ART 572 CP MALTRATTAMENTI FAMIGLIA TRIBUNALE BOLOGNA
Una minaccia proferita sotto casa de dell’ex coniuge in un contesto di grave acredine e conflittualità tra le parti, brandendo una spranga, considerata la relazione interpersonale esistente tra le parti e del turbamento psichico provocato nella p.o. spinta a chiedere l’intervento delle forze dell’ordine, configura il reato di cui all’art. 612 co. 2, non già il reato di maltrattamenti in famiglia.
Tribunale Napoli sez. V, 16/04/2021, n.3406
per l’applicazione dell’art. 572 c.p. deve esistere tra i soggetti una relazione intensa e abituale basata su comuni consuetudini di vita e di fiducia, sia in condizioni paritarie, sia di soggezione di una parte nei confronti dell’altra.
I soggetti possono essere uniti all’autore dei maltrattamenti da rapporti diversi da quelli di famiglia, come per esempio in caso di coabitazione o di convivenza, che sono concetti fra loro differenti: infatti possono esservi relazioni di convivenza senza materiale coabitazione e situazioni di coabitazione che non comportano in alcun modo convivenza.
La Suprema Corte ricorda a tal proposito la L. 20 maggio 2016, n. 76 relativa alle unioni civili tra persone dello stesso sesso: essa qualifica come “conviventi di fatto” due persone maggiorenni “unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”, senza alcun riferimento alla coabitazione.
Condotte vessatorie
Le condotte vessatorie realizzate in caso di cessazione della convivenza con la vittima, sia nel caso di separazione legale o di divorzio, sia nel caso di interruzione della convivenza allorché si tratti di relazione di fatto, integrano il reato di maltrattamenti in famiglia e non anche quello di atti persecutori, allorché i vincoli di solidarietà derivanti dal precedente rapporto intercorso tra le parti non più conviventi, nascenti dal coniugio, dalla relazione more uxorio o dalla filiazione, permangano integri o comunque solidi ed abituali nonostante il venir meno della convivenza.
Cassazione penale sez. VI, 19/05/2021, n.30129
coniuge non più convivente
Le condotte vessatorie poste in essere ai danni del coniuge non più convivente, a seguito di separazione legale o di fatto, integrano il reato di maltrattamenti in famiglia e non quello di atti persecutori, se ed in quanto i vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione permangono integri anche a seguito del venir meno della convivenza (riconosciuta, nella specie, l’ipotesi di stalking atteso che le condotte vessatorie dell’ex marito erano state attuate dopo la cessazione di qualsiasi aspettativa solidaristica tra lui e la vittima, in qualche modo fondata sul precedente legame familiare o di convivenza).
Cassazione penale sez. V, 17/03/2021, n.20861
Maltrattamenti in famiglia o minaccia aggravata: casistica
Maltrattamenti in famiglia e durata della convivenza dopo il divorzio
Il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi è configurabile nell’ipotesi in cui i maltrattamenti siano posti in essere dal marito nei confronti dell’ex moglie, non rilevando in sé e per sé la durata della convivenza tra i due dopo il divorzio, quanto piuttosto l’esistenza di una stabile relazione affettiva tra l’imputato e la persona offesa, relazione che ha creato reciproco affidamento e aspettative di assistenza, protezione e solidarietà.
Cassazione penale sez. VI, 22/02/2018, n.19868
Reato di maltrattamenti in famiglia: quando può configurarsi?
Il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato anche quando non vi sia più la convivenza, laddove siano condotte violente minacciose idonee ad un regime di vita penoso.
(Nel caso specie, il marito non solo aveva lasciato il lavoro, ingiuriato e minacciato di morte e la ex moglie cercandola vessandola nel luogo, vessandola ed umiliandola anche dinnanzi ai figli ai minori, ma l’aveva lasciata priva di sostentamento economico per sé e per i figli).
Tribunale Chieti, 13/09/2018, n.992
- a) art. 572 c.p. perché maltrattava la convivente Ga.Si. offendendola continuamente, minacciandola di morte con un coltello e in più occasioni picchiandola con calci e pugni in varie parti del corpo.
- b) artt. 81 cpv, 56, 614 4° comma c.p., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, s’introduceva e in una seconda occasione tentava d’introdursi nell’abitazione di Ga.Si. contro la sua volontà, non riuscendovi per l’intervento della parte offesa.
- c) art. 614 co. 4 c.p. perché s’introduceva nell’abitazione di Ga.Si. contro la sua volontà.
- d) art. 582 c.p. perché procurava a Ga.Si. lesioni personali giudicate guaribili in giorni tre, sferrandole un pugno sul viso.
- c) art. 658 c.p. perché, richiedendo l’intervento della Polizia affermando che qualcuno aveva sparato diversi colpi d’arma da fuoco, suscitava allarme nelle forze dell’Ordine che intervenivano nell’immediatezza.
Tribunale Bologna, Sent., 20/06/2011, n. 2430
Nel periodo marzo 2008 – agosto 2008 Ga.Si., madre di una bambina che allora aveva tre anni, conviveva con Ca.Ma., nell’abitazione di costei sita in omissis; la convivenza durò fino al 2010. In detto periodo si verificarono frequenti liti (“spesso capitavano liti, liti non solo magari verbali”), nel corso delle quali Ga.Si. veniva ingiuriata (con parole come “troia, puttana”), minacciata (“ti faccio vedere io”, “se non mi apri ti aspetto sotto casa”, “ti ammazzo”) e percossa (con un pugno, il lancio di un accendino, i capelli tirati, una presa alla gola), al punto di riportare lesioni. Ca.Ma. abusava di alcol e questo era uno dei motivi delle predette liti, che causavano in Ga.Si. uno stato di ansia, di agitazione e paura.
In varie occasioni Ca.Ma. cercò di entrare o entrò clandestinamente e con violenza nell’abitazione di Ga.Si. In particolare: il giorno omissis Ca.Ma. tentava di entrare nella suddetta abitazione forzando una finestra; il giorno omissis l’imputato entrava dalla stessa finestra sebbene Ga.Si. cercasse di impedirglielo cercando di chiuderla ed il giorno omissis, nonostante la donna gli avesse detto che non voleva farlo entrare, il prevenuto sfilò gli scuri della finestra dal loro alloggiamento e si introdusse in casa.
Il omissis, dopo il rifiuto di Ga.Si. di farlo entrare in casa, Ca.Ma. chiese l’intervento della Polizia dicendo falsamente che ella gli stava sparando.
La persona offesa – che in data 27.11.2008 ha rimesso tutte le querele presentate nei confronti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI BOLOGNA
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Il Giudice Dott. Paola Palladino
all’udienza dibattimentale del 20.06.2011
Con l’intervento del P.M. Dott. VPO Rosetta Bertucci
e con l’assistenza del cancelliere Dott. Davide Dell’Anna
ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
Nei confronti di:
CA.MA.
nato omissis
Ivi residente – via omissis
elettivamente domiciliato c/o lo studio dell’Avv. Gi.Mu. del foro di Bologna
IMPUTATO
- a) art. 572 c.p. perché maltrattava la convivente Ga.Si. offendendola continuamente, minacciandola di morte con un coltello e in più occasioni picchiandola con calci e pugni in varie parti del corpo.
- b) artt. 81 cpv, 56, 614 4° comma c.p., perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, s’introduceva e in una seconda occasione tentava d’introdursi nell’abitazione di Ga.Si. contro la sua volontà, non riuscendovi per l’intervento della parte offesa.
- c) art. 614 co. 4 c.p. perché s’introduceva nell’abitazione di Ga.Si. contro la sua volontà.
- d) art. 582 c.p. perché procurava a Ga.Si. lesioni personali giudicate guaribili in giorni tre, sferrandole un pugno sul viso.
- c) art. 658 c.p. perché, richiedendo l’intervento della Polizia affermando che qualcuno aveva sparato diversi colpi d’arma da fuoco, suscitava allarme nelle forze dell’Ordine che intervenivano nell’immediatezza.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con decreto ex art. 429 c.p.p. emesso in data 15.4.2009, Ca.Ma. era rinviato a giudizio per rispondere dei reati di cui agli artt. 572, 81 cpv. – 56 – 614 comma 4, 614 comma 4 e 658 c.p., come meglio specificato nei capi d’imputazione.
In sede di udienza preliminare, le parti concordavano l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di vari atti e documenti, fra cui: denuncia di Ga.Si. in data 2.8.2008 e successive integrazioni, annotazioni e relazioni di servizio della locale Questura, certificati medici rilasciati a Ga.Si., verbale di s.i.t. di Ar.Gi., verbale di interrogatorio di Ca.Ma. in data 28.11.2008 (cfr. verbale di udienza preliminare del 15.4.2009).
Entro il termine di cui all’art. 491 comma 1 c.p.p. le parti non sollevavano alcuna eccezione di nullità dei capi d’imputazione sub b) e c) per insufficiente enunciazione dei fatti ivi contestati.
Nel corso del dibattimento venivano esaminati i testi Ga.Si., Ca.Ni., Ri.Gi. e Ga.Fa.
Dalla testimonianza della persona offesa si evince quanto segue.
Nel periodo marzo 2008 – agosto 2008 Ga.Si., madre di una bambina che allora aveva tre anni, conviveva con Ca.Ma., nell’abitazione di costei sita in omissis; la convivenza durò fino al 2010. In detto periodo si verificarono frequenti liti (“spesso capitavano liti, liti non solo magari verbali”), nel corso delle quali Ga.Si. veniva ingiuriata (con parole come “troia, puttana”), minacciata (“ti faccio vedere io”, “se non mi apri ti aspetto sotto casa”, “ti ammazzo”) e percossa (con un pugno, il lancio di un accendino, i capelli tirati, una presa alla gola), al punto di riportare lesioni. Ca.Ma. abusava di alcol e questo era uno dei motivi delle predette liti, che causavano in Ga.Si. uno stato di ansia, di agitazione e paura.
In varie occasioni Ca.Ma. cercò di entrare o entrò clandestinamente e con violenza nell’abitazione di Ga.Si. In particolare: il giorno omissis Ca.Ma. tentava di entrare nella suddetta abitazione forzando una finestra; il giorno omissis l’imputato entrava dalla stessa finestra sebbene Ga.Si. cercasse di impedirglielo cercando di chiuderla ed il giorno omissis, nonostante la donna gli avesse detto che non voleva farlo entrare, il prevenuto sfilò gli scuri della finestra dal loro alloggiamento e si introdusse in casa.
Il omissis, dopo il rifiuto di Ga.Si. di farlo entrare in casa, Ca.Ma. chiese l’intervento della Polizia dicendo falsamente che ella gli stava sparando.
La persona offesa – che in data 27.11.2008 ha rimesso tutte le querele presentate nei confronti dell’imputato, che in udienza ha reso dichiarazioni palesemente dirette a ridimensionare le responsabilità di costui e che ha pure affermato di aver falsamente detto ai Carabinieri di essere stata minacciata con un coltello (motivo per cui sono già stati trasmessi gli atti alla locale Procura) – deve essere ritenuta attendibile.
Infatti, quanto dichiarato da Ga.Si. in udienza trova numerosi riscontri non solo nelle dichiarazioni dei testimoni esaminati (tutti appartenenti alle forze dell’ordine, che hanno riferito sui numerosi interventi fatti presso l’abitazione della donna, sempre trovata in preda alla paura per sé per la piccola figlia), ma negli atti e nei documenti che sono stati inseriti nel fascicolo per il dibattimento ex art. 431 comma 2 c.p.p. e che, pertanto, sono pienamente utilizzabili.
Invero, le reiterate e continue minacce, ingiurie e violenze subite da Ga.Si. ad opera dell’imputato (e protrattesi anche per periodo successivo a quello di cui all’imputazione), nonché le violazioni di domicilio fatte dallo stesso ed il falso allarme procurato il omissis, trovano piena prova nei seguenti atti e documenti:
– denuncia-querela presentata da Ga.Si. in data 2.8.2008 presso la Questura di Bologna (“dal mese di aprile il rapporto con l’uomo si incrinava fino a giungere al punto che lo stesso prendeva l’abitudine di minacciarmi con oggetti atti ad offendere ed a picchiarmi, il tutto a causa del suo continuo stato di ebbrezza alcolica. Dopo l’ennesimo episodio di violenza, circa un mese fa, fui costretta a recarmi presso l’ospedale omissis a curarmi le ferite causate dal CA. durante una lite… (omissis)… Circa una settimana fa, lo stesso CA., si è reso protagonista di un altro fatto violento nei miei confronti cercando di entrare a casa mia con la forza tanto da obbligarmi a chiamare il 113… (omissis)… In data odierna, intorno alle ore 01,30, dopo aver trascorso la serata insieme, mentre ci trovavamo nei pressi della “baracchina” di Via omissis, si scatenava l’ennesima lite, dovuta sempre al suo stato di ebbrezza alcolica. In tale circostanza, senza alcun motivo apparente, il CA. iniziava ad offendermi e ad ingiuriarmi pronunciando le seguenti parole: “PUTTANA, MIGNOTTA, VAI A CASA PRIMA CHE TI AMMAZZO”. Il tutto avveniva ponendomi le mani alla gola”;
– integrazioni di denuncia presentate presso la Questura di Bologna in data 1.9.2008 ad ore 18,10 e ad ore 19,20 (“in data odierna verso le ore 01.00 circa mi trovavo nel mio appartamento con mia figlia sito al piano rialzato in via omissis; improvvisamente sentivo che la finestra della camera da letto si apriva e dopo essermi avvicinata mi accorgevo della presenza del mio ex fidanzato CA.Ma… (omissis) … che stava tentando di introdursi in casa. Immediatamente gli intimavo di non entrare e di andare via… (omissis) … nuovamente gli chiedevo di andarsene ma lui insisteva che voleva parlarmi, insultandomi ad alta voce con frasi ingiuriose, ossia “PUTTANA, TROIA “. Nel mentre che tentavo di chiudere la finestra, lui con una forte spinta riusciva ad aprirla totalmente, riuscendo così ad introdursi in casa… (omissis) … Presa dal panico continuavo a gridare ma il CA.Ma., irritato, mi sferrava un pugno in faccia e scappava via dalla finestra della cucina”);
– integrazione di denuncia presentata presso la Questura di Bologna in data 6.9.2008 (“in data 04.09.2008, in serata, il CA.Ma. si presentava ubriaco presso la mia abitazione di via omissis, sotto la finestra di casa, profferendomi le testuali frasi: “PUTTANA APRI, TI SPACCO TUTTA, TI AMMAZZO, SEI UN INFAME, TI SPARO, SONO ARMATO” … (omissis) … Di fatto il CA. mi impedisce di svolgere una normale vita quotidiana, di usufruire della mia abitazione per ragioni di sicurezza personale e di fatto costringendomi, nonostante non abbia alcun titolo, di recarmi presso abitazioni di amici”);
– denuncia presentata in data 1.10.2008 presso il Commissariato di P.S. omissis (il 22.9.2008, dopo che Ga.Si. aveva detto al prevenuto di allontanarsi dalla sua casa altrimenti avrebbe chiamato la Polizia, costui “di rimando affermava: “adesso di faccio vedere io … ora chiamo io la Polizia” e nel profferire queste parole correva come se fosse in fuga e si nascondeva dietro alcune siepi urlando in preda alla pazzia: “Mi stai sparando… “. Poco dopo giungeva una volante del 113”);
– denunce in data 3.11.2008 e 16.3.2009;
– certificati medici del Pronto Soccorso dell’Ospedale omissisin data 22.5.2008 (“trauma contusivo dell’emicostato”), in data 1.9.2008 (“trauma policontusivo”), in data 29.10.2008 (“trauma cranio facciale con vasto ematoma orbitario sinistro e avulsione parziale di due elementi dentali”), in data 14.3.2009 (“trauma cranico lieve contusione lombare”);
– annotazioni e relazioni di servizio di agenti di Polizia di Stato in data omissis;
– verbale di interrogatorio di Ca.Ma. in data 28.11.2008 avanti al G.I.P. del Tribunale di Bologna, ove lo stesso ha dichiarato: “La Ga. ha rimesso le querele; ho sbagliato; credevo che lei mi tradisse ed io sono geloso. A luglio 2006 sono uscito dal carcere; conoscevo già la Ga.; abbiamo iniziato una relazione sentimentale fra il 2006-2007, abbiamo anche convissuto per più di un anno in via omissis. Ammetto gli addebiti, conosco le mie colpe .. .(omissis)… Mi è capitato di bere saltuariamente e proprio in queste circostanze ho esagerato… (omissis)…. E’ vero che l’ho picchiata, ma solo con le mani … (omissis) … Nell’arco di 6-7 mesi ho alzato le mani circa tre volte. Ho sbagliato, ero geloso. Nonostante la misura cautelare a cui sono sottoposto io e la Ga. continuiamo a vederci, la relazione sta continuando, infatti lei ha già rimesso le querele. Può essere che io sia riuscito ad entrare una volta dalla finestra. E’ stato quando avevamo litigato e lei non voleva farmi entrare in casa”.
Sulla base del compendio probatorio sopra delineato deve ritenersi pienamente provata la penale responsabilità dell’imputato per tutti i reati ascrittigli così come contestati, con la sola eccezione dell’episodio di violazione di domicilio del 9.9.2008, rispetto al quale non risulta provata l’aggravante della violenza (la persona offesa, infatti, in udienza ha riferito di non ricordare se in quell’occasione fu o meno picchiata).
Non può, dunque, procedersi per il reato di cui all’art. 614 c.p. commesso in data 9.9.2008, essendo intervenuta remissione di querela in data 27.11.2008 (cfr. verbale redatto in tale data presso la Stazione Carabinieri di omissis) ed accettazione all’udienza in data 28.2.2011.
Nei fatti sopra esposti sono, invece, ravvisabili tutti gli elementi delle altre fattispecie delittuose contestate, che sono procedibili d’ufficio.
In particolare, riguardo al reato di cui al capo a), si osserva quanto segue.
Risulta dagli elementi sopra indicati che l’imputato ha posto in essere per un considerevole arco di tempo tutta una serie di atti (di disprezzo, di minaccia e di violenza) certamente lesivi dell’integrità psico-fisica della convivente Ga.Si., nei confronti della quale è stata posta in essere una condotta di sopraffazione abituale e sistematica, tale da rendere la convivenza intollerabile (tanto che Ga.Si. ha riferito di uno stato d’ansia e di agitazione, nonché di temere per la propria incolumità personale: cfr. denunce in atti). Una simile condotta integra pacificamente il delitto di cui all’art. 572 c.p. (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 27 maggio 2003, n. 37019; Cass. Pen., Sez. VI, 4 dicembre 2003, n. 7192).
Quanto all’elemento soggettivo, non vi è dubbio che l’imputato abbia avuto la coscienza e volontà di compiere le condotte contestategli e di sottoporre Ga.Si. ad una serie di vessazioni e lo stesso prevenuto ha spiegato (in sede di interrogatorio) di averlo fatto per motivi di gelosia, soprattutto dopo aver bevuto (sulla sufficienza, ai fini del dolo, della consapevolezza di persistere in un’attività vessatoria, cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 14 luglio 2003, n. 33106 e Cass. Pen., Sez. VI, 18 febbraio 2010, n. 16836, ovvero della coscienza e volontà di sottoporre la vittima a sofferenze fisiche e morali in modo abituale, cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 18 marzo 2008, n. 27048).
In relazione al reato commesso in data 24.7.2008 di cui al capo b), si rileva che Ga.Si. in udienza ha chiaramente riferito che il 24.7.2008 Ca.Ma. tentò di entrare nella sua abitazione forzando una finestra e danneggiando la stessa: detta condotta – certamente intenzionale per le modalità con cui è stata realizzata – integra pienamente la fattispecie di cui agli artt. 56, 614 comma 4 c.p. in relazione all’ipotesi della violenza sulle cose.
Riguardo al reato di cui al capo c), si osserva che la persona offesa ha riferito che il giorno 1.9.2008 l’imputato entrò dalla stessa finestra con una forte spinta sebbene ella tentasse di impedirglielo cercando di chiuderla: tale condotta – della cui volontarietà non può dubitarsi per le modalità di realizzazione e per il contesto in cui si inserisce – configura il delitto di cui all’art. 614 comma 4 c.p. aggravato dalla violenza alla persona (essendo la spinta diretta contro la persona offesa che cercava di richiudere la finestra).
In ordine alla contravvenzione di cui al capo e), la stessa risulta pienamente provata sulla base di quanto riferito sia dalla persona offesa sia dal teste Ga.Fa. (in servizio presso il Commissariato di P.S. omissis): il 22.9.2008 quest’ultimo intervenne perché l’imputato aveva denunciato che gli sparavano addosso, ma sul posto non vi era nessuno che sparava e poco prima lo stesso imputato aveva detto a Ga.Si. che avrebbe chiamato la Polizia, quindi si era messo a correre, urlando che gli sparavano.
Così affermata la penale responsabilità di Ca.Ma. per tutti i suddetti reati, va rilevato che gli stessi appaiono commessi in esecuzione di un medesimo disegno (vessare Ga.Si.) e pertanto deve applicarsi il disposto di cui all’art. 81 cpv. c.p. (per la configurabilità della continuazione in caso di reati puniti con pene eterogenee e di specie diversa, cfr. Cass. Pen., Sez. I, 4.6.2004, n. 28514; Cass. Pen., Sez. I, 2.4.2009, n. 15986).
Quanto al trattamento sanzionatorio, esclusa la concedibilità delle attenuanti generiche in carenza di elementi che possano giustificarle, si deve determinare la pena finale in anni due e mesi sei di reclusione, avuto riguardo – nell’ambito della complessiva e comparativa applicazione di tutti i parametri di cui all’art. 133 c.p. – in particolare alla gravità dei fatti ed alla personalità dell’imputato quale si desume dai suoi precedenti penali. Tale pena è così calcolata: ritenuto più grave il reato di cui al capo a), pena base di anni due di reclusione, aumentata ex art. 81 cpv. c.p. di mesi tre di reclusione per il reato di cui al capo a), mesi due di reclusione per il reato tentato di cui al capo b) e mesi uno di reclusione per il reato di cui al capo e).
Dalla condanna deriva l’obbligo, per l’imputato, di provvedere al pagamento delle spese processuali.
I precedenti penali dell’imputato sono ostativi all’applicazione del beneficio di cui all’art. 163 c.p.
P.Q.M.
Visti ed applicati gli artt. 533 e 535 c.p.p.,
dichiara Ca.Ma. responsabile dei reati ascrittigli ai capi a), b) limitatamente al reato di cui agli artt. 56, 614 comma 4 c.p. commesso il 24.7.2008, c) ed e) e, ritenuta la continuazione, lo condanna alla pena di anni due e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali;
visti gli artt. 152 c.p., 521 e 531 c.p.p.,
esclusa l’aggravante di cui all’art. 614 comma 4 c.p. in relazione al reato di cui al capo b) commesso il 9.9.2008, dichiara non doversi procedere nei confronti di Ca.Ma. per detto reato, essendo estinto per intervenuta remissione di querela.
Conclusione
Così deciso in Bologna, il 20 giugno 2011.
Depositata in Cancelleria il 20 giugno 2011.
Tribunale Bologna, Sent., 09/07/2013, n. 2908
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI BOLOGNA
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Il Giudice dott. ssa GRAZIA NART
all’ udienza dibattimentale del 9/7/2013
Con l’intervento del P.M. Dott. (…)
e
con l’assistenza del (…)
ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo e della motivazione
la seguente
SENTENZA
SENTENZA DIBATIMENTALE
Nei confronti di:
S.A.
nato il (…) a B.
(…)
(…)
(…)
IMPUTATO
del delitto p. e p. dall’art. 572 c.p. perché maltrattava la convivente, D.S., con condotta consistita nel percuoterla, minacciarla ed ingiuriarla in più occasioni, anche alla presenza del di lei figlio e talvolta di più persone.
In Bologna in epoca anteriore e prossima al 21 settembre 2009.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
S.A. veniva tratto a giudizio avanti a questo Tribunale con decreto emesso in data 23.3.2011, ritualmente notificato, per rispondere del reato di cui all’ art. 572 c.p., meglio descritto nel capo di imputazione e, non comparendo al dibattimento, veniva giudicato in contumacia.
All’esito dell’istruttoria dibattimentale – nel corso della quale veniva escussa la parte offesa D.S. e venivano acquisiti documenti – l’imputato deve essere assolto dal reato a lui contestato.
Sulla base delle dichiarazioni dei testi escussi i fatti possono essere ricostruiti come segue.
Dalla querela sporta da D.S. il 22 settembre 2009 e dagli altri atti acquisiti ex art. 493 co. 3 c.p.p. si evince che il giorno 21.9.09 S.A., mentre si trovava all’interno del bar degli “Elfi” sito in Bologna in via A. Costa in evidente stato di ebbrezza alcolica, andava in escandescenze offendendo la compagna D.S. con epiteti quali “puttana, stroma, sei una gran merda” anche alla presenza del figlio di nove anni della stessa Danesi ed inoltre scagliava vari oggetti, tra cui uno sgabello, nei confronti dei dipendenti del locale ed infine si scagliava anche contro D.S., afferrandola per i capelli. L’imputato si calmava solo a seguito dell’intervento delle forze dell’ordine. Successivamente D.S. accusava un mancamento e perdeva i sensi. Per questo veniva trasportata in ospedale dove venivano diagnosticate lesioni guaribili in gg. 3. In sede di denuncia D.S. dichiarava di intrattenere un rapporto sentimentale di convivenza con S.A. da circa un anno, rapporto contrassegnato da numerosi episodi violenti attuati dall’imputato tali da essere costretta a fare intervenire ripetutamente la Polizia (cfr. querela sporta da D.S. in data 22.9.09, certificato medico, relazione di servizio del 22.9.09 e del 16.7.09 a firma dell’Ass. capo Brondolino Marco, s.i.t. di G.M.).
Successivamente, in data 7 ottobre 2009, D.S. rimetteva la denuncia querela da lei sporta il 22.9.09.
Escussa in dibattimento, D.S., pur confermando l’episodio del 22.9.09 così come sopra descritto ed anche il verificarsi talvolta di alcune violente liti soprattutto verbali dovute al costante utilizzo di bevande alcoliche e di stupefacenti, tuttavia riferiva che tali episodi si verificavano occasionalmente e che in sede di denuncia ella aveva enfatizzato i fatti perché esasperata dalla convivenza.
All’esito dell’istruttoria dibattimentale il P.M. ed il difensore concludevano come da verbale.
Orbene, non sussiste infatti il reato di cui all’art. 572 c.p. attesa la episodicità degli atti lesivi che non risultano inquadrabili in una cornice unitaria caratterizzata dall’imposizione di un regime di vita oggettivamente vessatorio al soggetto passivo (Cass. Pen. Sez. 6, sent. n. 45037 del 2/12/10). Nel loro insieme, essi non appaiono tali da rivestire i caratteri dell’abitualità e continuità di condotte finalizzate in modo programmatico all’imposizione di sofferenze fisiche e morali.
Difettando tale requisito, che costituisce elemento essenziale della fattispecie di cui all’art. 572 c.p. (Cass. Sez. I, 24.9.96, n. 8618; Cass. Sez. V, 28.2.92, n. 2130), manca la materialità del delitto.
Dal compendio probatorio sopra delineato risultano provati i reati di cui all’ 582 c.p. in relazione all’episodio del 21.9.09, così riqualificato il reato di cui all’art. 572 c.p., oltre al reato di cui agli art. 594.
Tuttavia per tali reati la querela è stata rimessa in data 7.10.09.
Ne consegue l’assoluzione dell’imputato con la formula di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Visto (…) art. 521, 531 c.p.p. e 340 c.p.p.
DICHIARA
non doversi procedere nei confronti dell’imputato per i reati di cui agli art. 582 c.p. in relazione all’episodio del 21.9.09, così riqualificato il reato di cui all’art. 572 c.p., oltre al reato di cui all’ art. 594 c.p., per estinzione dei reati per intervenuta remissione di querela, con spese a carico del querelato.
Conclusione
Così deciso in Bologna , il 9 luglio 2013.
Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2013.
Tribunale Bologna, Sent., 14/04/2014, n. 555
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Quanto all’elemento oggettivo del reato, tenuto conto che esso costituisce la privazione di libertà di locomozione apprezzabile e giuridicamente valutabile ai sensi dell’art. 605 c.p., non rientra in esso solo il comportamento tenuto nella prima occasione di privazione della libertà di autodeterminazione in ordine al viaggio in Macedonia, che come si è visto è accaduta la prima volta, ma anche il fatto, avvenuto in tutte e due le occasioni, di impedire il rientro in Italia mediante la privazione dei documenti a ciò necessari e con l’attività di controllo demandata anche ad altri membri della famiglia tenuti in Macedonia nel quale la ragazza cresciuta in un ambiente diverso e estraneo era sostanzialmente priva della possibilità di chiedere liberamente aiuto come invece le era possibile in Italia.
Del dolo del reato questo è chiaramente esistente se sol si pensi che in ambedue i casi la volontà di privazione della libertà che è stata tenuta che i fatti dimostrano essere stata presente, già di per sé sufficiente per la sussistenza dell’elemento psicologico del reato (vedi Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 19548 del 17/04/2013 ud. dep. il 07/05/2013), era diretta a prevaricare la volontà della figlia in ordine al destino che essa voleva dare alla sua vita.
È appena il caso di notare, non essendo stato ciò sostenuto da nessuno nel corso della discussione, che non vi è rapporto di specialità tra i reati di maltrattamenti in famiglia e di sequestro di persona che possono dunque concorrere (vedi Cass. Pen. Sez. 1, Sentenza n. 18447 del 02/05/2006 ud., dep. il 25/05/2006).
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI BOLOGNA
IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA
Il Giudice dott. Sandro Pecorella
all’udienza dibattimentale del 11/2/2014 con l’intervento del P.M. dott. Govoni e con l’assistenza del Cancelliere Castellano
ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
XX , nato il (omissis)/(omissis)/(…) in M. (presente)
WW , nata il (omissis)/ (omissis)/(…) in M. (presente)
IMPUTATI
- a) dei delitti previsti e puniti dagli artt. 110, 81 c.p.v., 572 e 605, secondo capoverso prima parte, c.p. perché, in concorso tra loro, nell’ambito del medesimo disegno criminoso con il delitto che segue, maltrattavano la figlia JJ (nata il (omissis)/(omissis)/(…)) ed in particolare la minacciavano di gravi, ingiusti mali (anche la morte) ove non avesse acconsentito al matrimonio con un connazionale, impedendole una normale vita sociale e scolastica, impedendole le relazioni affettive, ingiuriandola, dicendole che era una prostituta e che era la loro vergogna, sottoponendola a continue vessazioni psicologiche tanto da indurla a tentare due volte il suicidio (a fine agosto del 2006 tagliandosi i polsi e qualche giorno dopo, il 30 agosto, gettandosi da un’altezza di cinque metri in (omissis) – Terni – fatto per il quale derivavano lesioni giudicate guaribili in giorni sette) nonché privandola della libertà personale, per due volte (nel gennaio del 2008 e nel gennaio del 2009) conducendola con l’inganno in Macedonia, ed ivi trattenendola, per costringerla a contrarre matrimonio con un cittadino macedone, impedendole il rientro in Italia, a tal fine requisendole i documenti di espatrio;
- b) dei delitti previsti e puniti dagli artt. 110, 81 c.p.v., 610, 56 e 610 c.p. perché, nell’ambito del medesimo disegno criminoso con i delitti che precedono e con quello che segue, in concorso tra loro, costringevano la figlia JJ a cessare la relazione sentimentale con B(omissis) E(omissis) H(omissis), con minacce di gravi ingiusti mali anche a costui e alla sua famiglia, e compivano, con minaccia e con le condotte descritte al capo a), atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere la predetta JJ a contrarre matrimonio con un cittadino macedone.
Fatti commessi in epoca antecedente e prossima all’agosto del 2006 sino al 5 febbraio 2009 in Granarolo dell’Emilia (Bologna), (omissis) (frazione di Granarolo dell’Emilia) (Bologna), (omissis) (Terni) e Castel Maggiore (Bologna).
XX
- c) del delitto previsto e punito dagli artt. 612 bis e 81 c.p.v. c.p. perché, nell’ambito del medesimo disegno criminoso con i delitti che precedono, reiterava condotte di persecuzione nei confronti della figlia JJ, tentando ripetutamente di contattarla sul posto di lavoro – anche a mezzo di terze persone – e determinando nella parte offesa il fondato timore per la sua incolumità.
Fatto commesso dal 13 aprile 2010 permanente attualmente in Bologna.
In esito all’odierna udienza, sentiti:
il P.M. che ha concluso come in atti;
il difensore avv. Marco Caroppo di fiducia per entrambi, che ha concluso come in atti.
Il processo.
In seguito ad udienza preliminare, con decreto che dispone il giudizio del 16 febbraio 2011, il G.U.P. del Tribunale di Bologna ha disposto il giudizio nei confronti dei sigg.ri XX e WW per i delitti di maltrattamenti in famiglia, sequestro di persona, violenza privata, tentata violenza privata e atti persecutori (stalking) a loro rispettivamente ascritti come in imputazione indicati.
Gli imputati inizialmente non si sono presentati e si è proceduto nella loro dichiarata contumacia. All’ultima udienza si sono presentati per rendere esame e la dichiarazione di contumacia è stata revocata.
La prescrizione è stata sospesa due volte, dal 20 marzo 2012 al 18 settembre 2012 e poi dal 18 settembre 2012 al 14 maggio 2013 per l’adesione del Difensore ad astensioni dalle udienze disposta quale forma di protesta da parte di organismo rappresentativo degli avvocati.
La sig.ra JJ, figlia degli imputati, si è costituita Parte Civile.
Si è proceduto a dibattimento e nel corso di questo sono stati ascoltati i testimoni indicati dalle parti ed è stata acquisita documentazione relativa anche all’intervento dei Servizi Sociali e del Dipartimento di Salute Mentale. È da precisare che nel corso delle testimonianze in seguito alla indicazione del nominativo di una persona a conoscenza di alcuni fatti, la Difesa ha fatto anche citare costui come testimone, ricorrendo il caso previsto dall’art. 493 comma 2 c.p.p.
Gli imputati hanno accettato di rendere esame.
Esaurita l’assunzione dei mezzi di prova, è stato dichiarato chiuso il dibattimento, utilizzabili gli atti assunti al fascicolo del dibattimento ed è stata disposta la discussione. Svoltasi la medesima il processo è stato deciso come da dispositivo letto in udienza. La Parte civile ha ritualmente depositato conclusioni scritte.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
La vicenda è avvenuta nell’ambito di un nucleo familiare originario della Macedonia trasferitosi in Italia per motivi di lavoro. In Italia hanno abitato a Forlì, a Perugia, poi in un comune del bolognese e, infine, di nuovo in Umbria, in una piccola frazione di Narni. I due imputati sono marito e moglie e la vittima dei reati per i quali è processo è loro figlia.
I fatti accaduti descritti dalla persona offesa, sig.ra JJ, costituita Parte civile, sono gravi, soprattutto perché, nel corso del lungo periodo di tempo nel quale si è dipanata la vicenda, questi fatti dimostrano negli imputati una grande determinazione nel perseguire a tutti i costi e con ogni mezzo un progetto di vita non condiviso dalla loro figlia, JJ, che, già prima della commissione della serie dei più gravi reati, aveva mostrato di soffrire così tanto per quello che i genitori volevano da lei da dare segni di disagio evidenti, tanto da sfociare in atti di autolesionismo.
La persona offesa, che ora ha una vita completamente autonoma, tanto da essere madre ella stessa e da condividere la vita con il padre di suo figlio, con il quale sta per sposarsi, è stata sentita nel corso delle udienze del 14 maggio 2013 (pag. da 122 a 157 della trascrizione), 28 maggio 2013 (pag. da 12 a 100 della trascrizione) e, infine, brevemente, l’11 febbraio 2014 (pag. da 72 a 76 della trascrizione).
La Parte Civile nel corso delle audizioni ha riferito sostanzialmente di tutta la sua vita ed ha ritenuto di dire di non avere avuto un infanzia felice: ricorda che suo padre, secondo lei beveva ed era spesso ubriaco e tante volte non era neppure a casa per motivi di lavoro.
La teste ricorda di avere abitato in vari luoghi d’Italia. Lei e la famiglia avevano abitato a Forlì circa otto anni, dove aveva iniziato le scuole elementari, poi, per un anno, si erano trasferiti a Perugia, dove la teste ha fatto la quinta elementare e poi nel bolognese, in particolare a (omissis), frazione di Granarolo dell’Emilia, dove la teste ha fatto le scuole medie e i primi anni di scuola superiore, fino a terminare l’obbligo scolastico. È stato (omissis) recte : la frazione di Granarolo dell’Emilia appena citata ; NdRedattore il luogo dove il conflitto tra lei e i genitori si è manifestato, pur tuttavia sussistendo già in precedenza i presupposti perché ciò potesse avvenire.
Infatti, secondo la tesi sostenuta dalla teste, suo padre aveva trasferito la famiglia in Italia solo perché qui lui aveva trovato lavoro, ma avrebbe voluto gestire la famiglia come era d’uso in Macedonia e dunque (pag. 130) “nello stesso tempo pensava di gestire la cosa tenendomi in casa, di non farmi uscire”. Pensava per lei un futuro simile a quello della madre e cioè che (come infatti ha fatto la madre), non lavorasse e pensasse soltanto a gestire la casa dell’uomo che i genitori avrebbero sostanzialmente scelto per lei come marito.
La teste ha riferito che i primi problemi sono insorti quando ormai adolescente avrebbe voluto svolgere una vita più simile alle sue coetanee che aveva avuto modo di conoscere andando alla scuola dell’obbligo e che avevano possibilità di uscire di casa anche da sole, cosa che le era precluso. Ha detto la teste che per il fatto che la sua famiglia è di altra religione, i suoi famigliari non volevano che frequentasse amicizie italiane. A ciò si è aggiunto il fallimento scolastico che è stato, secondo il racconto della teste, quasi auspicato dai suoi genitori. Ha detto che lei non aveva certamente molta voglia di studiare, ma che la famiglia aveva comunque così tanti problemi che lei non era molto aiutata nello studio.
Infatti, se da una parte il padre aveva smesso di bere, superando i precedenti problemi, dall’altra era subentrata una malattia nervosa della madre, con una componente epilettica pare, che l’ha spesso portata a subire ricoveri in ospedale.
Suo padre nell’ultimo periodo nel quale la teste è andata a scuola, coincisa con la fine dell’obbligo scolastico, nonostante fosse già grande, non voleva neppure che ella tornasse a casa da sola perché non aveva piacere che uscisse da sola: infatti per lui tutte le ragazze che uscivano di casa da sole erano delle poco di buono.
Alla fine di quel periodo, ha detto la teste, i suoi hanno smesso di mandarla a scuola, considerato anche che lei era stata bocciata e lei, sentendo i discorsi che facevano in casa, temeva che la portassero in Macedonia per farla fidanzare prima e sposare poi con un ragazzo del suo paese.
In particolare ha detto che nel momento che stava smettendo di andare a scuola (pag. 125 della trascrizione), sapendo gli usi del suo paese d’origine, fece delle domande in proposito ed ha avuto conferma che quello era ciò che i suoi genitori avevano pensato per lei.
Ritiene lo scrivente che bene esprima ciò che ha vissuto JJ in proposito quanto da lei detto che è riportato a pag. 124 della prima trascrizione del 14 maggio: “Non è giusto, perché comunque io sono cresciuta qua, io … è come se io fossi italiana da una parte, la maggior parte proprio e non è giusto che io devo fare delle scelte che non mi sento di fare. Perché, comunque, la vita la devo vivere io e la persona accanto a me la devo scegliere io”.
La teste ha riferito che vivendo questo suo profondo sentimento, pensava che nessuno poteva aiutarla ed è arrivata al punto di tentare il suicidio.
Ha riferito che ha tentato di tagliarsi le vene con un coltello. In quel periodo le era assolutamente impedito di uscire di casa: al massimo le era concesso un giro di dieci minuti nel cortile sotto casa. Anche quando andava in bagno doveva stare con la porta aperta perché sua madre voleva vedere se chiamava qualcuno con il cellulare oppure mandasse messaggi. Allora ha preso il coltello e si è ferita al braccio.
Ha riferito che, rispetto a questo primo tentativo di suicidio, il fatto di non potere uscire di casa non era una imposizione recente, ma era da sempre che era così. Solo che lei era ormai cresciuta e vedeva che altri non vivevano come viveva lei. Lei voleva poter uscire almeno una volta alla settimana e invece i suoi, man mano che cresceva, diventavano sempre più ossessivi nei suoi confronti.
La vicenda del tentativo di suicidio è confermata dalla sig.ra M(omissis) S(omissis). Dalla sua deposizione, assunta sempre il 14 maggio 2013 pag. 18 e ss., si comprende che ella fu chiamata per medicare la ferita. Abitava nel medesimo condominio e fu chiamata dalla madre della Parte civile, l’odierna imputata, sig.ra WW, perché la figlia era ferita. Infatti la sig.ra M(omissis) S(omissis) stava frequentando la facoltà di Scienze Infermieristiche e dunque poteva aiutare. La teste ha detto di avere rilevato che JJ si era infilata la punta del coltello per un centimetro, un centimetro e mezzo, nel polso. La teste ha detto che si era resa conto che il gesto non era un ferimento occasionale, ma un fatto volontariamente commesso dalla ragazza e, in seguito a contestazioni ex art. 500 c.p.p., ha ricordato come JJ le chiese di non rivelare nulla alla madre. La teste ha ricordato di avere conosciuto JJ in precedenza, di averle parlato in un paio di occasioni e che già prima del gesto l’aveva vista triste. La causa di questa tristezza, per confidenze da lei ricevute, consisteva nel fatto che i suoi genitori erano contrari al fatto di frequentare ragazzi italiani e che le impedissero di uscire liberamente.
JJ colloca questo tentativo di suicidio in relazione ad un gesto minaccioso subito da sua madre in precedenza e cioè al fatto che sua madre l’aveva subodorato che vi era un ragazzo che si era invaghito di lei, “mi andava dietro”, come ha detto la teste, e sentendola parlare al telefono con questo, l’aveva minacciata mettendole un coltello alla gola.
Il secondo tentativo di suicidio è avvenuto qualche mese dopo, comunque entro l’arco di un anno dal primo (pag. 129 della prima trascrizione – è dunque errato quanto detto nell’imputazione che il primo tentativo era avvenuto pochi giorni prima del secondo tentativo). È avvenuto che il padre di JJ, il sig. XX, odierno imputato, senza dire nulla aveva comprato una casa a Terni, in Umbria. Infatti il centro lavorativo della sua piccola impresa edile era ormai lì e così, senza dire nulla a lei e alla madre, improvvisamente ha comprato casa ed è stato deciso di trasferirsi tutti a Terni nella nuova casa. Questo fatto è posto dalla teste in connessione con la fine della sua esperienza scolastica. Ha detto che suo padre non voleva che andasse a scuola perché vi erano anche i ragazzi con cui lui non voleva avesse a che fare. Dunque approfittando del fatto che la ragazza era stata bocciata, ha deciso di farle smettere la frequenza scolastica e questo nonostante che la professoressa con la quale suo padre si era recato a parlare le avesse detto di farla riprovare.
La situazione in casa è diventata ancora più ossessiva, se possibile (pag. 133), le dicevano: “…sei la vergogna della famiglia. Poi quando c’erano … facevano vedere in TV, sai quelle ragazze che venivano ammazzate, sai quelle del paese marocchino, perché comunque volevano vivere: “hanno fatto proprio bene a fare quello che hanno fatto”. Tutte queste cose, che io, comunque, sentire da una figlia queste cose, sai … Sentivo male, perché comunque ho detto come può un genitore dire queste cose. Allora, da lì tutte queste cose, cattiverie che mi dicevano nei miei confronti, una cosa psicologica proprio”.
E questo “… perché io pretendevo di uscire e loro non volevano. Comunque, io la pensavo diverso, perché loro quando lo dicevano “Hanno fatto bene!”, io dicevo “no, perché ha fatto bene(.) Non è giusto. Perché uno non si può fare la sua vita(.) Se fa una cosa giusta, non è che va nello sbagliato, perché non lo può fare(.)” “.
Si è riportato per intero le parole esatte della teste per far comprendere la sua concitazione. Si ritiene sufficientemente chiaro a quali tipi di vicende viste in televisione lei si riferisce (gli episodi di atti di violenza commessi a danni soprattutto di giovani donne provenienti da nuclei di immigrati determinati dalla volontà di queste di sottrarsi ad una cultura d’origine non più percepita come propria sono stati numerosi e sono stati spessi visti nei notiziari). Il racconto sopra scritto dà conto del tipo di pressioni che la Parte civile subiva in quel periodo.
La madre della teste, inoltre, secondo lei era ossessiva, le stava dietro in continuazione, le era sempre addosso, in camera, in bagno, sempre a controllare e, ha detto la teste, ella non sapeva come chiedere aiuto a persone che non conosceva e dunque presa dalla disperazione, ha deciso di buttarsi giù da un muro dell’altezza di cinque metri, “per farla finita”.
Le conseguenze sono state, nel suo ricordo, la rottura di una gamba. È stata ricoverata per dieci giorni.
Sulla base della documentazione in atti ( vedi le varie relazioni dei Servizi psichiatrici, in particolare quello del dott. A(omissis) T(omissis) ), il fatto è avvenuto il 30 agosto 2006, la ragazza aveva compiuto da poco i diciassette anni e la famiglia era arrivata in Umbria da pochissimo, un mese circa.
Ha riferito in proposito il sig. G(omissis) A(omissis), Luogotenente comandante la Stazione dei Carabinieri di Narni Scalo (trascrizione del 28 maggio 2013 pag. 3 e ss.), ha riferito che il fatto è avvenuto in (omissis), in provincia di Terni. La ragazza si era buttata giù da un’altezza di sei, sette metri e comunque quando è arrivata all’ospedale non era in pericolo di vita. Non fu subito chiaro che si trattava di un tentativo di suicidio e ne hanno avuto conferma solo in seguito al colloquio con la ragazza. La famiglia era giunta da poco in paese e non era emerso alcun problema circa l’eventuale commissione di atti di violenza della famiglia nei confronti della ragazza. Lo stesso ha detto il sig. P(omissis), m.llo in servizio alla Stazione di Granarolo dell’Emilia (vedi la sua testimonianza nell’ambito della trascrizione del 14 maggio 2013), in relazione al fatto che gli venne data notizia del fatto che la ragazza tornava a Granarolo, come stiamo per vedere.
Dopo il tentativo di suicidio è stata presa in carico dal medico psichiatra e il teste ricorda un incontro collegiale al quale il teste ha partecipato insieme al medico interessato il dott. A(omissis) T(omissis), esponente del reparto di Diagnosi e Cura del Dipartimento di Salute Mentale di Terni. Il teste, sig. G(omissis) A(omissis), che ha detto di essersi affezionato in qualche modo alla ragazza, per la particolarità del caso, ha riferito che nel corso di quei colloqui le ragioni del disagio di lei sono emerse chiaramente: i genitori non comprendevano il motivo perché lei volesse più libertà. La ragazza era animata dai migliori sentimenti verso i genitori, ma questi volevano che si sposasse con un macedone, che non avesse amicizie italiane, non era loro intenzione permettere che vivesse in Italia, ma erano intenzionati a riportarla in Macedonia. All’incontro collegiale che seguì alle quali parteciparono il Luogotenente, il dott. A(omissis) T(omissis), gli assistenti sociali e i genitori, questi convennero che la soluzione migliore al momento era di assecondare la ragazza nel suo desiderio di tornare a Granarolo e di farle riprendere gli studi.
Anche il dott. A(omissis) T(omissis) è stato ascoltato (trascrizione del 14 maggio 2014 pag. 7 e ss.) e si è appreso che le lesioni subite dalla ragazza sono state fortunatamente leggere: una leggera contusione alla caviglia, ma comunque il gesto era piuttosto preoccupante data l’altezza di circa cinque metri dalla quale la ragazza si era buttata. Dopo il fatto la ragazza manifestava uno stato ansioso depressivo reattivo ad una conflittualità di tipo famigliare. Si era da poco trasferita nella piccolissima frazione di (omissis) recte : località in provincia di Terni ; NdRedattore e si trovava nell’impossibilità di frequentare il ragazzo del quale si era invaghito in quel periodo e di proseguire gli studi. La vicenda fu segnalata al Tribunale per i Minorenni e anche il teste ricorda della disponibilità dei genitori a riportarla a Bologna, cosa che ha indotto il medico a contattare il servizio psichiatrico di Bologna al quale ha inviato una relazione.
In effetti la ragazza è tornata con la madre a Bologna dove hanno affittato un’altra casa, mentre il padre è rimasto a Narni per il lavoro.
È stata così presa in carico dal Dipartimento di Salute Mentale territoriale bolognese e su ciò ha riferito il dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis) (trascrizione del 14 maggio 2013 pag. 12 e ss.). Ha riferito che la ragazza fu segnalata in urgenza dal D.S.M. di Terni per causa del tentativo di suicidio. Il teste ha riferito di una diagnosi di “franca depressione” di tipo reattivo per grave tensione intrafamigliare. Con il senno di poi, ritiene il medico, che nel fatto di tentato suicidio vi era, forse, una componente dimostrativa, ma ciò non ha per lui molto peso, perché in concreto la pesante situazione famigliare si dimostrata confermata e quella era in linea di massima il problema della ragazza al quale si aggiungevano comunque le naturali pulsioni dell’età dato che a diciassette anni si vivono normalmente dei tumulti.
Il teste non esita a definire la situazione familiare come veramente pesante e ha sostenuto che la famiglia ha di fatto ostacolato il loro intervento. Il teste ha riferito che formalmente la madre, WW era sempre corretta. Con il padre invece ha avuto la possibilità di parlare solo una volta. Era molto cordiale, ha detto il teste, ma di fatto ha subito chiuso ogni possibilità di collaborazione opponendo i suoi problemi lavorativi. Non fu mai possibile organizzare gli incontri di gruppo che il medico riteneva necessari.
Di fatto, ha detto il teste, la famiglia non voleva che la loro figlia si incontrasse con lo psichiatra, ma voleva fare in modo di non figurare come la causa dell’interruzione dei rapporti con il servizio di salute mentale e che fosse la ragazza ad apparire come quella che voleva interrompere i rapporti perché non ve ne era più bisogno.
Infatti, sulla base della testimonianza di JJ, emerge che questa, dopo questo evento drammatico del tentativo di suicidio, ha avuto un riavvicinamento con i genitori: pag. 135 della trascrizione “…io vedendo mio padre piangere e mia madre, cioè mi sono sentita un po’… Ho detto va bene, riprovo. Sono tornata a casa. Da lì siamo venuti a Bologna ad abitare, di nuovo … perché abbiamo detto che avevamo un accordo, venivamo a incontro, che mi avrebbero fatto contenta anche me, quindi sono tornata con mia madre a Bologna … mio padre ha deciso di rimanere li”.
In effetti ha detto il dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis) che fin da subito vi fu il tentativo della famiglia di evitare l’intromissione del servizio psichiatrico. Fu grazie all’intervento del medico di base che la ragazza arrivò effettivamente al contatto con il dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis) (pag. 14 della trascrizione). Infatti, ha detto il teste, il padre contattandolo con il telefono sostenne che non ce la facevano ad andare Budrio, dove era collocato il servizio di riferimento, perché non avevano la macchina e dunque gli ha comunicato che andavano dal medico di base. Questo, secondo il teste, è come dire: “JJ non ha bisogno di uno specialista”. Poi è arrivata una telefonata del medico di base che lo interpellò dicendogli se veramente lui pensava che la ragazza non avesse bisogno dello specialista. Al che lui rispose che non pensava nulla in proposito dato che la ragazza non l’aveva neppure vista. E fu così che il medico di base l’ha mandata effettivamente dal dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis) ed è anche saltata fuori un’amica che poteva portarle in macchina, madre e figlia, fino a Budrio.
Sulla base di questi riferiti colloqui telefonici, ritiene il giudice che si sia tentato di avvallare il mancato passaggio dal Dipartimento di Salute Mentale come se ciò fosse il frutto di una valutazione che in qualche modo provenisse dal Dipartimento medesimo.
Dopo di ciò il dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis) si è organizzato per svolgere la maggior parte dei colloqui in Granarolo dove la ragazza risiedeva. Nonostante ciò vi erano dei problemi comunque perché lo stesso madre e figlia dovevano prendere una corriera per portare la ragazza e l’atteggiamento complessivo della famiglia, impersonata in questo caso dalla madre, era di ostacolo. Per esempio, il medico ha detto di avere fatto verificare le affermazioni che JJ gli faceva durante i colloqui e cioè che la madre si metteva ad origliare per ascoltare cosa dicevano. E, in effetti, il dottor. A(omissis) F(omissis) R(omissis) ha riferito che il controllo delle dichiarazioni fu positivo, era vero che WW si metteva ad origliare. Dunque tutto ciò attestava, e attesta anche ai fini di questo processo, come fosse vero che la famiglia di JJ ed in particolare in questo caso sua madre mantenesse una situazione su di lei che il dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis) definisce di “controllo estremo” (pag. 15 della relativa trascrizione).
La paura che il genitori avevano era quella che poi per loro si è avverata e cioè che JJ dicesse nel corso dei colloqui quello che le succedeva e cioè della situazione che esisteva in famiglia nei suoi confronti: lei non poteva uscire, non poteva fermarsi con nessuno all’uscita della scuola e doveva solo rientrare a casa.
Infatti (pag. 136 della trascrizione), JJ ha riferito che dopo un primo momento in cui il rientro a Bologna parve andare bene e segnare un cambiamento delle pretese famigliari nei suoi confronti, successivamente, contemporaneamente al fatto che aveva iniziato ad andare ai colloqui con il dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis), sono ricominciati i problemi. Infatti la madre non voleva che ci andasse e invece lei voleva andarci perché per JJ parlare con il dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis) era comunque uno sfogo. Ad un certo punto la madre l’ha minacciata affinché lei non dicesse più niente al dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis) di quello che viveva, cosa che le ha fatto capire che la madre si metteva in ascolto dei colloqui. Una volta ha infatti sorpreso sua madre ad origliare dietro la porta. La Parte civile ha sostenuto che il dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis) voleva fare in modo che lei potesse prendere la cittadinanza italiana, ma che i suoi l’hanno minacciata affinché non lo facesse e tanto hanno fatto che l’hanno spaventata. Ha detto al dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis) che le cose avevano cominciato ad andare bene e che non vi era più bisogno. I rapporti con il dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis) si sarebbero interrotti.
In realtà, come si vede dal seguente scritto, questa è stata l’impressione avuta dalla teste perché non era questa l’idea del dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis), che bene aveva capito la situazione. Per altro l’analisi documentale delle date contenute nei documenti, consente di dire che non ci fu alcuna cesura nei colloqui tra JJ e i servizi o per lo meno che questa cesura, se vi è stata è accaduta in epoca precedente alla prima fuga della persona offesa da casa.
Il dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis), infatti, nella relazione che ha scritto successivamente (è datata 28 giugno 2007 e la presa in carico è indicata essere avvenuta nel settembre 2006 e dunque il periodo di osservazione era stato di qualche mese) scrive che: “Il “progetto” familiare è rimasto invariato nella sostanza, e non ha minimamente tenuto conto delle posizioni e degli stati d’animo di JJ. È in programma il definitivo trasferimento dell’intero nucleo a Terni, dove il padre ha importanti commesse di lavoro, previo rientro per un paio di mesi in Macedonia di madre e figlia. Nel corso dell’ultimo colloquio, avvenuto in data 27 giugno 2007, alla vigilia degli esami di fine corso, la ragazza si è detta “stanca” e “stressata” per questa situazione. I suoi continuano a minacciarla e a dirle che se fa qualcosa non la passerà liscia. Lei, quando sale la rabbia per questo atteggiamento genitoriale, sente riaffiorare anche il desiderio di farsi nuovamente del male. Data le circostanze e le risultanze cliniche dei colloqui, si ritiene che l’allontanamento dal nucleo familiare sia misura atta a tutelare la salute psicofisica della ragazza”.
Nel frattempo che questi avvenimenti maturavano, approfittando a settembre del momento di debolezza in cui il tentativo di suicidio aveva messo i suoi genitori, che probabilmente temevano di vedersela sottratta se non fossero sembrati accondiscendenti, JJ aveva cominciato, con il permesso dei genitori, la frequentazione di un serio corso per parrucchiera. I genitori hanno dato il consenso perché dopotutto le corsiste erano tutte donne e anche le persone che vi andavano come clienti erano donne. Il corso, che JJ ha indubbiamente seguito volentieri e con profitto, dato che quello è diventato il suo lavoro, durava due anni, ma ad un certo punto suo padre, che evidentemente si era rinsaldato nelle sue convinzioni circa quello che lui riteneva essere il bene di sua figlia, ad un certo punto ha iniziato a dire che non glielo avrebbe fatto finire. Infatti il padre aveva ripreso l’originario progetto di riportarla in Macedonia. È da tenere presente che questo accadeva anche in questo periodo dove pure la ragazza era diventata grande e si avvicinava ormai alle soglie della maggiore età che sarebbe giunta da lì a poche settimane.
JJ ha riferito che solo a fatica ha ottenuto di poter posticipare la partenza per la Macedonia a dopo gli esami di fine anno. Ha detto che le valige erano già pronte e che sarebbero partiti all’indomani dell’esame.
La teste ha detto di avere deciso di scappare di casa: (pag. 137) “ho deciso perché io volevo … Ci tenevo a fare praticamente l’esame, finire l’esame. Dopo ho deciso, perché … L’ho deciso … Io volevo fare, ma avevo paura di farlo. Dopo, alla fine ho deciso che non volevo andare in Macedonia, io non volevo andare in Macedonia e l’avevo già detto”.
Con l’aiuto di un’amica è riuscita a presentarsi dagli assistenti sociali a Bologna.
Ha riferito che aveva sentito dei colloqui telefonici fra sua madre e sua zia e sapeva che stavano per presentarla ad un ragazzo macedone della sua età e ciò sarebbe accaduto quando sarebbero arrivati in Macedonia.
Presentandosi dagli assistenti sociali è stata posta dapprima in un centro di prima accoglienza e dopo un mese è stata mandata nella comunità gestita dalla sig.ra A(omissis) L(omissis), la comunità “Kkkkk Kkkkkk “.
La ragazza, stando nella comunità di A(omissis) L(omissis) si è rasserenata. Sono stati permessi degli incontri con i genitori in un primo momento alla presenza dell’assistente e poi anche da soli. È stata in una di queste occasioni che, incredibilmente, i genitori l’hanno sottoposta a quella che la ragazza ha definito “un rito di stregoneria” (pag. 139 della trascrizione del 14 maggio 2013): ha detto la teste che era da poco diventata maggiorenne. I suoi genitori l’hanno portata a Forlì da alcuni suoi parenti e qui è intervenuta una persona che pare venisse dalla Svizzera: aveva con se un macchinario che emetteva un suono che cantava il Corano e avevano una cosa che faceva una punturina e con quella le hanno preso il sangue da tutte le dita. Poi, dopo che le hanno fatto questo, le hanno fatto ascoltare della musica con una cuffia, le hanno dato una bottiglia d’acqua da bere e dell’olio da portare a casa. Ha detto (pag. 140) che quando è arrivata a “Kkkkk Kkkkkk ” recte : “comunità” in precedenza citata ; NdRedattore era traumatizzata.
L’assistente sociale che prende in carico il caso di JJ quando questa fugge di casa e si rivolge immediatamente ai servizi sociali è la sig.ra E(omissis) M(omissis), sentita all’udienza del 14 maggio 2013 (pag. 99 e ss. della trascrizione). Ha riferito che la conosce il giorno dopo la fuga, il 29 giugno 2007. Ha detto che semplicemente uscendo di casa JJ si è rivolta agli uffici del Comune di Bologna per essere aiutata. È stata indirizzata ai servizi sociali da una rete amicale di cui comunque la ragazza era riuscita a dotarsi. Anche alla sig.ra E(omissis) M(omissis), la ragazza racconta il medesimo vissuto riferito prima al Luogotenente sig. G(omissis) A(omissis) e poi ai dottori A(omissis) T(omissis) e A(omissis) F(omissis) R(omissis). Ricorda la teste che la madre telefonava ossessivamente e la ragazza le riferiva che la madre le diceva che se non la sentiva almeno una volta all’ora stava male, andava in ansia e le sembrava di morire. Nel prosieguo delle telefonate la madre esercita una pressione forte sulla ragazza nel senso che le dice di tornare subito a casa altrimenti lei, la madre, non avrebbe più mangiato, non avrebbe più dormito e sarebbe morta. Inoltre tutti e due i genitori insistono fortissimamente perché loro stavano per partire per la Macedonia, le valige erano pronte e non hanno detto a nessun parente che li aspettava che JJ era stata collocata in una comunità. Pare che i nonni materni in quel periodo fossero ospiti nella casa che vi è presso Terni e i genitori dicono di non avere detto nulla a costoro della fuga della figlia e del suo collocamento in comunità.
Ad un certo punto però la cosa deve essere stata detta, perché JJ ha mostrato alla teste un sms ricevuto da un cugino che la minaccia per il caso non fosse tornata a casa. Nella relazione della sig.ra E(omissis) M(omissis) acquisita agli atti è scritto che la frase del messaggio, ricevuto il 23 luglio 2007, era di “fare la brava altrimenti questa volta non l’avrebbe passata liscia”.
L’atteggiamento dei genitori è in effetti molto minaccioso, dice la teste, e fanno capire di essere intenzionati a seguire JJ e gli educatori al termine degli incontri protetti. La teste ne tiene conto, cerca di fare in modo che la ragazza non possa essere seguita, ma non è facile e non si è tranquilli nonostante le precauzioni prese perché si pensa che oltre ai genitori possano essere intervenuti altri parenti per seguirli.
La vicenda trascende nel senso che la sig.ra E(omissis) M(omissis) riferisce che il sig. XX durante questa prima fase del collocamento della ragazza in un centro di accoglienza, parlando con la teste, fa riferimento ad una descrizione di casa sua facendo capire di essere a conoscenza del luogo dove abita. La teste ha ritenuto che fosse una minaccia.
Dall’esame della sua relazione si comprende che il 9 luglio 2007 la madre e la figlia hanno avuto un colloquio telefonico che è diventato un’accesa discussione. JJ sottopone alla madre l’ipotesi che lei un giorno possa innamorarsi di un italiano e a questa provocazione la madre si dimostra ulteriormente arrabbiata e in ansia affermando che se non fosse rientrata in famiglia il padre avrebbe mandato ad uccidere qualcuno.
La ragazza ha interrotto la comunicazione e ha contattato immediatamente il servizio sociale perché era molto agitata e spaventata. Interviene la dott.ssa B(omissis) (anche lei sentita come testimone) che contatta il padre, XX che non nega le parole dette dalla moglie, ma che afferma di non avere chiesto lui a lei di dirgliele. Il sig. XX però fa qualche cosa di più: inizia a parlare delle tradizioni macedoni che prevedono il delitto di onore nel caso in cui la moglie lascia il marito. Sarebbe legittimo per queste tradizioni salvaguardare l’onore della famiglia tramite l’uccisione di uno dei coniugi da parte dell’altra famiglia. La dott.ssa B(omissis) (si veda pure la sua estesa testimonianza sul punto a partire da pag. 82 della medesima trascrizione) ha cercato di capire cosa volesse dire il sig. XX facendo presente queste tradizioni in relazione al caso di sua figlia, ma non ha ottenuto una risposta chiara. La teste dott.ssa B(omissis) nella sua testimonianza permette di ancorare la paura della ragazza (che dopo quella telefonata per un qualche periodo non vorrà neppure parlare con i genitori) anche ad una sua esperienza concreta di JJ, relativa ad una cugina che era andata via con un non macedone e non musulmano e che era ancora ricercata dai famigliari che volevano “farla fuori “.
Nella relazione è scritto come i contatti con i genitori, del tutto improntati ad una cieca opposizione e rifiuto dell’intervento dei servizi, li hanno indotti a ritenere che gli elementi di preoccupazione rispetto all’incolumità e ala situazione della minore erano concreti e continuassero ad esistere e tenuto conto del modo in cui i genitori si erano posti sul piano strettamente legale (hanno sostenuto che l’intervento doveva essere gestito dai servizi di Narni, presso la quale la famiglia aveva la residenza anagrafica) era anche chiaro che nulla volevano fare i genitori per andare incontro al disagio della figlia che, peraltro, era assolutamente determinata e anche matura in un certo senso. Dunque, come servizi, hanno proposto la riconferma del decreto di affidamento all’AUSL nonostante il prossimo compimento della maggiore età.
La testimonianza della sig.ra E(omissis) M(omissis) è proseguita nel senso che lei si è dimostrata pentita di non avere a suo tempo sporto querela per le velate minacce che il sig. XX le ha fatto facendole capire di sapere dove abitava, tenuto anche conto che in seguito, intorno alla metà di agosto, i coniugi XX-WW si sono pure presentati dai Carabinieri di Granarolo per denunciare la scomparsa della figlia e il suo avvenuto rapimento, cosa che alla quale i Carabinieri non hanno poi dato corso essendosi resi subito conto della realtà e cioè che vi era l’intervento dei servizi sociali e che la ragazza era stata allontanata da casa ai sensi dell’art. 403 c.c. Hanno detto ai sigg.ri XX-WW che la loro denuncia si sarebbe risolta in una denuncia a loro carico per “procurato allarme” e “falso in atti pubblici “.
Successivamente, anche dopo la maggiore età della ragazza e il suo collocamento al “Kkkkk Kkkkkk ” recte : “comunità” in precedenza citata ; NdRedattore il rapporto tra JJ e la sig.ra E(omissis) M(omissis) è rimasto, e infatti, a settembre inoltrato, la teste ha ricevuto la telefonata della ragazza nella quale questa le parla della subita “stregoneria” per toglierle il malocchio di cui si è detto sopra.
Importante è il quadro che la teste fa del rapporto esistente tra i genitori alle pag. 112 – 113 della trascrizione: “Il papà è quello che aveva una maggiore competenza linguistica a livello d’italiano, la mamma faceva più fatica. Almeno nel luglio 2007, oggi non lo so, chiaramente parlava un italiano molto essenziale. Tanto che all’interno del lavoro con JJ (…omissis…), le diamo questo tipo di opzione, il fatto di poter scegliere di parlare con la mamma in vivavoce in italiano, chiarendole che questo limitava molto la possibilità della mamma di dialogare con lei, oppure di parlare in macedone e interrompere la telefonata quando fosse disturbante. Io vedo i genitori se non sbaglio quasi sempre in coppia, io. L’incontriamo io e la collega quasi sempre in coppia e li è chiaramente il papà portavoce del loro modello educativo o del loro modello culturale che chiaramente, inevitabilmente, influisce. Però, lui ad un certo punto emerge che, per esempio, la mamma non prende l’autobus da sola, non guida, non parla con i professori, non esce di casa in assenza del marito o di JJ e che se JJ esce ci deve essere sempre la mamma. Quando il papà è a Terni, non è più qui, di vederci in mezzo ai piedi, per cui vuole che la ragazzina vada là e nel tentativo di dimostrarci che vuole acconsentire a un progetto di autonomia di JJ, le dice le prenderò un appartamento, però ci andrà a vivere la mamma con lei. Insomma, non una grande autonomia questa. Le troverò un lavoro… Vuole essere autonoma dal punto di vista lavorativo(.) Va bene, il lavoro glielo trovo io”.
Nel seguente passaggio di questa testimonianza vi è invece la descrizione dell’atteggiamento che aveva JJ in quel torno di tempo e che rende chiaro quale è stato il punto di debolezza suo che, di fatto, ha ancora dato potere ai genitori su di lei e che l’ha fatta ancora molto soffrire per lungo tempo dopo, tanto da dare l’occasione per la commissione dei reati di sequestro di persona che vedremo dopo. Ha detto ancora la teste: “JJ si è dimostrata molto, molto decisa …(segue una breve discussione tra il teste e il Difensore che si omette), …nella misura in cui si è rivolta a un servizio che era quello competente, ha fatto una richiesta che non ha mai in nessun modo messo in discussione. L’unico, comprensibile, perché, insomma, mi sarei meravigliata del contrario, i combattimenti emotivi che può avere dimostrato, erano sul fatto di non desiderare un trancio netto delle relazioni con i genitori, ma di voler provare a mantenere qualche cosa, ma era chiaramente molto, molto difficile. Lei non ha chiesto di non… Non ha mai detto non voglio più vedere i genitori, non fatemici parlare. Tentava degli agganci e io l’ho invece molto dissuasa dal ricominciare gli incontri con loro in forma libera, così presto e lei mi ha detto, io me la sento, ci voglio provare, faccio dei piccoli incontri. È una ragazza che ha mostrato una fortissima autonomia di pensieri. Disposta ad avere dei consigli e a farsi aiutare, ma non a farsi guidare in modo cieco”.
Nel corso degli incontri la teste ha avuto modo di parlare con i genitori della vicenda del matrimonio combinato che loro hanno sempre negato. Però si trattava, secondo la teste, di una negazione abbastanza forzata e fittizia dato che erano dichiaratamente favorevoli al fatto che sposasse chiunque purché fosse musulmano e macedone, senza tenere in alcun conto della realtà in cui la ragazza viveva (e voleva vivere) e cioè (omissis) recte : frazione di Granarolo dell’Emilia (Bologna) più sopra citata ; NdRedattore luogo dove ragazzi con quelle caratteristiche non è che ve ne siano in abbondanza.
Cose simili ha riferito la dott.ssa B(omissis) (pag. 81 e ss. della trascrizione), che seguiva la ragazza anche prima della fuga, quando il suo referente principale era il dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis): JJ era combattuta, aveva un forte senso di colpa. Per il primo mese non se la sentiva di incontrare i genitori che invece facevano il diavolo a quattro per incontrarla quotidianamente. I genitori volevano a quel punto riprendersi la figlia e cogliere l’occasione per scrollarsi di dosso il controllo dei servizi sociali che fino al momento della fuga di JJ avevano sopportato pur senza collaborare veramente.
I genitori negavano che vi fosse un progetto di matrimonio combinato, ma d’altra parte sostenevano che loro figlia sarebbe stata bene solo con loro, che doveva essere controllata, che in Italia non ci si può fidare di nessuno. La madre viene descritta dalla teste, che si basa a tal fine anche su racconti di JJ, come una persona piena di ansie e fobie, isterica nei confronti della figlia e che spesso la mena. Il padre viene descritto come padrone di sé, convinto di ciò che sosteneva rispetto all’importanza di mantenere fede ai valori della famiglia. La famiglia non si può meticciare, per cui i figli devono rimanere all’interno della stessa etnia, il matrimonio deve stare dentro la stessa etnia.
L’intervento della teste cessa quando la ragazza arriva alla maggiore età. Tuttavia, ha detto la teste, di essere stata molto tranquilla sul futuro suo perché sapeva che la ragazza era stata collocata presso la comunità di A(omissis) L(omissis) e perciò era in buone mani.
Il racconto di JJ continua con il successivo episodio avvenuto all’inizio del 2008.
Per inquadrare meglio ciò che è avvenuto è opportuno riferire che all’epoca la sig.ra JJ aveva già conosciuto il fidanzato, il sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis), che è anche il padre di suo figlio e con il quale si sposerà. Anche costui è stato sentito come testimone (pag. 61 e ss. della trascrizione del 14 maggio 2013). I due si sono conosciuti a dicembre alla pista di pattinaggio sul ghiaccio che viene allestita a Bologna per il Natale.
Nel frattempo la ragazza era stata avviata al lavoro di parrucchiera presso l’esercizio “Hhhh Hhhhh” della sig.ra D(omissis) M(omissis) (la sua testimonianza la si può leggere a pag. 28 e ss. della trascrizione del 14 maggio 2013), sito in Castelmaggiore. La conoscenza tra la sig.ra D(omissis) M(omissis) e JJ in realtà risaliva al 2006 al momento della frequentazione della scuola per parrucchieri. Aveva iniziato a lavorare in modo fisso dalla sig.ra D(omissis) M(omissis) dal novembre 2007.
Dunque mentre stava vivendo queste importanti novità, la sig.ra JJ, non ricorda esattamente il giorno, poteva essere la sera di un sabato o la sera che precedeva l’Epifania e comunque era una sera dove il giorno dopo non si lavorava, ha pensato di andare a casa dei genitori, in Umbria, per il fine settimana perché sua madre l’aveva supplicata in proposito. Ha detto che ad un certo punto dopo che aveva bevuto dell’acqua da una bottiglia si è risvegliata in macchina ed ha visto un cartello stradale scritto in una lingua che non era l’italiano. Era in Serbia, nei pressi della frontiera. La macchina era ferma e suo padre era sceso per fare carburante. In macchina era presente solo sua madre che alla domanda stupita di sua figlia, su che cosa stava succedendo, le ha detto che lei glielo avrebbe voluto dire, ma che suo padre non aveva voluto. Suo padre salendo in macchina, in modo nervoso, visto che era sveglia le ha detto: “adesso andiamo in Macedonia, e tu quando arriviamo chiami il tuo titolare e dici che fra una settimana torni”. Ma in realtà non sarebbe stato vero che sarebbe tornata dopo una settimana. I suoi genitori si erano impossessati dei documenti, il passaporto e il permesso di soggiorno e glieli hanno nascosti finché tempo dopo è riuscita a ritrovarli rendendo così possibile la fuga nella quale è stata aiutata da dalla sig.ra A(omissis) L(omissis) e dal sig. A(omissis) M(omissis).
Infatti i genitori di JJ, sottovalutando la determinazione di loro figlia e la possibilità di aiutarla che aveva chi era rimasto in Italia ad aspettarla, le avevano lasciato il cellulare con la quale a volte, di nascosto, con una sim che era riuscita a nascondere, riusciva a parlare con la sig.ra A(omissis) L(omissis) e con il fidanzato che aveva comunque conosciuto da poco. Infatti ha riferito costui (pag. 63 della trascrizione) che l’aveva conosciuta a dicembre quando a gennaio ricevette una sua telefonata che gli comunicava che l’avevano portata in Macedonia. Dopo di allora l’ha potuta rivedere solo il 5 giugno 2008.
Ha riferito la teste che ha impiegato tre mesi per ritrovare il passaporto e il permesso di soggiorno e che una volta trovati questi documenti, la sig.ra A(omissis) L(omissis) è stata assolutamente tempestiva perché in 24 ore ha organizzato la sua fuga. Ha fatto emettere un biglietto per una destinazione diversa dall’Italia e precisamente Praga, e ha mandato due persone, una delle quali il sig. A(omissis) M(omissis) per recapitare biglietto, un telefono, il voucher dell’hotel prenotato e un po’ di denaro.
La ragazza che era convinta che i due mandati da A(omissis) L(omissis) fossero della Polizia italiana, ha detto che quel giorno è riuscita ad organizzare tutto in modo che avesse il tempo per arrivare all’aeroporto prima che la fuga venisse scoperta dai famigliari. Ha riferito di essere uscita con la futura moglie di suo cugino che non sapeva nulla di quello che lei voleva fare. È riuscita ad allontanarsi da lei con una scusa ed ha preso un taxi che l’ha portata all’aeroporto. Qui ha avuto un problema con un poliziotto di etnia albanese come lei, che vedendola senza valigia la voleva trattenere. Invece è intervenuta una poliziotta di etnia macedone in senso stretto che l’ha convinto a lasciarla stare. Arrivata a Praga ha aspettato l’arrivo della sig.ra A(omissis) L(omissis) che è arrivata in macchina da Bologna ed ha pensato di portarla in Svizzera da alcuni suoi conoscenti che si erano resi disponibili presso i quali è rimasta tre mesi.
Nei tre mesi che è stata forzatamente in Macedonia i suoi genitori hanno provato in effetti a combinarle il matrimonio come avevano sempre detto che avrebbero fatto. Le hanno presentato il mezzo parente che ritenevano dovesse sposare e tutto è avvenuto secondo le abitudini della sua etnia. Come d’uso, in questi casi all’improvviso, all’insaputa della potenziale sposa, viene a casa di questa la famiglia del potenziale sposo e le famiglie si mettono a parlare. Vengono proprio per vedere la ragazza e così a lei è stato dato il compito di servire il caffè in modo tale che gli ospiti avessero modo di vedere come appariva e cioè se era una brava ragazza.
Nel corso del dibattimento è stato prodotto a cura della Difesa uno strano documento notarile che la sig.ra JJ dice di avere sottoscritto senza neppure capire cosa era e senza che il notaio rogante le facesse domande in proposito.
In effetti dalla traduzione del documento si vede che il Notaio conferma solo la firma della ragazza e non il contenuto del documento e ciò comprova quanto detto da JJ che non è stata interrogata in proposito. Ha detto JJ che lei neppure sapeva cosa era scritto in quel documento. Infatti è scritto in lingua macedone che la teste non conosce essendo di etnia albanese ed essendo cresciuta in Italia dove ha frequentato le relative scuole. Tra l’altro l’albanese si scrive con l’alfabeto latino e il macedone con l’alfabeto cirillico e dunque, ha detto la teste, non aveva alcuna possibilità di controllare cosa era scritto.
Nella dichiarazione in questione, datata 22 gennaio 2008 è scritto che JJ era ben contenta di essere tornata in Macedonia, nella sua città natale, (omissis), il 6 gennaio 2008 e di essere venuta “senza sforzo” (probabilmente la traduzione più corretta potrebbe essere “senza essere forzata”) dai genitori. Dichiarava in questo documento, che era sua intenzione farsi rilasciare nel suo paese di nascita la patente di tipo “B” per la macchina. Infatti una delle cose che desiderava in Italia era la possibilità di prendere la patente e suo padre evidentemente pensava di darle un contentino facendogliela prendere in Macedonia, anche se lì non le sarebbe servita affatto, data l’abitudine delle buone famiglie locali per le quali le donne, nella vita concreta di tutti i giorni, non guidano e stanno in casa se non accompagnate in giro. In effetti ha detto la teste (vedi la seconda trascrizione del 28 magio 2014) ha davvero preso la patente pur senza sostenere alcun tipo di vera prova essendo sufficiente l’influenza della sua famiglia ed essendo l’esame sia pratico che soprattutto quello teorico una pura formalità. Altrimenti, lei che non sa leggere i caratteri cirillici non avrebbe mai potuto prendere la patente se avesse dovuto sostenere un esame teorico serio. Le abitudini amministrative locali, che secondo la teste sono molto ” facili “, spiegano quindi sia il rilascio della patente che la genesi del documento notarile sopra esposto.
Il racconto della sig.ra JJ è integralmente confermato, se ve ne fosse il bisogno dalle testimonianze degli altri testimoni sentiti.
Della testimonianza del sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) abbiamo già detto. La sig.ra D(omissis) M(omissis), ha riferito che in effetti ricevette la telefonata che l’avvisava che sarebbe stata via una settimana. Poi, non vedendola più tornare, l’aveva licenziata. Da A(omissis) L(omissis) poi aveva saputo che era stata portata in Macedonia contro la sua volontà. Dopo un bel po’ di tempo JJ è tornata a lavorare nel suo negozio.
La sig.ra A(omissis) L(omissis) (sentita alle udienza del 28 maggio 2014 pag. da 100 a 120 e poi all’udienza del 24 settembre 2013 nel corso della quale è stata l’unica teste sentita) ha riferito di non essere stata eccessivamente preoccupata quando JJ le disse che sarebbe andata un fine settimana dai suoi genitori e avrebbe forse fatto anche un viaggio in Macedonia e ciò perché lei era tranquilla e per telefono era sembrata molto contenta di andare dai suoi genitori per il fine settimana. La cosa brutta è avvenuta dopo perché per un bel po’ non l’ha più sentita. Passarono venti giorni prima che potesse telefonare e ciò non era solito perché al momento del fatto, anche se JJ già non viveva più al “Kkkkk Kkkkkk ” recte : “comunità” in precedenza citata ; NdRedattore ed era in una casa con un’altra ex ospite della comunità, la sig.ra A(omissis) L(omissis) era abituata a sentirla una volta alla settimana. Invece JJ non si faceva più sentire e anche la ragazza che divideva la casa con lei l’aveva chiamata preoccupata perché non la sentiva da tempo. I servizi sociali, da lei interpellati, non potevano più intervenire perché ormai lei era maggiorenne e poteva liberamente scegliere di tornare dai genitori e vi erano tutti i presupposti per ritenere che ciò fosse accaduto.
Invece, dopo venti giorni la sig.ra A(omissis) L(omissis) ha ricevuto la sua disperata telefonata nella quale le comunicava che era stata rapita nel modo che è stato sopra scritto. Le chiedeva di andarla a prendere per riportarla a Bologna. Ha detto la sig.ra A(omissis) L(omissis) che si consultò con un avvocato e che questi le disse che sarebbe stato essenziale recuperare i documenti, ma JJ non riusciva a trovarli. Nel corso delle telefonate JJ le ha riferito che volevano che sposasse uno di lì. Era già noto alla sig.ra A(omissis) L(omissis) che suo padre non voleva che sposasse nessuno che non fosse macedone e JJ le diceva per telefono che pur se non l’aveva ancora conosciuto era stabilito che avvenisse così che sposasse un macedone scelto dai suoi genitori.
Poi, ad un dato giorno, JJ le ha detto che aveva trovato i documenti e che poteva prenderli. È stato così che ha mandato le due persone, una delle quali il sig. A(omissis) M(omissis), per portarle il biglietto per Praga, città nella quale poi la sig.ra A(omissis) L(omissis) è andata a prenderla come già riferito dalla persona offesa.
Il sig. A(omissis) M(omissis), sentito all’udienza dell’11 febbraio 2014 (pag. 29 e ss. della relativa trascrizione), è titolare di un agenzia privata e opera anche come volontario a favore de “Kkkkk Kkkkkk ” recte : “comunità” in precedenza citata ; NdRedattore . Ha riferito che la sig.ra A(omissis) L(omissis) si è rivolta a lui per aiutarla a riportare in Italia la sig.ra JJ che era stata portata in Macedonia contro la sua volontà. Ha detto di avere accettato e di essere andato insieme ad altra persona in macchina in Macedonia, dove ha incontrato la ragazza all’aeroporto di Skopje, capitale del paese balcanico. La ragazza, ha ricordato il teste, è arrivata autonomamente in taxi. Ha riferito il teste che l’amico che lo ha accompagnato neppure sapeva il motivo per cui andavano in Macedonia. Il teste ricorda di avere pernottato a Pristina nel Kosovo la notte prima di arrivare. L’incontro fu molto semplice: l’aeroporto era quasi vuoto ed è stato possibile individuarla subito. Il teste ha detto che il biglietto era contenuto da una busta e all’epoca sapeva per dove era, ma al momento non lo ricordava più. Ricorda che la ragazza era ansiosa di andarsene via da quel posto e che non ha avuto alcun dubbio che questa fosse la sua volontà: le appariva maggiorenne, consenziente e con una grande voglia di andare via. Il teste ha ricordato che in precedenza la sig.ra A(omissis) L(omissis) gli aveva detto che non trovava i documenti, perché gli erano stati sottratti, ma che siccome li aveva ritrovati si era potuta organizzare la fuga. Non ci fu molto tempo per parlare perché l’aereo arrivava a breve. Ha detto di avere assistito al check in e quel punto l’ha lasciata. Ha telefonato alla sig.ra A(omissis) L(omissis) per dire che la consegna dei biglietti era riuscita.
Dopo il ritorno dalla Svizzera (vedi da pag. 145 e ss. della trascrizione del 14 maggio 2013), JJ riferisce di essere tornata anche a lavorare presso la sig.ra D(omissis) M(omissis). In realtà questo è probabilmente avvenuto dopo il secondo forzato viaggio in Macedonia, perché questa ultima nella sua deposizione non menziona un secondo periodo di assenza di JJ e pare collocare la ripresa del lavoro di questa presso di lei nel corso del 2009. Ma può anche essere che il ricordo della cronologia con cui siano avvenuti i fatti da parte di JJ sia più corretta, perché dopo tutto la sig.ra D(omissis) M(omissis) è stata sentita prima di questa e in quel momento non vi era motivo per approfondire con questa teste.
Nel frattempo la sig.ra JJ frequentava stabilmente il sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) che era dunque il suo fidanzato.
Ancora una volta la sig.ra JJ aveva ritenuto di dare fiducia ai suoi genitori ed era tornata a vivere addirittura con loro. Aveva preso con la madre una casa a Castelmaggiore vicino al luogo di lavoro (cosa che conferma la dichiarazione della ragazza di avere ricominciato a lavorare presso la sig.ra D(omissis) M(omissis) prima del secondo rapimento), e aveva detto a sua madre del ragazzo.
Tuttavia sua madre faceva di tutto per non far sapere a suo padre del ragazzo e (pag. 147 della trascrizione) le diceva di aspettare a farglielo sapere perché era troppo presto e che bisognava prepararlo. La supplicava di non dirglielo. Di fatto, benché avesse promesso di dirglielo lei con le dovute maniere, le volte che c’era suo padre l’argomento non è mai stato tirato fuori.
Il sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) (pag. 65 della trascrizione) ha riferito che in effetti è stato una o due volte a casa di JJ perché sua madre comunque lo voleva conoscere. Comunque è tutto avvenuto di nascosto al padre.
Non erano mancati però già dei tentativi della madre di riavviare il regime di vita di prima, frapponendole ostacolo al fatto di uscire liberamente e tentando anche il padre di convincere la figlia che non aveva bisogno di un lavoro perché altri avrebbero pensato a mantenerla (vedi anche in proposito quanto detto in sede di controesame nel corso dell’udienza del 28 maggio 2013).
Nel frattempo la sig.ra JJ aveva conosciuto i genitori del sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) i quali si erano mostrati contenti della scelta del figlio ed approvavano il matrimonio. Solo che avrebbero preferito che anche i genitori di JJ fossero contenti di ciò. Ragione per la quale era opportuno prendere tempo perché ciò potesse avvenire.
Per capire la situazione, utile è la testimonianza della sig.ra A(omissis) L(omissis) sul punto (pag. 12 e ss. della trascrizione del 24 settembre 2013): i genitori del sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis), anche loro provenienti da altra cultura, per capire la situazione l’hanno invitata a casa perché non riuscivano proprio a comprendere il perché JJ avesse litigato con i suoi. La sig.ra A(omissis) L(omissis) ha ricordato come il padre di lui proprio insistesse affinché lei aiutasse JJ a fare pace con i suoi genitori, perché altrimenti loro non potevano accettare che avesse rotto con la sua famiglia.
Secondo la sig.ra JJ anche questa determinazione dei genitori del sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) è stato alla base del suo tentativo di ricucire con la famiglia e della decisione di tornare a vivere con sua madre (vedi tra pag. 146 e 147 della trascrizione del 14 maggio 2013).
Nel frattempo stava avvenendo anche un altro fatto.
Il nonno di JJ era in fin di vita e desiderava rivederla prima del decesso.
Suo padre insisteva tanto e JJ lo aveva visto piangere per ciò. Ancora una volta la teste era molto combattuta e ne ha parlato con il suo ragazzo perché, nonostante le assicurazioni della madre, temeva che se andava in Macedonia, ancora una volta, i suoi genitori avrebbero fatto in modo di trattenerla lì, come in effetti è puntualmente accaduto.
Comunque, alla fine, decise di acconsentire al viaggio in Macedonia. Vi è stato invece un altro contrattempo e cioè il fatto che la sig.ra JJ è stata vittima di un sinistro stradale.
Sulla base delle dichiarazioni di JJ e anche del sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) che ha assistito al fatto, il fatto è avvenuto sul finire del 2008, verso Capodanno. Lei e il ragazzo si erano visti e al termine della serata si stavano separando che lei doveva andare insieme ai genitori. Dovevano fare in modo che il padre di JJ non si accorgesse della sua presenza. L’incidente è avvenuto nel ponte Galliera nei pressi della Stazione ferroviaria.
Ha detto la teste che probabilmente era molto pensierosa circa questa decisione che aveva preso ed ha attraversato la strada soprappensiero. Fatto sta che è stata attinta da un’automobile subendo lesioni fisiche di una certa importanza.
Interessante è stata la descrizione dell’incidente data dal sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) (pag. 67 e ss. della trascrizione). Si riportano solo le frasi del teste omettendo le domande: “…ero a cinque, sei metri dal fatto che è successo. Quando ho sentito il botto sono andato di corsa a vedere cosa era successo e ho visto che la JJ ha avuto un incidente ed era per terra… Si, è arrivata la mamma per prima… Quando mi ha visto che ero li, che gli tenevo la mano, lei ha cercato di cacciarmi via, cioè mi diceva “Vai via, vai via, non stare qua che sta arrivando suo padre e suo fratello” e io non volevo andare via, io continuavo a stare lì. Dopo sono arrivati loro, l’hanno coperta e lei mi fa “vai via che c’è suo padre” e io giustamente non sapevo più che fare, mi sono allontanato”.
Il sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) ha detto che aveva paura del padre di JJ.
Comunque il risultato dell’incidente è stata la posticipazione della partenza. Anzi, nella famiglia di JJ (questa nel corso della testimonianza, pag. 148 della trascrizione dell’udienza del 14 maggio 2013, mette l’esplicitazione di questo pensiero in bocca ad un suo non meglio precisato zio), si è diffusa l’idea che lei lo avrebbe fatto apposta a farsi investire proprio per non partire. Il sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) ricorda che JJ fu ricoverata in ospedale per uno – due giorni e che nel frattempo il nonno di questa è morto. Nel ricordo di JJ questo periodo sembra più ampio, ma il concetto è identico: il nonno è morto e vi è il desiderio di suo padre di andare al funerale e di portare con se sua figlia. JJ benché dolorante per i postumi dell’incidente acconsente e dunque vanno tutti in Macedonia.
Dopo due settimane dall’arrivo in Macedonia, all’esplicita domanda di JJ su quando sarebbero tornati in Italia, suo padre le comunica che, nonostante vi fossero state le precedenti assicurazioni della madre, che lei non sarebbe più tornata in Italia e che da quel momento in avanti lei avrebbe fatto solo quello che voleva lui, altrimenti l’avrebbe ammazzata. Stavolta fu per lei impossibile recuperare i documenti perché venivano custoditi in una cassaforte.
A salvare JJ dal suo destino è stato proprio l’incidente e il fatto che fu comunicato dall’avvocato presso il quale si era rivolto il padre che vi sarebbe stato un sostanzioso risarcimento. Il risarcimento è stato poi inferiore a quanto preventivato dal padre, ma al momento sembrava che sarebbe stata una somma così importante da essere irrinunciabile. Peraltro la famiglia stava per affrontare spese, dato che suo fratello stava per sposarsi con la ragazza che i genitori avevano pensato fosse giusta per lui avendo combinato anche questo matrimonio. Poi il risarcimento, per le ragioni che stiamo per dire, è stato percepito direttamente da JJ e non è stato così destinato a coprire le spese del matrimonio del fratello così come invece pensava il sig. XX.
In proposito il sig. J(omissis) E(omissis), fratello della p.o., sentito all’udienza dell’11 febbraio 2014, ha negato che il suo sia stato un matrimonio combinato, ma ciò non appare particolarmente significativo, dovendosi solo prendere atto che è invece vero il fatto che vi era alle porte il matrimonio di questo.
Comunque a quel momento la somma appare davvero irrinunciabile ai genitori della p.o. (20.000,00 – 30.000,00 Euro a fronte dei circa 3.000,00 che sono in effetti arrivati), ma per averla occorreva riportare JJ in Italia per le pratiche. Lei capisce che questa è la sua unica possibilità di andare via e promette di non scappare anche se non manca di rivelare il suo punto di vista circa il suo futuro. Ciò aveva causato discussioni importanti: aveva detto a suo padre che era innamorata di una persona e che lei non avrebbe sposato quello che volevano loro. Per poco suo padre, sentendo ciò, le metteva le mani addosso e solo l’intervento di sua madre lo aveva frenato.
È stata quindi portata a Terni nell’attesa di svolgere le pratiche assicurative, ma i suoi genitori non si fidavano e l’hanno tenuta costantemente chiusa in casa, sorvegliata a vista e in camera con suo fratello. Nonostante ciò è riuscita a fuggire: ha detto la teste che una sera è andata a letto vestita, ha visto che suo fratello dormiva profondamente è uscita silenziosamente dalla stanza ed è riuscita ad aprire una finestra, ha scavalcato ed è uscita. Era notte fonda, l’una o le due di notte circa. Ha avuto solo il tempo di chiamare i Carabinieri che sono arrivati pochi istanti prima che suo padre, accortosi della fuga, sopraggiungesse. Era arrabbiatissimo (“incavolato nero”). La teste ha detto che suo padre ha provato a convincere i Carabinieri intervenuti che ella avesse problemi mentali per i quali sragionava, e uno dei due pareva anche prestargli ascolto, ma l’altro non gli ha mai prestato ascolto. Nel frattempo suo padre la minacciava nella lingua madre che i Carabinieri non potevano capire. Alla fine il Carabiniere gli chiese se voleva andare con loro a fare denuncia oppure tornare in casa e ovviamente JJ ha chiesto di fare denuncia e così è stato che è stata portata in caserma. Qui alla fine è stata raggiunta dalla sig.ra A(omissis) L(omissis) A(omissis) L(omissis) che l’ha riportata a Bologna dove è stata collocata nella “Yyyy Yyy Yyyyy” recte : “residenza” di associazione femminile ; NdRedattore non potendo certamente tornare nella casa di Castelmaggiore dove aveva vissuto prima del secondo viaggio in Macedonia.
La sig.ra A(omissis) L(omissis) sapeva che il ragazzo di JJ era preoccupato perché non la facevano tornare in Italia.
La sig.ra A(omissis) L(omissis) aveva contatti con il padre di JJ in quel periodo e infatti lei sapeva da lui che sarebbe tornata in Italia per fare la visita medica necessaria ai fini del risarcimento del danno. La teste sapeva già cosa aveva in mente il sig. XX e nel corso del colloquio gli accennò al fatto che doveva fare la volontà di sua figlia. Ad un certo punto nel corso di una notte la sig.ra A(omissis) L(omissis) ha ricevuto la telefonata del maresciallo dei Carabinieri che la chiamava dal ternano per dirle che JJ era a casa sua poiché non voleva più tornare a casa. Al momento decise di partire l’indomani mattina per andare a prenderla, ma pochi minuti dopo l’ha chiamata il sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) che le chiese di poter andare anche lui perché voleva rivederla e rassicurarla. È stato così che sono partiti la sera stessa e su consiglio della sig.ra A(omissis) L(omissis), la sig.ra JJ ha accettato di farsi collocare in una casa protetta, la “Yyyy Yyy Yyyyy” recte : “residenza” di associazione femminile già in precedenza citata ; NdRedattore . Questi, dati i precedenti, l’hanno messa in un posto con indirizzo riservato che la stessa sig.ra A(omissis) L(omissis) ha dichiarato di non sapere.
Questi fatti sono avvenuti nel febbraio 2009.
In qualche modo, da allora, l’unico contatto fra i genitori e JJ sono avvenuti tramite la sig.ra A(omissis) L(omissis), che peraltro è stata molto riservata e non ha rivelato nulla della nuova vita di JJ.
Ciò è tanto vero che, secondo la testimonianza della sig.ra R(omissis) S(omissis) (pag. 61 e ss. della trascrizione del 14 maggio 2013), sulla quale si tornerà in seguito, vicina di casa della famiglia XX-WW nel periodo di residenza a (omissis) recte : la frazione di Granarolo dell’Emilia (Bologna) più sopra citata ; NdRedattore , fu lei ad informare la madre di JJ del fatto che era diventata nonna e di avere a sua volta saputo ciò per avere incontrato JJ con il neonato una volta che questa si era recata ad un momento di festa accaduto nella comunità dove era stata, “Kkkkk Kkkkkk ” recte : “comunità” in precedenza citata ; NdRedattore , che si trova appunto a (omissis) recte : località in provincia di Bologna ; NdRedattore .
Il sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) (pag. 66 della trascrizione del 14 maggio 2013) ricorda che dopo che la sig.ra JJ è ripartita per la Macedonia subito seppe che si era ripetuta la medesima situazione dell’anno precedente: i genitori non la volevano più fare rientrare a Bologna e che si sarebbe sposata con uno di lì. I documenti non erano questa volta reperibili. Vi è stato poi il rientro in Italia per la questione assicurativa e l’occasione conseguente di fuga in seguito al quale lui e la sig.ra A(omissis) L(omissis) sono andati a prenderla a Terni a casa del maresciallo.
Il sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) ha detto che da quel momento la sua compagna non ha più avuto rapporti con la famiglia di origine.
La sig.ra JJ è rimasta per dei mesi nella “Yyyy Yyy Yyyyy” recte : “residenza” di associazione femminile già in precedenza citata ; NdRedattore . Poi si è presa una casa per conto suo. Come già detto, ha ripreso a lavorare presso il negozio di parrucchiere della sig.ra D(omissis) M(omissis) e qui, una volta, si è presentato suo padre (pag. 154 della trascrizione). La sig.ra D(omissis) M(omissis) ha fatto da filtro, facendo leva sul fatto che il negozio è suo e che si era in orario di lavoro, e così l’incontro con suo padre non ha avuto particolari risvolti spiacevoli. Prima di allora e dopo di allora la sig.ra JJ, la titolare del negozio sig.ra D(omissis) M(omissis) e la fioraia che ha il negozio lì vicino, che era venuta a conoscenza della vicenda hanno visto vari personaggi aggirarsi nei dintorni del negozio e tutte loro hanno ritenuto che, sembrando gli stessi tutti stranieri, fossero persone mandate dal sig. XX.
In seguito a ciò la sig.ra JJ ha sporto una nuova denuncia in base al quale fu emessa a carico del sig. XX la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa e dai luoghi particolarmente frequentati dalla denunciante essendo stata ritenuta la gravità indiziaria del delitto di atti persecutori ( stalking ) ex art. 612 bis c.p. e, evidentemente, il rischio di reiterazione del reato. La misura cautelare in seguito è stata revocata.
La sig.ra D(omissis) M(omissis) (pag. 30 e ss. della trascrizione), anche in seguito a contestazioni ex art. 500 c.p.p., colloca questo fatto all’aprile 2010. Ha detto che il sig. XX è venuto in orario di lavoro (pag. 31) e che è stato mandato fuori perché c’era gente. La teste ha detto che poi ha parlato lei con lui, la sera, e nel colloquio questi ha commentato negativamente il comportamento dei figli che non danno retta, che non seguono le tradizioni dei padri. Ha fatto riferimento al fatto dell’incidente per il quale vi era la richiesta di risarcimento del danno e, anche in base alle contestazioni ex art. 500 c.p.p., si è compreso che aveva chiesto notizie sul fatto che la figlia avesse riscosso o meno il risarcimento del danno e che fosse in regola con il permesso di soggiorno. La teste aveva detto nel verbale da lei confermato di essere stata molto evasiva e che la conversazione si era interrotta perché era squillato il cellulare dell’uomo.
Nel mese successivo hanno notato la presenza dei personaggi a cui si è sopra accennato. In particolare aveva colpito la presenza di un uomo che aveva stazionato tutto un sabato pomeriggio fuori dal negozio tenendo d’occhio la vetrina e un martedì un altro uomo che è stato due o tre ore fuori dal negozio mentre pioveva, restandosene sotto la pioggia senza ombrello. La teste ha precisato (pag. 34) che si trattava di un uomo che era venuto in macchina e che stava comunque in macchina pur tenendo la porta aperta. Ha detto che sembrava proprio un appostamento.
Cose simili ha riferito la sig.ra M(omissis) B(omissis) (pag. 25 e ss. della trascrizione del 14 maggio 2013) che è la contitolare del vicino negozio di fiori. Ha detto di essere stata messa sull’avviso dalla parrucchiera e di fare presente se avesse notato qualche cosa. Ricorda che in seguito a ciò notò la presenza di un uomo che, in seguito ha contestazioni ex art 500 c.p.p., ha confermato di avere descritto come di circa 60 anni con capelli bianchi. Non sembrava italiano. Era vestito in giacca e pantaloni.
Preso atto che questi sono i fatti accaduti ritiene lo scrivente che questi indichino la responsabilità penale di tutti e due gli imputati nei termini che stiamo per dire.
Come prima cosa, ritiene lo scrivente, le vessazioni commesse nei confronti della figlia JJ sono arrivati a costituire il sistema di vita di maltrattamenti stigmatizzato dalla norma penale incriminatrice, l’art. 572 c.p.
Infatti perché si abbia questa figura di delitto deve sussistere una pluralità di condotte ripetute nel tempo (cfr. Cass. Pen. 13 luglio 1988 in Riv. Pen. 1990, 498 – da qui la nozione di reato abituale del quale l’art. 572 c.p. sarebbe la tipica espressione) che abbiano la caratteristica di rendere la persona offesa da questo reato sottoposta ad un sistema di comportamenti offensivi che, nel caso del delitto di maltrattamenti in famiglia siano definibili come tali.
La legge non precisa in che cosa consistano questi maltrattamenti, ma si deve ritenere che rientrano in tale nozione tutti i fatti che ledono e pongono in pericolo beni che l’ordinamento giuridico protegge come l’incolumità personale, la libertà, l’onore, ecc.
Il reato, però, non può essere circoscritto in questi limiti, perché, nel pensiero della legge, esso comprende tutti i fatti che, comunque, producono sofferenze fisiche o morali in colui che li subisce e che sono riprovati dalla coscienza pubblica in quanto ritenuti vessatori (cfr. Cass. pen. 8 marzo 1991 in Mass. Dec. Pen. 1991; Cass. pen. 9 giugno 1983 in Riv. Pen. 1984, 445).
In dottrina è evidenziato come i confini tra il lecito e l’illecito in questo terreno sono non poco evanescenti e, perciò, come in tutti i casi simili, molto rimane affidato al saggio apprezzamento del giudice, il quale dovrà tenere anche conto della condizione sociale e della situazione particolare delle persone. Non è dubitabile che nella figura criminosa rientrino – nei limiti accennati – i fatti che producono sofferenze soltanto morali, come spavento, angoscia, disgusto morale (es. costrizione ad azioni degradanti) e che il reato può commettersi mediante omissione.
Quanto al dolo, conformemente a quanto si ritiene per tutti i reati abituali, per il delitto di maltrattamenti in famiglia (che è comunque un reato a dolo generico) si ritiene che debba essere considerata sufficiente la coscienza e la volontà, di volta in volta, delle singole condotte, accompagnate dalla consapevolezza che la nuova condotta si aggiunga alle precedenti, dando vita con queste al predetto sistema di comportamenti offensivi.
Nel momento in cui il soggetto vuole la nuova, ennesima, condotta che dà vita od integra ulteriormente il sistema di comportamenti offensivi, acquisisce altresì la coscienza e volontà dell’abitualità della condotta di avere realizzato siffatto sistema offensivo, che costituisce appunto l’evento unitario del reato abituale. Ciò che si rimprovera all’agente è di avere voluto persistere in un certo modo di agire, di non avere desistito nonostante la consapevolezza del suo precedente agire.
Il reato si perfezione allorché è stato realizzato il minimum di condotte e con la frequenza, necessari ad integrare quel sistema di comportamenti in cui si concreta tale reato e la cui valutazione è affidata alla discrezionalità del giudice. Si consuma allorché cessa la condotta reiterativa.
Il reato può esistere anche nel caso di convivenza more uxorio dato che il concetto di famiglia indicato dall’art. 572 c.p. va inteso nel senso di consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni e consuetudini di vita, siano sorti rapporti di assistenza e solidarietà per un apprezzabile corso di tempo cosa che è accaduta nel caso di specie (vedi Cass. Pen. sez. 6 del 29 gennaio 2008, depositata il 22 maggio 2008 n. 20647/2008). Dunque, considerata l’estensione del concetto di convivenza presente in giurisprudenza, ritiene lo scrivente che nel concetto di convivenza famigliare vada ricompreso anche l’ultimo periodo, successivo alla fuga del giugno 2007 della ragazza perché fino ad agosto del 2007 la ragazza era comunque minorenne e dunque inserita giuridicamente nell’ambito famigliare e in seguito, aveva accettato comunque un rapporto con la famiglia tale da indurre negli odierni imputati il potere di arrecare alla persona offesa i mali che abbiamo visto, tali da indurre il sistema di vita intollerabile descritto dalla norma penale. Dunque i comportamenti maltrattanti commessi in costanza di questa convivenza costituiscono l’elemento oggettivo del reato di maltrattamenti in famiglia anche essi.
Solo quando dal febbraio 2009, la persona offesa, delusa dall’ennesimo tradimento della sua fiducia e sottoposta per la terza volta all’ossessivo progetto dei genitori di trovarle loro un marito, ha definitivamente interrotto i rapporti con i genitori, la convivenza è cessata.
Ritiene lo scrivente che il quadro dei maltrattamenti in famiglia fosse già conclamato quando la ragazza ha commesso il primo gesto autolesionistico consistito nella ferita al polso che è da porre in diretta conseguenza con la concatenazione di eventi che viveva da sempre la ragazza e da lei raccontati e cioè il quadro di sostanziale isolamento ed impedimento di una normale vita di relazione. Si rappresenta che anche i comportamenti iperprotettivi per la giurisprudenza possono essere rilevanti per costituire il sistema di vita stigmatizzato dalla norma in esame (vedi Cass. Pen. Sez. 6, Sentenza n. 36503 del 23/09/2011 dep. 10/10/2011) e ciò finanche come nel caso di cui alla sentenza citata i comportamenti non vengano percepiti come maltrattanti dalla vittima, figurarsi nel caso in cui, come questo, la persona offesa, ad un dato momento della sua vita, comprende quello che sta subendo e reagisca così violentemente da fare gesti di autolesionismo del quale la carica dimostrativa evidenziata dal dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis) non serve a sminuire la gravità delle conseguenze dovendo essere invece intesa come un modo per la persona offesa di fare presente a tutti e dunque soprattutto a chi ne era la causa quello che viveva e del sistema maltrattante che sopportava. Questi fatti avrebbero dovuto porre sull’avviso i genitori che per mezzo di quei gravi fatti erano dunque pienamente avvertiti di quello che la ragazza viveva. Ma come si è visto tutto ciò non ha inciso sul progetto famigliare, come ha scritto il dott. A(omissis) F(omissis) R(omissis) nella sua relazione, e pertanto l’andamento dei fatti evidenzia nei genitori una particolare intensità del dolo di questo reato.
I comportamenti che costituiscono il comportamento maltrattante sono in questo caso l’intera impostazione della vita della figlia perseguita dai genitori che fin da quando la figlia era piccola hanno inteso fare in modo che avesse i minori rapporti possibili con il mondo esterno alla loro cerchia, accentuando la pressione nei confronti della figlia quando questa è cresciuta fino al farle abbandonare gli studi nell’ambito di un fallimento scolastico che è stato quasi auspicato a questo punto, fino ad arrivare a preparare pervicacemente il tentativo di farla sposare nell’ambito di un matrimonio combinato da loro, cosa che è avvenuta sostanzialmente tre volte: prima del secondo tentativo di suicidio, quello per il quale la ragazza si è buttata dal muro di cinque metri anche per quel motivo, al termine del primo anno di scuola per parrucchieri e nel giugno 2007 quando è stato proprio il sentire la madre che ne parlava al telefono con la zia è stata la molla per indurla alla fuga e poi, ancora durante la cattività subita in Macedonia in seguito al primo rapimento.
Ma anche nel corso del più breve rapimento del gennaio – febbraio 2009 vi sono state discussioni in proposito essendo stato prospettato anche in quella sede il fatto che doveva sposare chi dicevano loro. Non è mancato anche lo sconvolgente episodio della “stregoneria” riferito dalla persona offesa che deve essere ritenuto anche esso uno dei comportamenti maltrattanti.
Non vale a contrastare la testimonianza della sig.ra JJ la testimonianza in particolare della ex vicina sig.ra R(omissis) S(omissis) (la testimonianza di altro vicino, sig. G(omissis) M(omissis), pag. 40 e ss. della trascrizione, è assolutamente irrilevante), che ha dichiarato tutto il bene possibile dei genitori della persona offesa e ha anche detto di averla disapprovata direttamente e di averle detto che non le credeva quando l’ha incontrata in compagnia del neonato da poco avuto (vedi pag. 50 della trascrizione). In effetti la sig.ra R(omissis) S(omissis) parla solo dei mezzi materiali che ha visto apprestare dai genitori nei confronti della figlia,
senza andare al merito dell’educazione che i genitori le impartivano. In effetti pare che la sig.ra R(omissis) S(omissis) avesse mosso delle critiche al fatto che la madre assecondasse la figlia in tutto, ma di fatto si riferisce solo al fatto che comprava dei cellulari importanti senza tenere conto che se da un lato i cellulari consentono una facile comunicazione per la ragazza, d’altra parte sono anche un mezzo per i genitori per prolungare a distanza il controllo, come ogni genitore ben sa. Per il resto, anche la sig.ra R(omissis) S(omissis) dopo una serie di contestazioni sulle quali ha tergiversato (vedi da pag. 58 a pag. 59) ha confermato che il padre era contrario al fatto che sua figlia avesse relazioni con italiani, marocchini, tunisini ecc.
Per la precisione, la contestazione che le è stata letta (vedi pag. 58 della trascrizione) suonava così: “il padre, macedone, di fede musulmana, esige che la figlia non instauri alcun rapporto con ragazzi di religione cattolica. Motivo per il quale, l’anno scorso aveva costretto la figlia ad interrompere gli studi, quest’ultima non accetta tale imposizione, posso affermarlo con certezza, in quando JJ, spesso, si confidava con me, lamentando tale situazione”.
Come si vede, successivamente, nel corso della deposizione, la sig.ra R(omissis) S(omissis) ha negato di avere raccolto le confidenze della ragazza, ma allora le cose possibili sono due: o le ha raccolte e allora è a conoscenza di quei fatti di cui alle contestazioni (che di fatto ha ammesso quando ha riferito essere vero che il padre era contrario alle frequentazioni di italiani ed assimilati), oppure non raccoglieva confidenze e dunque non può sapere cosa viveva JJ e la sua testimonianza è eccessivamente favorevole ai genitori in modo che peraltro non è limpido e ampiamente criticabile. Ma ritiene lo scrivente che alla fine la teste abbia detto la verità riferendo dell’atteggiamento del padre di JJ nei confronti di chi è diverso da lui e ciò toglie ogni altro tipo di rilevanza della testimonianza che altrimenti si sarebbe dovuto prendere in considerazione ai sensi dell’art. 207 c.p.p.
Né vale ad escludere il fatto che il comportamento di isolamento della ragazza tenuto dai genitori fosse dovuto ad una cattiva frequentazione che stava prendendo la ragazza, come pare sia stata quella del primo ragazzo che ‘filava’ JJ, marocchino come l’odierno compagno di JJ, del quale è stato detto in udienza che era assuntore di sostanze stupefacenti.
In effetti è apparso che il comportamento di isolamento da parte dei genitori era assolutamente generalizzato, precedente alla conoscenza di JJ con il presunto tossico e questo è dimostrato dal successivo comportamento di rifiuto avuto di fatto nei confronti del sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) che certamente non presenta nessuna controindicazione se non il fatto, irrilevante agli occhi dei più, che non è un macedone di etnia albanese.
Il ricovero per un possibile evento di natura comiziale subito da JJ documentato in atti non toglie a lei nessuna credibilità. In effetti data la difficoltà e la lunghezza di una diagnosi di epilessia è ben possibile che invece che un evento di possibile natura comiziale il fatto fosse una prima avvisaglia del malessere depressivo poi diagnosticato dai servizi psichiatrici che come abbiamo visto è una depressione reattiva ai maltrattamenti come segnalato dai medesimi medici.
Quanto alle dichiarazioni dei due imputati rese nel corso dell’esame (vedi trascrizione dell’11 febbraio 2014), esse sono così ottusamente negatorie di ogni tipo di fatto descritto da loro figlia che non hanno alcuna credibilità.
I fatti di maltrattamenti ritiene il giudice assorbano i comportamenti di violenza privata essendo sostanzialmente i medesimi comportamenti come bene si legge dalla lettura anche del capo B oltre che dall’andamento dei fatti. Infatti con i medesimi comportamenti di minaccia, blandizie e di sequestro di persona, come stiamo per vedere, da un lato, alla fine, si perseguiva il disegno del matrimonio combinato e dall’altro si impediva la continuazione della relazione con il sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis). Dunque ritiene lo scrivente che trattandosi dei medesimi comportamenti e non essendo quello l’effetto principale voluto dagli agenti, ma il comportamento di maltrattamenti più in generale, non vi sia spazio nel caso concreto a ritenere uno spazio autonomo di esistenza degli ipotizzati reati sub B) di violenza privata e tentata violenza privata che devono dunque essere ritenuti assorbiti nel reato sub a).
Come si vede nell’ambito del reato sub A sono contestate il fatto che la sig.ra JJ ha subito delle lesioni. Pertanto ci deve domandare se ci si trovi di fronte al reato circostanziato di cui al capoverso dell’art. 572 c.p. così come vigente all’epoca dei fatti. Infatti in caso di lesioni, soltanto se tali eventi siano conseguenza involontaria del fatto costituente tale reato si ha l’ipotesi ivi prevista. Invece quando l’agente abbia avuto anche l’intenzione di ledere l’integrità fisica di una delle vittime, vi è una pluralità di delitti in concorso tra di loro (vedi Cass. Pen. Sez. 1 del 30 aprile 1987 n. 8957). In conseguenza di ciò occorre rilevare come è davvero chiaro che i genitori di JJ, odierni imputati, avessero voluto le lesioni conseguenti ai gesti di autolesionismo, essendo animati da un aberrante disegno educativo che nella loro testa era il bene della loro figlia. Tuttavia non essendo la malattia durata oltre quaranta giorni e soprattutto non essendo stata contestata in imputazione la depressione reattiva che certamente è durata oltre i quaranta giorni ed è causalmente legata ai maltrattamenti, non si può ritenere che il delitto di maltrattamenti sia aggravato ai sensi dell’art. 572 comma 2 c.p. nel testo vigente all’epoca dei fatti.
Sussistono invece i due delitti di sequestro di persona indicati parimenti sub a) dell’imputazione.
Su questi si deve inoltre affermare, proprio perché questa problematica è stato punto espressamente toccato e contestato dalla Difesa nel corso dell’arringa conclusiva, la giurisdizione dello scrivente giudice e ciò perché in tutti e due i casi è avvenuta in Italia e precisamente a Bologna una parte della condotta così come richiede l’art. 6 comma 2 c.p.
Si tratta nel primo caso della condotta di inganno per mezzo della quale si convince JJ ad andare in Umbria approfittando della festività dell’Epifania e per mezzo della quale la si riesce ad avere in macchina con i documenti necessari per il viaggio e con i bagagli necessari. Anche la successiva condotta, quella di darle un sonnifero, che le modalità descritte dalla persona offesa circa il suo addormentamento e il suo risvegliarsi in Serbia, indicano con certezza è avvenuta a Bologna.
Similmente è avvenuto a Bologna nel secondo rapimento il successivo inganno questa volta basato solo sul fatto di essere legati dai vincoli familiari e dalla solenne promessa di non reiterare il precedente comportamento al quale poi non si è tenuto fede. Infatti ritiene lo scrivente che il disegno di trattenere JJ in Macedonia fosse presente fin dall’inizio anche nel 2009 data la testardaggine con la quale i genitori hanno perseguito il loro disegno. In ogni caso si osserva che il sequestro di persona è reato permanente e come si è visto la condotta è stata permanente anche nel corso della successiva permanenza nel ternano dove, ha detto JJ, è stata privata della sua libertà essendo sorvegliata a vista e sempre chiusa in casa tanto che ha dovuto fuggire nottetempo scavalcando una finestra. Questo comportamento, cessato per la fuga, è avvenuto anche esso in Italia e dunque anche se si ritenesse che il comportamento di sequestro di persona fosse iniziato in Macedonia, la parte di condotta avvenuta in Umbria ne afferma anche in questo caso la giurisdizione del giudice italiano e per via della connessione (ma la competenza territoriale non è mai stata contestata) la competenza del Tribunale di Bologna.
Quanto ai fatti, basterebbe la testimonianza di JJ per affermare che i due odierni imputati l’hanno rapita in tutte e due le occasioni commettendo così il reato di sequestro di persona in tutte e due le occasioni. Ma se qualcuno potesse ritenere che ciò non basti, ci si deve aggiungere le testimonianze della sig.ra A(omissis) L(omissis), del sig. B(omissis) E(omissis) H(omissis) e del sig. A(omissis) M(omissis), oltre per il fatto avvenuto nella seconda occasione, della constatazione della fuga dall’abitazione del padre da parte dei Carabinieri che dagli stessi testi è stata riferita.
Anche il documento del notaio macedone, per converso, ritiene il giudice attesti la verità del rapimento essendo chiaro che si tratti di un puerile tentativo di costituirsi una prova a proprio favore assolutamente inutile nel caso in cui non vi fosse nulla di vero nel fatto del rapimento.
Per i sequestri di persona si devono ritenere responsabili ambedue i genitori di JJ in tutte e due le occasioni. In particolare, focalizzando l’attenzione sulla responsabilità della sig.ra WW, essendo chiaro in cosa è consistito il ruolo attivo del padre, sig. XX, si ricorda che la madre ha detto a JJ di non avergli detto niente nella prima occasione per accondiscendere al padre che non voleva avere resistenza e quanto alla seconda occasione si ricordi che è la madre ad accompagnare e dunque a fare da carceriera alla figlia nel percorso di ritorno dalla Macedonia alla casa in Umbria.
Quanto all’elemento oggettivo del reato, tenuto conto che esso costituisce la privazione di libertà di locomozione apprezzabile e giuridicamente valutabile ai sensi dell’art. 605 c.p., non rientra in esso solo il comportamento tenuto nella prima occasione di privazione della libertà di autodeterminazione in ordine al viaggio in Macedonia, che come si è visto è accaduta la prima volta, ma anche il fatto, avvenuto in tutte e due le occasioni, di impedire il rientro in Italia mediante la privazione dei documenti a ciò necessari e con l’attività di controllo demandata anche ad altri membri della famiglia tenuti in Macedonia nel quale la ragazza cresciuta in un ambiente diverso e estraneo era sostanzialmente priva della possibilità di chiedere liberamente aiuto come invece le era possibile in Italia.
Del dolo del reato questo è chiaramente esistente se sol si pensi che in ambedue i casi la volontà di privazione della libertà che è stata tenuta che i fatti dimostrano essere stata presente, già di per sé sufficiente per la sussistenza dell’elemento psicologico del reato (vedi Cass. Pen. Sez. 5, Sentenza n. 19548 del 17/04/2013 ud. dep. il 07/05/2013), era diretta a prevaricare la volontà della figlia in ordine al destino che essa voleva dare alla sua vita.
È appena il caso di notare, non essendo stato ciò sostenuto da nessuno nel corso della discussione, che non vi è rapporto di specialità tra i reati di maltrattamenti in famiglia e di sequestro di persona che possono dunque concorrere (vedi Cass. Pen. Sez. 1, Sentenza n. 18447 del 02/05/2006 ud., dep. il 25/05/2006).
I due imputati sono così colpevoli anche dei delitti di sequestro di persona contestati sempre sub A) dell’imputazione.
I fatti sono aggravati ai sensi dell’art. 605 comma 2 n. 1 c.p. essendo chiaro che i due sequestri di persona sono stati commessi in danno di discendente così come contestato, perlomeno in fatto, nell’imputazione.
Tuttavia si ritiene di poter attenuare le conseguenze sanzionatorie che derivano a carico degli imputati applicando le attenuanti generiche. Queste sono da concedere, ritiene il giudice, non tanto perché si vuole dare rilievo ad un diverso atteggiamento culturale al quale gli imputati sono legati per la loro formazione come persone e al quale hanno dimostrato di essere così legati tanto da disprezzare quasi tutto quello hanno potuto vedere nel paese dove hanno comunque svolto buona parte della loro vita. Come è noto, nessun rilievo possono avere rispetto al diritto le differenti posizioni culturali in cui taluno è cresciuto essendo comunque dovuto il rispetto delle norme giuridiche positive ed essendo dovuto il loro rispetto a prescindere dalle concezioni personali, tenuto conto della dignità costituzionalmente protetta dei beni giuridici che le norme tutelano.
Il motivo per il quale si ritiene di dover applicare le attenuanti generiche ad un caso dove sono stati commessi reati gravi e ripetuti e che solo per la fortunata concatenazione degli eventi non sono stati portati a conseguenze peggiori è l’espressa, reiterata, richiesta di JJ di potere applicare a quelli che comunque rimangono i suoi genitori il migliore trattamento possibile senza, in particolare, se possibile applicazione di reali conseguenze carcerarie. La richiesta della figlia è dunque l’unica ragione per la quale ritiene lo scrivente che sia ragionevole applicare le attenuanti generiche che, in relazione al giudizio di contemperamento tra aggravanti e attenuanti di cui all’art. 69 c.p., devono essere ritenute equivalenti all’aggravante sopra ritenuta.
I fatti sono chiaramente avvinti da un medesimo disegno criminoso perseguito per lunghi anni nel disegno prepostosi di prevedere per la propria figlia il modello educativo e il destino da loro ritenuto giusto. Si applica pertanto la disciplina del reato continuato per il quale ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p. deve essere ritenuto più grave il primo dei delitti di sequestro di persona iniziato il 6 gennaio 2008 e cessato tre mesi dopo.
Si deve passare all’esame del trattamento sanzionatorio da applicare.
Ritiene lo scrivente che non vi sia ragione per differenziare il trattamento sanzionatorio tra il sig. XX e la sig.ra WW se solo si tiene presente quanto detto dagli osservatori dei servizi sociali e psichiatrici e cioè che la seconda ha del tutto condiviso il disegno educativo e ne è stata la prima e più pressante autrice essendo direttamente lei ad avere tenuto i comportamenti più oppressivi che hanno indotto la figlia agli atti di autolesionismo e tenendo inoltre presente che non sarebbe stato possibile in nessuno dei due casi il sequestro di persona se non vi fosse stata la sua collaborazione nell’esecuzione.
Ai sensi dell’art. 133 c.p.,
appare comunque congruo irrogare una pena che non può corrispondere al minimo della pena tenuto conto che il sequestro di persona ha comportato una privazione della libertà di durata particolarmente lunga anche se la cattività macedone è comunque avvenuta in ambito famigliare. Contemperando tutti questi elementi sulla scorta dei criteri indicati dalla norma in applicazione si ritiene che si debba applicare una pena complessiva, a tutti e due gli imputati, di anni uno e mesi quattro di reclusione (pena base per il delitto di cui all’art. 605 c.p. commesso nel 2008 anni uno e mesi due di reclusione, aumentata per la continuazione con gli altri due reati, il secondo sequestro di persona e i maltrattamenti in famiglia fino alla pena finale).
Si ritiene di non poter avere elementi convincenti per dire che il sig. XX si asterrà dalla commissione di reati e ciò perché la pervicacia con la quale ha perseguito il disegno criminoso ai danni della figlia non consente davvero di essere certi così come richiede l’art. 164 c.p. circa la non commissione di ulteriori reati. Come prima cosa si vede che vi sono precedenti definitivi che, peraltro, in relazione alle guide in stato di ebbrezza accadute in passato dimostrano come fosse vero quanto detto da sua figlia della tendenza a bere del padre a suo tempo avuta. Poi vi sono a suo carico dei precedenti per omesso versamento di contributi previdenziali, fatti avvenuti molto più recentemente. Tra l’altro, nel corso del processo, si è appreso che egli è l’unico titolare e padrone indiscusso della sua impresa edile e nonostante ciò, nonostante sia pure emerso che sua moglie nulla fa come attività lavorativa se non badare alla famiglia senza sostanzialmente mai uscire di casa, a carico di questa vi è un decreto penale di condanna per motivi chiaramente legati alla gestione di un impresa quale è l’omesso versamento di contributi previdenziali che è il reato a lei iscritto in casellario. Ne deriva che il sig. XX riesce anche a sviare su altri e segnatamente su sua moglie comportamenti che questo processo dimostra siano a lui riferibili e anche questo è elemento negativo da valutare che non consente la prognosi favorevole di cui all’art 164 c.p. e rende inapplicabile in concreto la sospensione condizionale della pena che in astratto sarebbe concedibile, non essendo i precedenti, pur numerosi, ostativi.
Invece per quanto riguarda la sig.ra WW, anche per lei il precedente non è ostativo e si ritiene che l’unica occasione di commettere reati, pur se non si ritiene che abbia rivisto la sua posizione sulla giustezza della linea comportamentale tenuta nei confronti della figlia, sia stata proprio la presenza di questa figlia che si è mostrata molto più indipendente di quello che aveva pensato. Dunque in concreto si ritiene che non abbia più occasioni per ricadere nel reato e si dispone la sospensione condizionale della pena per il prescritto periodo di anni cinque al termine dei quali se non vi sarà ricaduta nel reato, i presenti delitti saranno estinti.
Per quanto riguarda la contestazione sub C) di atti persecutori, mossa al solo sig. XX, si rileva che è sicuramente riferibile a lui solo l’episodio della visita in negozio dell’aprile 2010 che per quanto sgradita e minacciosa di per se non è sufficiente a manifestare l’esistenza del reato dato che non sono sussumibili sotto questa ipotesi i precedenti comportamenti diretti a tutt’altro come abbiamo visto. Gli episodi relativi alla presenza di altre misteriose persone fuori dal negozio dove lavora tutt’ora la persona offesa, data la mancata identificazione di questi non sono riferibili con la certezza richiesta a comportamenti del sig. XX e dunque per questi fatti egli deve essere mandato assolto, ai sensi dell’art. 530 comma 2 c.p.p., perché il fatto non sussiste, non essendo sufficiente ai fini della commissione dell’art. 612 bis c.p. l’unico episodio certo.
Quanto ai reati per cui i coniugi XX-WW sono stati ritenuti responsabili essi sono fonte di risarcimento del danno nei confronti della loro figlia e ciò in solido fra di loro.
Il danno subito da questo non è solo un danno non patrimoniale per la sofferenza dovuta al reato, per il solo fatto di averli subiti e per il danno biologico relativo alle malattie indotte dai reati quali la depressione reattiva di cui si è detto. Vi è anche un cospicuo danno patrimoniale. Basti pensare agli stipendi persi da JJ a causa dei due rapimenti e ancora di più al fatto di non potere avere avuto la doverosa collaborazione ed apporto economico dei genitori nel cammino scolastico e quello professionale successivo.
Per converso potrebbe essere che la sig.ra XX abbia avuto dei benefici economici per programmi di aiuto derivanti dalla condizione di maltrattata nella quale si è trovata. Questi vantaggi dovrebbero essere sottratti dal danno patrimoniale subito. Dunque, tenuto conto di tutto ciò, in questa sede non si può che pronunciare una condanna generica e rimettere le parti di fronte al Giudice civile per la sola liquidazione dei danni.
Tuttavia l’elevato danno non patrimoniale ritenuto già accertato impone la condanna al pagamento di una provvisionale da porre a carico di tutti e due gli imputati che non può essere inferiore ad Euro 25.000,00.
Gli imputati sono pure condannati a pagare le spese processuali sostenute dall’erario e le spese sostenute per la costituzione di Parte civile.
Queste ultime sono liquidate in favore anche esse dello Stato, data l’ammissione di JJ al patrocinio a spese dello Stato. Sono liquidate come indicato in dispositivo in corrispondenza dei parametri vigenti per il patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
Visti gli artt. rubricati, 62 bis, 81 cpv. c.p., 521, 533 e 535 c.p.p.;
dichiara XX e WW colpevoli dei delitti a loro ascritti sub A) dell’imputazione assorbite nel delitto di maltrattamenti in famiglia ivi contestato le condotte di violenza privata e tentata violenza privata contestati sub B) dell’imputazione e, ritenuti i fatti di sequestro di persona aggravati ex art. 605 comma 2 n. 1 c.p. in relazione alla qualità di discendente della persona offesa così come contestato in fatto, ritenuti i fatti avvinti dal vincolo della continuazione, più grave a tal fine il primo sequestro di persona, concesse a tutti e due le attenuanti generiche equivalenti alla aggravante, li condanna ambedue alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali sostenute dall’erario.
Visto l’art. 163 c.p., ordina in favore della sola WW la sospensione condizionale della pena per la durata di anni cinque.
Visti gli artt. 185 c.p., 538 e 539 c.p.p.,
condanna XX e WW, in solido fra loro, a risarcire il danno subito da JJ, rimettendo le parti di fronte al Giudice civile per la sola liquidazione, disponendo, tenuto conto del danno non patrimoniale accertato in corso di causa, una provvisionale immediatamente esecutiva per legge, nella misura di Euro 25.000,00.
Visto l’art. 541 c.p.p., condanna XX e WW, in solido fra loro, a pagare le spese processuali sostenute dalla Parte Civile e per essa li condanna a pagare dette spese in favore dello Stato in quanto la Parte civile è ammessa al patrocinio a spese dello stato. Liquida tali spese in complessivi Euro 1750,00, oltre IVA e CPA come per legge.
Visto l’art. 530 comma 2 c.p.p. assolve XX dal reato a lui ascritto sub C) perché il fatto non sussiste.
Visto l’art. 544 comma 3 c.p.p., indica in giorni novanta il termine per il deposito delle motivazioni.
Conclusione
Così deciso in Bologna, il 11 febbraio 2014.
Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2014.