ART 572 Cp GrAvITa’ Giudizio Immediato
l reato di maltrattamenti, per ricordarne sommariamente le caratteristiche tipologiche, è una fattispecie a forma libera, perpetrabile esclusivamente all’interno di precisi rapporti tra agente e vittima: rapporto di famiglia o di convivenza, rapporto di autorità, rapporto di affidamento per ragioni di educazione, cura, vigilanza, custodia o per l’esercizio di arti o professioni; tale reato è genericamente riferibile a qualunque comportamento caratterizzato dalla perpetrazione nel tempo di atti di sopraffazione, delittuosi o meno, tali da offendere la personalità del soggetto passivo e causare la degenerazione del rapporto nel cui alveo sono posti in essere.
Integra tale delitto il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, e non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo (tra moltissime altre, Sez. 3, n. 6724 del 22/11/2017, Rv. 272452).
E’ del tutto irrilevante, allora, nell’accertata esistenza di plurimi episodi di prevaricazione, nel corso di una relazione sentimentale protrattasi per otto anni, che la persona offesa – come si afferma in ricorso – avesse una sua vita di relazione autonoma o potesse disporre di risorse economiche: circostanze, entrambe, perfettamente compatibili con un più generale clima di umiliante sopraffazione, che è necessario e sufficiente per configurare il reato.
Articolo 572 c.p. – Maltrattamenti contro familiari e conviventi
Articolo 572 c.p. – Maltrattamenti contro familiari e conviventi (1).
[I]. Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.
[II]. La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno o in presenza di minore degli anni diciotto (2).
[III]. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.
(competenza: Trib. monocratico (udienza prelim.), Tribunale collegiale (ipotesi di lesione gravissima) e, d’Assise (ipotesi di morte)
arresto: facoltativo; obbligatorio (ipotesi di morte)
fermo: non consentito (primo comma) consentito (terzo comma)
custodia cautelare in carcere: consentita
altre misure cautelari personali: consentite
procedibilità: d’ufficio
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Sentenza 7 febbraio – 8 maggio 2019, n. 19776
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente –
Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere –
Dott. APRILE Ercole – Consigliere –
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere –
Dott. ROSATI Martino – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
I.G.C., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 08/03/2018 dalla Corte di appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Martino Rosati;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. TAMPIERI Luca, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso.
Svolgimento del processo
I.G.C., per il tramite del suo difensore, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze dell’8 marzo 2018, che ha confermato la condanna inflittagli dal Tribunale di Livorno il 21 novembre 2014, per i delitti di maltrattamenti e lesioni personali dolose in danno della sua convivente P.D.G., costituitasi parte civile nel processo.
2. Il ricorso si articola attraverso tre motivi.
2.1. Con il primo, si lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva, ai sensi dell’art. 606 C.P.P., comma 1, lett. d), con riferimento all’audizione dei figli minori della coppia, utile per accertare lo stato d’animo della persona offesa ed i motivi per cui si sarebbe risolta a sporgere la querela. Si allega, al riguardo: che i relativi elementi di conoscenza sono sopravvenuti alla sentenza di primo grado, derivando dai colloqui telefonici intervenuti tra i minori e l’imputato durante la detenzione di questi; che i ragazzi non sono mai stati esaminati in dibattimento; ed altresì che, in rito, la Corte ha errato nel ritenere detta prova non indispensabile ai fini della decisione, dovendo invece ravvisarsi tale requisito anche quando la prova nuova sia sufficiente ad ingenerare anche solo il dubbio sulla colpevolezza dell’imputato.
2.2. La seconda censura – mossa a mente dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), – attiene al travisamento delle dichiarazioni testimoniali degli operatori di polizia giudiziaria F. e B. e di Po.Pe., amica della persona offesa, i quali, al contrario di quanto divisato dai giudici del merito, non hanno esposto circostanze tali da confermare il racconto della vittima.
2.3. L’ultimo motivo stigmatizza come erronea la sussunzione delle condotte nella fattispecie di cui all’art. 572 c.p., per difetto del requisito dell’abitualità delle medesime. L’istruttoria, ovvero, avrebbe accertato la verificazione di soli tre episodi aggressivi lungo un arco di due anni, mentre è emerso che la P. avesse una vita di relazione autonoma, con piena disponibilità delle risorse economiche messele a disposizione dal compagno, peraltro da lei stessa definito un buon padre di famiglia.
Motivi della decisione
Tutti i motivi di ricorso sono manifestamente destituiti di fondamento.
2. Quanto al primo, va osservato che la sentenza impugnata giustifica la reiezione della richiesta di rinnovazione istruttoria, avente per oggetto l’esame testimoniale dei figli dell’imputato e della parte civile, rappresentando che tale prova non fosse indispensabile ai fini della decisione, nè fosse sopravvenuta o scoperta dopo il giudizio di primo grado, vertendo essa su una questione già oggetto di ampia attività istruttoria nel dibattimento svoltosi dinanzi al Tribunale (pag. 9).
Il ricorso, sotto l’aspetto della novità della prova, si limita a dedurre che i figli della coppia non sono stati esaminati nel corso del dibattimento.
Tanto non è sufficiente, però, per ritenere che si sia in presenza di una c.d. “prova nuova”, per gli effetti di cui all’art. 603 c.p.p., comma 2, dovendo tenersi in considerazione, a tal fine, anche l’oggetto della prova che s’intende introdurre, e quindi, nel caso di prova dichiarativa, quanto meno il tema su cui essa deve vertere, onde consentire al giudice di apprezzarne l’effettiva novità o meno rispetto agli argomenti di prova già trattati.
E’ di solare evidenza – per rimanere all’ipotesi di specie – che l’audizione dei figli delle parti sulla generale situazione familiare, ben possibile nel corso del dibattimento, non avrebbe rivestito alcun carattere di novità; diversamente si sarebbe potuto ritenere, invece, nel caso in cui, ad esempio, essi avessero dovuto riferire su circostanze specifiche, non emerse in istruttoria e tali da incidere significativamente sulla ricostruzione dei fatti.
La difesa ricorrente, però, non ha offerto alcuna indicazione sui contenuti delle informazioni che avrebbero potuto rendere i figli, se esaminati.
Per l’effetto, la Corte non è in condizione di stabilire, anzitutto, se quella prova, richiesta al giudice d’appello ma da esso respinta, fosse “sopravvenuta”, con conseguente applicazione dei più laschi parametri di ammissibilità di cui al combinato disposto dell’art. 603 c.p.p., comma 2, art. 495 c.p.p., comma 1, e art. 190 c.p.p.; nè, in secondo luogo, se essa fosse o meno decisiva, secondo quanto imposto dal medesimo art. 603, comma 1.
Giova rammentare, a tal proposito, che, in tema di ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale, qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, Rv. 273577; Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, Rv. 261799).
Nell’ipotesi in rassegna, invece, non emerge dagli atti quale decisivo apporto conoscitivo, tale da sovvertire l’esito del giudizio, sia venuto a mancare al processo, per effetto della mancata assunzione di quelle testimonianze.
2. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, secondo cui i giudici di merito avrebbero travisato il contenuto di alcune delle testimonianze acquisite.
2.1. In tema di ricorso per cassazione, ai fini della configurabilità del vizio di “travisamento” della prova dichiarativa, è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (tra molte, Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, Rv. 272406; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, Rv. 271702).
Nel caso, poi, come quello in rassegna, di cosiddetta “doppia conforme”, tale vizio può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite, in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza, da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018).
2.2. Nella fattispecie in esame, non si ravvisa in alcun modo un simile fraintendimento macroscopico del contenuto delle indicate testimonianze, che peraltro rappresentano soltanto una parte di quelle assunte in dibattimento.
La stessa difesa ricorrente, infatti, si limita a spigolare tra quelle dichiarazioni, estrapolandone singole battute, tutte, peraltro, concernenti l’aspetto delle percosse e delle violenze fisiche, che però non esauriscono la condotta maltrattante contestata.
3. Manifestamente infondato, infine, è pure il terzo motivo di ricorso, attraverso il quale si contesta la ritenuta configurabilità del delitto di maltrattamenti, ex art. 572 c.p., sul presupposto della episodicità delle manifestazioni violente e, per l’effetto, dell’assenza dell’imprescindibile connotato di abitualità delle condotte.
Integra tale delitto il compimento di più atti, delittuosi o meno, di natura vessatoria, che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, senza che sia necessario che essi vengano posti in essere per un tempo prolungato, essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione, anche se in un limitato contesto temporale, e non rilevando, data la natura abituale del reato, che durante lo stesso siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo (tra moltissime altre, Sez. 3, n. 6724 del 22/11/2017, Rv. 272452).
E’ del tutto irrilevante, allora, nell’accertata esistenza di plurimi episodi di prevaricazione, nel corso di una relazione sentimentale protrattasi per otto anni, che la persona offesa – come si afferma in ricorso – avesse una sua vita di relazione autonoma o potesse disporre di risorse economiche: circostanze, entrambe, perfettamente compatibili con un più generale clima di umiliante sopraffazione, che è necessario e sufficiente per configurare il reato.
Peraltro, anche sotto lo specifico profilo in esame, la difesa ricorrente limita la propria attenzione agli episodi di violenza fisica subiti dalla P., del tutto obliterando le altre forme di sopraffazione da costei subite e concordemente ritenute dai giudici di merito.
4. Sulla scorta di tali considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Da tanto consegue – ai sensi dell’art. 616 c.p.p. – la condanna del proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in duemila Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2019.
Consegue, inoltre, ai sensi del citato D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 9 (che prevede che “nei casi previsti dall’art. 8, comma 1, l’autorità giudiziaria, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, dispone la trasmissione all’autorità amministrativa competente degli atti dei procedimenti penali relativi ai reati trasformati in illeciti amministrativi, salvo che il reato risulti prescritto o estinto per altra causa alla medesima data”) la trasmissione degli atti al Prefetto di Taranto, non essendo il reato prescritto alla data del 6.2.2016.
Va ricordato che il reato di maltrattamenti (art. 572 c.p.) integra una ipotesi di reato necessariamente abituale che si caratterizza per la sussistenza di una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali isolatamente considerati potrebbero anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica, etc.) ovvero non perseguibili (percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), idonei a cagionare nella vittima durevoli sofferenze fisiche e morali (Sez. 6, n. 43221 del 25/09/2013, Rv. 257461; Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011, dep. 14/03/2012, Rv. 252350; Sez. 6, n. 4636 del 28/02/1995, Rv. 201148).
Nella, specie, la Corte di appello ha adeguatamente valutato l’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, sia sotto il profilo della intrinseca linearità sia sotto il profilo della correttezza estrinseca, constatando come la condotta di violenza e di sopraffazione che l’imputato ha inflitto a sua moglie (intrattenere rapporti sessuali con l’amante all’interno della casa coniugale imponendo alla moglie l’accettazione di tale stato di fatto con gravi minacce) abbia trovato riscontro anche nella relazione di servizio del 11.6.2011 e nel chiaro contenuto delle conversazioni telefoniche intercorse tra l’imputato e la persona offesa.
Va ricordato, a tal proposito, che le dichiarazioni della persona offesa possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez U, n. 41461 del 19/07/2012, Rv.253214).
Il giudice, quindi, può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità penale anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr. Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016, Sez.5, n. 1666 del 08/07/2014).
Va, poi, ribadito che la valutazione circa l’attendibilità della persona offesa si connota quale giudizio di tipo fattuale, ossia di merito, in quanto attiene al modo di essere della persona escussa; tale giudizio può essere effettuato solo attraverso la dialettica dibattimentale, mentre è precluso in sede di legittimità, specialmente quando il giudice del merito abbia fornito una spiegazione plausibile della sua analisi probatoria (cfr., Sez. 3, n. 41282 del 05/10/2006, Agnelli e altro, Rv. 235578).
La motivazione offerta dalla Corte territoriale in ordine alla attendibilità della persona offesa, le cui dichiarazioni sono state poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità, è congrua e priva di vizi logici e si sottrae al sindacato di legittimità.
3. È, invece, fondata la doglianza relativa al mancato assorbimento dei reati di minaccia e di violenza privata in quello di maltrattamenti.
Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, infatti, il reato di maltrattamenti assorbe i reati di minacce e violenza privata che rientrano, appunto, nella materialità di detto delitto (Sez. 2, n. 15571 del 13/12/2012, dep. 04/04/2013, Rv. 255780; Sez. 6, n. 13898 del 28/03/2012, Rv. 252585; Sez. 5, n. 22790 del14/05/2010, Rv. 247521; Sez. 1, n. 7043 del09/11/2005, dep. 24/02/2006, Rv. 234047). Ne consegue che, nel caso di specie, tenuto conto della coincidenza temporale e del nesso finalistico dei delitti ex artt. 610 e 612 c.p. in relazione al delitto ex art. 572 c.p., i singoli episodi vessatori costituiti da minacce e violenza privata rimangono assorbiti nel reato di maltrattamenti.
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