AIRE RESIDENZA FISCALE ALL’ESTERO CASSAZIONE
I criteri per la determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche sono dettati dall’articolo 2 del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR), il quale stabilisce che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti nello Stato le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta si trovino in una delle seguenti condizioni (tra loro alternative): a) sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente; b) hanno la residenza o c) il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi del codice civile. Il comma 2- bis dell’articolo 2 del TUIR (aggiunto dall’art. 10, co.1 L. 23 dicembre 1998, n. 448), dispone che “si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze. Tale norma prevede una presunzione relativa di residenza per i cittadini italiani che trasferiscono la propria residenza o il proprio domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata: al fine di essere esclusi dal novero dei soggetti residenti in Italia ricade su di essi l’onere di provare di risiedere effettivamente in quei Paesi o territori. In altri termini: avere la sede principale dell’attività, sicché il centro degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi (Cass. 18 novembre 2011 n. 24246; Cass. 15 giugno 2010 n. 14434). Le relazioni affettive e familiari – la cui centrale importanza è invocata dalla ricorrente Agenzia al fine della residenza fiscale – non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri – idoneamente presi in considerazione nel caso in esame- che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento (Cass. n. 24246/2011 cit.; Cass. 1 novembre 2001 n. 13803). Nella fattispecie la CTR, come detto in narrativa, ha congruamente motivato, dando giusta prevalenza a elementi decisivi ed assorbenti ai fini di superare la presunzione di cui alla norma citata, per cui non è fondata la doglianza sul mancato esame della prova contraria offerta dall’Ufficio, risultandone l’allegazione ininfluente.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Sentenza 16 gennaio – 31 marzo 2015, n. 6501
(Presidente Virgilio – Relatore La Torre)
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate notificava al dott. G.K. cittadino elvetico, già cittadino italiano iscritto all’AIRE dal 1978, avviso di accertamento ai fini dell’Irpef per omessa dichiarazione dei redditi da lavoro autonomo anno 1999 (compensi quale amministratore unico U. srl), ai sensi dell’art. 2 comma 2 bis, del d.P.R. 917/1986 (TUIR). Contro l’atto impositivo l’intimato proponeva ricorso, che la CTP di Genova accoglieva, affermando che non era più possibile considerarlo cittadino italiano, ai sensi della norma citata.
La sentenza veniva appellata dall’Agenzia delle entrate, che deduceva la legittimità dell’accertamento in quanto i cittadini italiani, seppure cancellati dall’anagrafe della popolazione residente, se trasferiti in Stati con regime fiscale privilegiato, si presumono residenti in Italia, salvo prova contraria che, secondo l’Ufficio, nella fattispecie, non era stata assolta.
La CTR Liguria, con sentenza dep. il 10.3.2009, ha confermato la decisione di primo grado, ritenendo fornita la prova idonea a vincere la presunzione di cui all’art. 2, co. 2 bis, TUIR, posto che il dott. K. fin dal 1976 è cittadino elvetico, con passaporto svizzero; risiede in Svizzera e ivi svolge la propria attività di lavoro dipendente con contratto a tempo indeterminato che prevede un orario di otto ore giornaliere; ha in Italia solo un immobile locato ad uso archivio.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate affidato a due motivi.
L’intimato non si costituisce.
Motivi della decisione
Col primo motivo l’Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2 co. 2 bis DPR 917/86 in relazione 360 n. 3 cpc, ritenendo che la CTR non abbia idoneamente valutato la rilevanza dei legami affettivi e personali per il riconoscimento della residenza in Italia ai fini fiscali.
Col secondo motivo la ricorrente deduce vizio di omessa motivazione della sentenza impugnata che non avrebbe tenuto in considerazione gli elementi di prova forniti dall’Agenzia, prendendo in considerazione solo le prove offerte dal contribuente.
I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, non sono fondati.
I criteri per la determinazione della residenza fiscale delle persone fisiche sono dettati dall’articolo 2 del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR), il quale stabilisce che ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti nello Stato le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta si trovino in una delle seguenti condizioni (tra loro alternative): a) sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente; b) hanno la residenza o c) il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi del codice civile. Il comma 2- bis dell’articolo 2 del TUIR (aggiunto dall’art. 10, co.1 L. 23 dicembre 1998, n. 448), dispone che “si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze. Tale norma prevede una presunzione relativa di residenza per i cittadini italiani che trasferiscono la propria residenza o il proprio domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata: al fine di essere esclusi dal novero dei soggetti residenti in Italia ricade su di essi l’onere di provare di risiedere effettivamente in quei Paesi o territori. In altri termini: avere la sede principale dell’attività, sicché il centro degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi (Cass. 18 novembre 2011 n. 24246; Cass. 15 giugno 2010 n. 14434). Le relazioni affettive e familiari – la cui centrale importanza è invocata dalla ricorrente Agenzia al fine della residenza fiscale – non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri – idoneamente presi in considerazione nel caso in esame- che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento (Cass. n. 24246/2011 cit.; Cass. 1 novembre 2001 n. 13803). Nella fattispecie la CTR, come detto in narrativa, ha congruamente motivato, dando giusta prevalenza a elementi decisivi ed assorbenti ai fini di superare la presunzione di cui alla norma citata, per cui non è fondata la doglianza sul mancato esame della prova contraria offerta dall’Ufficio, risultandone l’allegazione ininfluente.
Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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