1)CONTRATTO OBBLIGAZIONI PECUNIARIE OVVERO DI DANARO –
CONTRATTO OBBLIGAZIONI PECUNIARIE –Cassazione civile SS.UU. 13658/2010sul “motivo principale di opposizione” (da accogliere “nei limiti che seguono”): “l’assegno inviato alla creditrice prima della notifica del precetto aveva ad oggetto un importo corrispondente alle somme capitali e ai relativi interessi come dovute all’epoca del pagamento”; “secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 27158 del 19 dicembre 2006)
sul “motivo principale di opposizione” (da accogliere “nei limiti che seguono”): “l’assegno inviato alla creditrice prima della notifica del precetto aveva ad oggetto un importo corrispondente alle somme capitali e ai relativi interessi come dovute all’epoca del pagamento”; “secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 27158 del 19 dicembre 2006), nelle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro, il pagamento effettuato mediante corresponsione di un assegno costituisce, secondo gli usi negoziali, idoneo modo di estinguere la obbligazione, senza che occorra un preventivo accordo tra le parti”.
CONTRATTO OBBLIGAZIONI PECUNIARIE –Cassazione civile SS.UU. 13658/2010sul “motivo principale di opposizione” (da accogliere “nei limiti che seguono”): “l’assegno inviato alla creditrice prima della notifica del precetto aveva ad oggetto un importo corrispondente alle somme capitali e ai relativi interessi come dovute all’epoca del pagamento”; “secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 27158 del 19 dicembre 2006)
Per il giudice a quo, infine, “è da considerare, altresì, il comportamento della creditrice certamente contrario ai principi di correttezza e buona fede, intesa senso oggettivo (Cass. 9 luglio 2002 n. 18240; Cass. 28 luglio 1997 n. 7051)”: “il rifiuto della creditrice di ricevere l’assegno è stato oltremodo contrario a buona fede anche alla luce del motivo addotto a sostegno di tale rifiuto, vale a dire la non congruità dell’importo portato dal titolo”.
- La ricorrente chiede di cassare tale decisione in forza di due motivi.
- Con il primo la TRALICCI – esposto che nel caso “l’assegno corrisposto dalla debitrice è consistito in un assegno bancario” – denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1182 e 1217 cod. civ. nonché dell’ art. 112 c.p.c. (error in procedendo) adducendo che – avendo questa Corte affermato, “in numerosissime massime” (“comprese quelle richiamate nella sentenza gravata”), che “ai fini dell’estinzione dell’obbligazione pecuniaria sia necessaria la ‘dazione’ di moneta contante avente corso legale … ex art. 1277 cc” ed esteso “solo recentemente” (“Cass. civ. sez. unite, 18 dicembre 2007 n. 26617”) “tale potere estintivo esclusivamente all’assegno circolare anche se con ‘determinate limitazioni’” – l’assegno bancario non rientra “nell’ambito degli ‘strumenti legali’ di estinzione delle obbligazioni pecuniarie” e conserva la “sua natura di datio pro solvendo e pertanto rifiutabile dal debitore” (“in tal senso … Cass. III, 10 febbraio 2003 n. 1939”).
La ricorrente aggiunge che il “contrasto” del “rifiuto” del “titolo di credito” da parte del creditore con “l’art. 1175 c.c.” è stato affermato da un “orientamento minoritario” di questa Corte “ma sempre con riguardo all’assegno circolare” per cui la decisione impugnata è illegittima “non solo per contrasto con gli artt. 1277 e 1182 cc ma soprattutto per omessa pronuncia su una specifica domanda di [essa] parte creditrice” (“nel caso …, al contrario l’impresa assicuratrice ha versato un assegno bancario e pertanto nessun obbligo di restituzione grava in capo allo scrivente”) “consistente” nella “carenza di efficacia ‘solutoria’ del pagamento tramite assegno bancario in luogo della moneta contate o circolare” atteso che “il giudice si è limitato a pronunciarsi … sull’efficacia solutoria dell’assegno circolare ma non su quella del titolo oggetto di causa” (“assegno bancario”).
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Cassazione civile SS.UU. 13658/2010
..omissis…
Motivi della decisione
- Con la sentenza gravata, il Tribunale di Roma – riprodotte le seguenti “conclusioni”: “per l’opponente: «dichiarare interamente estinta, per compensazione, la obbligazione e pertanto soddisfatta la creditrice procedente e, per l’effetto, dichiarare nulli il precetto e tutti gli atti conseguenti; in subordine, nell’ipotesi di rigetto della eccezione di compensazione, dichiarare non dovute alcune voci di precetto …»; per l’opposto: «respingere l’opposizione perché infondata»” -, respinta “l’eccezione di compensazione sollevata dall’opponente” (“in quanto non stata fornita la prova del passaggio in giudicato del titolo … solo provvisoriamente eseguibile e quindi non certo”), ha accolto (“nei limiti … esposti” nella motivazione) l’opposizione ex art. 615 c.p.c. proposta dalla società di assicurazione osservando:
– “merita accoglimento la doglianza sulla illegittimità di alcune voci di precetto (ad es. consultazione col cliente, corrispondenza informativa, delega ed autentica, fascicolazione ed indice) e di tale eccezione, si osserva incidentalmente, dovrà tener conto il GE nella eventuale assegnazione del credito”;
– sul “motivo principale di opposizione” (da accogliere “nei limiti che seguono”): “l’assegno inviato alla creditrice prima della notifica del precetto aveva ad oggetto un importo corrispondente alle somme capitali e ai relativi interessi come dovute all’epoca del pagamento”; “secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 27158 del 19 dicembre 2006), nelle obbligazioni aventi ad oggetto somme di denaro, il pagamento effettuato mediante corresponsione di un assegno costituisce, secondo gli usi negoziali, idoneo modo di estinguere la obbligazione, senza che occorra un preventivo accordo tra le parti”.
Per il giudice a quo, infine, “è da considerare, altresì, il comportamento della creditrice certamente contrario ai principi di correttezza e buona fede, intesa senso oggettivo (Cass. 9 luglio 2002 n. 18240; Cass. 28 luglio 1997 n. 7051)”: “il rifiuto della creditrice di ricevere l’assegno è stato oltremodo contrario a buona fede anche alla luce del motivo addotto a sostegno di tale rifiuto, vale a dire la non congruità dell’importo portato dal titolo”.
- La ricorrente chiede di cassare tale decisione in forza di due motivi.
- Con il primo la TRALICCI – esposto che nel caso “l’assegno corrisposto dalla debitrice è consistito in un assegno bancario” – denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1182 e 1217 cod. civ. nonché dell’ art. 112 c.p.c. (error in procedendo) adducendo che – avendo questa Corte affermato, “in numerosissime massime” (“comprese quelle richiamate nella sentenza gravata”), che “ai fini dell’estinzione dell’obbligazione pecuniaria sia necessaria la ‘dazione’ di moneta contante avente corso legale … ex art. 1277 cc” ed esteso “solo recentemente” (“Cass. civ. sez. unite, 18 dicembre 2007 n. 26617”) “tale potere estintivo esclusivamente all’assegno circolare anche se con ‘determinate limitazioni’” – l’assegno bancario non rientra “nell’ambito degli ‘strumenti legali’ di estinzione delle obbligazioni pecuniarie” e conserva la “sua natura di datio pro solvendo e pertanto rifiutabile dal debitore” (“in tal senso … Cass. III, 10 febbraio 2003 n. 1939”).
La ricorrente aggiunge che il “contrasto” del “rifiuto” del “titolo di credito” da parte del creditore con “l’art. 1175 c.c.” è stato affermato da un “orientamento minoritario” di questa Corte “ma sempre con riguardo all’assegno circolare” per cui la decisione impugnata è illegittima “non solo per contrasto con gli artt. 1277 e 1182 cc ma soprattutto per omessa pronuncia su una specifica domanda di [essa] parte creditrice” (“nel caso …, al contrario l’impresa assicuratrice ha versato un assegno bancario e pertanto nessun obbligo di restituzione grava in capo allo scrivente”) “consistente” nella “carenza di efficacia ‘solutoria’ del pagamento tramite assegno bancario in luogo della moneta contate o circolare” atteso che “il giudice si è limitato a pronunciarsi … sull’efficacia solutoria dell’assegno circolare ma non su quella del titolo oggetto di causa” (“assegno bancario”).
A conclusione la TRALICCI chiede (quesito di diritto):
– “se nella fattispecie in esame in cui parte debitrice aveva inviato, alla creditrice, ad estinzione del debito portato dalla sentenza del Giudice di Pace di Roma un semplice assegno bancario, poteva la parte creditrice rifiutare la forma di pagamento utilizzata dal debitore”;
– “se nella fattispecie in esame in cui parte debitrice aveva inviato alla creditrice, quale estinzione dell’obbligazione pecuniaria pendente, un assegno bancario poteva il giudice dell’opposizione equiparare il pagamento tramite assegno bancario a quello effettuato tramite assegno circolare e pertanto considerare il rifiuto del pagamento tramite assegno bancario contrario alle regole di correttezza e buona fede”;
– “se, nella fattispecie in esame, in cui parte debitrice aveva proposto opposizione ad atto di precetto deducendo l’avvenuta estinzione dell’obbligazione per avvenuto inoltro, alla creditrice, prima della notifica del precetto, di un assegno bancario di importo pari alle spese liquidate, poteva il giudice ritenere estinta l’obbligazione pecuniaria attribuendo all’assegno bancario efficacia di datio pro soluto”.
- Con l’altro motivo la ricorrente – assunto aver “parte debitrice” richiesto, “nelle conclusioni dell’atto di opposizione”, di “‘condannarla a rimborsare alla Compagnia la somma di euro 220,00 versata quale sostituto d’imposta …’ (cfr. opposizione all’esecuzione)” – denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 37 c.p.c. adducendo dover “ritenersi che trattandosi di ‘controversia fra sostituito e sostituto, relativa alla legittimità delle ritenute d’acconto operate dal secondo, anche nella ipotesi in cui la domanda del sostituito venga formulata nei confronti del sostituto invocando l’art. 2043 c.c.’, il … giudice avrebbe dovuto primariamente dichiarare la sua incompetenza per materia, sulla questione, in favore delle ‘commissioni tributarie’ (cfr. Cass. civ., sez. Unite, 24 ottobre 1997 n. 10456), con la conseguenza che l’omessa declaratoria di incompetenza, cui ha fatto seguito una pronuncia del seguente tenore ‘accoglie l’opposizione …’ (pag. 4 sentenza gravata) ha determinato una violazione dell’art. 31 cpc”.
A conclusione la TRALICCI chiede (quesito di diritto)
“se nell’ipotesi di specie in cui parte debitrice, nella propria opposizione all’esecuzione, aveva richiesto la restituzione, al sostituto d’imposta, della ritenuta di acconto versata, il giudice dell’opposizione avrebbe dovuto dichiarare la sua incompetenza sulla questione in favore delle Commissioni Tributarie”.
- La società di assicurazioni – esposto essere “illuminante sul comportamento” della creditrice il fatto che la stessa, “pur iniziando una procedura esecutiva”, abbia trattenuto “l’assegno inviatole a saldo delle sue spettanze” -, dal suo canto, oppone (in sintesi):
– sul primo motivo dell’avverso ricorso, che “deve considerarsi altamente pregevole nell’ottica di uno sviluppo dei commerci e della effettiva rispondenza delle decisioni ai casi concreti, come il Tribunale abbia ritenuto ‘certo’ il pagamento avvenuto a mezzo dell’assegno bancario … come deve ritenersi … logica e coerente la motivazione della corte di merito laddove afferma che il ‘rifiuto della creditrice stato contrario ai criteri di correttezza e buona fede’”;
– quanto al secondo motivo del medesimo ricorso, che si tratta di una “questione … secondaria … trattata dal Tribunale solo per economia processuale e per una forma di ‘attrazione’ da parte della questione principale”.
- Il ricorso deve essere respinto perché infondato.
- La sentenza impugnata – come si evince univocamente dalle riportate argomentazioni che la sorreggono – fondata su due autonome rationes decidendi, ciascuna delle quali idonea, da sola, a sorreggere la statuizione adottata:
– l’una (a conforto della quale il Tribunale richiama la «più recente giurisprudenza di legittimità»: «Cass. … n. 27158 del 19 dicembre 2006») affermativa della idoneità della «corresponsione di un assegno» ad «estinguere l’obbligazione» («senza che occorra un preventivo accordo tra le parti»);
– l’altra fondata sulla contrarietà a «correttezza e buona fede» del «comportamento» tenuto nel caso dalla creditrice, il cui «rifiuto» è stato ritenuto (appunto) «oltremodo contrario a buona fede» perché giustificato (unicamente) con l’asserita (ma, in realtà, infondata al momento dell’invio del titolo [né la TRALICCI ha in alcun modo censurato lo specifico accertamento fattuale del giudice del merito secondo cui “l’assegno inviato alla creditrice prima della notifica del precetto aveva ad oggetto un importo corrispondente alle somme capitali e ai relativi interessi come dovute all’epoca del pagamento”]) non congruità dell’importo portato dall’assegno bancario rimesso dalla debitrice.
Tale ragione – diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente – non costituisce affatto espressione di un “orientamento minoritario” di questa Corte (né, tampoco, relativo al solo “assegno circolare”) perché (Cass., un., 23 dicembre 2009 n. 27214, in materia non contrattuale), “l’obbligo di buona fede o correttezza costituisce, ex art. 2 Cost., un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale (cfr. Cass. 5 marzo 2009 n. 5349)”, “applicabile in ambito contrattuale od extracontrattuale”, che “impone di mantenere, nei rapporti della vita di relazione, un comportamento leale”, comunque “volto alla salvaguardia dell’utilità altrui, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio (in termini …, Cass. 5 febbraio 2007 n. 3462)”: “il principio di correttezza e buona fede, in particolare, deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento (Cass., sez. un., 15 novembre 2007 n. 23726; Cass. 11 giugno 2008 n. 15746)”.
La necessità (affermata nella stessa decisione) di osservare la “regola della correttezza e della buona fede oggettiva” nella “valutazione del comportamento del creditore”, peraltro, costituisce l’imprescindibile fondamento logico anche della sentenza n. 26617 depositata il 18 dicembre 2007 da queste sezioni unite quando hanno affermato il principio secondo cui “nelle obbligazioni pecuniarie, il cui importo sia inferiore a 12.500 Euro o per le quali non sia imposta per legge una diversa modalità di pagamento, il debitore ha facoltà di pagare, a sua scelta, in moneta avente corso legale nello Stato o mediante consegna di assegno circolare; nel primo caso il creditore non può rifiutare il pagamento, come, invece, può nel secondo solo per giustificato motivo da valutare secondo la regola della correttezza e della buona fede oggettiva; l’estinzione dell’obbligazione con l’effetto liberatorio del debitore si verifica nel primo caso con la consegna della moneta e nel secondo quando il creditore acquista concretamente la disponibilità giuridica della somma di denaro, ricadendo sul debitore il rischio dell’inconvertibilità dell’assegno”.
Questa decisione, infatti, contiene ulteriori (pienamente condivisibili) considerazioni relative alla “valutazione del comportamento del creditore”, particolarmente utili ai fin della presente controversia, laddove osserva che :
– l’inciso “moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento” contenuto nel primo comma dell’art. 1277 cod. civ. “significa che i mezzi monetari impiegati si debbono riferire al sistema valutario nazionale, senza che se ne possa indurre alcuna definizione della fattispecie del pagamento solutorio”: “la moneta avente corso legale”, infatti, “non è l’oggetto del pagamento” perché questo “è rappresentato dal valore monetario o quantità di denaro”;
– “l’adempimento dell’obbligazione pecuniaria inteso non come atto materiale di consegna della moneta contante, bensì come prestazione diretta all’estinzione del debito” (“nella quale le parti debbono collaborare osservando un comportamento da valutare per il creditore secondo la regola della correttezza e per il debitore secondo la regola della diligenza”);
– “nell’ambiente socio-economico l’assegno circolare e quello bancario costituiscono mezzi normali di pagamento”.
Nella medesima sentenza, poi, si è precisato che “il concetto di domicilio del creditore non coincide con il suo domicilio anagrafico soggettivamente riconducibile alla persona fisica, ma deve essere oggettivizzato e può individuarsi nella sede (filiale, agenzia o altro) della banca presso la quale il creditore ha un conto”, con la conseguenza che “se il debitore paga con assegno circolare o con altro sistema che assicuri ugualmente la disponibilità della somma dovuta, il creditore può rifiutare il pagamento solo per giustificato motivo che deve allegare ed all’occorrenza anche provare”.
Da tali principi discende che il solo fatto dell’adempimento, da parte del debitore, della propria obbligazione pecuniaria con un “altro sistema” di pagamento (ovverosia di messa a disposizione del “valore monetario” spettante) – “sistema” che, comunque, “assicuri ugualmente la disponibilità della somma dovuta” – non legittima affatto il creditore a rifiutare il pagamento stesso essendo all’uopo necessario che il rifiuto sia sorretto anche da un “giustificato motivo”, che il creditore deve “allegare ed all’occorrenza anche provare”.
Nel caso la ricorrente non ha dedotto l’esistenza di nessun motivo a giustificazione del mancato incasso dell’assegno benché l’avesse ricevuto (come accertato dal giudice a quo) oltre sei mesi prima di intraprendere l’azione esecutiva opposta dalla debitrice proprio per effetto di detto invio e tanto dimostra la effettiva contrarietà del suo «comportamento» ai «principi di correttezza e buona fede», come ritenuto dal giudice del merito.
L’infondatezza della doglianza relativa al punto di censura esaminato, in una con la già evidenziata autonomia di questa ratio decidendi a sorreggere da sola la decisione impugnata, rende del tutto inutile l’esame della censura avente ad oggetto l’altra ragione della medesima decisione (capacità della «corresponsione di un assegno» di «estinguere l’obbligazione», «senza che occorra un preventivo accordo tra le parti») attesa la evidente inidoneità dell’eventuale fondatezza di quest’ultima a determinare, da sola, la cassazione della sentenza impugnata.
- Il secondo motivo – il cui quesito ex art. 366 bis c.p.c. risulta, peraltro, imperfettamente formulato laddove fa riferimento ad ipotesi “in cui parte debitrice … aveva richiesto la restituzione, al sostituto d’imposta, della ritenuta di acconto versata” mentre il soggetto obbligato alla restituzione dovrebbe identificarsi nel “sostituito” (non nel “sostituto”) – inammissibile perché (diversamente da quanto suppone anche la società che parla comunque di “questione … trattata dal Tribunale”) diretto a censurare una pronuncia inesistente: nella sentenza impugnata, infatti, non vi è traccia (nemmeno nelle “conclusioni” della detta “debitrice” riportate nell’epigrafe) né della proposizione di siffatta richiesta da parte della “debitrice” né, soprattutto, di una qualche decisione sulla stessa adottata dal giudice a quo nella cui pronuncia di “accoglimento dell’opposizione” spiegata dalla debitrice non si rinviene alcuna condanna della odierna ricorrente a pagare alcunché in favore di quella “debitrice”.
L’eventuale violazione dell’art. 112 c.p.c. – per omissione di pronuncia attinente detta richiesta – in cui potrebbe essere incorso il giudice a quo, comunque, non è stata denunziata dalla società, unica avente interesse (art. 100 c.p.c.), per cui la pretesa domanda di restituzione (se effettivamente prospettata) deve ritenersi definitivamente estranea al thema decidendi: va, quindi, rilevata la carenza di qualsiasi presupposto fattuale che possa involgere l’applicazione dell’art. 37 c.p.c. del quale la TRALICCI denunzia la violazione con il motivo in esame.
- Per la sua totale soccombenza la ricorrente, sensi dell’art. 91 c.p.c., deve essere condannata a rifondere alla società le spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate (nella misura indicata in dispositivo) in base alle vigenti tariffe forensi, al valore della controversia ed all’attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa (il cui controricorso deve ritenersi inammissibile perché proposto oltre il termine di cui all’art. 370, primo comma, c.p.c.).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alla società le spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 920,00, di cui euro 720,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.
Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 13 settembre 2016, n. 17989
Le obbligazioni pecuniarie da adempiersi al domicilio del creditore, secondo il disposto dell’articolo 1182 c.c., comma 3, sono – agli effetti sia della mora ex re ai sensi dell’articolo 1219 c.c., comma 2, n. 3, sia della determinazione del forum destinatae solutionis ai sensi dell’articolo 20 c.p.c., ultima parte, – esclusivamente quelle liquide, delle quali, cioe’, il titolo determini l’ammontare, oppure indichi i criteri per determinarlo senza lasciare alcun margine di scelta discrezionale, e i presupposti della liquidita’ sono accertati dal giudice, ai fini della competenza, allo stato degli atti secondo quanto dispone l’articolo 38 c.p.c., u.c. “.
Suprema Corte di Cassazione
sezioni unite civili
sentenza 13 settembre 2016, n. 17989
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f.
Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente Sezione
Dott. NAPPI Aniello – Consigliere
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere
Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere
Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25410/2014 proposto da:
(OMISSIS) SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), per delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 2751/2014 del TRIBUNALE di FIRENZE, depositata il 24/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/05/2016 dal Consigliere Dott. CARLO DE CHIARA;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il (OMISSIS) spa, con sede in (OMISSIS), convenne davanti al Tribunale di Firenze (nel cui circondario rientra Fucecchio) la (OMISSIS) s.r.l. di (OMISSIS) per il pagamento di 9.000 Euro piu’ IVA quale corrispettivo di un servizio (studio e sviluppo di due linee di calzature) reso alla convenuta.
Accogliendo l’eccezione di quest’ultima il giudice adito si e’ dichiarato incompetente in favore del Tribunale di Macerata, individuato sia quale foro del convenuto, sia quale foro in cui era sorta l’obbligazione, sia quale foro del pagamento della somma di danaro oggetto della causa. In particolare, quanto a quest’ultimo criterio di collegamento (i primi due pacificamente radicando presso il tribunale marchigiano la competenza sulla domanda della societa’ attrice), ha osservato che le obbligazioni pecuniarie si identificano – anche ai fini di cui all’articolo 1182 c.c., comma 3, che ne prevede l’adempimento al domicilio del creditore – esclusivamente in quelle sorte originariamente come tali, ossia aventi ad oggetto sin dalla loro costituzione la prestazione di una determinata somma di denaro; con la conseguenza che nella specie non puo’ farsi applicazione della predetta norma, non essendo indicato nel contratto l’importo del corrispettivo spettante all’attrice, onde il luogo di adempimento dell’obbligazione, rilevante agli effetti della determinazione del giudice competente ai sensi dell’articolo 20 c.p.c., ult. parte, si identifica, ai sensi del richiamato articolo 1182, comma 4, nel domicilio della societa’ debitrice.
Il (OMISSIS) ha proposto ricorso per regolamento di competenza, cui non ha resistito l’intimata (OMISSIS).
La Sesta Sezione ha promosso l’assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite avendo rilevato l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimita’ sulla questione “se sia applicabile l’articolo 1182 c.c., comma 3, qualora nel contratto non risulti predeterminato l’importo del corrispettivo di una prestazione, ma tale importo venga autodeterminato dall’attore nell’atto con cui fa valere la propria pretesa creditoria”.
MOTIVI DELLA DECISIONE
- – Davanti a queste Sezioni Unite il ricorso e’ stato discusso in pubblica udienza ancorche’, trattandosi di regolamento di competenza, sarebbe stata piu’ corretta la trattazione in camera di consiglio. Tale irregolarita’, tuttavia, non ha conseguenze sulla validita’ degli atti poiche’ la pubblica udienza assicura alle parti garanzie non certo minori del procedimento camerale.
2. – Secondo l’ordinanza di rimessione della Sesta Sezione, il contrasto di giurisprudenza da dirimere attiene al concetto di obbligazione pecuniaria rilevante ai sensi dell’articolo 1182 c.p.c., comma 3, e sussiste tra:
a) un primo orientamento (per il quale l’ordinanza menziona Cass. 22326/2007) secondo cui, ove la somma di danaro oggetto dell’obbligazione debba essere ancora determinata dalle pani o, in loro sostituzione, liquidata dal giudice mediante indagini ed operazioni diverse dal semplice calcolo aritmetico, trova applicazione l’articolo 1182, comma 4, secondo cui l’obbligazione deve essere adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza;
b) un secondo orientamento (al quale vengono ricondotte Cass. 7674/2005, 12455/2010, 10837/2011, richiamate nel ricorso per regolamento e nella requisitoria scritta del P.M.) secondo cui il forum destinatae solutionis previsto dall’articolo 1182, comma 3, e’ applicabile in tutte le cause aventi ad oggetto una somma di denaro qualora l’attore abbia richiesto il pagamento di una somma determinata, non incidendo sulla individuazione della competenza territoriale la maggiore o minore complessita’ dell’indagine sull’ammontare effettivo del credito, che attiene esclusivamente alla successiva fase di merito.
L’ordinanza evidenzia che, secondo quest’ultimo orientamento, e’ irrilevante che la prestazione richiesta non sia convenzionalmente prestabilita, essendo sufficiente che l’attore abbia agito per il pagamento di una somma da lui puntualmente indicata.
Soggiunge che il contrasto ha talora trovato “una via di fuga” nel rilievo che ai fini della competenza occorre avere riguardo ai fatti per come prospettati dall’attore, prescindendo dalla fondatezza delle contestazioni sollevate del convenuto o comunque concernenti il merito della causa.
3. – Puo’ osservarsi anzitutto che il contrasto non riguarda la necessita’ del requisito della liquidita’ affinche’ un’obbligazione pecuniaria debba essere adempiuta al domicilio del creditore (requisito in realta’ non espressamente previsto dalla legge, tanto che in dottrina non e’ mancato chi ne ha ritenuto la natura puramente pretoria); riguarda piuttosto il modo di intendere tale requisito.
In effetti nella giurisprudenza di legittimita’ non e’ stato mai messo in discussione che obbligazioni pecuniarie “portabili”, ai sensi dell’articolo 1182 c.c., comma 3, sono soltanto quelle liquide, essendo assolutamente consolidato il principio che detta disposizione si riferisce alle sole obbligazioni pecuniarie derivanti da titolo convenzionale o giudiziale che ne abbia stabilito la misura, trovando altrimenti applicazione la regola di cui al quarto comma, per la quale la prestazione va eseguita al domicilio del debitore (i precedenti sono numerosissimi, ci si limita a segnalarne alcuni: Cass. 391/1966, 3422/1972, 2591/1997, 21000/2011), precisandosi che la liquidita’ sussiste anche nel caso in cui l’ammontare del credito puo’ essere determinato con un semplice calcolo aritmetico e senza indagini od operazioni ulteriori (a Cass. 22326/2007, gia’ richiamata nell’ordinanza di rimessione, si aggiungano, tra le altre, Cass. 3422/1971, 3538/1995, 3808/1999, 4511/2001, 10226/2001, 7021/2002, 9092/2004, 22306/2007) in base a quanto risulta dal titolo.
Si e’ altresi’ precisato che sulla determinazione del forum destinatae solutionis a norma dell’articolo 1182 c.c., comma 3, e articolo 20 c.p.c., seconda parte, non puo’ influire l’eccezione del convenuto che neghi l’esistenza dell’obbligazione, perche’ il principio stabilito dall’articolo 10 c.p.c., per la determinazione della competenza per valore – secondo il quale il collegamento tra il giudice e la controversia e’ determinato in base alla domanda – e’ una regola di portata generale e quindi applicabile anche ai criteri stabiliti per determinare la competenza territoriale per le cause relative a diritti di obbligazione, ai sensi dell’articolo 20 c.p.c., sui quali percio’ non influisce la fondatezza o meno della domanda (Cass. 789/1998, 1877/1999, 8121/2003, 20177/2004, 8359/2005, 11400/2006); mentre l’unico limite alla rilevanza dei fatti allegati dall’attore ai fini della determinazione della competenza e’ l’eventuale prospettazione artificiosa, finalizzata a sottrarre la controversia al giudice precostituito per legge (Cass. 10226/2001, 8189/2012).
Anche queste Sezioni Unite, allorche’ sono state chiamate a pronunciarsi sull’applicabilita’ del terzo ovvero del quarto comma dell’articolo 1182 c.c., al fine di individuare il forum destinatae solutionis quale criterio speciale di competenza giurisdizionale in materia contrattuale, a norma dell’articolo 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 e dell’articolo 5, n. 1, del Regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000, hanno confermato la necessita’ del requisito della liquidita’ delle obbligazioni pecuniarie (v. sentenze 9214/1987, 5899/1997), nonche’ l’indifferenza delle contestazioni del convenuto circa la sussistenza dell’obbligazione dedotta in giudizio dall’attore, poiche’ anche la giurisdizione nei confronti dello straniero deve essere riscontrata in base alla domanda, indipendentemente da ogni questione circa il suo fondamento nel merito, non operando tale principio solo nel caso in cui la prospettazione della domanda sia artificiosamente finalizzata a sottrarre la controversia al giudice precostituito per legge (ordinanza 6217/2006, sentenza 13900/2013).
Proprio la necessita’ di fare riferimento alla domanda, secondo la regola dettata dall’articolo 10 c.p.c., e’ alla base dell’orientamento, richiamato dalla ricorrente e dal P.M., che considera sufficiente a integrare il requisito della liquidita’ dell’obbligazione, al fine di rendere quest’ultima “portabile” ai sensi dell’articolo 1182 c.c., comma 3, la quantificazione della propria pretesa da parte dell’attore.
Si legge in Cass. 7674/2005, che ha introdotto tale orientamento, cui si sono poi uniformare Cass. 12455/2010 e 10837/2011, citt.: “Occorre ricordare che, a norma dell’articolo 10 c.p.c., il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda, e, piu’ precisamente, per l’articolo 14 comma 1, nelle cause relative a somme di danaro (…) il valore si determina in base alla somma indicata (…) dall’attore. Per esigenze di armonia ed omogeneita’ del sistema, la stessa regola deve valere, nei limiti del possibile, anche ai fini della competenza per territorio, nel senso che anche per questa dovra’ tenersi conto non dell’effettiva realta’ sostanziale sottostante alla domanda, ma del tenore di quest’ultima, indipendentemente dal suo maggiore o minore fondamento. E pertanto, nelle obbligazioni, come quella dedotta in giudizio, aventi ad oggetto una somma di denaro determinata, n’entrano nella previsione dell’articolo 1182 c.c., comma 3, quelle che siano come tali indicate dall’attore, mentre il diverso e successivo problema della effettiva sussistenza di esse attiene al merito (vedansi, sul punto, Cass. 27 gennaio 1998 n. 789; 5 marzo 1999 n. 1877). Nella specie il giudice a quo (…) avrebbe dovuto pertanto rivolgere la propria attenzione al contenuto dell’atto di citazione, e, poiche’ esso indicava, quale credito dell’attrice, una specifica somma di denaro asseritamente dovuta per effetto del rapporto contrattuale tra le parti (…), avrebbe dovuto riconoscere che trattavasi di una somma di ammontare gia’ determinato e trarne le debite conseguenze in termini di competenza”. Con il che la mera quantificazione della pretesa da parte dell’attore fa premio sull’intrinseca liquidita’ della stessa, la prospettazione della domanda nel processo prevale sulle caratteristiche sostanziali del diritto azionato.
4. – Ritengono queste Sezioni Unite che il contrasto cosi’ determinatosi rispetto all’orientamento, in precedenza costante, che richiedeva la effettiva liquidita’ dell’obbligazione, in base al titolo, ai fini della qualificazione dell’obbligazione stessa come portabile, per gli effetti di cui al combinato disposto dell’articolo 1182 c.c., comma 3, e articolo 20 c.p.c., vada risolto confermando l’orientamento tradizionale.
4.1. – Tra le obbligazioni pecuniarie, invero, quelle illiquide hanno una particolarita’: ai fini dell’adempimento del debitore e’ necessario un passaggio ulteriore, e’ necessario cioe’ un ulteriore titolo, convenzionale o giudiziale.
Questa particolarita’ non e’ indifferente rispetto alla disciplina di tale categoria di obbligazioni.
Si consideri che la nozione di obbligazione portabile, di cui all’articolo 1182 c.c., comma 3, rileva non soltanto ai fini dell’individuazione del forum destinatae solulionis contemplato dall’articolo 20 c.p.c., seconda parte, ma anche ai fini del prodursi della mora ex re ai sensi dell’articolo 1219 c.c., comma 2, n. 3, che esclude la necessita’ della costituzione in mora “quando e’ scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore”, come appunto stabilito per le obbligazioni pecuniarie dall’articolo 1182, comma 3, cit..
La giurisprudenza di questa Corte nega che la mora ex re si verifichi anche per le obbligazioni pecuniarie illiquide (Cass. 535/1999, 9092/2004). Se tra le obbligazioni pecuniarie “portabili” contemplate da tale disposizione rientrassero quelle illiquide, la mora – e con essa la responsabilita’ ai sensi dell’articolo 1224 c.c. – scatterebbe automaticamente anche a carico del debitore la cui prestazione non sia in concreto possibile perche’ l’ammontare della sua prestazione e’ ancora incerto: il che sarebbe ingiustificato, nonche’ contrario al sistema, il quale esclude la responsabilita’ del debitore la cui prestazione sia impossibile per causa a lui non imputabile (articolo 1218 c.c.). L’interpretazione restrittiva della nozione di obbligazione portabile e’ inoltre coerente anche con il favor debaoris che ispira la regola generale di cui all’articolo 1182, comma 2, n. 4 cit..
Le indicate esigenze di protezione del debitore, che sono a fondamento dell’interpretazione restrittiva dell’articolo 1182 c.c., comma 3, richiedono evidentemente che la liquidita’ del credito sia ancorata a dati oggettivi, mentre sarebbero frustrate se essa si facesse coincidere con la pura e semplice precisazione, da parte dell’attore, della somma di denaro dedotta in giudizio, pur in mancanza di indicazioni nel titolo, come sostenuto da Cass. 7674/2005, cit., e dagli altri precedenti che vi si richiamano discostandosi dall’orientamento tradizionale. In tal modo, infatti, non il dato oggettivo della liquidita’ del credito radicherebbe la controversia presso il forum creditoris, bensi’ il mero arbitrio del creditore stesso, il quale scelga di indicare una determinata somma come oggetto della sua domanda giudiziale, con conseguente lesione anche del principio costituzionale del giudice naturale.
Va dunque ribadito che rientrano nella previsione di cui all’articolo 1182 c.c., comma 3, esclusivamente le obbligazioni pecuniarie liquide, il cui ammontare, cioe’, sia determinato direttamente dal titolo ovvero possa essere determinato in base ad esso con un semplice calcolo aritmetico.
4.2. – Peraltro il riferimento di alcuni precedenti di legittimita’ (sopra richiamati al capoverso del p.3) alla non necessita’ di indagini ulteriori ai fini della liquidazione del credito, quale requisito di liquidita’ dello stesso, ha determinato il prodursi di qualche equivoco, di cui vi e’ traccia nella requisitoria scritta del P.M. davanti alla Sesta Sezione, nella quale non a caso viene sottolineata l’irrilevanza, ai fini della determinazione della competenza territoriale ai sensi dell’articolo 20 c.p.c., ultima parte, della “maggiore o minore complessita’ dell’indagine sull’ammontare effettivo del credito, la quale attiene esclusivamente alla successiva fase di merito”.
Si impone, pertanto, una puntualizzazione.
Liquidita’, come si e’ visto, significa che la somma dovuta risulta dal titolo e dunque non e’ necessario, per determinarla, un ulteriore titolo negoziale o giudiziale. L’ammontare della somma dovuta potra’ risultare direttamente dal titolo originario, che la precisi, oppure solo indirettamente dallo stesso, allorche’ questo indichi il criterio o i criteri applicando i quali tale somma va determinata (cfr. Cass. 19958/2005). Deve trattarsi, pero’, di criteri stringenti, tali, cioe’, che la somma risultante dalla loro applicazione sia necessariamente una ed una soltanto: questo e’ cio’ che si intende affermare, nella giurisprudenza di questa Corte, allorche’ si ammette una liquidita’ scaturente da semplici operazioni aritmetiche. Se, infatti, il risultato dell’applicazione dei predetti criteri non fosse obbligato, residuando un margine di scelta discrezionale, il credito non potrebbe dirsi liquido, perche’ quel margine di discrezionalita’ non potrebbe essere superato se non mediante un ulteriore titolo (convenzionale o giudiziale).
Dovendo, inoltre, la liquidita’ del credito essere effettiva, il principio che la competenza va determinata in base alla domanda non puo’ essere esteso sino al punto di consentire all’attore di dare dei fatti una qualificazione giuridica diversa da quella prevista dalla legge, o di allegare fatti (ad esempio un contratto che indichi l’ammontare del credito) privi di riscontro probatorio. Resta fermo, ovviamente, che tali fatti sono accertati dal giudice, ai soli fini della competenza, allo stato degli atti secondo la regola di cui all’articolo 38 c.p.c., u.c..
4.3. – Puo’ in conclusione enunciarsi il seguente principio di diritto: “Le obbligazioni pecuniarie da adempiersi al domicilio del creditore, secondo il disposto dell’articolo 1182 c.c., comma 3, sono – agli effetti sia della mora ex re ai sensi dell’articolo 1219 c.c., comma 2, n. 3, sia della determinazione del forum destinatae solutionis ai sensi dell’articolo 20 c.p.c., ultima parte, – esclusivamente quelle liquide, delle quali, cioe’, il titolo determini l’ammontare, oppure indichi i criteri per determinarlo senza lasciare alcun margine di scelta discrezionale, e i presupposti della liquidita’ sono accertati dal giudice, ai fini della competenza, allo stato degli atti secondo quanto dispone l’articolo 38 c.p.c., u.c. “.
5. – Tanto premesso, l’istanza di regolamento deve essere respinta, atteso che dalla ricorrente non viene neppure dedotto che nel contratto fosse indicato l’ammontare del credito dell’attrice o i criteri per determinarlo.
In mancanza di attivita’ difensiva della parte intimata non occorre provvedere sulle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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