OTTIENI IL RECESSO LEASING? AVVOCATO A BOLOGNA SERGIO ARMAROLI
Nell’esaminare il primo motivo d’appello del Banco di Sicilia, la sentenza impugnata esordisce affermando: che l’operazione di leasing (come quella di specie) si attua attraverso la conclusione dei contratti di locazione finanziaria (tra concedente ed utilizzatore) e di compravendita (tra concedente e fornitore di beni); che tra i due contratti esiste un nesso integrante un vero e proprio collegamento negoziale, la cui caratteristica principale è costituita dal fatto che la scelta e l’indicazione dei beni avvengono ad opera dell’utilizzatore, il quale ne assume di conseguenza tutti i rischi, benchè i beni siano acquistati o fatti costruire dal concedente; che, se l’utilizzatore, oltre al bene, sceglie anche il fornitore e sia stabilito che questi consegni direttamente all’utilizzatore, la locazione si svolge come un rapporto trilaterale, con la previsione (quale elemento naturale del negozio) dell’esonero del concedente da ogni responsabilità non solo in ordine alle condizioni del bene acquistato per l’utilizzatore ma anche dall’obbligo di consegna del bene, poichè il concedente non assume l’obbligo della consegna, nè rimane tenuto alla garanzia per l’evizione; una clausola di esonero eventualmente prevista in talsenso avrebbe mera funzione esplicativa di quanto è già insito nella struttura del rapporto trilaterale sopra descritto.
anza) in forza di contratto di locazione finanziaria, pagò a quest’ultima la somma di L. 10 miliardi quando fu dedotto l’inadempimento della Eurorail. Il Banco convenne, allora, in giudizio la B.N. Commercio e Finanza (concedente) per ottenere la condanna di questa a restituirle la predetta somma, sostenendo che l’Eurorail (utilizzatrice) non era obbligata a pagare i canoni della locazione in ragione della mancata consegna della mercè (250 carri ferroviari); in subordine, domandò la riduzione dell’importo della fideiussione in proporzione della mercè effettivamente consegnata (80 su 250 carri); agì, comunque, per ottenere la condanna della convenuta a risarcirgli il danno cagionatogli per violazione dell’obbligo di buona fede, in relazione alla richiesta di pagamento effettuata nella consapevolezza della mancata consegna della merce.
A queste considerazioni la sentenza aggiunge che, se, poi, nel contratto di leasing sia previsto che il pagamento del bene debba avvenire in connessione con la sua consegna da parte del fornitore, siffatta clausola opera nel senso di escludere o limitare l’obbligo dell’utilizzatore di pagare il concedente ove manchi, per fatto imputabile al fornitore, la consegna della cosa, in quanto il pagamento effettuato dal concedente in assenza di prova della consegna comporta un mutamento delle condizioni cui, secondo contratto, si raccorda l’obbligazione dell’utilizzatore.
Fatte queste premesse di ordine generale, la sentenza affronta la problematica posta dal Banco di Sicilia, concernente l’individuabilità nell’art. 5 del contratto di leasing in questione di una clausola che, appunto, subordinasse il pagamento delle rate alla consegna della mercé e che, dunque, in mancanza di consegna, esonerasse la concedente dal pagamento stesso e, di conseguenza, lo stesso Banco dall’erogazione della somma oggetto di fideiussione.
Siffatto esonero secondo la sentenza non esiste per due diverse ragioni: perché il citato art. 5 non condiziona il pagamento da parte del concedente alla consegna della mercè; perché il concedente pagò in presenza di prove tali da far escludere sia che la mercé non esistesse, sia che non fosse stata già in parte consegnata.
In estrema sintesi, ritiene il giudice che, in assenza di apposita convenzione, la consegna del bene non condiziona il pagamento del concedente in favore del fornitore. Nella specie, non esisteva una siffatta convenzione. Il concedente pagò, comunque, dopo aver ricevuto dall’utilizzatore idonea prova circa l’avvenuta consegna.
1.2. – La seconda parte della motivazione della sentenza impugnata tratta della missiva del 9 marzo 1992, con la quale l’Eurorial autorizzò la B.N. Leasing a pagare al fornitore una somma pari al 40% della fornitura, sollevandola “da qualunque responsabilità circa qualità, immatricolazione e tempi di consegna dei macchinari”. Sul punto il Banco sosteneva (e tuttora sostiene) che la missiva comportasse l’assunzione da parte sua di obblighi diversi da quelli derivanti dal contratto di leasing, i quali restavano, perciò, fuori dalla garanzia prestata.
La sentenza, nel trattare la questione, la qualifica come vera e propria domanda nuova, introdotta tardivamente dal Banco e relativamente alla quale non v’è stata accettazione del contraddittorio dalla controparte. Nonostante la dichiarata inammissibilità, la sentenza esamina ugualmente la tesi dell’istituto di credito e la dichiara infondata sulla base delle seguenti considerazioni: la lettera in oggetto è precedente a quella con la quale il Banco assunse l’impegno fideiussorio, sicchè esso, con l’ordinaria diligenza, avrebbe dovuto informarsi sull’estensione effettiva della garanzia che andava ad assumersi; comunque, tale missiva non ha modificato l’obbligazione garantita, poichè questa esisteva già al momento della sottoscrizione del contratto di leasing ed era operativa indipendentemente dal momento della consegna (non essendo – come già affermato in precedenza – la consegna una condizione, bensì un mero termine rilevante soltanto ai fini dell’esigibilità del credito del concedente). In sintesi, il giudice ritiene che l’obbligo fideiussorio del Banco esisteva a prescindere dalla missiva in questione, perchè esso discende dalla natura stessa del rapporto di leasing, perchè il concedente ha legittimamente adempiuto alla sua obbligatone, perchè, infine, manca qualsiasi collegamento funzionale tra l’obbligazione fideiussoria e l’effettiva consegna del bene (sul punto la sentenza cita un precedente giurisprudenziale di merito secondo cui l’oggetto che l’utilizzatore chiede al concedente di acquistare può anche non esistere o che, almeno, la sua reale esistenza non deve interessare il concedente).
2.- Nel censurare i sopra esposti punti della sentenza il Banco di Sicilia argomenta che: il contratto di leasing garantito condizionava il sorgere dell’obbligazione dell’utilizzatore all’avvenuta consegna dei beni oggetto del contratto; la consegna non è mai avvenuta (successivamente s’è addirittura accertato che i beni non sono mai stati costruiti); l’obbligazione dell’utilizzatore garantito non è mai sorta e, dunque, non è venuta mai ad esistere neppure quella del garante. Per dimostrare ciò, sviluppa i primi cinque motivi.
2.1. – Il primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione artt. 1938 ss. e 1353 ss. c.c. – vizi della motivazione) mira a quel punto della sentenza in cui, più in dettaglio, si afferma che l’obbligazione di pagamento a carico dell’utilizzatore non era soggetto alla condizione della consegna della mercè, bensì ad alcuni termini espressi nell’art. 5 del contratto di leasing (clausola che stabilisce il corrispettivo complessivo della locazione, la sua suddivisione in 96 canoni, dei quali il primo, di maggior importo, anticipato e gli altri 95 con periodicità mensile in via posticipata, il primo dei quali scadente il primo giorno del primo mese successivo a quello in cui è avvenuta la consegna dei macchinari; i residui, il primo giorno di ogni mese successivo). In particolare, la sentenza, per dimostrare che il pagamento dei canoni non era condizionato alla consegna dei beni, valorizza il fatto che il primo (quello di maggiore importo) doveva essere pagato anticipatamente e pone inoltre in evidenza che nell’art. 7 dello stesso contratto è scritto che il versamento doveva essere fatto alla data della scadenza prefissata e che non poteva essere ritardato o sospeso per qualsiasi ragione; afferma, poi, l’irrilevanza del fatto che i beni in questione non fossero stati neppure costruiti, avendo la concedente pagato in favore del fornitore dopo che l’utilizzatore le aveva trasmesso la documentazione (le bolle di consegna sottoscritte dall’utilizzatore stesso) idonea a dimostrare l’avvenuta consegna di almeno parte della mercè (80 carri sui 250 pattuiti). Aggiunge, infine, a sostegno della propria tesi che le menzionate bolle di consegna erano state precedute dalla lettera del 9 marzo 1992 (contestuale al contratto di leasing), nella quale l’utilizzatore aveva autorizzato il concedente a pagare al fornitore una somma pari al 40% della fornitura, sollevandolo “da qualunque responsabilità circa qualità, immatricolazione e tempi di consegna dei macchinari”.
Il Banco di Sicilia censura queste affermazioni, ritenendo, in primo luogo, che sia errato configurare come termine (che presuppone la certezza dell’evento futuro) la consegna, la quale, per sua natura, costituisce un evento futuro ed incerto. In secondo luogo che la sentenza sia affetta in proposito da vizi della motivazione, per non avere spiegato cosa abbia convinto il giudice a ritenere che alle parti fosse apparso certo ciò che per sua natura è incerto e per avere utilizzato (a sostegno della tesi che si trattasse di termine) l’inconcludente circostanza che le parti avessero pattuito il versamento di un congruo anticipo, senza tener conto che le stesse avevano condizionato il pagamento degli altri 95 canoni alla consegna dei beni. Aggiunge il Banco, sotto altro profilo, che la “apparenza” di consegna, prodotta attraverso la creazione di false bolle e false dichiarazioni (predisposte dall’utilizzatore e dal fornitore), non è in grado di sostituire il mancato verificarsi della condizione (ossia della consegna), in quanto nel nostro ordinamento non esiste una finzione di avveramento delle condizioni apparenti. Poi il ricorrente fornisce una serie di elementi di fatto tendenti a dimostrare che il concedente pagò ben prima che l’apparenza venisse creata e gestì l’operazione con negligenza, omettendo di controllare direttamente l’esistenza dei carri e di promuovere tempestivamente l’azione di risoluzione nei confronti dell’utilizzatore.
2.2. – Nel secondo motivo (violazione artt. 1353 ss. c.c. – vizi della motivazione) il Banco sostiene che, anche ad ammettere che la consegna fungesse da termine e non da condizione, la sentenza non spiega quali siano le conseguenze del fatto che, comunque, quell’evento non s’è verificato. L’unica risposta possibile – a detta della ricorrente – è che si tratterebbe di un’obbligazione non scaduta e, dunque, inesistente.
2.3. – Il terzo motivo (violazione e falsa applicazione artt. 1362ss. c.c., in relazione agli artt. 1353 ss. e 1938 s.s. c.c. – vizi della motivazione) censura l’interpretazione delle clausole contrattuali fornita dalla sentenza impugnata e ne propone una diversa lettura (in particolare degli artt. 4, 5 e 11) che, coordinata con il comportamento tenuto dal concedente (il quale, prima di effettuare il pagamento, fece in modo che l’utilizzatore rimuovesse la condizione costituita dalla consegna dei carri, consapevole del fatto che il contratto di leasing non le garantiva, in mancanza di quella, alcuna possibilità di ottenere il pagamento dei canoni), dimostrerebbe che l’obbligo dell’utilizzatore non era destinato a sorgere se non in conseguenza della consegna dei carri (sul punto è citata sia la già menzionata lettera del 9 marzo 1992 – contestuale alla stipula del contratto – sia quella dell’11 marzo 1992, nella quale l’utilizzatore chiese al concedente la fatturazione dei canoni decorrenti dal 1 dicembre 1992 “indipendentemente dal completamento della fornitura ed in deroga a quanto indicato nell’art. 5 del contratto”).
2.4. – Il quarto motivo (violazione e falsa applicazione artt. 183 e ss. c.p.c.) censura il punto della sentenza nel quale si afferma l’inammissibilità (in quanto tardiva e non accettata in contraddittorio della controparte) della “domanda nuova” del Banco, consistente nel far valere la propria liberazione in conseguenza della modifica apportata, dal concedente e dall’utilizzatore, all’obbligazione originariamente garantita con fideiussione. Il ricorrente afferma che nella specie non può essere identificata una domanda nuova, bensì la replica al tentativo della controparte di valersi di un’eccezione infondata, consistente nell’affermazione dell’inopponibilità a sè di patti modificanti le caratteristiche ed i presupposti di nascita dell’obbligazione garantita.
11.5. – Il quinto motivo (violazione artt. 1418 e 1346 c.c.- – vizi della motivazione) attiene a quel punto della sentenza dove è respinta la tesi di nullità del contratto per mancanza dell’oggetto, sul presupposto che il bene costituisce l’oggetto del contratto d’acquisto stipulato dal concedente in favore dell’utilizzatore, non del contratto di finanziamento che rileva in questa sede. Il ricorrente sostiene, invece, che il bene costituisce l’oggetto di entrambi i contratti e che, comunque, la nullità del contratto di compravendita (per inesistenza dell’oggetto) travolgerebbe anche il contratto di locazione finanziaria, ponendosi la vendita quale elemento caratteristico, causale, coessenziale alla funzione finanziaria.
3 – I primi cinque motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati e vanno respinti poichè il dispositivo della sentenza è conforme a diritto, benchè essa sia, in alcuni punti, erroneamente motivata in diritto e, pertanto, meriti di essere corretta nella motivazione ( art. 384, secondo comma, c.p.c.).
3.1. – il provvedimento impugnato desume (come 3’è visto nel precedente punto 1.1) dalla giurisprudenza di legittimità i concetti espressi in relazione alla natura giuridica ed agli effetti del rapporto trilaterale di leasing in cui l’utilizzatore scelga il bene ed il relativo fornitore, e sia stabilito che la consegna avvenga direttamente in favore dell’utilizzatore stesso. In particolare, essa cita Cass. 21 giugno 1993, n. 6862, la quale stabilisce che, in tale vicenda, il fornitore viene ad assumere la posizione del soggetto indicato dal creditore (l’utilizzatore) al debitore (il concedente) per ricevere la prestazione di quest’ultimo, che è costituita dalla conclusione del contratto di compravendita del bene con il fornitore attraverso l’impiego del capitale, così da determinare nel fornitore l’obbligazione di consegnare il bene all’utilizzatore (da ciò il precedente di legittimità fa conseguire che non è nulla la clausola che ponga a carico dell’utilizzatore il rischio della mancata consegna da parte del fornitore – per preteso contrasto con l’art. 1229 cod. civ., in quanto escludente la responsabilità del concedente per colpa grave – posto che detta clausola non comporta un esonero di responsabilità, giacchè in questo caso può considerarsi gravare sul concedente solo l’obbligazione di determinare in capo al fornitore l’obbligo di consegnare all’utilizzatore, assumendo il fornitore, nel caso, il ruolo di ausiliario dell’utilizzatore e non del concedente).
L’affermazione, poi, circa il fatto che il concedente non assume neppure indirettamente l’obbligo della consegna, nè garantisce che il bene sia immune da vizi e che presenti le qualità promesse, nè rimane tenuto alla garanzia per evizione, è tratta (benchè non sia citata) da Cass. 30 giugno 1998, n. 6412, la quale perviene a questa conclusione nella considerazione che l’operazione si svolge nel senso che l’acquisto, ad opera del concedente, va effettuato per conto dell’utilizzatore, con la previsione – quale elemento naturale del negozio – dell’esonero del primo da ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l’utilizzatore, essendo quest’ultimo a prendere contatto e a stabilire le condizioni di acquisto del concedente. Così verificandosi la medesima scissione di posizioni, nei confronti del terzo contraente, che si presenta nel caso di contratti conclusi dal mandatario in nome proprio e nell’interesse del mandante.
Eppure, la sentenza impugnata, nel richiamare questi principi e portare alle estreme conseguenze l’affermazione di esonero di responsabilità del concedente rispetto alla mancata consegna del bene (tanto da aderire alla tesi secondo cui il bene che l’utilizzatore chiede al concedente di acquistare può anche non esistere o, almeno, la sua reale esistenza non deve interessare il concedente), non tiene conto dell’ulteriore elaborazione giurisprudenziale che guarda agli effetti della mancata consegna del bene, nei rapporti tra concedente ed utilizzatore, alla luce della clausola generale della buona fede.
In particolare, il provvedimento impugnato va corretto nella motivazione (successivamente si vedranno le ragioni per le quali il suo dispositivo risulta, invece, conforme a diritto) perchè, pur enunciando l’esistenza del collegamento negoziale tra locazione finanziaria e compravendita del bene, di fatto trascura le implicazioni che da quel collegamento derivano, finendo in tal modocol negarlo del tutto e dimenticare, principalmente, che la consegna non soddisfa l’interesse del solo utilizzatore, ma anche quello del concedente.
Infatti, questa Corte ha già avuto modo di stabilire che la scissione tra soggetto destinato a ricevere (dal fornitore) la prestazione di consegna e soggetto destinato ad adempiere (nei confronti del fornitore) l’obbligazione di pagamento del prezzo, non consente al concedente di pagare il prezzo indipendentemente dall’avvenuta consegna, ma giustifica, sulla base dell’art. 1375 cod. civ., che il concedente stesso possa fare affidamento sull’autoresponsabilità dell’utilizzatore nel ricevere la consegna dal fornitore, atteso che utilizzatore e concedente hanno, nei confronti del fornitore, un interesse comune (sicchè su entrambi grava un onere di collaborazione); pertanto, se il contratto di compravendita prevede che il fornitore consegni la cosa direttamente all’utilizzatore, ed il contratto di leasing prevede, a sua volta, che l’utilizzatore la riceva, il concedente che resta obbligato al pagamento del prezzo, nell’adempiere, deve far in modo di salvaguardare l’interesse dell’utilizzatore all’esatto adempimento, così come questi è, dal suo canto, gravato, nei confronti del concedente, dell’onere di comportarsi, rispetto al momento della consegna, in modo diligente, sì che non ne risulti sacrificato, per altro verso, l’interesse che anche il concedente ha all’esatto adempimento da parte del fornitore, secondo un modello comportamentale comune improntato alla reciproca cooperazione onde conseguire l’esatto adempimento da parte del fornitore (Cass. 6 giugno 2002, n. 8222).
E sulla scorta di questo stesso principio di reciproca cooperazione risulta pure affermato (in una fattispecie analoga a quella oggi trattata) che l’utilizzatore che accetta di sottoscrivere senza riserve il verbale di consegna, pure a fronte di una consegna incompleta da parte del fornitore (invece di rifiutare la prestazione e far constatare il rifiuto nel relativo verbale), pone il concedente nelle condizioni di dover adempiere la propria obbligazione verso il fornitore, ma poi non gli è consentito di opporre al concedente stesso che la consegna non è stata completa, nè di fondare su ciò il diritto di sospendere il pagamento dei canoni (Cass. 2 novembre 1998, n. 10926).
3.2. – Altro ambito della motivazione meritevole di correzione è quello che si è esposto nel precedente punto 1.2, nel quale è trattata l’eccezione del Banco di essere insensibile rispetto a patti (derivanti dalle missive sopra illustrate) intervenuti tra concedente ed utilizzatore al di fuori del contratto di finanziamento garantito.
La questione – lo si è già detto – viene prima dichiarata inammissibile in quanto “domanda nuova”, per poi essere ugualmente trattata e respinta sul presupposto che, essendo una di quelle missive precedente all’assunzione dell’impegno fideiussorio, il Banco aveva l’onere di informarsi circa l’effettiva estensione della garanzia che andava ad assumersi, che le missive non avevano modificato l’obbligazione garantita (la quale esisteva già al momento della sottoscrizione del contratto di leasing ed era operativa indipendentemente dal momento della consegna), che non esiste collegamento funzionale tra obbligazione fideiussoria ed effettiva consegna del bene.
Che nella questione posta dal Banco sia configurabile una “domanda nuova”, costituisce un’affermazione sicuramente errata in diritto.
Come s’è visto l’istituto di credito ha originariamente agito perchè fosse accertato che l’utilizzatrice non era obbligata (in ragione della mancata consegna dei beni) al pagamento dei canoni di locazione finanziaria e, di conseguenza, che esso, che quell’adempimento aveva garantito in favore del concedente, non era obbligato al pagamento del debito. Il petitum consisteva, dunque, nell’accertamento dell’inesistenza del debito della garantita e, di conseguenza, del proprio; la causa petendi nella mancanza, appunto, di causa giustificatrice del debito per la mancata consegna del bene (o, addirittura, per l’inesistenza del bene stesso). Così stando le cose, la questione posta dal Banco deve (e doveva) essere considerata come la legittima e tempestiva eccezione proposta avverso il tentativo della controparte di giustificare l’esistenza del debito non più (o non solo) sulla base del contratto di finanziamento, bensì con riferimento a patti ad esso estranei e che erano sconosciuti al fideiussore nel momento in cui prestava la garanzia.
E sul punto è necessario ricordare che il contratto di fideiussione- consistente in un accordo stipulato tra creditore e fideiussore, rispetto al quale il debitore è terzo – garantisce l’adempimento dell’obbligazione altrui attraverso la personale obbligazione del fideiussore verso il creditore ( art. 1936 c.c.). L’obbligazione del fideiussore si configura, dunque, come obbligazione accessoria, il cui oggetto è naturalmente identico a quello dell’obbligazione principale, e, salvo patto contrario, si estende solo a tutti gli accessori del debito principale ed alle spese ( art. 1942 c.c.). Ne consegue che – sia per la natura stessa dell’obbligazione fideiussoria, sia per i disposti degli artt. 1372 (effetti del contratto) e 1346 (determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto) c.c., – non sono efficaci nei confronti del fideiussore i patti intervenuti tra creditore e debitore, modificativi dell’obbligazione principale garantita.
In quest’ordine di idee, il Banco ha giustamente osservato che l’obbligazione principale, da lui garantita, è quella scaturente dal contratto di finanziamento intervenuto tra concedente ed utilizzatrice e che, quindi, non gli sono opponibili altri patti intervenuti tra questi due, ad esso sconosciuti al momento della prestazione della garanzia e sostanzialmente modificativi dell’obbligazione principale. Ragion per cui non può sostenersi – come fa la sentenza impugnata – che il Banco avesse l’onere di accertarsi dell’effettiva estensione della garanzia che andava ad assumersi, procedendo all’individuazione di eventuali accordi modificativi dell’obbligazione principale intervenuti tra concedente ed utilizzatrice.
3.3. – Svolti questi rilievi, è il momento di spiegare la ragione per cui, nonostante gli errori di diritto nei quali è incorsa la motivazione, il dispositivo della sentenza impugnata si manifesta conforme a diritto.
Per farlo è necessario richiamare i principi precedentemente espressi in tema di locazione finanziaria (cfr. supra il punto 3.3), soprattutto con riguardo all’interesse comune del concedente e dell’utilizzatore rispetto alla consegna del bene, ed al doveroso modello comportamentale improntato per entrambi alla reciproca cooperazione rispetto al momento della consegna. S’è già spiegato come funziona il collegamento tra il contratto di finanziamento e quello di compravendita e come sia sbagliato affermare che il concedente è disinteressato addirittura rispetto all’esistenza o meno del bene. In altri termini, l’utilizzatore (che è l’esclusivo detentore del bene) ha il dovere, anche se non sia specificamentepattuito, di dare notizia al concedente (che è il proprietario del bene) dell’avvenuta consegna e delle condizioni nelle quali il bene stesso è stato consegnato, per fare in modo che il concedente possa tempestivamente determinarsi riguardo all’obbligazione di pagamento che ha assunto nei confronti del fornitore. Se l’utilizzatore tali notizie non fornisce al concedente o le fornisce falsamente, non può poi dolersi di una mancata o incompleta consegna e, quindi, pretendere di non effettuare o di sospendere il pagamento dei canoni.
Così come il concedente, prima di effettuare il pagamento in favore del fornitore, ha il dovere di verificare l’effettiva e completa consegna del bene in favore dell’utilizzatore, altrimenti non può esigere da questo il pagamento dei canoni per un bene non consegnato o consegnato in maniera incompleta.
Nella fattispecie in esame esiste un accertamento di fatto (sul quale non è più possibile discutere in questa sede) che risolve in radice il problema. Si tratta dell’affermazione (più volte ribadita in sentenza: cfr. pagg. 10, 12 e 18) che la B.N. Leasing non paqò senza prima avere verificato, per quanto le era possibile, l’avvenuta consegna di almeno una parte dei carri oggetto del contratto, acquisendo le bolle di consegna sottoscritte dall’utilizzatrice Eurorail, “per cui non era ragionevolmente dubitabile che quei beni fossero stati effettivamente ricevuti dall’Eurorail”. In questo modo la concedente ha correttamente soddisfatto il suo onere comportamentale ed ha eseguito il contratto secondo buona fede, acquisendo dall’altro soggetto avente l’interesse al bene (l’utilizzatrice) la documentazione idonea a dimostrare l’esistenza e la consegna del bene. Nè era ragionevolmente esigibile da essa (come sostiene il ricorrente) il compimento di più approfondite verifiche tendenti ad accertare eventuali accordi truffaldini o collusioni tra l’utilizzatrice ed il fornitore (riguardo i quali il Banco potrà far valere le sue ragioni in altra sede e nei confronti di altri soggetti).
In altri termini, come l’Eurorail, avendo prima generato nella concedente il giustificato affidamento intorno all’effettiva verificazione della consegna (tanto da indurla a versare il corrispettivo della mercè), non potrebbe poi esimersi dal pagare i canoni adducendo che quella mercè non l’ha in realtà ricevuta, così il Banco, che della medesima obbligazione dell’utilizzatrice è responsabile, non può oggi chiedere di essere esonerato dall’adempiere alla garanzia offerta in base alla stessa eccezione che alla debitrice principale sarebbe interdetta.
A fronte di tale accertamento e nell’ottica finora assegnata al problema, si rivela dunque inutile discutere sia sulla natura di termine o di condizione delle date fissate per la consegna, sia sull’interpretazione del contratto, sia sull’efficacia o meno di patti aggiunti al contratto di finanziamento, sia sulla rilevanza dell’esistenza o meno del bene e della sua consegna. Con la conseguenza che i primi cinque motivi di ricorso vanno respinti.
4. – Le osservazioni finora svolte risolvono anche il sesto motivo di ricorso (violazione c.c. artt. 1173/ 2043 – vizi della motivazione) nel quale il Banco si duole della mancata condanna della finanziaria al risarcimento, in suo favore, del danno, nella misura delle somme corrisposte in dipendenza dell’escussa fideiussione. La domanda – fondata sulla violazione del dovere di correttezza, buona fede e diligenza commessa dalla concedente nell’effettuare i pagamenti in favore del fornitore – è stata respinta dalla sentenza in ragione del fatto che non solo non v’è prova che la convenuta abbia agito in mala fede, ma v’è, al contrario, la prova che essa agi con tutte le cautele del caso (qui è ribadito il riferimento alla documentazione fornita dall’utilizzatrice, a seguito della quale la concedente effettuò i pagamenti in favore del fornitore). La sentenza continua, poi, addossando l’imprudenza del comportamento al Banco, per non avere accertato, prima di concedere la fideiussione, l’estensione effettiva dell’impegno assunto.
Anche sul punto la motivazione va corretta dove sembra ripetere l’erronea affermazione dell’efficacia nei confronti del garante di patti aggiunti tra creditore e debitore. Tuttavia, la soluzione alla quale la sentenza è giunta si rivela conforme a diritto in relazione a quanto prima affermato circa la correttezza del comportamento della finanziaria e, di conseguenza, l’insussistenza di un danno ingiusto risarcibile.
5. – E’ inammissibile il settimo motivo (violazione art. 92 c.p.c.) con il quale il ricorrente censura il potere discrezionale del giudice di merito di procedere o meno alla compensazione delle spese di giudizio.
6. – In conclusione il ricorso va respinto. Sussistono i giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 7 aprile 2004.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2004.
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