Studio legale bologna per incidenti mortali
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INDENIZZO INCIDENTE MORTALE, DANNI INCIDENTE MORTALE PERCHE’ RIVOLGERSI A UN AVVOCATO PENALISTA?
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AVVOCATO SERGIO ARMAROLI ESPERTO INCIDENTI GRAVI E MORTALI in materia di incidenti stradali, in particolare con lesioni personali gravi e decessi, ha maturato un’esperienza più che ventennale e la mette a disposizione dei propri assistiti per ottenere l’equo risarcimento. La circolazione stradale è disciplinata da una legge speciale integrata dalla normativa del codice civile e delle assicurazioni. Le difficoltà di inquadramento di molti sinistri derivanti da circolazione stradale devono essere adeguatamente valutate sotto diversi profili affinché sia individuata correttamente la normativa applicabile e le conseguenti responsabilità. Ciò anche in punto alle responsabilità derivanti dal trasporto di persone terze, di merce su strada, su imbarcazioni, ecc.. ho seguito professionalmente, sia in sede giudiziale che stragiudiziale, numerosi Soggetti danneggiati in esito ai sinistri stradali, non dimenticando di tutelare, in caso di macro lesioni loro occorse, che hanno inciso negativamente sia sulle condizioni psico-fisiche che sulla capacità lavorativa, condizionandone le possibilità economico-redittuali, gli interessi anche dei parenti e dei familiari.
La molteplicità delle fattispecie mi ha condotto ad occuparmi di un’ampia casistica, talvolta anche caratterizzata da esiti molto gravi o mortali. I risultati sono sempre stati equi e di soddisfazione per i clienti;
A SEGUITO DI UN INCIDENTE MORTALE SI APRE A CARICO DEL RESPONSABILE UN’INDAGINE PENALE CHE MOLTO SPESSO SFOCIA CON UNA RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO PE RIL RESPONSABILE PER IIL REATO DI CUI ALL’ART 589 CP ,CIOE’ OMICIDIO COLPOSO
COME OTTENERE L’INDENNIZZO DA INCIDENTE STRADALE
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L’infortunistica stradale è intesa come attività di assistenza di chi è rimasto coinvolto in un incidente stradale e allo stesso tempo, offre supporto in ambito legale, tecnico e medico-legale
LE ASSICURAZIONI PRIMA DI PARLARE DI RISARCIMENTO DANNI ATTENDONO L’ESITO DEL PENALE, CIOE’ ATTENDONO CHE SIANO COMPIUTE LE INDAGINI PENALI E IL PM ABBIA DISPOSTO L’AVVISO DI CONCLUSIONI INDAGINE CHE PRECLUDE ALLA RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO DELL’IMPUTATO.
OCCORRE QUINDI NELLE PRIME FASI L’ASSISTENZA DI UN AVVOCATO PENALISTA CHE SEGUA IL PENALE, CHE FACCIA LE DOVUTE ISTANZE E MEMORIE E CHE ASSISTA LE PARTI LESE NEL PROCESSO PENALE.
ANCHE PERCHE’ SE A SEGUITO DEL RICHIESTA DI RINVIO A GIUDIZIO L’ASSICURAZIONE CONTINUA A NON PAGARE IL DANNO OCCORRE COSTITUIRSI PARTE CIVILE, INTENDIAMOCI NON E’ OBBLIGATORIO COSTITUIRSI PARTE CIVILE PERCHE’ SI POTREBBE PROPORRE INVECE UNA CAUSA CIVILE DI DANNI.
ECCO LA NECESSITA’ DI AVVALERSI PER IL RISRICMENTO DANNI INCIDENT EMROTALE ANCHE DI UN AVVOCATO CHE TRATTI IL PENALE, PERCHE’ COME HO GIA’ DETO MOLTO SPESSO L’IMPUT PER LE ASSICURAZIONI DI RISARCIRE NASCE PROPRIO DALL’AZIONE PENALE DEL PM.
DEL RESTO SE L’ASSICURAIZONE RISARCISCE NON VI SARA’ PIU’ PER L’IMPUTATO UNA PARTE CIVILE OVVERO UN AVVOCATO CHE CHIEDA IN SEDE PENALE ACCERTARSI LA PENALE RESPONSABILITA’ DELL’IMPUTATO E CONDANNARLO AL RISARICMENTO DANNI IN SEPARATA SEDE CON RICHIESTA IN SEDE PENALE DI PROVVISIONALE
I DANNI sono di diverse tipologie e comprendono:
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I danni non patrimoniali, o morali, quando previsti dalla legge, e per coloro che siano legittimati, per un reale perturbamento subito;
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I danni patrimoniali; incidente mortale risarcimento eredi
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– L’eventuale indennizzo per I.T.
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Per la durata del periodo antecedente al decesso, con le conseguenti spese mediche, ospedaliere, di trasporto, di esami specialistici, ecc.; le spese funerarie.
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- In caso di incidente stradale mortale si applica la procedura ordinaria RCA, quindi, la richiesta di risarcimento danni andrà avanzata contro il responsabile dell’incidente, contro la compagnia di assicurazioni dell’auto che ha provocato l’incidente, nonché, come abbiamo già specificato per conoscenza, alla propria compagnia di assicurazioni, cautelativamente.
La liquidazione equitativa incidente mortale risarcimento eredi
- è imposta in tali casi dall’art. 1226 c.c.; ma l’equità di cui alla norma suddetta non costituisce una aequitas rudis, ma una ben più articolata nozione (la ETCLEIKEUX aristotelica), i cui fondamenti sono due: l’adeguata considerazione delle specificità del caso concreto, e la garanzia della parità di trattamento a parità di danno (così Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011, in motivazione).
- Al solo fine di garantire il secondo dei suddetti requisiti, e non per altre ragioni, questa Corte ha indicato nei criteri uniformi applicati dal Tribunale di Milano il criterio idoneo a garantire la parità di trattamento: con la conseguenza che il giudice di merito, per garantire la correttezza della liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., dovrà applicare in linea di massima quel criterio, a meno che non indichi le ragioni per le quali, nel caso concreto, quel criterio risulterebbe iniquo.
- Corollario di tale principio è che, se nelle more del giudizio il criterio indicato da questa Corte come idoneo a garantire la parità di trattamento venga a mutare, il giudice di merito dovrà liquidare il danno in base ai nuovi criteri condivisi e generalmente applicati al momento della decisione, e non in base a criteri risalenti ed oramai abbandonati (ex multis, Sez. 3 -, Sentenza n. 24155 del 04/10/2018, Rv. 650934 – 02; Sez. 3 -, Ordinanza n. 22265 del 13/09/2018, Rv. 650595 – 01;Sez.3 -, Sentenza n. 25485 del 13/12/2016, Rv. 642330 – 01;Sez.3 -, Sentenza n. 21245 del 20/10/2016 (Rv. 642948- 01),salva l’ipotesi in cui il debitore, al momento della decisione, non abbia già adempiuto spontaneamente la propria obbligazione: in tal caso soltanto l’esattezza dell’adempimento va valutata in base al criterio di liquidazione generalmente applicato al momento della solutio spontanea, e non al momento – successivo della decisione sulla esattezza dell’adempimento (Sez. 3 -, Sentenza n. 5013 del 28/02/2017, in motivazione).
- Il danno alla salute che può patire la vittima di lesioni personali, la quale sopravviva quodam tempore e poi deceda a causa della gravità delle lesioni, dal punto di vista medico-legale può consistere solo in una invalidità temporanea, mai in una invalidità permanente.
- Il lemma “invalidità”, infatti, per secolare elaborazione medico-legale, designa uno stato menomativo che può essere transeunte (invalidità temporanea) o permanente (invalidità permanente). L’espressione “invalidità temporanea” designa lo stato menomativo causato da una malattia, durante il decorso di questa. L’espressione “invalidità permanente” designa invece lo stato menomativo che residua dopo la cessazione d’una malattia.
- L’esistenza d’una malattia in atto e l’esistenza di uno stato di invalidità permanente non sono tra loro compatibili: sinchè durerà la malattia, permarrà uno stato di invalidità temporanea, ma non v’è ancora invalidità permanente; se la malattia guarisce con postumi permanenti si avrà uno stato di invalidità permanente, ma non vi sarà più invalidità temporanea; se la malattia dovesse condurre a morte l’ammalato, essa avrà causato solo un periodo di invalidità temporanea (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 32372 del 13.12.2018; Sez. 3, Sentenza n. 5197 del 17/03/2015, Rv. 634697 – 01; così pure Sez. 3 Sentenza n. 7632 del 16/05/2003, Rv. 563159, p. 3.3 dei “Motivi della decisione”).
- 6.5. Il danno biologico causato dall’invalidità temporanea consiste nella forzosa rinuncia, durante il periodo di malattia, alle ordinarie attività non spiacevoli cui la vittima si sarebbe altrimenti dedicata, se fosse rimasta sana.
- Per risalente convenzione medico-legale, il danno alla salute da invalidità
- temporanea si apprezza in giorni, mai in frazioni di giorni: sarebbe, infatti, un esercizio puramente teorico pretendere di dare un peso monetario alle attività di cui la vittima è stata privata, durante un periodo di sopravvivenza protrattosi per poche ore o per pochi minuti.
- Da quanto esposto consegue che in tanto la vittima di lesioni potrà acquistare il diritto al risarcimento del danno alla salute, in quanto abbia sofferto un danno alla salute medico legalmente apprezzabile, dal momento che per espressa definizione normativa, oltre che per risalente insegnamento della dottrina, il danno biologico è solo quello “suscettibile di accertamento medico legale” (così l’art. 138 cod. ass.; conforme è la dottrina e l’ormai pluridecennale giurisprudenza di questa Corte).
- Ciò sul presupposto che il danno biologico non consiste nella mera lesione dell’integrità psicofisica, ma presuppone che tale lesione abbia compromesso l’esplicazione piena ed ottimale delle attività realizzatrici dell’individuo nel suo ambiente di vita, sicchè “una concreta perdita o riduzione di tali potenzialità può concretizzarsi soltanto nell’eventualità della prosecuzione della vita, in condizioni menomate, per un apprezzabile periodo di tempo successivamente alle lesioni.
- Consegue che, in difetto di una apprezzabile protrazione della vita successivamente alle lesioni, pur risultando lesa l’integrità fisica del soggetto offeso, non è configurabile un danno biologico risarcibile, in assenza di una perdita delle potenziali utilità connesse al bene salute suscettiva di essere valutata in termini economici” (così già, tra le prime, Sez. 3, Sentenza n. 1704 del 25/02/1997, Rv. 502664 – 01). La conclusione è che nel caso di morte causata da lesioni personali, e sopravvenuta a distanza di tempo da queste, un danno biologico permanente è inconcepibile.
- Quanto al danno biologico temporaneo, per potersene predicare l’esistenza sarà necessario che la lesione della salute si sia protratta per un tempo apprezzabile, perchè solo un tempo apprezzabile consente quell'”accertabilità medico legale” che costituisce il fondamento del danno biologico temporaneo.
- Normalmente tale “lasso apprezzabile di tempo” dovrà essere superiore alle 24 ore, giacchè come accennato è il “giorno” l’unità di misura medico legale della invalidità temporanea; ma in astratto non potrebbe escludersi a priori l’apprezzabilità del danno in esame anche per periodi inferiori.
- Nell’uno, come nell’altro caso, lo stabilire se la vittima abbia patito un danno biologico “suscettibile di accertamento medico legale” è un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, e non sindacabile in questa sede.
- Naturalmente, una volta accertata la sussistenza di un danno biologico temporaneo provocato da una lesione mortale, esso sarà risarcibile a prescindere dalla consapevolezza che la vittima ne abbia avuto, dal momento che quel pregiudizio consiste nella oggettiva perdita delle attività quotidiane (Sez. 3 -, Sentenza n. 21060 del 19/10/2016, Rv. 642934 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2564 del 22/02/2012, Rv. 621706 – 01).
- 6.6. La vittima di lesioni che, a causa di esse, deceda dopo una sopravvivenza
- quodam tempore, può poi patire, come accennato, un pregiudizio non patrimoniale di tipo diverso: la sofferenza provocata dalla consapevolezza di dovere morire.
- Questa sofferenza potrà essere multiforme, e potrà consistere nel provare – ad esempio – la paura della morte; l’agonia provocata dalle lesioni; il dispiacere di lasciar sole le persone care; la disperazione per dover abbandonare le gioie della vita; il tormento di non sapere chi si prenderà cura dei propri familiari, e così via, secondo le purtroppo infinite combinazioni di dolore che il destino può riservare al genere umano. Si tratta, insomma, di quel tipo di sofferenza che più e meglio d’ogni giurista seppe descrivere Luigi Pirandello nella celebre novella Il marito di mia moglie.
- L’esistenza stessa, e non la risarcibilità, del pregiudizio in esame, al contrario del danno alla salute, presuppone che la vittima sia cosciente.
- Se la vittima non sia consapevole della fine imminente, infatti, non è nemmeno concepibile che possa prefigurarsela, e addolorarsi per essa.
- In questa seconda ipotesi, poichè il danno risarcibile è rappresentato non dalla perdita delle attività cui la vittima si sarebbe dedicata, se fosse rimasta sana, ma da una sensazione dolorosa, la durata della sopravvivenza non è un elemento costitutivo del danno, nè incide necessariamente sulla sua gravità.
- Anche una sopravvivenza di pochi minuti, infatti, può consentire alla vittima di percepire la propria fine imminente, mentre – al contrario una lunga sopravvivenza in totale stato di incoscienza non consentirebbe di affermare che la vittima abbia avuto consapevolezza della propria morte (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 32372 del 13.12.2018; nonchè Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605494 – 01). Così, ad esempio, i passeggeri del volo GermanWings, che il 24.3.2015 la lucida follia d’un pilota condusse a schiantarsi sui Pirenei, trascorsero solo sei minuti in cui ebbero la chiara percezione che il velivolo su cui si trovavano stava precipitando, e non v’era scampo: ma nessuno oserebbe negare che il timor panico da essi provato in quella manciata di minuti non costituisca, per il nostro ordinamento, un danno risarcibile.
- In conclusione:
- -) le espressioni “danno terminale”, “danno tanatologico”, “danno catastrofale” non corrispondono ad alcuna categoria giuridica, ma possono avere al massimo un valore descrittivo, e neanche preciso;
- -) il danno da invalidità temporanea patito da chi sopravviva quodam tempore ad una lesione personale mortale è un danno biologico, da accertare con gli ordinari criteri della medicina legale. Di norma, esso sarà dovuto se la sopravvivenza supera le 24 ore, ed andrà comunque liquidato avendo riguardo alle specificità del caso concreto;
- -) la sofferenza patita da chi, cosciente e consapevole, percepisca la morte imminente, è un danno non patrimoniale, da accertare con gli ordinari mezzi di prova, e da liquidare in via equitativa avendo riguardo alle specificità del caso concreto.
- In linea generale, non v’è dubbio che spetti alla vittima d’un fatto illecito dimostrare i fatti costitutivi della sua pretesa, e di conseguenza l’esistenza del danno.
Tale prova tuttavia può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, ovvero invocando massime di esperienza e l’id quod plerumque accidit.
Nel caso di morte di un prossimo congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello), l’esistenza stessa del rapporto di parentela deve far presumere, secondo l’id quod plerumque accidit, la sofferenza del familiare superstite, giacché tale conseguenza è per comune esperienza è, di norma, connaturale all’essere umano.
Naturalmente si tratterà pur sempre d’una praesumptio hominis, con la conseguente possibilità per il convenuto di dedurre e provare l’esistenza di circostanze concrete dimostrative dell’assenza di un legame affettivo tra la vittima ed il superstite.
Ne consegue che, nel presente giudizio, non spettava alla madre ed ai fratelli della vittima provare di avere sofferto per la morte del rispettivo figlio e fratello, ma sarebbe stato onere dei convenuti provare che, nonostante il rapporto di parentela, la morte di P.V. lasciò indifferente la madre ed i fratelli della vittima. - La semplice lontananza, tuttavia, non è una circostanza di per sé idonea a far presumere l’indifferenza d’una madre alla morte del figlio.
Lo insegna la psicologia (dalla quale apprendiamo che la lontananza, in determinati casi, rafforza i vincoli affettivi, a misura che la mancanza della persona cara acuisce il desiderio di vederla); lo testimonia la storia (qui gli esempi sono sterminati: dal carteggio di Abelardo ed Eloisa alle lettere dei condannati a morte della Resistenza); e lo attesta sinanche il mito: quello di Penelope ed Ulisse non sarebbe certo sopravvissuto intatto per ventotto secoli, se non rispondesse ad una costante dell’animo umano la conservazione degli affetti più cari anche a distanza di tempo e di spazio.
La Corte d’appello ha dunque effettivamente violato sia l’art. 2727 c.c., perché ha negato rilievo ad un fatto di per sé sufficiente a dimostrare l’esistenza del danno (il rapporto di filiazione e di fratellanza); sia le regole sul riparto dell’onere della prova, addossando agli attori l’onere di provare l’assenza di fatti impeditivi della propria pretesa. - L’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, queste ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur).
- Nei casi suddetti è pertanto onere del convenuto provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e che di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo”.
In conseguenza della condotta illecita altrui, sorgono in capo alla vittima coinvolta in un sinistro una serie di danni che maturano direttamente nella sua sfera giuridica: in caso di morte della vittima, il diritto a chiedere il risarcimento di tali danni viene trasmesso iure successionis agli eredi secondo lo schema di cui all’art. 565 c.c.
Naturalmente perchè si possa parlare di trasmissibilità agli eredi della pretesa risarcitoria è necessario, secondo la dottrina e giurisprudenza maggioritarie, che sia intercorso un apprezzabile lasso di tempo tra l’evento causativo del danno e la morte della vittima, in quanto si è affermato che “occorre un lasso di tempo sufficiente perchè si concretizzi quella perdita di utilità, fonte dell’obbligazione risarcitoria” (Cass. Civ. 28/11/1998 n. 12083).
I tempi del risarcimento del danno da morte dipendono anche dalla capacità di gestire la pratica.
1)Rapporto di parentela tra vittima e superstite, dovendosi presumere che il danno è tanto maggiore quanto più stretto è il rapporto;
2)Età del superstite, dovendosi ritenere tanto maggiore il danno quanto minore è la sua età: poniamo il caso di un ragazzo che a 18 anni perde il padre in un incidente, la situazione è diversa da che perde il padre a 50 anni in un incidente ;
3)Età della vittima, dovendosi ritenere tanto minore il danno quanto maggiore è l’età della vittima al momento del fatto;
(a) tutti i danni si dividono in due grandi categorie: patrimoniali e non patrimoniali;
(b) il danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. ha natura omnicomprensiva
(c) anche quando l’illecito non integri gli estremi di un reato, il danno non patrimoniale è sempre risarcibile nel caso di offesa a diritti della persona di rilievo costituzionale.
Insomma, la S.C. ha affermato che l’art. 2059 c.c. disciplina tutte le ipotesi di danno non Patrimoniale, costituendo così una sola voce risarcibile.
Da questa affermazione di principio discende che rientra nel concetto di “danno non patrimoniale” ogni sofferenza fisica, psichica o morale provata dai congiunti della vittima.
La Suprema Corte, in particolare, osservava che “i criteri di valutazione equitativa, la cui scelta e adozione è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, debbono essere idonei a consentire di addivenirsi ad una liquidazione congrua, sia sul piano dell’effettività del ristoro del pregiudizio che di quello della relativa perequazione – nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti- sul territorio nazionale (v., da ultimo, Cass., 23/1/2014, n. 1361).In tema di liquidazione del danno l’equità si è infatti in giurisprudenza intesa nel significato di “adeguatezza” e di “proporzione”, assolvendo alla fondamentale funzione di “garantire l’intima coerenza dell’ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo diseguale”, con eliminazione delle “disparità di trattamento” e delle “ingiustizie” (così Cass., 7/6/2011, n. 12408:”equità non vuoi dire arbitrio, perché quest’ultimo, non scaturendo da un processo logico-deduttivo, non potrebbe mai essere sorretto da adeguata motivazione. Alla nozione di equità è consustanziale l’idea di adeguatezza e di proporzione. Ma anche di parità di trattamento”). I criteri da adottarsi al riguardo debbono consentire pertanto una valutazione che sia equa, e cioè adeguata e proporzionata (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408), in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico, al fine di ristorare il pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato, in ossequio al principio per il quale il danneggiante e il debitore sono tenuti al ristoro solamente dei danni arrecati con il fatto illecito o l’inadempimento ad essi causalmente ascrivibile (v., da ultimo, Cass., 23/1/2014, n. 1361). Essendo la liquidazione del quantum dovuto per il ristoro del danno inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimazione, è altresì da escludersi che l’attività di quantificazione del danno sia di per sé soggetta a controllo in sede di legittimità, se non sotto l’esclusivo profilo del vizio di motivazione, in presenza di totale mancanza di giustificazione sorreggente la statuizione o di macroscopico scostamento da dati di comune esperienza o di radicale contraddittorietà delle argomentazioni (cfr., da ultimo, Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., 19/5/2010, n. 12918; Cass., 26/1/2010, n. 1529), giacché il giudice è tenuto a dare conto dell’esercizio dei propri poteri discrezionali e, perché la liquidazione equitativa non risulti arbitraria, è necessario che fornisca l’indicazione, anche se sommariamente, delle ragioni del processo logico sul quale essa è fondata (cfr. Cass., 30/5/2002, n. 7896; Cass., 30/5/1995, n. 6061; Cass., 4/5/1989, n. 2074; Cass., 13/5/1983, n. 3273). A tale stregua, la quantificazione di un ammontare che si prospetti non congruo rispetto al caso concreto, in quanto irragionevole e sproporzionato per difetto o per eccesso (v. Cass., 31/8/2011, n.17879), e pertanto sotto tale profilo non integrale, depone nel senso di adozione di un sistema di quantificazione per ciò stesso a palesarsi inidoneo a consentire al giudice di pervenire ad una valutazione informata ad equità, legittimando i dubbi in ordine alla sua legittimità”.
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Cosa si deve fare per ottenere il risarcimento in caso di incidente? incidente mortale risarcimento eredi
Nel caso di incidente avvenuto tra veicoli a motore per i quali vi sia obbligo di assicurazione, i conducenti dei veicoli coinvolti o, se persone diverse, i rispettivi proprietari devono innanzitutto denunciare il sinistro alla propria impresa di assicurazione, avvalendosi del modulo fornito dalla medesima.
E’ opportuno prestare attenzione al fatto che quando il modulo sia firmato congiuntamente da entrambi i conducenti coinvolti nel sinistro si presume, salvo prova contraria da parte dell’impresa di assicurazione, che il sinistro si sia verificato nelle circostanze, con le modalità e con le conseguenze risultanti dal modulo stesso.
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