicologico l’agente che prevede in concreto la possibilità di realizzazione dell’evento e agisce ugualmente, accettandone il rischio, mentre versa nel secondo chi ritiene in concreto impossibile il verificarsi dell’evento, confidando sulle proprie capacità di controllo dell’azione – non vi era dubbio che, nella specie, l’elemento soggettivo del reato era stato il dolo e non la colpa. D. aveva percepito l’urto dell’auto contro il proprio autoarticolato e si era accorto altrettanto certamente che aveva agganciato la vettura e se la stava tirando dietro. L’auto aveva lasciato sull’asfalto evidenti tracce di scarrocciamento e le lamiere dell’autoarticolato e dell’auto erano contorte a tal punto, durante la manovra di trascinamento, che non era ragionevole pensare che il conducente del camion non avesse percepito cosa stesse accadendo. In una simile situazione, l’imputato non poteva fondatamente escludere la possibilità di decesso del poveretto rimasto incastrato nell’auto; nè aveva alcuna ragione di ritenere che dentro il mezzo non ci fosse nessuno. L’intrico createsi tra le lamiere dei due veicoli era tale da non consentire ad alcuna persona dotata di media esperienza di confidare di poter controllare il dinamismo delle forze cinetiche che determinarono la distruzione delle strutture dell’auto e lo schiacciamento del corpo del povero C.. La previsione concreta della produzione di lesioni mortali, e la consapevolezza dell’impossibilità di evitarle, erano alla portata di chiunque.

AIII2

INCIDENTE MORTALE VERCELLI, INCIDENTE MORTALE RAVENNA RESPONSABILITA’ PER OMICIDIO COLPOSO

MORTE CAUSA  AUTOTRENO RVENNA APPELLO BOLOGNA CASSAZIONE

incidente-MORTALE-MORTI INCIDENTE DANNO

incidente-MORTALE-MORTI INCIDENTE DANNO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE FERIALE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGINIO Adolfo – Presidente

Dott. ESPOSITO Antonio – Consigliere

Dott. CARROZZA Arturo – Consigliere

Dott. ROMBOLA’ Marcello – Consigliere

Dott. MACCHIA Alberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO CORTE APPELLO di BOLOGNA;

nei confronti di:

1) D.M., N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 20/11/2007 CORTE APPELLO di BOLOGNA;

visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. ESPOSITO ANTONIO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MURA Antonio, che ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata e di quella di 1^ grado con trasmissione atti al P.M..

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

OSSERVA

D.M. veniva tratto a giudizio dal Tribunale di Ravenna per rispondere dei seguenti reati:

  1. a) “del reato P e P dall’ 589c.p.. comma 2, art. 61c.p., nn. 3 e 8 perchè per colpa, alla guida di un autoarticolato, cagionava il decesso di C.S. che marciava alla guida della propria auto nella stessa direzione ((OMISSIS)) dietro all’autotreno.

Colpa consistita genericamente in imprudenza, negligenza ed imperizia nonchè specificamente nell’aver oltrepassato la doppia striscia longitudinale continua di mezzeria ed eseguito una manovra di inversione di marcia sulla Strada Statale (OMISSIS) in violazione del disposto di cui all’art. 6 C.d.S., commi 4 – 14 e art. 146 C.d.S., comma 2; nell’aver proseguito tale manovra per circa 100 metri nonostante si fosse accorto del primo impatto con la vettura, nell’aver effettuato altre manovre per consentire il distacco dell’auto dal semirimorchio e darsi alla fuga. La vittima, non potendo evitare il primo impatto, incastrata con la parte anteriore del proprio veicolo sotto la parte posteriore sinistra del semirimorchio, veniva trascinata per circa 100 metri, il decesso del C. avveniva non in seguito al primo impatto, ma alle successive manovre effettuate da D. a causa delle quali il conducente della vettura rimaneva schiacciato tra le lamiere della stessa e l’autoarticolato. Fatto aggravato dal comportamento dell’indagato che, essendosi accorto del primo impatto, portava a termine la manovra di trascinamento pur prevedendo l’evento infausto, così aggravando le conseguenze del fatto”. B) “del reato p. e p. all’art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, perchè a seguito dell’incidente descritto al capo a), ometteva di fermarsi e prestare assistenza dandosi alla fuga”.

Con sentenza del 15/07/2003, il G.U.P. di Ravenna dichiarava l’imputato colpevole del reato ascrittogli e concesse le attenuanti generiche e dell’art. 62 c.p., n. 6 prevalenti sulle contestate aggravanti, lo condanna alla pena di anni due, mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali ed alla pena accessoria della sospensione della partente di guida per mesi sei.

Ordinava la trasmissione degli atti alla competente Autorità Amministrativa a norma e per gli effetti dell’art. 129 C.d.S..

Avverso tale decisione ricorre per Cassazione il P.G. presso la Corte di Appello di Bologna, deducendo un unico motivo:

Mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e)) – Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), con riferimento agli artt. 521522 e 598 c.p.p.).

Il fatto che emergeva dagli atti del giudizio era diverso da quello per cui il pubblico ministero aveva proceduto e i giudici di primo e di secondo grado aveva condannato l’imputato D.M..

Ritiene il Procuratore generale che si verta in tema di omicidio volontario, seppure assistito da dolo eventuale, e non di un omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento, con le ulteriori violazioni del codice della strada contestate. Evidenzia in proposito il P.G. che “la consulenza medico legale sulle cause del decesso del C. escludeva che, nel corso dell’iniziale impatto tra la vettura e l’autoarticolato, la vittima avesse riportato lesioni mortali, il conducente dell’auto era morto per le manovre di trascinamento successive, poste in essere dall’imputato per raggiungere la pianola (OMISSIS) e sganciare dal proprio camion l’auto rimasta attaccata”.

Osserva il P.G. ricorrente che – se la differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente consiste nel fatto che versa nel primo atteggiamento psicologico l’agente che prevede in concreto la possibilità di realizzazione dell’evento e agisce ugualmente, accettandone il rischio, mentre versa nel secondo chi ritiene in concreto impossibile il verificarsi dell’evento, confidando sulle proprie capacità di controllo dell’azione – non vi era dubbio che, nella specie, l’elemento soggettivo del reato era stato il dolo e non la colpa. D. aveva percepito l’urto dell’auto contro il proprio autoarticolato e si era accorto altrettanto certamente che aveva agganciato la vettura e se la stava tirando dietro. L’auto aveva lasciato sull’asfalto evidenti tracce di scarrocciamento e le lamiere dell’autoarticolato e dell’auto erano contorte a tal punto, durante la manovra di trascinamento, che non era ragionevole pensare che il conducente del camion non avesse percepito cosa stesse accadendo. In una simile situazione, l’imputato non poteva fondatamente escludere la possibilità di decesso del poveretto rimasto incastrato nell’auto; nè aveva alcuna ragione di ritenere che dentro il mezzo non ci fosse nessuno. L’intrico createsi tra le lamiere dei due veicoli era tale da non consentire ad alcuna persona dotata di media esperienza di confidare di poter controllare il dinamismo delle forze cinetiche che determinarono la distruzione delle strutture dell’auto e lo schiacciamento del corpo del povero C.. La previsione concreta della produzione di lesioni mortali, e la consapevolezza dell’impossibilità di evitarle, erano alla portata di chiunque.

Per escludere la previsione e volontà dell’evento, la Corte d’appello di Bologna ha sostenuto che C. era morto non nel corso della manovra di trascinamento descritta, ma a seguito del primo impatto: quanto avvenuto dopo sarebbe un post factum irrilevante. Il giudice di secondo grado ha citato, a sostegno della propria tesi, le consulenze tecnica e medico legale e, soprattutto, la testimonianza di S.L., l’unica sulla quale sofferma il proprio argomentare.

Quanto alle prime, rileva il ricorrente P.G. che bastava leggere il contenuto degli elaborati dei consulenti ed il corretto uso fattone dal G.u.p. del Tribunale di Ravenna, per comprendere che la dinamica del fatto e le cause del decesso sono state ricostruite in termini assolutamente difformi da quelli riferiti dalla Corte: il decesso è attribuito alla manovra di trascinamento e non al primo urto.

Quanto alla testimonianza di S., era vero che questi aveva affermato di aver visto la vettura della vittima completamente accartocciata e il corpo senza vita del conducente, ma il teste li aveva visti nella fase terminale del trascinamento e non subito dopo il primo urto. Il giudice di secondo grado aveva, secondo il ricorrente, frainteso la testimonianza, ritenendo che S. si riferisse alla prima parte del fatto; che il teste, cioè, avesse visto il corpo morto di C. subito dopo l’impatto tra la vettura e il veicolo dell’imputato. Così non era. La testimonianza aveva fatto riferimento alla fine della manovra di trascinamento e ciò confortava pienamente ciò che emergeva dagli altri atti di causa ed, in particolare, dalle consulenze: D. cagionò la morte della vittima nella seconda parte dell’episodio in esame, quando – prevedendo ciò che sarebbe successo e accettandone il rischio – proseguì la sua corsa verso la piazzola (OMISSIS) in direzione di (OMISSIS) (dove si fermò per sbarazzarsi del fardello che gl’impediva la fuga).

A seguito degli errori logici in cui è caduta, la Corte non ha fatto corretta applicazione dell’art. 521 c.p.p., doverosa – in fase d’appello – in forza de richiamo contenuto nell’art. 598 c.p.p..

La norma impone al giudice di secondo grado che si renda conto che il fatto è diverso da quello contestato, di rimettere gli atti al pubblico ministero perchè provveda alle proprie determinazioni senza ripetere l’errore in cui è caduto. Inoltre, perchè sul fatto non passi in giudicato la sentenza di primo grado, con conseguente applicabilità del divieto di bis in idem, il giudice d’appello è tenuto ad annullare, in applicazione analogica dell’art. 604 c.p.p., il provvedimento del primo giudice. E ciò anche quando quest’ultimo non si sia accorto della diversità del fatto, nonostante ne avesse – come nel presente caso – la possibilità.

Non avendo il giudice d’appello provveduto secondo le regole processuali ricordate, sarà la Corte di Cassazione a dover procedere all’annullamento di entrambe le sentenze pronunciate, con restituzione degli atti al Procuratore della Repubblica di Ravenna per le sue determinazioni.

Si chiede, pertanto, che la Corte di cassazione voglia annullare le sentenze emesse nei confronti dell’imputato D.M. dalla Corte d’appello di Bologna il 20/11/2007 e dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ravenna il 15/7/2003, essendo il fatto diverso da come descritto nel provvedimento che dispone il giudizio, con trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica di Ravenna per le sue determinazioni.

Il ricorso è fondato ad esclusione della parte in cui si deduce la violazione dell’art. 521 c.p.p. in ordine alla correlazione tra imputazione contestata e la sentenza.

Invero, nel caso di specie, non può assolutamente parlarsi di fatto diverso da quello contestato e, quindi, non vi è violazione dell’art. 521 c.p.p., comma 2 che prevede l’ipotesi della trasmissione degli atti al P.M. ove il giudice accerti che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio.

Dalla semplice lettura comparativa del capo di imputazione e della motivazione della sentenza risulta che i Giudici di merito hanno portato il loro esame sul fatto così come articolato nel capo di imputazione, il quale, come già si è visto, così recita: “a) del reato p e p dall’art. 589 c.p., comma 2, art. 61 c.p., nn. 3 e 8 perchè per colpa, alla guida di un autoarticolato, cagionava il decesso di C.S. che marciava alla guida della propria auto nella stessa direzione ((OMISSIS)) dietro all’autotreno.

Colpa consistita genericamente in imprudenza, negligenza ed imperizia nonchè specificamente nell’aver oltrepassato la doppia striscia longitudinale continua di mezzeria ed eseguito una manovra di inversione di marcia sulla Strada Statale (OMISSIS) in violazione del disposto di cui all’art. 6 C.d.S., commi 4 – 14 e art. 146 C.d.S., comma 2; nell’aver proseguito tale manovra per circa 100 metri nonostante si fosse accorto del primo impatto con la vettura, nell’aver effettuato altre manovre per consentire il distacco dell’auto dal semirimorchio e darsi alla fuga. La vittima, non potendo evitare il primo impatto, incastrata con la parte anteriore del proprio veicolo sotto la parte posteriore sinistra del semirimorchio, veniva trascinata per circa 100 metri. Il decesso del C. avveniva non in seguito al primo impatto, ma alle successive manovre effettuate da D. a causa delle quali il conducente della vettura rimaneva schiacciato tra le lamiere della stessa e l’autoarticolato. Fatto aggravato dal comportamento dell’indagato che, essendosi accorto del primo impatto, portava a termine la manovra di trascinamento pur prevedendo l’evento infausto, così aggravando le conseguente del fatto”.

Ed è su tale articolato capo di imputazione che si è espresso il giudizio sia del Tribunale che della Corte di Appello. Infatti, il Giudice di 1^ grado – dopo aver minuziosamente descritto la dinamica del sinistro (negli stessi termini esposti nella contestazione) ed aver fatto riferimento a tutte le risultanze processuali (testimonianze, dichiarazioni dell’imputato, rilievi espletati dalla p.g., valutazioni tecniche esperite a norma dell’art. 360 c.p.p. in sede di consulenza tecnico-dinamica, ecc.) – ha ritenuto che “tali fatti valessero ad integrare i delitti in rubrica contestati e che gli stessi fossero addebitabili all’imputato, posto che non certo la velocità tenuta dal C. (superiore ai 90 km/h, che pure gli aveva consentito una quasi totale arresto del veicolo), nè la circostanza che lo stesso inizialmente circolasse in corsia di sorpasso (in zona ove peraltro il sorpasso è del tutto lecito e consentito) ne determinavano nè il primo impatto contro l’autoarticolato, nè, comunque e certamente, il decesso conseguente alle successive manovre di trascinamento e retromarcia del veicolo in questione: causa unica ed indubbia tanto del primo impatto, quanto e soprattutto (ed è qui ciò che interessa) dell’evento morte, fu la assolutamente anomala, vietata e pericolosissima, (oltre che del tutto inopinabile, condotta di guida tenuta dal D. sia nel compiere una svolta ad U con un autoarticolato in una strada a scorrimento veloce con doppia linea di mezzeria centrale, sia nel terminare essa manovra pur avendo avvertito l’impatto e comunque (dopo avere comprovatamene veduto il corpo esanime della vittima fuoriuscito per metà dall’abitacolo della vettura) nel tentare ripetutamele di disincagliare il veicolo del C. da sotto al proprio con una serie di retromarce, che lo conducevano alla fine addirittura a sormontare la Peugeot 306 con i pneumatici posteriori, pur di darsi definitivamente alla fuga. E’ di fatto del tutto pacifico l’accertamento effettuato in sede di consulenza medico- legale, per cui si appurava che le lesioni mortali riportate dal C. non erano in alcun modo compatibili con il primo impatto contro l’autoarticolato, bensì risultavano esserlo con le successive manovre di trascinamento sotto ad esso autoveicolo. E d’altro canto, è difficile affermare che nessuna rappresentazione dell’evento morte potesse comunque avere il predetto nel momento in cui. scendendo dal proprio autoveicolo e vedendo la vittima parzialmente schiacciata dallo stesso, poneva in essere una serie di manovre atte a svincolare il proprio automezzo e chiaramente ed inevitabilmente a stritolare il corpo incastrato sotto allo stesso. Di fatto, nel corso dell’interrogatorio reso al P.M. il D. nel descrivere con lucidità l’accaduto, reiteratamele affermava di avere compiuto le manovre per disincastrarsi e di essere poi fuggito perchè spaventato e traumatizzato, e la ragione di esso trauma era “per le eventuali conseguenze che il mio incidente aveva forse causato a chi si trovava nella autovettura”: totale consapevolezza, pertanto, sia della gravità dell’accaduto, sia delle ipotizzabili conseguenze della propria condotta evidenziava l’imputato poco tempo dopo i fatti……. Parimenti indubbia e la sussistenza della aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 8, posto che, per quanto accertato dai periti tecnico-dinamici e medico-legale il decesso del C. non si sarebbe certamente verificato se l’imputato non avesse in primo luogo terminato la manovra di svolta a U dopo il primo impatto, ma ancor più sicuramente se non avesse letteralmente stritolato la vittima nelle manovre compiute, una volta arrestatesi, per liberarsi e fuggire”.

E’ di tutta evidenza, quindi, che il Giudice di 1^ grado ha giudicato in ordine al fatto così come era stato contestato all’imputato e non certamente in ordine ad un fatto diverso da quello descritto nel capo di imputazione.

E’, parimenti di tutta evidenza che il Giudice di 1^ grado – nel ritenere che il fatto contestato costituisse, (così come ritenuto dal P.M. nella formulazione del capo di imputazione), omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento, (oltre che dalla ipotesi prevista dall’art. 61 c.p., n. 8) – non si è posto il problema che le sue stesse considerazioni in ordine sia alla dinamica dell’incidente, sia al momento e alla causa della morte della parte offesa e sia in ordine alla rappresentazione dell’evento-morte, avrebbero potuto (o dovuto) indurlo a ritenere che, nella specie, si fosse in presenza di un dolo eventuale, (con tutte le conseguenze e relative determinazioni che potevano scaturire dalla sussistenza di siffatto elemento soggettivo), atteso il principio ripetutamente affermato da questa Corte di legittimità in tema di criterio differenziale tra dolo eventuale e colpa con previsione secondo cui l’elemento differenziatore si basa sul criterio dell’accettazione del rischio; ciò significa che risponde a titolo di dolo la gente che, pur non volendo l’evento, accetta il rischio che esso si verifichi come risultato della sua condotta, comportandosi anche a costo di determinarlo; risponde, invece, a titolo di colpa aggravata la gente che, pur rappresentandosi l’evento come possibile risultato della sua condotta, agisce nella ragionevole speranza che esso non si verifichi.

Ed, invero: “il dato differenziale tra dolo eventuale e colpa cosciente, prima ancora che nell’elemento volitivo, sta nella previsione del fatto di reato che, nel caso di dolo eventuale, si propone come incerto, ma concretamente possibile e, per conseguenza, ne viene accettato il rischio; nel caso di colpa con previsione, invece, la verificabilità dell’evento rimane come ipotesi astratta che, nella coscienza dell’agente, non viene percepita come concretamente realizzabile e perciò non può essere in qualsiasi modo voluta”. (Cass., sez. 1, 24 febbraio 1994-21 aprile 1994, n. 4583, CP 95, 1837).

La Corte territoriale – su appello del solo imputato, non avendo il P.M. ritenuto di impugnare la decisione – ha confermato la sentenza di 1^ grado giudicando anch’essa sul fatto così come contestato all’imputato, ma ha eluso il problema, ai fini della corretta qualificazione del reato (e delle conseguenti determinazioni), della sussistenza del dolo eventuale attraverso una motivazione contraddittoria e manifestamente illogica e soprattutto attraverso un palese travisamento delle prove.

Infatti, la Corte di merito ha ritenuto l’imputato responsabile del reato di omicidio colposo aggravato ex art. 61 c.p., nn. 3 e 8, ma ha ritenuto che le risultanze processuali (rilievi della p.g., consulenze tecniche di ufficio e di parte, medico-legali, testimonianza di S.L.), dimostravano che la morte del C. era avvenuta al momento del primo impatto della macchina contro il semirimorchio.

Così argomentando, la Corte ha, come correttamente osserva il P.G. ricorrente, “affermato dati decisivi non veritieri (la morte del C. dopo il primo urto), e ha negato altri certi e altrettanto decisivi (le conclusioni delle consulente che attestavano il decesso a seguito del trascinamento”). Ed, invero, è grave che la Corte di merito abbia dichiarato che le risultanze probatorie dimostravano che il conducente dell’autovettura era deceduto già al momento dell’impatto della macchina contro il semirimorchio e abbia fatto riferimento alle consulenze secondo cui la causa della morte era stato un “politraumatismo fratturativo cranico” ma non abbia, nel contempo, evidenziato che la consulenza tecnico-medico-legale – dopo aver individuato che la causa della morte era stata “politraumatismo fratturativo cranico” – aggiunge che “il decesso è stato causato dalle manovre di trascinamento dell’auto sotto l’auto-articolato”.

Travisamento delle prove ancora più grave ove si consideri che la consulenza tecnica è pervenuta alla conclusione “che la morte del conducente dell’autovettura ( C.S.) sia esclusivamente da imputare alle manovre effettuate dal conducente dall’autoarticolato ( D.M.) nel tentativo di liberarsi dall’autovettura rimasta incastrata nella parte posteriore del semirimorchio. Se il camionista dopo il primo impatto si fosse fermato, il conducente dell’autovettura non avrebbe subito lesioni certamente mortali considerando anche il fatto che indossava le cinture di sicurezza”.

Analogo travisamento è stato posto in essere dalla Corte territoriale in ordine alla testimonianza del S. nei termini puntualmente censurati dal P.G., così come esposti nel ricorso.

Alla stregua delle considerazioni finora esposte ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata – (e non di entrambe le sentenze di merito così come richiesto dal P.G. ricorrente e dallo stesso P.G. presso questa Corte, non essendosi verificata la violazione dell’art. 521 c.p.) – con rinvio degli atti ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna per nuovo giudizio.

P.Q.M.

La Suprema Corte di Cassazione, Sezione Penale Feriale, annulla l’impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna per nuovo giudizio.

Così deciso in Roma, nella Pubblica udienza, il 24 luglio 2008.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2008

 

 

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