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Articolo 256 Codice dell’ambiente PENALE AMBIENTALE BOLOGNA MILANO VENEZIA

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AVVOCATO PENALISTA ESPERTO CHIAMA SUBITO 051 6447838 

PENALE AMBIANTALE AVVOCATO ESPERTO SEDE BOLOGNA  LAVORA  BOLOGNA MILANO VICENZA PARMA RAVENNA ROVIGO PADOVA, VICENZA TREVISO 

La Dimensione Cruciale della Giustizia Penale Ambientale

Introduzione

La giustizia penale ambientale emerge come una delle sfide più urgenti e cruciali del nostro tempo. Mentre l’umanità si scontra con le conseguenze devastanti delle attività antropiche sul pianeta, la necessità di una risposta legale efficace e proporzionata diventa sempre più evidente. Questo articolo esplorerà la complessità della giustizia penale ambientale, analizzando le sue radici storiche, i progressi recenti e i dilemmi etici che ne derivano.

Il Contesto Storico

La consapevolezza dei danni ambientali è cresciuta nel corso dei decenni, ma solo di recente la giustizia penale ambientale ha guadagnato risonanza. Il movimento ambientalista degli anni ’60 e ’70 ha contribuito a sollevare la consapevolezza sui problemi ecologici, ma la trasformazione di queste preoccupazioni in azioni legali ha richiesto tempo. È solo negli ultimi due decenni che la comunità internazionale ha iniziato a sviluppare strumenti legali specifici per affrontare i reati ambientali.

La Crescita dei Crimini Ambientali

L’aumento dei crimini ambientali ha portato la giustizia penale a rivolgere l’attenzione su questo settore. Il degrado dell’ambiente, la deforestazione illegale, lo sversamento di rifiuti tossici e la pesca eccessiva sono solo alcune delle attività umane che minacciano gli ecosistemi globali. Questi crimini spesso attraversano confini nazionali, richiedendo una risposta globale e coordinata.

La Convenzione di Stoccolma e Altre Iniziative Internazionali

La Convenzione di Stoccolma del 1972 è stata una pietra miliare nella consapevolezza globale dell’inquinamento. Tuttavia, sono stati necessari decenni prima che gli sforzi internazionali si traducessero in strumenti giuridici specifici per affrontare i crimini ambientali. In anni più recenti, trattati come il Protocollo di Kyoto e l’Accordo di Parigi hanno ulteriormente vincolato le nazioni a impegni specifici per ridurre le emissioni di gas serra e affrontare il cambiamento climatico.

Leggi Nazionali e Regionali

Oltre agli sforzi internazionali, molte nazioni hanno sviluppato leggi specifiche per affrontare i crimini ambientali. Tuttavia, l’attuazione e l’applicazione di queste leggi variano notevolmente da paese a paese. Mentre alcuni paesi hanno sistemi legali avanzati e una rigorosa applicazione della legge ambientale, altri lottano con la corruzione e la mancanza di risorse per perseguire efficacemente i responsabili.

Il Dilemma della Penalizzazione

Un dilemma etico che affligge la giustizia penale ambientale è la questione della penalizzazione. Mentre molti sottolineano la necessità di punire severamente coloro che danneggiano l’ambiente, altri sostengono che il sistema penale non è sempre il mezzo più efficace per affrontare le questioni ambientali. Alcuni esperti sostengono che un approccio più incentrato sulla riparazione del danno e sulla responsabilità civile potrebbe essere più appropriato, incoraggiando le imprese a investire in pratiche sostenibili.

Il Ruolo delle Aziende e delle Corporazioni

Le imprese svolgono un ruolo significativo nell’attuale crisi ambientale, e la giustizia penale ambientale deve affrontare la sfida di bilanciare la necessità di punizione con la responsabilità delle imprese. Alcune multinazionali sono state perseguite per il loro impatto ambientale negativo, ma molti sostengono che il settore privato deve anche essere coinvolto in iniziative positive, come la transizione verso pratiche produttive sostenibili.

Gli Ostacoli all’Attuazione Efficace

Nonostante i progressi, numerosi ostacoli ostacolano l’attuazione efficace della giustizia penale ambientale. La mancanza di coordinamento internazionale, la corruzione in alcuni settori giudiziari, la debolezza delle leggi in molti paesi e la mancanza di risorse sono solo alcune delle sfide che devono essere affrontate.

Conclusioni e Prospettive Future

La giustizia penale ambientale è diventata una necessità indiscutibile, ma la sua attuazione rimane un compito complesso. La comunità internazionale deve lavorare insieme per sviluppare leggi e meccanismi giuridici che siano efficaci, equi e capaci di affrontare la crescente crisi ambientale. È cruciale coinvolgere il settore privato, incoraggiando le imprese a operare in modi sostenibili e responsabili. Solo attraverso un impegno globale e una risposta robusta della giustizia penale ambientale possiamo sperare di proteggere il nostro pianeta per le generazioni future.

 

Articolo 256 Codice dell’ambiente

(D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152)

[Aggiornato al 28/02/2021]

Attività di gestione di rifiuti non autorizzata


chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208209210211212214215 e 216 è punito:


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  1. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29 quattuordecies, comma 1, chiunque effettua una attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione di cui agli articoli 208209210211212214215216è punito:
  2. a) con la pena dell’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti non pericolosi;
  3. b) con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro se si tratta di rifiuti pericolosi.
  4. Le pene di cui al comma 1 si applicano ai titolari di imprese ed ai responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti ovvero li immettono nelle acque superficiali o sotterranee in violazione del divieto di cui all’articolo 192, commi 1 e 2.
  5. Fuori dai casi sanzionati ai sensi dell’articolo 29 quattuordecies, comma 1, Chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni e con l’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica la pena dell’arresto da uno a tre anni e dell’ammenda da euro cinquemiladuecento a euro cinquantaduemila se la discarica è destinata, anche in parte, allo smaltimento di rifiuti pericolosi. Alla sentenza di condanna o alla sentenza emessa ai sensi dell’articolo 444del codice di procedura penale, consegue la confisca dell’area sulla quale è realizzata la discarica abusiva se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi.
  6. Le pene di cui ai commi 1, 2 e 3 sono ridotte della metà nelle ipotesi di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni, nonché nelle ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni.
  7. Chiunque, in violazione del divieto di cui all’articolo 187, effettua attività non consentite di miscelazione di rifiuti, è punito con la pena di cui al comma 1, lettera b).
  8. Chiunque effettua il deposito temporaneo presso il luogo di produzione di rifiuti sanitari pericolosi, con violazione delle disposizioni di cui all’articolo 227, comma 1, lettera b), è punito con la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno o con la pena dell’ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro. Si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da duemilaseicento euro a quindicimilacinquecento euro per i quantitativi non superiori a duecento litri o quantità equivalenti.
  9. Chiunque viola gli obblighi di cui agli articoli 231, commi 7, 8 e 9, 233, commi 12 e 13, e 234, comma 14, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da duecentosessanta euro a millecinquecentocinquanta euro.
  10. I soggetti di cui agli articoli 233, 234, 235e 236che non adempiono agli obblighi di partecipazione ivi previsti sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da ottomila euro a quarantacinquemila euro, fatto comunque salvo l’obbligo di corrispondere i contributi pregressi. Sino all’adozione del decreto di cui all’articolo 234, comma 2, le sanzioni di cui al presente comma non sono applicabili ai soggetti di cui al medesimo articolo 234.
  11. Le sanzioni di cui al comma 8 sono ridotte della metà nel caso di adesione effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine per adempiere agli obblighi di partecipazione previsti dagli articoli 233, 234, 235e 236.

 

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Cass. pen. n. 13606/2019

Per ravvisare la responsabilità del proprietario di un terreno, sul quale viene svolta, da parte di estranei, un’illecita gestione di rifiuti, è necessaria la specificazione del contributo causale consapevolmente fornito all’attività effettuata da terzi non essendo sufficiente la colpevole inerzia del proprietario a fronte della collocazione di rifiuti. Neppure rileva, per configurare un concorso nel reato, la mancata attivazione per la rimozione dei rifiuti, in quanto la responsabilità sussiste solo in presenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento lesivo, a norma dell’art. 40, comma 2, cod. pen., e tale obbligo non può essere ravvisato nella inottemperanza all’ordinanza di rimozione dei rifiuti, in quanto provvedimento successivo all’abbandono.

Cass. pen. n. 8966/2019

Posto che la contravvenzione prevista all’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152/2006 costituisce un reato istantaneo, solo eventualmente abituale, in caso di reiterati trasporti abusivi di rifiuti la prescrizione del reato decorre dal momento in cui il singolo reato è consumato, e cioè dal prelievo e trasporto dei rifiuti in difetto dell’autorizzazione prescritta.

Cons. Stato n. 392/2019

In tema di informativa antimafia, la condanna di un soggetto per il reato di realizzazione o di gestione di una discarica abusiva, di cui all’art. 256, comma 3 del D.Lgs. n. 152/2006 può essere considerata potenzialmente strumentale agii obiettivi del crimine organizzato atteso che il settore della gestione dei rifiuti costituisce notoriamente uno dei principali ambiti di interesse e di tentativo di infiltrazione da parte della criminalità organizzata.

Cass. pen. n. 5817/2019

Nell’ipotesi di carenza dei requisiti e delle condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni, il reato di cui all’art. 256, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006 è configurabile nei soli casi in cui tale carenza sia attinente alle modalità di esercizio dell’attività, mentre, nella diversa ipotesi in cui essa si risolva nella sostanziale inesistenza del titolo abilitativo, si configura una illecita gestione che certamente sussiste quando oggetto dell’attività sono rifiuti diversi da quelli indicati nelle comunicazioni ed iscrizioni.

Cass. pen. n. 6735/2018

In tema di rifiuti, la deroga prevista dall’art. 266, comma 5, D.Lgs. n. 152 del 2006, per l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti prodotti da terzi – effettuata in forma ambulante – opera qualora ricorra la duplice condizione che il soggetto sia in possesso del titolo abilitativo per l’esercizio di attività commerciale in forma ambulante ai sensi del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114, e che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio. Sicché, l’attività di raccolta e trasporto dei rifiuti non pericolosi prodotti da terzi, effettuata in forma ambulante, non integra il reato di gestione non autorizzata dei rifiuti, ma solo a condizione, da un lato, che il soggetto sia in possesso del titolo abilitativo per l’esercizio di attività commerciale in forma ambulante e, dall’altro, che si tratti di rifiuti che formano oggetto del suo commercio (Sez. 3, n. 20249 del 7/4/2009, Pizzimenti; conf. Sez. 3, n. 39774 del 2/5/2013, Calvaruso e altro).

La condotta sanzionata dall’art. 256, comma 1, D.Lgs. n. 152 del 2006, è riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo, una attività rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, svolta anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all’esercizio di una attività primaria diversa che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità.

Cass. pen. n. 16702/2011

La disciplina relativa alla bonifica dei siti inquinati prevista dall’art. 242 del D.Lgs. n. 152 del 2006 prevede che al verificarsi di un evento che abbia la potenzialità di contaminare un sito, il responsabile dell’inquinamento debba predisporre le necessarie misure di prevenzione entro ventiquattro ore e debba comunicarlo immediatamente (ex art. 304), nonché svolgere una preliminare indagine sui parametri oggetto dell’inquinamento e provvedere al ripristino della zona contaminata, dandone notizia al comune ed alla provincia, qualora verifichi che il livello della soglia di contaminazione non sia stato superato, mentre qualora accerti il superamento di tale soglia, oltre a darne immediata notizia, descrivendo le misure adottate, deve anche presentare alle amministrazioni ed alla regione competente il “piano di caratterizzazione” del sito, al fine di determinarne l’entità e l’estensione applicando le procedure di cui ai commi 4 e seguenti dell’art. 242 (al sito viene quindi applicata la procedura di analisi del rischio specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (c.d. CSR). Quindi, le segnalazione che il responsabile dell’inquinamento è obbligato ad effettuare alle autorità indicate in base all’art. 242 è dovuta a prescindere dal superamento delle soglie di contaminazione e la sua omissione è sanzionata dall’art. 257 del medesimo decreto, il quale non punisce solo l’omessa bonifica, ma anche l’omessa segnalazione.

 

Cass. pen. n. 11487/2011

La nozione di abbandono indiscriminato di rifiuti provenienti da attività di impresa presuppone una responsabilità diretta del titolare dell’impresa nella attività di discarica. Infatti, rispetto ad una generale previsione di illiceità amministrativa della condotta come disciplina dal Decreto Legislativo 5 febbraio del 1997, n. 22, articolo 50, comma 1, oggi trasfuso nel Decreto Legislativo 3 aprile del 2006, n. 152 articolo 255, il reato di abbandono incontrollato di rifiuti ricorre quando a commetterlo sia il titolare di una impresa o il responsabile di un ente, dovendo a tale elemento attribuirsi un valore specializzante.

 

 

Cass. pen. n. 19667/2018

Il sequestro preventivo non finalizzato alla confisca implica l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa e non tra il reato e il suo autore, sicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede, se la loro libera disponibilità sia idonea a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (fattispecie relativa a sequestro preventivo di discarica abusiva realizzata su terreni di proprietà di soggetto estraneo all’abbandono).

Cass. pen. n. 5813/2018

La disciplina in materia di acque reflue trova applicazione solo se il collegamento fra ciclo di produzione e recapito finale sia diretto ed attuato, senza soluzione di continuità, mediante una condotta o altro sistema stabile di collettamento e pertanto, in assenza di tali requisiti, i reflui sono da considerarsi rifiuti allo stato liquido, soggetti alla disciplina di cui all’art. 256, D.Lgs. n. 152/2006.

Cass. pen. n. 10933/2018

La contravvenzione di cui all’art. 256, comma 4, D.Lgs. n. 152/2006 può presentarsi, in concreto, come reato istantaneo (nel caso in cui, ad esempio, alla singola inosservanza segua immediatamente la cessazione dell’attività), come reato eventualmente abituale, quando si configuri attraverso condotte reiterate, ovvero eventualmente permanente, come nei casi dianzi richiamati o, comunque quando si concreta con la protrazione nel tempo della situazione antigiuridica creata da una singola condotta.

Cass. pen. n. 17821/2018

Tanto la condotta di chi abbia utilizzato, per realizzare la recinzione di un terreno agricolo, traversine ferroviarie dismesse trattate con la sostanza denominata creosoto, quanto la condotta di chi abbia omesso di rimuovere siffatta recinzione, poste in essere in epoca precedente rispetto al momento in cui è emersa la pericolosità del creosoto, sono penalmente irrilevanti stante, da un lato, l’assenza della previsione di un divieto di utilizzo e/o di installazione di prodotti contaminati da creosoto anteriormente all’anno 2002 e, dall’altro lato, stante l’assenza di disposizioni che impongano la successiva rimozione di tali manufatti, essendo solo imposto, successivamente al 2002, di non utilizzarne di nuovi ed ulteriori rispetto a quelli per avventura già installati.

Cass. pen. n. 6717/2018

In presenza di trasgressione del titolo abilitativo perché l’attività posta in essere non è ad esso conforme e le caratteristiche materiali dell’attività avrebbero potuto giustificarne uno di contenuto diverso quanto alle prescrizioni in esso contenute, la funzione di controllo delle attività di gestione dei rifiuti che riverberano effetti esterni sull’ambiente e sulla collettività viene comunque pregiudicata e viene svuotato l’effetto giuridico del titolo autorizzativo che rende l’attività materiale posta in essere contra legem (nella specie, la condotta contestata di gestione dei rifiuti in eccedenza rispetto ai quantitativi annui autorizzati è stata sussunta nell’ipotesi di reato di cui all’art. 256, 1° comma, D.Lgs. n. 152/2006).

Cass. pen. n. 28493/2018

La contravvenzione di inosservanza delle prescrizioni contenute o richiamate nelle autorizzazioni di cui all’art. 256, comma quarto, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 è reato formale di pericolo, il quale si configura in caso di violazione delle prescrizioni imposte per l’attività autorizzata di gestione di rifiuti, sicché la valutazione in ordine all’offesa al bene giuridico protetto, vale a dire l’integrità dell’ambiente, cui accede la tutela strumentale del controllo amministrativo da parte della pubblica amministrazione, va retrocessa al momento della condotta secondo un giudizio prognostico “ex ante”, essendo irrilevante l’assenza in concreto, successivamente riscontrata, di qualsivoglia lesione al bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice (Sez. 3, n. 19439 del 17/01/2012 – dep. 23/05/2012, Miotti; Sez. 3, n. 6256 del 02/02/2011 – dep. 21/02/2011, Mariottini e altro).

 

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