MALASANITA’ RISARCIMENTO RAPPORTO SANITARIO PAZIENTE
deve ritenersi consustanziale al dovere di diligente espletamento della prestazione l’obbligo del medico di accertarsi preventivamente che la Casa di cura dove si appresta a operare sia pienamente idonea, sotto ogni profilo, ad offrire tutto cio’ che serve per il sicuro e ottimale espletamento della propria attivita’; cosi’ come, reciprocamente la Casa di cura e’ obbligata a vigilare che chi si avvale della sua organizzazione sia abilitato all’esercizio della professione medica in generale e, in particolare, al compimento della specifica prestazione di volta in volta richiesta nel caso concreto. E tanto in applicazione del principio generale di cui all’articolo 1228 c.c., il quale comporta che il medico, come ogni debitore, e’ responsabile dell’operato dei terzi della cui attivita’ si avvale, cosi’ come la struttura risponde non solo dell’inadempimento delle obbligazioni su di essa tout court incombenti, ma anche dell’inadempimento della prestazione svolta dal sanitario, quale ausiliario necessario dell’organizzazione aziendale (confr. Cass. civ. 26 giugno 2012, n. 10616; Cass. civ. 6 giugno 2014, n. 12833; Cass. civ. 14 giugno 2007, n. 13953).
- E’ il caso di aggiungere, per puro spirito di completezza, che la giurisprudenza di questa Corte, alla quale il collegio intende dare continuita’, pacificamente ritiene che, in via di principio, pur quando manchi un rapporto di subordinazione o di collaborazione tra clinica e sanitario, sussiste comunque un collegamento tra i due contratti stipulati, l’uno tra il medico ed il paziente, e l’altro, tra il paziente e la Casa di cura, contratti aventi ad oggetto, il primo, prestazioni di natura professionale medica, comportanti l’obbligo di abile e diligente espletamento dell’attivita’ professionale (e, a volte, anche di raggiungimento di un determinato risultato) e, il secondo, prestazione di servizi accessori di natura alberghiera, di natura infermieristica ovvero aventi ad oggetto la concessione in godimento di macchinari sanitari, di attrezzi e di strutture edilizie specificamente destinate allo svolgimento di attivita’ terapeutiche e/o chirurgiche.
- Trattasi di collegamento, per cosi’ ontologico, che dal piano fattuale assume inevitabilmente rilevanza su quello giuridico, posto che di norma, l’individuazione della Casa di cura dove il medico eseguira’ la prestazione promessa costituisce parte fondamentale del contenuto del contratto stipulato tra il paziente e il professionista, nel senso che ciascun medico opera esclusivamente presso determinate cliniche e che, a sua volta, ciascuna Casa di cura accetta solo i pazienti curati da determinati medici (confr. Cass. civ. 14 giugno 2007, n. 13953).
- Ne deriva che deve ritenersi consustanziale al dovere di diligente espletamento della prestazione l’obbligo del medico di accertarsi preventivamente che la Casa di cura dove si appresta a operare sia pienamente idonea, sotto ogni profilo, ad offrire tutto cio’ che serve per il sicuro e ottimale espletamento della propria attivita’; cosi’ come, reciprocamente la Casa di cura e’ obbligata a vigilare che chi si avvale della sua organizzazione sia abilitato all’esercizio della professione medica in generale e, in particolare, al compimento della specifica prestazione di volta in volta richiesta nel caso concreto. E tanto in applicazione del principio generale di cui all’articolo 1228 c.c., il quale comporta che il medico, come ogni debitore, e’ responsabile dell’operato dei terzi della cui attivita’ si avvale, cosi’ come la struttura risponde non solo dell’inadempimento delle obbligazioni su di essa tout court incombenti, ma anche dell’inadempimento della prestazione svolta dal sanitario, quale ausiliario necessario dell’organizzazione aziendale (confr. Cass. civ. 26 giugno 2012, n. 10616; Cass. civ. 6 giugno 2014, n. 12833; Cass. civ. 14 giugno 2007, n. 13953).
- Ne consegue che correttamente il convenuto e’ stato condannato a rifondere tutti i danni subiti dagli attori.
- In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
- La circostanza che il ricorso per cassazione e’ stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiche’ l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non e’ collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione.
Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 13 gennaio 2015, n. 280
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Giovanni B. – Presidente
Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere
Dott. AMBROSIO Annamaria – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8955/2013 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) e (OMISSIS) in proprio e nella qualita’ di esercenti la potesta’ e tutori del figlio (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 232/2012 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 28/02/2012, R.G.N. 1305/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/10/2014 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’inammissibilita’ in subordine per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data (OMISSIS), giunta al termine della gravidanza, (OMISSIS) venne ricoverata, su indicazione del Dott. (OMISSIS), che l’aveva seguita durante la gestazione, presso la Casa di Cura (OMISSIS). All’esito del travaglio, risultati vani i numerosi tentativi di espulsione naturale del feto, non essendo piu’ praticabile il taglio cesareo, il ginecologo, alle ore 19.30 del (OMISSIS), provvide a estrarre il bambino facendo uso del forcipe.
Il neonato, manifestando sintomi di sofferenza perinatale, venne trasferito la sera stessa della nascita all’ospedale di (OMISSIS), dove fu formulata diagnosi di emorragia endocranica da parto distocico.
Deducendo che il figlio, a causa dell’imperizia del sanitario, era affetto da tetraparesi spastica, microcefalia e ritardo motorio, (OMISSIS) e (OMISSIS), in proprio e quali esercenti la potesta’ genitoriale sul minore, convennero (OMISSIS) innanzi al Tribunale di Salerno, chiedendo il risarcimento dei danni subiti.
Resistette il convenuto.
Con sentenza del 1 luglio 2005 il giudice adito dichiaro’ il (OMISSIS) responsabile nella misura di un terzo dei pregiudizi lamentati dagli attori, per l’effetto condannandolo al pagamento in loro favore della somma di euro 375.000,00, oltre interessi e spese.
Proposto gravame principale dal (OMISSIS) e incidentale dalla (OMISSIS) e dal (OMISSIS), la Corte d’appello di Salerno, in data 26 febbraio 2012, in riforma della impugnata sentenza, ha condannato (OMISSIS) al pagamento, in favore di (OMISSIS) e di (OMISSIS), nella qualita’ di legali rappresentanti del figlio (OMISSIS), della somma di euro 434.000,00, nonche’ in favore degli stessi in proprio, della somma di euro 83.000,00 ciascuno, oltre accessori.
Per la cassazione di detta decisione ricorre a questa Corte (OMISSIS), formulando due motivi, illustrati anche da memoria.
Resistono con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilita’ del controricorso per tardivita’.
E invero, a norma dell’articolo 370 c.p.c., la parte contro la quale il ricorso e’ diretto, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso da notificarsi al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso. In mancanza di tale notificazione, essa non puo’ presentare memorie, ma soltanto partecipare alla discussione orale.
Orbene, nella fattispecie, a fronte di una notifica del ricorso intervenuta in data 29 marzo 2013, il controricorso e’ stato presentato per la notifica il 19 giugno successivo, ben oltre, dunque, il limite temporale massimo stabilito dalla norma processuale richiamata.
Cio’ nondimeno il difensore ha validamente partecipato alla discussione orale, posto che, in tema di giudizio di legittimita’, la procura speciale conferita dalla parte intimata con un controricorso inammissibile resta valida come atto di costituzione, consentendo al difensore della stessa di partecipare attivamente alla pubblica udienza (confr. Cass. civ. 28 maggio 2013, n. 13183).
2 Con il primo motivo l’impugnante denuncia violazione degli articoli 40 e 41 c.p., articoli 1176, 1218, 1223, 1226 e 1227 c.c., articoli 115 e 116 c.p.c., nonche’ mancanza, insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione, ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Oggetto delle critiche e’ l’affermazione del giudice di merito secondo cui la valutazione di una situazione di concorso tra cause naturali non imputabili e cause umane imputabili puo’ sfociare, alternativamente, o in un giudizio di responsabilita’ totale per l’autore della causa umana, o in un giudizio di totale assolvimento da ogni responsabilita’, con esclusione, dunque, di ogni possibilita’ di graduare percentualmente la responsabilita’ dell’autore della causa imputabile.
Tali argomentazioni – sostiene l’esponente – farebbero malgoverno della distinzione, ormai assurta a diritto vivente, tra causalita’ materiale e causalita’ giuridica: la prima, regolata dagli articoli 40 e 41 c.p., volta a imputare al responsabile l’evento lesivo; la seconda, regolata dall’articolo 1223 c.c., volta a stabilire l’entita’ delle conseguenze pregiudizievoli del fatto di cui deve rispondere l’autore.
3 Le critiche non hanno pregio.
Nel motivare il suo convincimento la Corte d’appello ha evidenziato come, sulla base degli argomentati rilievi degli ausiliari, l’errato impiego del forcipe dovesse ritenersi fattore causale essenziale nella eziologia della patologie che affliggevano il piccolo (OMISSIS), determinandone l’invalidita’ nella misura del 100%. Del resto – ha aggiunto – una volta allegata la responsabilita’ del ginecologo per il mancato espletamento del parto cesareo, malgrado la manifestatasi sofferenza fetale, sarebbe stato onere del convenuto dimostrare o che nessun rimprovero, di scarsa diligenza o imperizia, poteva essergli mosso, oppure che, pur essendovi stato inesatto adempimento, questo non aveva avuto alcuna incidenza nella produzione del danno, laddove tale prova non era stata fornita dal (OMISSIS). Quanto poi alla dedotta esistenza di un danno cerebrale prenatale, dello stesso, ad avviso della Corte, mancava ogni certezza, tenuto conto che il convenuto aveva fatto riferimento in maniera affatto generica a una non meglio specificata situazione congenita.
In ogni caso – ha concluso il decidente – anche a voler ritenere la sussistenza, nella sequela causale che aveva dato origine alla grave patologia da cui era affetto (OMISSIS), di un fattore prenatale, valeva pur sempre il principio per cui la valutazione del concorso tra cause naturali non imputabili e cause umane imputabili poteva sfociare, alternativamente, o in un giudizio di responsabilita’ totale per l’agente, o in un giudizio di totale assolvimento da ogni responsabilita’, a seconda che il giudice ritenesse o meno, la perdurante operativita’ del nesso di causalita’ tra la predetta causa umana e l’evento, essendo esclusa ogni possibilita’ di graduare percentualmente la responsabilita’ dell’autore del comportamento.
4 A fronte di tale corredo motivazionale, l’adesione del collegio all’affermazione secondo cui, in tema di responsabilita’ civile, qualora la produzione di un evento dannoso, quale una gravissima patologia, possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla pregressa situazione del danneggiato, il giudice deve accertare, sul piano della causalita’ materiale l’efficienza della condotta rispetto all’evento, in applicazione della regola di cui all’articolo 41 c.p., cosi’ da ascrivere il fatto dannoso interamente all’autore della stessa, per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa incidenza delle varie concause sul piano della causalita’ giuridica (confr. Cass. civ., 21 luglio 2011, n. 15991), non giova all’esponente in quanto, al postutto, il decidente ha escluso l’enucleabilita’ nella fattispecie di un danno cerebrale neonatale, in motivata adesione all’opinione espressa dai nominati esperti, i quali avevano precisato che l’origine delle affezioni di (OMISSIS) era da ascriversi al momento del travaglio.
Cio’ vuoi dire che la mancanza di ogni riferimento, nella sentenza impugnata, alla selezione delle conseguenze dannose ascrivibili al sanitario secondo i criteri della causalita’ giuridica, non concreta ne’ un errar in iudicando ne’ un vizio motivazionale, posto che l’omissione, quand’anche imputabile all’insufficiente approccio del giudice di merito con i principi che governano la materia, non ha influito sulla scelta decisoria adottata, avendo il decidente tout court escluso la sussistenza di un concorso tra fattori naturali e condotta del medico.
Peraltro l’impugnante, lungi dal censurare gli esiti dell’apprezzamento del giudice di merito in punto di riconducibilita’, in via esclusiva, alla condotta del sanitario, delle patologie di cui e’ portatore (OMISSIS), ha articolato le sue doglianze dando per scontato un presupposto che tale non era, e cioe’ l’incidenza di fattori naturali nell’eziologia delle stesse, il che connota le critiche in termini di aspecificita’.
5 Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta violazione degli articoli 40 e 41 c.p., articoli 1218, 1223, 1226, 1228, 1292, 1294, 1314 e 1316 c.c., articoli 112, 115 e 116 c.p.c., nonche’ mancanza, insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione, ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5.
Evidenzia che gli attori non avevano convenuto in giudizio la Casa di cura (OMISSIS), ritenendo il (OMISSIS) unico ed esclusivo responsabile di quanto accaduto. Sennonche’ tutti i periti nominati sia dal Tribunale che dalla Corte d’appello avevano affermato la corresponsabilita’ della Clinica per inadeguatezze strutturali e organizzative, rilevando che le stesse, secondo un giudizio necessariamente probabilistico, potevano avere compromesso, sia nella fase preparatoria del parto che in quella successiva, la salute del neonato. In tale contesto, secondo l’impugnante, erroneamente la Corte d’appello, non potendo pronunciarsi (anche) nei confronti della Casa di cura, in quanto non convenuta, aveva condannato il solo medico al risarcimento integrale dei danni subiti dagli istanti, in nome di un inesistente vincolo di solidarieta’ tra la sua obbligazione e quella della Clinica e in violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
La statuizione ignorerebbe peraltro, sul piano sistematico, che l’articolo 2055 c.c., e’ norma dettata in tema di responsabilita’ extracontrattuale e non si estende a quella contrattuale.
MALASANITA’ BOLOGNA : NATURA GIURIDICA RESPONSABILITA’ MEDICA- DICIAMO NO ALLA MALASANITA’
Secondo l’esponente, in definitiva, la parziarieta’ dell’obbligazione risarcitoria incombente sul medico e sulla Clinica in conseguenza dell’inadempimento di due distinti contratti da essi rispettivamente conclusi con la (OMISSIS), doveva imporre che il risarcimento a carico del (OMISSIS) venisse diminuito della percentuale di responsabilita’ addebitabile alla Casa di cura.
6 Anche tali critiche non hanno fondamento.
Nel riformare la sentenza di prime cure che aveva quantificato nella misura di un terzo il livello di contribuzione della condotta del ginecologo nella produzione dell’evento lesivo, la Corte ha escluso che le inadeguatezze strutturali e organizzative del punto nascita potessero legittimare una graduazione di responsabilita’ di (OMISSIS). Ha ricordato in proposito che, per giurisprudenza consolidata, quando un medesimo danno e’ provocato da piu’ soggetti, per inadempimenti di contratti diversi, intercorsi rispettivamente tra ciascuno di essi e il danneggiato, tali soggetti debbono essere considerati corresponsabili in solido, non tanto sulla base dell’estensione alla responsabilita’ contrattuale del disposto dell’articolo 2055 c.c., quanto perche’, sia in tema di responsabilita’ contrattuale che di responsabilita’ extracontrattuale, se un unico evento dannoso e’ imputabile a piu’ persone, al fine di ritenere la responsabilita’ di tutte nell’obbligo risarcitorio, e’ sufficiente, in base ai principi che regolano il nesso di causalita’ e il concorso di piu’ cause nella produzione dell’evento, che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo. Conseguentemente – ha concluso – la persona danneggiata in conseguenza di un fatto dannoso imputabile a piu’ persone legate da un vincolo di solidarieta’, puo’ pretendere l’intero da una sola di esse, mentre la diversa gravita’ delle rispettive colpe e l’eventuale, diseguale efficienza causale delle loro condotte poteva avere rilevanza solo ai fini della ripartizione interna dell’obbligazione passiva di risarcimento dei corresponsabili.
Esaminando, nell’ambito di tale ricostruzione dogmatica, l’appello incidentale degli attori nella parte in cui era volto a contestare la graduazione di responsabilita’ del (OMISSIS) nei limiti di un terzo, la Corte lo ha ritenuto meritevole di accoglimento, evidenziando che le valutazioni in ordine alla pretesa inidoneita’ della struttura sanitaria erano state prospettate dagli esperti nominati dal Tribunale in via meramente ipotetica ed erano pertanto prive dei necessari requisiti di specificita’, mentre i consulenti nominati nel giudizio di gravame avevano individuato quali concause della patologia da cui era affetto (OMISSIS) solo l’ipossia e la cattiva utilizzazione del forcipe, escludendo il concorso di cause successive al parto.
7 Cio’ vuoi dire che, ferma l’operativita’ della presente decisione nei confronti delle sole parti in causa, la condanna del convenuto al pagamento dell’intero danno subito dagli attori e’ sorretta da due rationes decidendi, basate, l’una, sul carattere solidale dell’obbligazione risarcitoria in tesi gravante e sul medico e sulla clinica, l’altra sulla insussistenza, in concreto, di profili di responsabilita’ di quest’ultima.
Ora, il ricorrente ha del tutto ignorato i rilievi in ordine alla mancanza di presupposti per ravvisare nella pretesa inidoneita’ della struttura una concausa del danno, concentrandosi esclusivamente sulla natura parziaria della sua obbligazione.
In tale contesto le critiche non sfuggono alla sanzione dell’inammissibilita’, in applicazione del principio per cui, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralita’ di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una di esse rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitivita’ delle altre, alla cassazione della decisione stessa (confr. Cass. civ. sez. un. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. civ. 14 febbraio 2012, n. 2108).
8 E’ il caso di aggiungere, per puro spirito di completezza, che la giurisprudenza di questa Corte, alla quale il collegio intende dare continuita’, pacificamente ritiene che, in via di principio, pur quando manchi un rapporto di subordinazione o di collaborazione tra clinica e sanitario, sussiste comunque un collegamento tra i due contratti stipulati, l’uno tra il medico ed il paziente, e l’altro, tra il paziente e la Casa di cura, contratti aventi ad oggetto, il primo, prestazioni di natura professionale medica, comportanti l’obbligo di abile e diligente espletamento dell’attivita’ professionale (e, a volte, anche di raggiungimento di un determinato risultato) e, il secondo, prestazione di servizi accessori di natura alberghiera, di natura infermieristica ovvero aventi ad oggetto la concessione in godimento di macchinari sanitari, di attrezzi e di strutture edilizie specificamente destinate allo svolgimento di attivita’ terapeutiche e/o chirurgiche.
Trattasi di collegamento, per cosi’ ontologico, che dal piano fattuale assume inevitabilmente rilevanza su quello giuridico, posto che di norma, l’individuazione della Casa di cura dove il medico eseguira’ la prestazione promessa costituisce parte fondamentale del contenuto del contratto stipulato tra il paziente e il professionista, nel senso che ciascun medico opera esclusivamente presso determinate cliniche e che, a sua volta, ciascuna Casa di cura accetta solo i pazienti curati da determinati medici (confr. Cass. civ. 14 giugno 2007, n. 13953). Ne deriva che deve ritenersi consustanziale al dovere di diligente espletamento della prestazione l’obbligo del medico di accertarsi preventivamente che la Casa di cura dove si appresta a operare sia pienamente idonea, sotto ogni profilo, ad offrire tutto cio’ che serve per il sicuro e ottimale espletamento della propria attivita’; cosi’ come, reciprocamente la Casa di cura e’ obbligata a vigilare che chi si avvale della sua organizzazione sia abilitato all’esercizio della professione medica in generale e, in particolare, al compimento della specifica prestazione di volta in volta richiesta nel caso concreto. E tanto in applicazione del principio generale di cui all’articolo 1228 c.c., il quale comporta che il medico, come ogni debitore, e’ responsabile dell’operato dei terzi della cui attivita’ si avvale, cosi’ come la struttura risponde non solo dell’inadempimento delle obbligazioni su di essa tout court incombenti, ma anche dell’inadempimento della prestazione svolta dal sanitario, quale ausiliario necessario dell’organizzazione aziendale (confr. Cass. civ. 26 giugno 2012, n. 10616; Cass. civ. 6 giugno 2014, n. 12833; Cass. civ. 14 giugno 2007, n. 13953).
Ne consegue che correttamente il convenuto e’ stato condannato a rifondere tutti i danni subiti dagli attori.
9 In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
La circostanza che il ricorso per cassazione e’ stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiche’ l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non e’ collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi euro 8.000,00 (di cui euro 200,00 per esborsi), oltre accessori e spese generali, come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis
Tribunale Crotone, Sentenza, 01/06/2021, n. 518
In tema di responsabilità sanitaria, le norme poste dagli artt. 3, co. 1, del d.l. n. 158 del 2012 e dall’art. 7, co. 3, della legge n. 24 del 2017, non hanno efficacia retroattiva e non sono applicabili ai fatti verificatisi anteriormente alla loro entrata in vigore.
Fonti:
Tribunale Crotone, Sentenza, 01/06/2021, n. 518
Parti: Giovannina Bevilacqua c. Casa di Cura Privata Santa Rita – Caparra – S.R.L.
In tema di responsabilità sanitaria, le norme poste dagli artt. 3, co. 1, del d.l. n. 158 del 2012 e dall’art. 7, co. 3, della legge n. 24 del 2017, non hanno efficacia retroattiva e non sono applicabili ai fatti verificatisi anteriormente alla loro entrata in vigore.
Corte cost., 20/05/2021, n. 102
SPESE DI GIUSTIZIA – Incarichi collegiali – Incarichi dei consulenti tecnici d’ufficio e dei periti nei giudizi di responsabilità medica – Determinazione del compenso globale – Aumento del 40 per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio, come previsto per gli incarichi collegiali di natura tecnica relativi a materie diverse – Esclusione – Disparità di trattamento – Illegittimità costituzionale parziale
È dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., l’art. 15, comma 4, della legge n. 24 del 2017, limitatamente alle parole: «e, nella determinazione del compenso globale, non si applica l’aumento del 40 per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio previsto dall’articolo 53 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115». La norma censurata dal Tribunale di Verona determina un’irragionevole disparità di trattamento – per cui contrasta altresì con il principio di uguaglianza – nella liquidazione dei compensi – le cui tariffe sono inferiori fin dall’origine ai valori del mercato professionale e non sono mai state aggiornate mediante l’adeguamento triennale prescritto dall’art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002 – dei collegi peritali nei giudizi di responsabilità medica, a fronte della liquidazione spettante ai collegi composti da esperti di discipline diverse ovvero di discipline che parimenti richiedono differenti competenze mediche, ma in relazione ad altre tipologie di controversie. La finalità di alleviare l’aggravio economico che, in forza della collegialità necessaria, verrebbe a ricadere sugli interessati, già onerati dei costi della eventuale consulenza di parte, non può valere a legittimare la introduzione di una irragionevole soglia di contenimento del quantum dell’onorario, non potendo il soddisfacimento di un’esigenza siffatta tradursi in un ingiustificato sacrificio per i consulenti incaricati. Questa preventiva e inderogabile limitazione genera effetti contrastanti con lo scopo che la disposizione si prefigge di raggiungere in astratto, favorendo altresì torsioni interpretative e forzature applicative. Tra le ricadute “di sistema” della disposizione denunciata va, tra l’altro, considerata la possibilità che essa favorisca l’allontanamento dal circuito dei professionisti dotati di maggiore esperienza e specializzazione. Attraverso la designazione giudiziale, integrante un atto costitutivo di un munus publicum, il consulente tecnico d’ufficio riceve un incarico professionale che, sebbene non sia riconducibile ad un contratto, rinviene nella disciplina della liquidazione degli onorari specifici meccanismi di commisurazione volti a garantire la proporzionalità dei compensi, sia pure per difetto in considerazione del connotato pubblicistico, all’entità e alla complessità dell’opera prestata, in coerenza con il fine di contemperamento tra gli interessi pubblici e le esigenze remunerative del professionista che informa la disciplina del d.P.R. n. 115 del 2002. Nel settore della responsabilità medica il principio di necessaria collegialità dell’incarico peritale scaturisce da una valutazione del legislatore circa la delicatezza delle indagini e l’esigenza di perseguire una verifica dell’an e del quantum della responsabilità che sia il più possibile esaustiva e conforme alle leges artis. Il legislatore gode di discrezionalità particolarmente ampia nella conformazione degli istituti processuali, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte operate. Ma la verifica della sussistenza di un rapporto di connessione razionale e di proporzionalità tra il mezzo predisposto dal legislatore e il fine che lo stesso ha inteso perseguire rientra nel sindacato di ragionevolezza demandato alla Corte costituzionale, nel quale rientra anche la valutazione se il bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti sia stato realizzato con modalità tali da determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale.
Cass. pen., Sez. IV, 12/05/2021, n. 24895
In tema di responsabilità medica, il medico che, all’interno di una struttura sanitaria ospedaliera, venga chiamato per un consulto specialistico, ha gli stessi doveri professionali del medico che ha in carico il paziente presso un determinato reparto, sicché non può esimersi da responsabilità adducendo di essere stato chiamato solo per valutare una specifica situazione, dovendo fare – in virtù del cd. “contatto sociale” – tutto ciò che è nelle sue capacità per la salvaguardia dell’integrità del paziente.
Tribunale Gorizia, Sentenza, 05/03/2021, n. 83
Ai fini della configurazione della responsabilità del medico per i danni causati da una omessa o non diligente esecuzione della prestazione sanitaria, si deve esigere la prova, che deve essere fornita dal danneggiato, della sussistenza di un valido nesso causale tra l’omissione dei sanitari ed il danno. Tale prova sussiste quando, da un lato, non vi sia certezza che il danno patito sia derivato da cause naturali o genetiche e, dall’altro, appaia più probabile che non che un tempestivo o diverso intervento da parte del medico avrebbe evitato il danno al paziente. Una volta fornita tale prova in merito al nesso di causalità, è onere del medico, ai sensi dell’art. 1218 c.c., dimostrare la scusabilità della propria condotta.
Tribunale Milano, Sez. I, Sentenza, 18/06/2021, n. 5246
In ambito di responsabilità medica, se la struttura gode della collaborazione del medico (in utilibus) si trova del pari a dover rispondere dei danni da costoro eventualmente cagionati (in damnosis); in questo senso, si afferma che la responsabilità di chi si avvale dell’esplicazione dell’attività del terzo per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale trova allora radice non già in una colpa in eligendo degli ausiliari o in vigilando circa il loro operato, bensì nel rischio connaturato all’utilizzazione dei terzi nell’adempimento dell’obbligazione. Sul danneggiato grava l’onere di provare il contratto e l’aggravamento della situazione patologica e del relativo nesso di causalità con l’azione o omissione dei sanitari mentre resta a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.
aCass. civ., Sez. III, Ordinanza, 06/05/2022, n. 14471
I congiunti del paziente danneggiato in ambito sanitario non possono fruire del termine prescrizionale decennale correlato alla responsabilità contrattuale medica, poiché la responsabilità della struttura sanitaria per i danni invocati “iure proprio” dai congiunti di un paziente danneggiato (o deceduto) è qualificabile come extracontrattuale, dal momento che, da un lato, il rapporto contrattuale intercorre unicamente col paziente, e dall’altro i parenti non rientrano nella categoria dei terzi protetti dal contratto, potendo postularsi l’efficacia protettiva verso terzi del contratto concluso tra il nosocomio ed il paziente esclusivamente ove l’interesse, del quale tali terzi siano portatori, risulti anch’esso strettamente connesso a quello già regolato sul piano della programmazione negoziale, come avviene specificamente nel contratto concluso dalla gestante con riferimento alle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione.
Cass. pen., Sez. IV, Sentenza, 12/11/2021, n. 416 (rv. 282559-01)
REATO – Causalita’ (rapporto di) – In genere – Responsabilità medica per omissione – Giudizio controfattuale – Nesso di causalità – Accertamento – Necessità
In tema di nesso di causalità, il giudizio controfattuale, imponendo di accertare se la condotta doverosa omessa, ove eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento, richiede il preliminare accertamento di ciò che è naturalisticamente accaduto (cd. giudizio esplicativo), al fine di verificare, sulla base di tale ricostruzione, se la condotta omessa può valutarsi come adeguatamente e causalmente decisiva in relazione all’evitabilità dell’evento, ovvero alla sua verificazione in epoca significativamente posteriore. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto corretta l’esclusione della responsabilità del medico di guardia in pronto soccorso per aver omesso di sottoporre ad un completo esame obiettivo un paziente ricoverato con diagnosi di sospetta pancreatite acuta, poi deceduto, non essendo stata individuata con certezza, alla luce dei dati riportati nella cartella clinica e dell’esame autoptico, l’origine del versamento sieroemorragico in cavità peritoneale, causa immediata della morte). (Dichiara inammissibile, CORTE APPELLO ROMA, 16/12/2019)
Cass. civ., Sez. III, Sentenza, 29/03/2022, n. 10050 (rv. 664402-01)
RESPONSABILITA’ CIVILE – Professionisti – Attivita’ medico-chirurgica – Responsabilità contrattuale del professionista – Responsabilità medica (anteriormente alla l. n. 24 del 2017) – Oneri probatori – Ripartizione e contenuto – Impedimento imprevedibile ed inevitabile – Nozione
In tema di responsabilità contrattuale per inadempimento delle obbligazioni professionali (tra le quali si collocano quelle di responsabilità medica, anteriormente alla l. n. 24 del 2017), è onere del creditore-danneggiato provare, oltre alla fonte del suo credito (contratto o contatto sociale), il nesso di causalità, secondo il criterio del “più probabile che non”, tra la condotta del professionista e il danno lamentato, mentre spetta al professionista dimostrare, in alternativa all’esatto adempimento, l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile, da intendersi nel senso oggettivo della sua inimputabilità all’agente. (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO GENOVA, 06/06/2018)
Cass. civ., Sez. III, Sentenza, 26/04/2022, n. 12981 (rv. 664632-01)
ASSICURAZIONE – Assicurazione della responsabilita’ civile – Oggetto del contratto (rischio assicurato) – Assicurazione della responsabilità civile – Clausole “on claims made basis” – Atipicità – Esclusione – Deroga al modello legale di cui all’art. 1917, comma 1, c.c. – Conseguenze – Controllo di meritevolezza degli interessi – Esclusione – Verifica di rispondenza del regolamento contrattuale ai limiti imposti dalla legge – Conseguenze – Fattispecie
Il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis”, quale deroga convenzionale all’art. 1917, comma 1, c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale. Tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto – sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti -, ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle “claims made”) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale “on claims made basis” vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso, considerandola non meritevole di tutela, l’operatività della clausola “claims made”, sul presupposto che essa non solo limitava la garanzia nei limiti della vigenza contrattuale – così escludendo gli esiti delle lungolatenze, tipici dei danni da responsabilità medica – ma affiancava detto limite ad una retroattività solo a “secondo rischio”). (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO BARI, 24/01/2019)
Cass. civ., Sez. III, Sentenza, 26/04/2022, n. 12981 (rv. 664632-01)
ASSICURAZIONE – Assicurazione della responsabilita’ civile – Oggetto del contratto (rischio assicurato) – Assicurazione della responsabilità civile – Clausole “on claims made basis” – Atipicità – Esclusione – Deroga al modello legale di cui all’art. 1917, comma 1, c.c. – Conseguenze – Controllo di meritevolezza degli interessi – Esclusione – Verifica di rispondenza del regolamento contrattuale ai limiti imposti dalla legge – Conseguenze – Fattispecie
Il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis”, quale deroga convenzionale all’art. 1917, comma 1, c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale. Tale indagine riguarda, innanzitutto, la causa concreta del contratto – sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti -, ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale, investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza, da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto delle “claims made”) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui nel regolamento contrattuale “on claims made basis” vengano inserite clausole abusive), con la conseguenza che la tutela invocabile dall’assicurato può esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili di volta in volta implicati. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso, considerandola non meritevole di tutela, l’operatività della clausola “claims made”, sul presupposto che essa non solo limitava la garanzia nei limiti della vigenza contrattuale – così escludendo gli esiti delle lungolatenze, tipici dei danni da responsabilità medica – ma affiancava detto limite ad una retroattività solo a “secondo rischio”). (Cassa con rinvio, CORTE D’APPELLO BARI, 24/01/2019)
REATO – Causalita’ (rapporto di) – In genere – Colpa medica – Ritardata diagnosi di malattia tumorale – Decesso del paziente – Nesso causale – Condizioni – Fattispecie
In tema di responsabilità medica, l’accertamento del nesso causale tra la diagnosi intempestiva di una malattia tumorale e il decesso del paziente postula il ricorso ad un giudizio controfattuale ipotetico, sulla base del modello probabilistico e multifattoriale che richiede di valutare l’incidenza del comportamento alternativo lecito, ossia se la diagnosi tempestiva avrebbe impedito ovvero significativamente ritardato, con alto grado di probabilità logica ed in assenza di decorsi causali alternativi, l’esito infausto. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la sentenza di condanna per omicidio colposo del medico che abbia ritardato la diagnosi di sarcoma a cellule chiare, in quanto, per la particolare aggressività del tumore, con una percentuale di sopravvivenza a cinque anni non superiore al 25%, anche nel caso di diagnosi e cure tempestive, si sarebbe verificata una elevata probabilità di morte della paziente). (Annulla con rinvio, CORTE APPELLO BRESCIA, 14/05/2020)
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