la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può tradursi, sul piano processuale, in un pregiudizio per il paziente (cfr. Cass. n. 1538/2010) e che è anzi consentito il ricorso alle presunzioni "in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato" (Cass. n. 11316/2003; cfr. Cass. n. 10060/2010);  

1#LA CARTELLA CLINICA E LA SUA CORRETTA TENUTA

la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può tradursi, sul piano processuale, in un pregiudizio per il paziente (cfr. Cass. n. 1538/2010) e che è anzi consentito il ricorso alle presunzioni “in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato” (Cass. n. 11316/2003; cfr. Cass. n. 10060/2010);

 la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può tradursi, sul piano processuale, in un pregiudizio per il paziente (cfr. Cass. n. 1538/2010) e che è anzi consentito il ricorso alle presunzioni "in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato" (Cass. n. 11316/2003; cfr. Cass. n. 10060/2010);

 

  1. E’ noto che -secondo i principi che governano la responsabilità contrattuale- la struttura e i sanitari che siano convenuti in giudizio per ipotesi di malpractice sono tenuti a fornire la prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 c.c., con la conseguenza che il mancato raggiungimento di tale prova (compreso il mero dubbio sull’esattezza dell’adempimento) non può che ricadere a loro carico.
  2. E’ noto, altresì, che la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può tradursi, sul piano processuale, in un pregiudizio per il paziente (cfr. Cass. n. 1538/2010) e che è anzi consentito il ricorso alle presunzioni “in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato” (Cass. n. 11316/2003; cfr. Cass. n. 10060/2010); tali principi, che costituiscono espressione del criterio della vicinanza alla prova nel più ampio quadro della distribuzione degli oneri probatori, assumono speciale pregnanza in quanto sono destinati ad operare non soltanto ai fini della valutazione della condotta del sanitario (ossia dell’accertamento della colpa), ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la condotta medica e le conseguenze dannose subite dal paziente (cfr., oltre alle citate Cass. n. 11316/2003 e n. 10060/20109, anche Cass. n. 12218/2015).
  3. Va inoltre considerato -in fatto- che non può dubitarsi (e non hanno mostrato di dubitarne nè i consulenti d’ufficio, nè la Corte di Appello che ha aderito alle loro conclusioni) che, nel caso in esame, le difficoltà presentate dalla neonata al momento del parto comportassero la necessità di un attento monitoraggio post-natale, al fine di cogliere tempestivamente eventuali peggioramenti delle condizioni e di assicurare un immediato intervento.
  4. Tanto premesso, deve ritenersi che la Corte abbia errato laddove, a fronte di un vuoto di ben sei ore nelle annotazioni della cartella clinica, ha ritenuto di condividere l’ipotesi -formulata dai consulenti d’ufficio- che la neonata non potesse essere stata lasciata senza assistenza e non “avesse avuto problemi, anche perchè al mattino le condizioni cliniche erano stabili”.
  5. Tali conclusioni meritano censura sia sotto il profilo del vizio motivazionale (anche nei ristretti termini in cui esso assume rilevanza ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., n. 5) che sotto quello della violazione dei criteri di distribuzione dell’onere della prova, alla luce della pacifica carenza di annotazioni nella cartella clinica.
  6.  
  7.  

Suprema Corte di Cassazione

 

Sezione III Civile

 

Sentenza 11 gennaio – 31 marzo 2016, n. 6209

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE TERZA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

 

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

 

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

 

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

 

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

 

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

sul ricorso 17410-2013 proposto da:

 

M.P., (OMISSIS) in nome e per conto della figlia minore M.I., T.A. (OMISSIS), in proprio ed in nome e per conto della figlia minore M. I., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA FREDIANI ERMENEGILDO 48, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO PROIETTI LUPI, rappresentati e difesi dall’avvocato MARINELLA ASEGLIO GIANINET giusta procura speciale del Dott. Notaio Raffaella POLI CAPPELLI, in TORINO 17/12/2015, REP. n. 20144;

 

– ricorrenti –

 

contro

 

GENERALI ITALIA SPA (già INA ASSITALIA SPA), in persona del suo legale rappresentante pro tempore n.q. avv. MATTEO MANDO’ elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIER FRANCO GIGLIOTTI giusta procura speciale in calce al controricorso;

 

AZIENDA SANITARIA ASL TO (OMISSIS) (già ASL (OMISSIS) DI CIRIE’), in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore Dott. BO. F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 294, presso lo studio dell’avvocato ENRICO FRONTICELLI BALDELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO MAJORINO giusta procura speciale in calce al controricorso;

 

– controricorrenti –

 

e contro

 

B.P., EREDI COLLETTIVAMENTE ED IMPERSONALMENTE DI F.G.;

 

– intimati –

 

avverso la sentenza n. 1655/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 18/10/2012, R.G.N. 1658/2009;

 

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/01/2016 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

 

udito l’Avvocato ASEGLIO GIANINET;

 

udito l’Avvocato ENRICO FRONTICELLI BALDELLI;

 

udito l’Avvocato MARCO VINCENTI;

 

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento del 2 e 4 motivo p.q.r. assorbiti i restanti.

 

Svolgimento del processo

 

T.A. e M.P. agirono, in proprio e in qualità di genitori esercenti la potestà sui minori I. ed A., per il risarcimento dei danni conseguiti alle lesioni subite dalla figlia I. in occasione del parto, avvenuto presso l’Ospedale Civile di (OMISSIS), che erano esitate in tetraparesi e grave insufficienza mentale causate da asfissia perinatale.

 

A tal fine, convennero in giudizio la A.S.L. n. (OMISSIS) di Ciriè e i medici B.P.G. e F.G., che resistettero alla domanda; al giudizio partecipò anche l’Assitalia s.p.a., chiamata in causa dalla A.S.L. per l’eventuale manleva.

 

Il Tribunale di Torino rigettò la domanda, con sentenza che è stata confermata dalla Corte di Appello.

 

Ricorrono per cassazione la T. ed il M., sia in proprio che in nome e per conto della figlia minore I., affidandosi a sei motivi; resistono, con distinti controricorsi, la A.S.L. TO (OMISSIS) (già A.S.L. n. (OMISSIS) di Ciriè) e la Generali Italia s.p.a. (già INA-Assitalia), mentre gli altri intimati non svolgono attività difensiva.

 

Motivi della decisione

 

  1. Premesso che gli attori avevano prospettato la responsabilità dei sanitari e della struttura ospedaliera per non aver prestato alla T. un’adeguata assistenza al parto e per non avere assicurato alla bambina un idoneo trattamento post-natale, la Corte di Appello ha ritenuto che non potesse ascriversi a responsabilità dei sanitari la mancata effettuazione del tracciato cardiotocografico in luogo della mera auscultazione del battito cardiaco fetale (giacchè le condizioni della T. non ne comportavano la necessità e, comunque, il tracciato di controllo non avrebbe potuto rilevare la presenza dell’asfissia) ed ha parimenti affermato che “la fase post- natale fu gestita con corretta predisposizione di diagnosi e terapie nel momento in cui si evidenziò il peggioramento della bambina”, rilevando altresì che “il trasferimento al reparto di rianimazione fu disposto con tempistica ragionevole, nè un suo anticipo avrebbe condotto a risultati terapeutici migliori”; ha concluso, pertanto, che non poteva ravvisarsi “la sussistenza di nesso di causalità tra attività posta in essere dai sanitari e quanto ebbe a verificarsi in danno della neonata”.

 

Quanto alla “posizione della struttura ospedaliera” e al “profilo di mancanza di consenso in ordine alla presenza nella stessa di strutture idonee ad intervenire per ogni emergenza che si fosse verificata dopo il parto”, la Corte ha osservato che la T. non aveva provato che, ove fosse stata messa a conoscenza dei limiti strutturali dell’Ospedale di (OMISSIS), non vi si sarebbe recata.

 

  1. Col primo motivo, i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 1218 e 2697 c.c. e si dolgono che la Corte abbia applicato ad una causa civile i criteri di accertamento del nesso di causa elaborati da questa Corte per il processo penale (ossia il c.d. criterio Franzese) in luogo del criterio della preponderanza dell’evidenza pacificamente operante in ambito civile.

 

2.1. Il secondo motivo censura la sentenza – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – per “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio”, individuato nel fatto che vi erano stati “vuoti temporali” e “carenze nella tenuta della cartella clinica”, tutti ampiamente evidenziati anche in sede di appello.

 

2.2. Col terzo motivo (che prospetta la violazione delle “regole di governo dell’onere della prova”, in relazione all’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c.), i ricorrenti rilevano che la c.t.u., in quanto meramente deducente, non costituiva fonte oggettiva di prova ed evidenziano come i convenuti non avessero fornito la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento, dolendosi pertanto che la Corte abbia fatto gravare sulla parte attrice l’onere della prova di fatti clinici che avrebbe dovuto ricadere sulle parti convenute.

 

2.3. Il quarto motivo (che prospetta la violazione di norme di diritto individuate negli artt. 1218 e 2697 c.c. e nell’art. 116 c.p.c.) censura ulteriormente la sentenza per essere “basata unicamente sulle risultanze della consulenza tecnica che ha definito corretto il comportamento dei medici, una consulenza deducente carente, illogica e contraddittoria”, in difetto di prova che i convenuti avessero fatto tutto il possibile per adempiere correttamente la loro obbligazione. In particolare, i ricorrenti evidenziano che, nonostante le difficoltà presentate alla nascita (con un indice APGAR che era salito da 4 a 7 solo a seguito di stimolazione manuale e di somministrazione di ossigeno), la neonata era stata “di fatto abbandonata a se stessa per sei ore”, ossia per l’intervallo (compreso tra le 3,00 e le 9,00 del mattino del 2.12.1996) in relazione al quale non risultavano effettuate annotazioni in cartella clinica, e stessi”, circa il fatto che la neonata non fosse stata lasciata priva di assistenza e che nelle sei ore non avesse avuto problemi.

 

2.4. Col quinto motivo (che deduce la violazione degli artt. 87, 194 e 201 c.p.c.), i ricorrenti si dolgono della mancata rinnovazione della C.T.U., che era stata chiesta con l’atto di appello sul rilievo che i consulenti d’ufficio nominati in primo grado non avevano assicurato il contraddittorio tecnico.

 

2.5. L’ultimo motivo (che prospetta la violazione degli artt. 1176 e 1218 c.c.) censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondato il profilo di appello relativo alla mancanza di informazione circa la carenza di attrezzature capaci di fronteggiare ogni possibile emergenza successiva al parto.

 

  1. Il ricorso è fondato – per quanto di ragione – in relazione ai motivi secondo, terzo e quarto.

 

E’ noto che -secondo i principi che governano la responsabilità contrattuale- la struttura e i sanitari che siano convenuti in giudizio per ipotesi di malpractice sono tenuti a fornire la prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 c.c., con la conseguenza che il mancato raggiungimento di tale prova (compreso il mero dubbio sull’esattezza dell’adempimento) non può che ricadere a loro carico.

 

E’ noto, altresì, che la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può tradursi, sul piano processuale, in un pregiudizio per il paziente (cfr. Cass. n. 1538/2010) e che è anzi consentito il ricorso alle presunzioni “in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato” (Cass. n. 11316/2003; cfr. Cass. n. 10060/2010); tali principi, che costituiscono espressione del criterio della vicinanza alla prova nel più ampio quadro della distribuzione degli oneri probatori, assumono speciale pregnanza in quanto sono destinati ad operare non soltanto ai fini della valutazione della condotta del sanitario (ossia dell’accertamento della colpa), ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la condotta medica e le conseguenze dannose subite dal paziente (cfr., oltre alle citate Cass. n. 11316/2003 e n. 10060/20109, anche Cass. n. 12218/2015).

 

Va inoltre considerato -in fatto- che non può dubitarsi (e non hanno mostrato di dubitarne nè i consulenti d’ufficio, nè la Corte di Appello che ha aderito alle loro conclusioni) che, nel caso in esame, le difficoltà presentate dalla neonata al momento del parto comportassero la necessità di un attento monitoraggio post-natale, al fine di cogliere tempestivamente eventuali peggioramenti delle condizioni e di assicurare un immediato intervento.

 

Tanto premesso, deve ritenersi che la Corte abbia errato laddove, a fronte di un vuoto di ben sei ore nelle annotazioni della cartella clinica, ha ritenuto di condividere l’ipotesi -formulata dai consulenti d’ufficio- che la neonata non potesse essere stata lasciata senza assistenza e non “avesse avuto problemi, anche perchè al mattino le condizioni cliniche erano stabili”.

 

Tali conclusioni meritano censura sia sotto il profilo del vizio motivazionale (anche nei ristretti termini in cui esso assume rilevanza ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., n. 5) che sotto quello della violazione dei criteri di distribuzione dell’onere della prova, alla luce della pacifica carenza di annotazioni nella cartella clinica.

 

Non può sfuggire, infatti, l’irriducibile antinomia esistente fra la constatazione della carenza delle annotazioni e l’affermazione della plausibilità dell’ipotesi che -ciononostante- la neonata fosse stata ben monitorata: si tratta, infatti, di una conclusione che è contraria alle effettive risultanze documentali e che viola il criterio secondo cui l’imperfetta compilazione della cartella clinica non può tradursi in uno svantaggio processuale per il paziente (anzichè per la parte cui il difetto di annotazione è imputabile), traducendosi in un inammissibile vulnus al criterio che onera la parte convenuta della prova liberatoria in merito all’esattezza del proprio adempimento.

 

Considerato che l’errore ora censurato attiene ad un passaggio centrale del percorso argomentativo della decisione impugnata, deve disporsi la cassazione della sentenza (con assorbimento dei profili non esaminati) e il rinvio alla Corte di Appello, per il nuovo esame della controversia alla luce dei principi sopra richiamati e delle discrasie evidenziate.

 

  1. La Corte di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

la Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Torino, in diversa composizione.

 

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2016.

 

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2016.

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