AVVOCATO BOLOGNA:RISARCIMENTO AL PEDONE AVVOCATO BOLOGNA: RISARCIMENTO AL PEDONE INVESTITO CHIAMA SUBITO PER PARLARE CON L’AVVOCATO
Come è noto, le norme che presiedono il comportamento del conducente del veicolo, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, sono principalmente quelle rinvenibili nell’art. 140 C.d.S., che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l’obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, e negli articoli seguenti, laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotte. Tra queste ultime, di rilievo, cpn riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, sono quelle stabilite, dettagliatamente, nell’art. 191 C.d.S., che trovano il loro pendant nel precedente art. 190 C.d.S., che, a sua volta, stabilisce le regole comportamentali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone. In questa prospettiva, è evidente la regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve presiedere al comportamento del conducente, sintetizzata nell'”obbligo di attenzione” che questi deve tenere al fine di “avvistare” il pedone sì da potere porre in essere efficacemente gli opportuni (rectius, i necessari) accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento.
Il dovere di attenzione del conducente teso all’avvistamento del pedone trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel I richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare;
quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; quello, infine, di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada (in particolare, proprio dei pedoni) (cfr., per riferimenti, Sezione 4, gennaio 1991, Del Frate; Sezione 4, 12 ottobre 2005, Leonini; Sezione 4, 13 ottobre 2005, Tavoliere).
Trattasi di obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, vuoi genericamente imprudenti (tipico il caso del pedone che si attarda nell’attraversamento, quando il semaforo, divenuto verde, ormai consente la marcia degli automobilisti), vuoi in violazione degli obblighi comportamentali specifici, dettati dall’art. 190 C.d.S.. Il conducente, infatti, ha, tra gli altri, anche l’obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui (Sezione 4, 30 novembre 1992, n. 1207, Cat Berrò, rv. 193014).
Ne discende che il conducente del veicolo può andare esente da responsabilità, in caso di investimento del pedone, non per il solo fatto che risulti accertato un comportamento colposo (imprudente o in violazione di una specifica regola comportamentale) del pedone (una tale condotta risulterebbe, invero, concausa dell’evento lesivo, penalmente non rilevante per escludere la responsabilità del conducente: cfr. art. 41 c.p., comma 1), ma occorre che la condotta del pedone i configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non i prevista nè prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l’evento (cfr. art. 41 c.p., comma 2).
Ciò che può ritenersi, solo allorquando il conducente del veicolo investitore (nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile alcun profilo di colpa, vuoi generica vuoi specifica) si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di “avvistare” il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile. Solo in tal caso, infatti, l’incidente potrebbe ricondursi, eziologicamente, proprio ed esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest’ultima.
AVVOCATO BOLOGNA:
RISARCIMENTO AL PEDONE INVESTITO
CHIAMA SUBITO PER PARLARE
CON L’AVVOCATO
In caso di lesione dell’integrità fisica con esito letale, un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, trasmissibile agli eredi, è configurabile solo se la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo, sì da potersi concretamente configurare un’effettiva compromissione dell’integrità psicofisica del soggetto leso, non già quando la morte sia sopraggiunta immediatamente o comunque a breve distanza dall’evento, giacchè essa non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma lesione di un bene giuridico diverso, e cioè del bene della vita (confr. Cass. civ. 17 gennaio 2008, n. 870; Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18163; Corte cost. n. 372 del 1994);
I parimenti il danno cosiddetto catastrofale – e cioè la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia – è risarcibile e può essere fatto valere iure hereditatis unicamente allorchè essa sia stata in condizione di percepire il proprio stato, abbia cioè avuto l’angosciosa consapevolezza della fine imminente, mentre va esclusa quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente il coma e il danneggiato non sia rimasto lucido nella fase che precede il decesso (confr. Cass. civ. 28 novembre 2008, n. 28423; Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754);
Non è risarcibile il danno tanatologico, da perdita del diritto alla vita, fatto valere iure successionis dagli eredi del de cuius, per l’impossibilità tecnica di configurare l’acquisizione di un diritto risarcitorio derivante dalla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare, e da questo fruibile solo in natura: e invero, posto che finchè il soggetto è in vita, non vi è lesione del suo diritto alla vita, mentre, sopravvenuto il decesso, il morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è in condizione di acquistare alcun diritto, il risarcimento finirebbe per assumere, in casi siffatti, un’anomala funzione punitiva, particolarmente percepibile laddove il risarcimento dovesse essere erogato a eredi diversi dai congiunti o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato (confr. Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754; Cass. civ. 16 maggio 2003, n. 7632);
In caso di morte di un congiunto, la stessa nozione di risarcimento per equivalente – e cioè di un intervento a carico del danneggiante che serva a rimettere il patrimonio del soggetto leso nella situazione in cui si sarebbe trovato se non fosse intervenuto l’atto illecito – ha senso solo con riferimento alle conseguenze di carattere patrimoniale del fatto pregiudizievole, predominante essendo invece la funzione consolatoria dell’erogazione pecuniaria (non a caso tradizionalmente definita denaro del pianto), inattuabile, per forza di cose, nei confronti del defunto (confr. Cass. civ. 6754/2011 e 7632/2003 cit.).
A ben vedere, a monte di tali opzioni ermeneutiche, e soprattutto dell’ultima, vi è l’elementare considerazione che, in caso di morte di un congiunto, la stessa nozione di risarcimento per equivalente – e cioè di un intervento a carico del danneggiante che serva a rimettere il patrimonio del soggetto leso nella situazione in cui si sarebbe trovato se non fosse intervenuto l’atto illecito – ha senso solo con riferimento alle conseguenze di carattere patrimoniale del fatto pregiudizievole, predominante essendo invece la funzione consolatoria dell’erogazione pecuniaria (non a caso tradizionalmente definita denaro del pianto), inattuabile, per forza di cose, nei confronti del defunto (confr. Cass. civ. 6754/2011 e 7632/2003 cit.).
AVVOCATO BOLOGNA:RISARCIMENTO AL PEDONE AVVOCATO BOLOGNA: RISARCIMENTO AL PEDONE INVESTITO CHIAMA SUBITO PER PARLARE CON L’AVVOCATOSuprema Corte di Cassazione
Sezione III Civile
Sentenza 28 giugno 2011, n. 14259
Svolgimento del processo
I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.
Il (OMISSIS) Z.V., mentre alla guida della sua autovettura transitava sulla carreggiata sud dell’autostrada (OMISSIS), andò a collidere contro lo spigolo posteriore destro di un autotreno di proprietà della società Beauvier Rhon Alpes s.r.l., condotto da G.L., fermo in avaria sulla sua stessa corsia di marcia. Nell’urto la guidatrice riportò lesioni gravissime che ne determinarono rapidamente la morte.
I genitori della vittima Z.L. e F.L., la sorella Z.E. e la nonna D.L.A. convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Torino il proprietario e il conducente dell’autotreno nonchè l’UCI -Ufficio Centrale Italiano – s.p.a. chiedendo di essere risarciti dei danni subiti.
Si costituì in giudizio la sola società assicuratrice che contestò l’avversa pretesa.
Con sentenza del 22 novembre 2002 il giudice adito, ritenuta la esclusiva responsabilità del G. nella causazione del sinistro, condannò i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 104.832,34 in favore di ciascuno dei genitori; di quella di Euro 32.217,40, in favore della sorella; e della somma di euro 23.079,19, in favore di D.L.A., oltre interessi legali da computasi sui predetti importi dalla data della sentenza al saldo.
Su gravame principale degli attori e incidentale di UCI la Corte d’appello di Torino, in data 22 ottobre 2008, ha condannato gli appellati in solido al pagamento delle ulteriori somme di Euro 10.406,80 e di Euro 22.756,80, in favore, rispettivamente, di Z.L. e di F.L., mentre ha rigettato l’appello incidentale. Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione Z.L., F.L. ed Z.E., formulando un unico motivo.
Resiste con controricorso UCI s.p.a. – Ufficio Centrale Italiano – che propone altresì ricorso incidentale affidato a un solo mezzo
Motivi della decisione
1 Va preliminarmente disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei ricorsi proposti da Z.L., F.L. ed Z.E., nonchè da UCI s.p.a. avverso la stessa sentenza.
2 Ragioni di ordine logico impongono di partire dall’esame del ricorso incidentale.
Con esso si denunciano vizi motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla affermazione della esclusiva responsabilità del G. nella causazione del sinistro.
Erroneamente il giudice di merito avrebbe invero ritenuto l’incidente addebitabile al conducente dell’autotreno, sulla base delle dichiarazioni da questi rese in sede di interrogatorio, senza neppure chiarire quali fossero i fatti a sè sfavorevoli, e favorevoli alla controparte, dallo stesso ammessi.
Il decidente avrebbe in realtà fatto malgoverno del materiale probatorio acquisito, dimostrativo del fatto che la Z. viaggiava a velocità elevata e che proprio tale circostanza le aveva impedito di porre tempestivamente in essere la manovra necessaria a evitare l’impatto con l’autotreno, fermo per avaria sulla corsia di emergenza.
3 Le critiche non hanno pregio.
La Corte territoriale ha ritenuto l’incidente addebitale al G., in ragione dell’assoluta pericolosità della condotta di guida dallo stesso osservata. Secondo quanto affermato in sede di interrogatorio, infatti, il convenuto, constatata l’avaria dell’autotreno, anzichè attendere i soccorsi in un’area in cui non avrebbe creato intralcio per la circolazione, si era spostato sulla corsia di marcia e, al momento dell’impatto, neppure aveva ancora posizionato il triangolo, essendo intento a parlare a telefono. Ha anche escluso il decidente la sussistenza di elementi che potessero far ritenere la responsabilità concorrente della Z. nella causazione del sinistro, considerato che la vittima non aveva potuto spostarsi sulla corsia di sorpasso per essere questa occupata da un’altra autovettura.
4 Osserva il collegio che, contrariamente all’assunto del ricorrente, l’iter argomentativo attraverso il quale il giudice di merito ha motivato la scelta decisoria adottata è conforme ai principi giuridici che governano la materia della circolazione stradale, logicamente corretto ed esente da aporie o da contrasti disarticolanti tra emergenze fattuali e soluzione giuridica adottata.
La ricostruzione della fattispecie concreta, basata su una lettura del materiale istruttorie estremamente analitica e improntata a massime di esperienza ampiamente condivisibili, è del tutto plausibile, essendo semmai apodittica l’affermazione di una concorrente responsabilità della vittima nella causazione del sinistro.
L’assoluta congruità dell’apparato motivazionale rende insindacabile in sede di legittimità l’accolta versione delle modalità del sinistro e la valutazione della condotta dei singoli soggetti che vi furono coinvolti, in quanto giudizi di merito, sottratti al sindacato di guesta Corte (confr. Cass. civ. 23 febbraio 2006, n. 4009).
Il ricorso è conseguentemente respinto.
5 Passando all’esame dell’impugnazione principale, nell’unico motivo gli impugnanti lamentano violazione dell’art. 2059 cod. civ. e art. 2 Cost. ex art. 360 c.p.c., n. 3. Senza contestare che, in base alla ricostruzione delle modalità del sinistro accolta dal giudice di merito, la morte della loro congiunta fu praticamente immediata, sostengono i ricorrenti che, in base ai più recenti arresti delle sezioni unite del Supremo Consesso, il danno non patrimoniale patito dalla danneggiata sarebbe comunque ad essi dovuto, essendo ravvisabili, nella condotta del conducente dell’autotreno, gli estremi del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale. Deducono quindi che in sede di gravame proprio di tale pregiudizio, spettante alla loro dante causa e nella cui titolarità essi erano subentrati in qualità di successori, avevano chiesto l’attribuzione.
6 Anche tali critiche sono infondate.
L’affermazione del giudice di merito, secondo cui, considerata l’eziologia dell’incidente, non era stato provato il consolidarsi in capo alla Z. di un proprio danno morale, come tale trasmissibile agli eredi, di talchè nulla poteva essere riconosciuto agli attori iure hereditatis, è conforme alla consolidata giurisprudenza di legittimità, dalla quale il collegio non intende discostarsi.
Questa Certe ha invero a più riprese ribadito:
-
a) che in caso di lesione dell’integrità fisica con esito letale, un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, trasmissibile agli eredi, è configurabile solo se la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo, sì da potersi concretamente configurare un’effettiva compromissione dell’integrità psicofisica del soggetto leso, non già quando la morte sia sopraggiunta immediatamente o comunque a breve distanza dall’evento, giacchè essa non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma lesione di un bene giuridico diverso, e cioè del bene della vita (confr. Cass. civ. 17 gennaio 2008, n. 870; Cass. civ. 28 agosto 2007, n. 18163; Corte cost. n. 372 del 1994);
-
b) che parimenti il danno cosiddetto catastrofale – e cioè la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia – è risarcibile e può essere fatto valere iure hereditatis unicamente allorchè essa sia stata in condizione di percepire il proprio stato, abbia cioè avuto l’angosciosa consapevolezza della fine imminente, mentre va esclusa quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente il coma e il danneggiato non sia rimasto lucido nella fase che precede il decesso (confr. Cass. civ. 28 novembre 2008, n. 28423; Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754);
-
c) che non è risarcibile il danno tanatologico, da perdita del diritto alla vita, fatto valere iure successionis dagli eredi del de cuius, per l’impossibilità tecnica di configurare l’acquisizione di un diritto risarcitorio derivante dalla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare, e da questo fruibile solo in natura: e invero, posto che finchè il soggetto è in vita, non vi è lesione del suo diritto alla vita, mentre, sopravvenuto il decesso, il morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è in condizione di acquistare alcun diritto, il risarcimento finirebbe per assumere, in casi siffatti, un’anomala funzione punitiva, particolarmente percepibile laddove il risarcimento dovesse essere erogato a eredi diversi dai congiunti o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato (confr. Cass. civ. 24 marzo 2011, n. 6754; Cass. civ. 16 maggio 2003, n. 7632);
A ben vedere, a monte di tali opzioni ermeneutiche, e soprattutto dell’ultima, vi è l’elementare considerazione che, in caso di morte di un congiunto, la stessa nozione di risarcimento per equivalente – e cioè di un intervento a carico del danneggiante che serva a rimettere il patrimonio del soggetto leso nella situazione in cui si sarebbe trovato se non fosse intervenuto l’atto illecito – ha senso solo con riferimento alle conseguenze di carattere patrimoniale del fatto pregiudizievole, predominante essendo invece la funzione consolatoria dell’erogazione pecuniaria (non a caso tradizionalmente definita denaro del pianto), inattuabile, per forza di cose, nei confronti del defunto (confr. Cass. civ. 6754/2011 e 7632/2003 cit.).
Dirimente è in proposito la considerazione della irriducibile a somma disomogeneità tra bene inciso e mezzo attraverso il quale ne viene attuata la reintegrazione e, prima e ancor più, dell’impossibilità fisica di erogare la tutela in favore del soggetto che di quel bene era titolare.
8 In definitiva entrambi i ricorsi devono essere rigettati. L’esito complessivo del giudizio consiglia compensarne integralmente le spese tra le parti.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.
La decisione è conforme ai principi espressi da questa Suprema Corte secondo i quali ai fini della liquidazione del danno patrimoniale futuro derivante dalla perdita degli alimenti che il figlio avrebbe potuto erogare in favore dei genitori o del genitore superstite, questi devono provare che, sulla base delle circostanze attuali, secondo criteri non ipotetici, ma ragionevolmente probabilistici, essi avrebbero avuto bisogno di tale prestazione alimentare; allo stesso modo, va provato il verosimile contributo del figlio ai bisogni della famiglia, ove dedotto per il futuro (cfr. Cass. n. 4791/07 e n. 8546/08).
-
la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cass. 07/01/2009, n. 42).
-
-
, in tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice del merito in ordine alla ricostruzione delle modalità di un incidente e al comportamento delle persone alla guida dei veicoli in esso coinvolti si concreta in un giudizio di mero fatto che resta insindacabile in sede di legittimità, quando sia adeguatamente motivato e immune da vizi logici e da errori giuridici (Cass. 2/03/2004, n.4186; Cass. 25/02/2004, n.3803; Cass.30/01/2004, n.1758; Cass. 05/04/2003, n.5375).
-
Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 16 gennaio 2014, n. 759
Svolgimento del processo
C.G. e D.S. , anche quali genitori esercenti la potestà sui figli minori Carmelo e Adriano, hanno citato innanzi al Tribunale di Siracusa P.G. e la Fondiaria Assicurazioni, per ottenere il risarcimento dei danni per la morte del proprio figlio, C.P. , a causa di un incidente stradale avvenuto mentre egli percorreva la strada denominata “24 metri”, diretto verso la via (omissis) , a bordo di un ciclomotore incidente causato dal tamponamento da parte dell’auto condotta dal proprietario P.G. ed assicurata per la r.c.a. con la Fondiaria, che procedeva a velocità elevata e tamponava anche la Ford tg. (omissis), condotta da A.S. ; che il giovane C.P. riportava una frattura cranica, a seguito della quale decedeva dopo dieci giorni di coma.
I convenuti contestavano la ricostruzione del sinistro posta a base della domanda, sostenendo che era stato il minore C. , provenendo da una traversa, a tagliare la strada al P. senza che questi potesse fare nulla per evitare lo scontro, per cui chiedevano che fosse quanto meno riconosciuto il concorso di colpa della vittima.
Il Tribunale di Siracusa accoglieva la domanda riconoscendo la responsabilità esclusiva di P.G. e condannava in solido i convenuti al pagamento in favore di C.G. e di D.S. della somma di L. 260.000.000 per ciascuno di essi, e in favore dei minori C.C. e C.A. della somma di L. 110.000.000 per ognuno di essi; oltre gli interessi legali e le spese del giudizio. Avverso la sentenza del Tribunale di Siracusa ha proposto appello la Fondiaria Ass.ni.
La Corte di appello di Catania, con sentenza del 6-3-2007, ha parzialmente accolto l’appello ritenendo non superata la presunzione di pari responsabilità nell’incidente ex art. 2054 c.c., mancando elementi per ricostruire le modalità del sinistro; ha rigettato sia la domanda di quello che ha definito danno morale iure hereditatis che la domanda volta ad ottenere il danno patrimoniale.
Propongono ricorso C.G. e D.S. anche per i figli minori con cinque motivi. Resiste la Fondiaria Sai Assicurazioni s.p.a..
Motivi della decisione
Assumono i ricorrenti che i giudici di secondo grado, nell’affermare il concorso di colpa di entrambi i conducenti dei veicoli coinvolti, hanno omesso di rilevare circostanze fattuali che avrebbero portato ad una decisione diversa.
Assumono che dall’escussione dei testi c. e R. , passeggeri dell’auto investitrice, risultava che il P. procedeva a velocità elevata in una strada priva di illuminazione ed in prossimità di un crocevia e che proprio per la velocità elevata aveva tamponato il motociclo con a bordo il C. .
D’altra parte era risultato che il motociclo precedeva l’autovettura con le luci accese e che in quel tratto di strada non vi erano traverse laterali.
La Corte di appello ha rilevato che dal rapporto dei carabinieri non si evinceva né il punto della carreggiata in cui era avvenuto lo scontro, né se il ciclomotore si fosse da poco immesso sulla via “24 metri” provenendo dalla via XXXXXX senza rispettare il segnale di stop, che secondo quanto risulta dalla certificazione del Comune di Avola era esistente al momento dell’incidente.
Gli stessi militari nel rapporto non hanno fatto alcuna ipotesi ricostruttiva del sinistro, limitandosi a trasmettere gli elementi raccolti.
Inoltre, i testi escussi hanno rilasciato deposizioni lacunose (“…non mi sono accorto da quale direzione provenisse il ciclomotore…”; “il fatto che il motorino fosse davanti e una mia supposizione perche ero seduto dietro ed, ho sentito l’urto solamente…”) ed imprecise, non avendo riferito nulla in ordine al momento della collisione (e negando che vi fossero nelle vicinanze delle traverse, mentre a pacifico che vi era l’incrocio con la via XXXXXX).
Pertanto, secondo la Corte di merito, non vi sono elementi per ricostruire in concreto il sinistro e quindi deve applicarsi la presunzione di pari responsabilità dei due conducenti ai sensi dell’art. 2054 comma 2 cod. civ..
-
In relazione alla censura di vizio di motivazione si osserva che,come costantemente affermato da questa Corte, in tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice del merito in ordine alla ricostruzione delle modalità di un incidente e al comportamento delle persone alla guida dei veicoli in esso coinvolti si concreta in un giudizio di mero fatto che resta insindacabile in sede di legittimità, quando sia adeguatamente motivato e immune da vizi logici e da errori giuridici (Cass. 2/03/2004, n.4186; Cass. 25/02/2004, n.3803; Cass.30/01/2004, n.1758; Cass. 05/04/2003, n.5375).
-
Inoltre la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cass. 07/01/2009, n. 42).
5.Nella specie nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, non è riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e la valutazione effettuata,sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, è immune dal dedotto vizio motivazionale, mentre i ricorrenti richiedono a questa Corte una inammissibile rivalutazione delle prove e dei fatti di causa per giungere ad una decisione corrispondente con la tesi da essi prospettata.
6.Con il terzo motivo si denunzia vizio di motivazione e violazione di norme di diritto in ordine al rilievo probatorio dato alla sentenza di patteggiamento.
La Corte di merito ha ritenuto che la sentenza penale di patteggiamento, che avrebbe potuto costituire un valido indizio probatorio, non contiene elementi utili per stabilire la condotta di guida dei conducenti dei due veicoli coinvolti ed individuare le circostanze nelle quali e avvenuto lo scontro.
7.Non sussiste la denunciata violazione di norme di diritto, tenuto conto che nessuna efficacia pregiudicante poteva spiegare in sede civile la sentenza penale pronunziata su “patteggiamento”, essendo siffatto automatismo escluso dalla disposizione contenuta nell’art. 445 c.p.p., comma 1 bis, e potendo soltanto le risultanze del procedimento penale formare oggetto di libera valutazione da parte del giudice civile, ai fini degli accertamenti di competenza (Sez. 2, Sentenza n. 26250 del 06/12/2011).
- Il danno catastrofale, definito dalla Corte di appello danno morale spettante iure hereditatis, può essere trasmesso agli eredi a condizione che sia entrato nel patrimonio del defunto, vale a dire che egli abbia patito quella sofferenza determinata dall’accorgersi della vicina fine della vita.
- Infatti la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che in caso di morte che segua le lesioni dopo breve tempo, la sofferenza patita dalla vittima durante l’agonia è autonomamente risarcibile non come danno biologico, ma come danno morale “iure hereditatis”, a condizione però che la vittima sia stata in condizione di percepire il proprio stato, mentre va esclusa anche la risarcibilità del danno morale quando all’evento lesivo sia conseguito immediatamente lo stato di coma e la vittima non sia rimasta lucida nella fase che precede il decesso (Sez. 3, Sentenza n. 28423 del 28/11/2008).
- Nella specie la Corte di appello ha ritenuto, con accertamento di fatto non più rivalutabile in questa sede, che il giovane C. è stato costantemente in coma per il breve periodo di sopravvivenza e che, di conseguenza, non ha potuto patire quella sofferenza derivante dalla coscienza della prossima morte di cui oggi gli eredi chiedono il risarcimento.
- Con il quinto motivo si denunzia violazione dell’art. 1223 c.c. in relazione al mancato riconoscimento del danno patrimoniale futuro per la perdita del congiunto.
- Il motivo è infondato.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.
Il ricorrente rammenta la giurisprudenza di questa Corte, da ritenersi consolidata, e intende che il criterio risarcitorio stabilito dalla legge speciale nel comma terzo dello art.4 del Decreto legge citato, convertito senza modifiche su tale punto, sia un criterio autonomo di valutazione del danno patrimoniale subito dalla vittima come danno emergente o lucro cessante in conseguenza diretta del fatto illecito allorché per varie cause il soggetto leso non sia nelle condizioni di provare il reddito ovvero di produrlo a causa della età, della disoccupazione, della cassa integrazione o degli studi intrapresi e ancora in corso di perfezionamento, come è nella fattispecie in esame. La legge in questi casi adotta il parametro equitativo del triplo della pensione sociale ed alla base del calcolo si pone il reddito annuale ricostruito in relazione alla entità della invalidità permanente, in misura elevata pari al 25%, in un soggetto in età di studi superiori, che viene a subire una rilevante riduzione della capacità lavorativa, presentandosi come invalida alle offerte di lavoro ed a quelle selettive che attengono anche ad una particolare prestanza e presenza fisica. Basta leggere le conseguenze e la tipologia dei danni fisici e psichici considerati nella consulenza medico legale, per evidenziare che la giovane ventenne studentessa, ebbe a subire, oltre ai danni non patrimoniali biologici e morali, anche le perdite patrimoniali presenti e future, che invece la Corte di appello nega in radice senza alcuna adeguata motivazione.
La fondatezza del motivo deriva non solo dall’ incipit di Cass. pen. 1989 n. 2150 che riguarda appunto il caso di studente inoccupate ma proficuamente dedito agli studi. Qui la Corte riconosce la risarcibilità patrimoniale del danno derivante da invalidità permanente, consistente nella liquidazione del danno futuro a causa della menomata capacità lavorativa, e il danno derivante dalla invalidità temporanea e collegate alla distinta perdita del guadagno nella esplicazione della detta capacità, secondo criteri equitativi .
Tale incipit, confermato nella successiva giurisprudenza di questa Corte, tra cui Cass., 2002 n. 101, Cass. 2004 n. 23298, trova un ulteriore conferma nel principio del risarcimento integrale del danno alla persona, ribadito alle SU civili del 24 novembre 2008 n 26972 nel punto 4.8. del preambolo sistematico, che enuncia un principio generale di filonomachia ben riferibile al complesso pregiudizio, patrimoniale e non patrimoniale, consequenzialmente derivante dalla grave lesione della salute. Qui il complesso pregiudizio deve essere integralmente ed unitariamente ristorato, sia pure con criteri equitativi ed in relazione alla gravità delle lesioni come circostanziate. Tale gravità, medicalmente accertata, con le circostanze oggettive qualificanti le qualità ed aspettative di vita della giovane lesa, costituisce da un lato la prova oggettiva della lesione e del nesso causale con la condotta del soggetto agente,e d’altro lato la prova presuntiva circostanziata che costituisce la fonte della formazione del ragionevole convincimento, di natura probabilistica, non trattandosi di prova inferiore a quelle e dirette o complete in relazione alla natura del danno. Vedi in tal senso il punto 4.10 delle SU citate, con la precisazione ivi indicata sugli elementi che nella concreta fattispecie siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti, attinenti alla perdita della capacità lavorativa, che consentano di risalire al fatto ancora ignoto, relativo alle perdite patrimoniali e di ciance lavorative.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 19 maggio – 28 giugno 2011 n. 14278
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRANCESCO TRIFONE – Presidente
Dott. GIOVANNI BATTISTA PETTI – Rei. Consigliere
Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO – Consigliere
Dott. PAOLO D’ALESSANDRO – Consigliere
Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 22359-2006 proposto da: *** elettivamente domiciliato in ROMA, VIA *** presso lo studio dell’avvocato che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
nonché contro
– intimati –
nonché contro
***, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE *** presso lo studio dell’avvocato *** che lo rappresenta e difende, giusta procura speciale alle liti;
– resistente –
avverso la sentenza n. 794/2005 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, II Sezione Civile, emessa il 05/03/2004, depositata il 06/06/2005; R.G.N. 1608/2000. udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/05/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI BATTISTA PETTI;
udito l’Avvocato ***;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. COSTANTINO FUCCI che ha concluso per il rigetto.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il 21 ottobre 1994 verso le ore 18,30 la giovane studentessa mentre attraversava sulle strisce pedonali era investita da una Citroen condotta da che guidava a velocità non moderata.
La giovane, ventenne, riportava lesioni gravi al capo, al volto, la frattura della testa del perone, lesione del legamento crociato anteriore e del legamento collaterale esterno, secondo i primi accertamenti di pronto soccorso.
Lesioni comportanti postumi invalidanti poi valutati nella misura del 25 % dalla consulenza medico legale.
2. Con citazione del 31 ottobre 1996 la *** convenne dinanzi al Tribunale di Palermo la conducente, la proprietaria e la assicuratrice e ne chiedeva la condanna in solido al risarcimento dei danni biologici, patrimoniali e non patrimoniali oltre interessi e rivalutazione. Resisteva la sola assicuratrice, restavano contumaci le altre parti. La lite era istruita documentalmente con produzioni mediche ed espletamento di CTU.
3. Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 7 ottobre 1999 condannava le convenute in solido al pagamento della somma complessiva di lire 108,189.280 oltre interessi legali dalla sentenza al saldo ed alle spese di lite.
4. Contro la decisione proponeva appello la *** per il risarcimento integrale di tutti i danni, ivi compresi il danno morale ed il danno patrimoniale conseguente alla perdita delle chances lavorative. Resisteva la *** assicuratrice restavano contumaci le altre parti .
5. La Corte di appello di Palermo con sentenza del 6 giugno 2005, in parziale riforma, accoglieva il gravame in punto di liquidazione del danno morale da reato, ma non riconosceva il danno patrimoniale sul rilievo che all’ epoca del sinistro la studentessa non svolgeva attività produttiva di reddito. Poneva le spese del grado a carico delle parti appellate.
6. Contro la decisione ha proposto ricorso la *** affidato ad unico motivo; la *** ha prodotto procura speciale per la difesa orale, non eseguita nel corso del dibattimento, le tre parti non hanno resistito pur ritualmente citate.
7. Questa Corte con ordinanze del 29 novembre 2010 ha disposto la integrazione del contraddittorio nei confronti delle parti non costituite. Tale adempimento risulta verificato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso merita accoglimento in ordine al motivo dedotto che deduce error in iudicando per la violazione e falsa applicazione del decreto legge 23 dicembre 1976 n.857 convertito con modifiche dalla legge 26 febbraio 1977 n. 10, nonché la violazione e falsa applicazione della normativa sul tasso di interesse e sul risarcimento del danno da devalutazione monetaria.
Il ricorrente rammenta la giurisprudenza di questa Corte, da ritenersi consolidata, e intende che il criterio risarcitorio stabilito dalla legge speciale nel comma terzo dello art.4 del Decreto legge citato, convertito senza modifiche su tale punto, sia un criterio autonomo di valutazione del danno patrimoniale subito dalla vittima come danno emergente o lucro cessante in conseguenza diretta del fatto illecito allorché per varie cause il soggetto leso non sia nelle condizioni di provare il reddito ovvero di produrlo a causa della età, della disoccupazione, della cassa integrazione o degli studi intrapresi e ancora in corso di perfezionamento, come è nella fattispecie in esame. La legge in questi casi adotta il parametro equitativo del triplo della pensione sociale ed alla base del calcolo si pone il reddito annuale ricostruito in relazione alla entità della invalidità permanente, in misura elevata pari al 25%, in un soggetto in età di studi superiori, che viene a subire una rilevante riduzione della capacità lavorativa, presentandosi come invalida alle offerte di lavoro ed a quelle selettive che attengono anche ad una particolare prestanza e presenza fisica. Basta leggere le conseguenze e la tipologia dei danni fisici e psichici considerati nella consulenza medico legale, per evidenziare che la giovane ventenne studentessa, ebbe a subire, oltre ai danni non patrimoniali biologici e morali, anche le perdite patrimoniali presenti e future, che invece la Corte di appello nega in radice senza alcuna adeguata motivazione.
La fondatezza del motivo deriva non solo dall’ incipit di Cass. pen. 1989 n. 2150 che riguarda appunto il caso di studente inoccupate ma proficuamente dedito agli studi. Qui la Corte riconosce la risarcibilità patrimoniale del danno derivante da invalidità permanente, consistente nella liquidazione del danno futuro a causa della menomata capacità lavorativa, e il danno derivante dalla invalidità temporanea e collegate alla distinta perdita del guadagno nella esplicazione della detta capacità, secondo criteri equitativi .
Tale incipit, confermato nella successiva giurisprudenza di questa Corte, tra cui Cass., 2002 n. 101, Cass. 2004 n. 23298, trova un ulteriore conferma nel principio del risarcimento integrale del danno alla persona, ribadito alle SU civili del 24 novembre 2008 n 26972 nel punto 4.8. del preambolo sistematico, che enuncia un principio generale di filonomachia ben riferibile al complesso pregiudizio, patrimoniale e non patrimoniale, consequenzialmente derivante dalla grave lesione della salute. Qui il complesso pregiudizio deve essere integralmente ed unitariamente ristorato, sia pure con criteri equitativi ed in relazione alla gravità delle lesioni come circostanziate. Tale gravità, medicalmente accertata, con le circostanze oggettive qualificanti le qualità ed aspettative di vita della giovane lesa, costituisce da un lato la prova oggettiva della lesione e del nesso causale con la condotta del soggetto agente,e d’altro lato la prova presuntiva circostanziata che costituisce la fonte della formazione del ragionevole convincimento, di natura probabilistica, non trattandosi di prova inferiore a quelle e dirette o complete in relazione alla natura del danno. Vedi in tal senso il punto 4.10 delle SU citate, con la precisazione ivi indicata sugli elementi che nella concreta fattispecie siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti, attinenti alla perdita della capacità lavorativa, che consentano di risalire al fatto ancora ignoto, relativo alle perdite patrimoniali e di ciance lavorative.
Il debito patrimoniale da illecito è debito di valore e dunque sarà calcolato con rivalutazione, interessi compensativi dal di dello investimento e con interessi 1cga1i sulla somma liquidata, a far tempo della sentenza. Lo accoglimento del ricorso determina rinvio alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione che si atterrà ai principi di diritto come sopra enunciati e provvedere anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa e rinvia anche per le spese di questo giudizio di cassazione alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione.
Roma 19 maggio 2011.
Comments are closed