TRASPORTATO COME FARSI RISARCIRE’ SE NON LO SAI LEGGI
Il diritto del trasportato all’integrale risarcimento del danno costituisce una pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Corte (v., tra le altre, le sentenze 31 marzo 2008, n. 8292, e 20 ottobre 2014, n. 22228), a condizione che questi non sia anche proprietario del mezzo (in questo senso va rettamente intesa la sentenza 25 novembre 2008, n. 28062, citata dalla Corte d’appello). È necessario, però, che tale risarcimento sia richiesto utilizzando come causa petendi la posizione di trasportato; e ciò sia che venga fatto valere il proprio diritto al risarcimento dei danni nei confronti del solo conducente del mezzo sul quale la vittima viaggiava, sia che venga fatto valere nei confronti del conducente del mezzo antagonista, sia, infine, nell’ipotesi in cui si agisca nei confronti di entrambi. In altri termini, il danneggiato deve indicare che, proprio in quanto trasportato, egli ha diritto all’integrale risarcimento e può chiederlo, a sua scelta, a ciascuno dei responsabili.
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DANNO AL TRASPORTATO CORTE DI CASSAZIONE
Corte di Cassazione, sezione III Civile, sentenza 26 gennaio – 16 aprile 2015, n. 7704 Presidente Amendola – Relatore Cirillo
1. C.C. e Ge. nonché D.E. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Reggio Calabria, G.V. e la SAI Assicurazioni s.p.a., chiedendo il risarcimento dei danni patiti in un sinistro stradale nel quale il motociclo condotto dal D. , di proprietà di Ca.Ge. e sul quale viaggiava come trasportato C.C. , era stato urtato dalla vettura condotta dal G. la quale, nell’assunto degli attori, si era spostata improvvisamente verso la parte sinistra della carreggiata tagliando la strada al motociclo. Si costituì la sola società assicuratrice la quale chiese il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna del D. e di C.G. per non aver ottemperato agli obblighi di cui all’art. 2048 del codice civile. Espletata c.t.u. e svolta prova per testi, il Tribunale addebitò la responsabilità del sinistro nella misura del settanta per cento a carico del D. e del trenta per cento a carico del G. ; liquidò quindi il risarcimento dei danni in favore degli attori e compensò per metà le spese di lite, ponendo la restante metà a carico dei convenuti in solido. 2. La pronuncia è stata appellata in via principale da D.E. , C.C. , C.G. e I.C. , nella qualità di eredi del defunto Ca.Ge. , ed in via incidentale dalla società assicuratrice. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza dell’8 settembre 2010, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale, ha posto la responsabilità dell’incidente nella misura dell’ottanta per cento a carico del conducente della vettura (G. ) e del venti per cento a carico del conducente del motociclo (D. ); ha quindi nuovamente liquidato i danni, riconoscendo a C.C. le somme di Euro 150.580,34 a titolo di danno non patrimoniale e di Euro 17.620,97 a titolo di danno patrimoniale; ha compensato le spese del doppio grado nella misura di un quarto ed ha posto a carico della Fondiaria SAI s.p.a. i rimanenti tre quarti delle medesime. Ha osservato la Corte territoriale, per quanto ancora di interesse in questa sede, che il Tribunale aveva errato nel valutare le prove esistenti, le quali non erano fra loro in contrasto. Dall’esame complessivo delle deposizioni testimoniali, infatti, era emerso che la causa “prima ed autosufficiente del sinistro” era costituita dalla condotta imprudente di guida del G. , il quale “si era spostato nella sua direzione di marcia da destra a sinistra, di fatto invadendo repentinamente la corsia impegnata dal ciclomotore (…) e non avvedendosi, come avrebbe dovuto fare, dell’arrivo dello stesso”. A carico del conducente del ciclomotore, tuttavia, era da ravvisare un concorso di colpa nella misura del venti per cento, “a cagione della incontestata circostanza fattuale del trasporto sul motociclo (omologato solo per una persona) di altro passeggero, oltre al conducente”; e ciò in quanto la presenza di un ulteriore passeggero aveva reso comunque il mezzo più instabile. In relazione all’entità del risarcimento, poi, la Corte d’appello ha posto in evidenza che C.C. non avrebbe potuto comunque beneficiare dell’integrale risarcimento nella sua qualità di trasportato, e ciò per il fatto che “la relativa eccezione era stata sollevata non già nell’atto di appello (…), ma solo in comparsa conclusionale in questo grado di giudizio”. 3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria propone ricorso C.C. , con atto affidato a tre motivi. Resiste la Fondiaria SAI s.p.a. con controricorso.
Tale ratio decidendi della sentenza non è, in effetti, superata dai motivi di ricorso in esame, che si limitano a ribadire che il trasportato ha diritto all’integrale risarcimento; ciò, come si è detto, è esatto, ma occorre che la domanda giudiziale sia stata indirizzata in tal senso fin dal giudizio di primo grado. Per quanto è dato comprendere dal ricorso, invece, la causa è stata impostata con l’obiettivo di ottenere il riconoscimento della responsabilità esclusiva del conducente della vettura, con esclusione di ogni colpa da parte del conducente del motociclo sul quale l’odierno ricorrente viaggiava come trasportato; il C. ed il D. , in altre parole, hanno agito chiedendo entrambi che fosse dichiarata l’esclusiva responsabilità del G. . Impostato il giudizio in questi termini, è palese che chiedere in appello il riconoscimento del proprio diritto all’integrale risarcimento per la condizione di trasportato comporta un mutamento della causa petendi ed una sostanziale alterazione dei termini della domanda giudiziale, inammissibile in grado di appello. Che è, in sostanza, quello che la Corte d’appello ha affermato, anche se con motivazione non del tutto limpida; ma la presente pronuncia vale, per quanto necessario, anche come correzione ed integrazione della motivazione della sentenza impugnata. Da tanto deriva l’infondatezza del secondo motivo e, come automatica conseguenza, anche del terzo. 5. In conclusione, il ricorso è rigettato. A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
Svolgimento del processo
1. C.C. e Ge. nonché D.E. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Reggio Calabria, G.V. e la SAI Assicurazioni s.p.a., chiedendo il risarcimento dei danni patiti in un sinistro stradale nel quale il motociclo condotto dal D. , di proprietà di Ca.Ge. e sul quale viaggiava come trasportato C.C. , era stato urtato dalla vettura condotta dal G. la quale, nell’assunto degli attori, si era spostata improvvisamente verso la parte sinistra della carreggiata tagliando la strada al motociclo. Si costituì la sola società assicuratrice la quale chiese il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna del D. e di C.G. per non aver ottemperato agli obblighi di cui all’art. 2048 del codice civile. Espletata c.t.u. e svolta prova per testi, il Tribunale addebitò la responsabilità del sinistro nella misura del settanta per cento a carico del D. e del trenta per cento a carico del G. ; liquidò quindi il risarcimento dei danni in favore degli attori e compensò per metà le spese di lite, ponendo la restante metà a carico dei convenuti in solido. 2. La pronuncia è stata appellata in via principale da D.E. , C.C. , C.G. e I.C. , nella qualità di eredi del defunto Ca.Ge. , ed in via incidentale dalla società assicuratrice. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza dell’8 settembre 2010, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale, ha posto la responsabilità dell’incidente nella misura dell’ottanta per cento a carico del conducente della vettura (G. ) e del venti per cento a carico del conducente del motociclo (D. ); ha quindi nuovamente liquidato i danni, riconoscendo a C.C. le somme di Euro 150.580,34 a titolo di danno non patrimoniale e di Euro 17.620,97 a titolo di danno patrimoniale; ha compensato le spese del doppio grado nella misura di un quarto ed ha posto a carico della Fondiaria SAI s.p.a. i rimanenti tre quarti delle medesime. Ha osservato la Corte territoriale, per quanto ancora di interesse in questa sede, che il Tribunale aveva errato nel valutare le prove esistenti, le quali non erano fra loro in contrasto. Dall’esame complessivo delle deposizioni testimoniali, infatti, era emerso che la causa “prima ed autosufficiente del sinistro” era costituita dalla condotta imprudente di guida del G. , il quale “si era spostato nella sua direzione di marcia da destra a sinistra, di fatto invadendo repentinamente la corsia impegnata dal ciclomotore (…) e non avvedendosi, come avrebbe dovuto fare, dell’arrivo dello stesso”. A carico del conducente del ciclomotore, tuttavia, era da ravvisare un concorso di colpa nella misura del venti per cento, “a cagione della incontestata circostanza fattuale del trasporto sul motociclo (omologato solo per una persona) di altro passeggero, oltre al conducente”; e ciò in quanto la presenza di un ulteriore passeggero aveva reso comunque il mezzo più instabile. In relazione all’entità del risarcimento, poi, la Corte d’appello ha posto in evidenza che C.C. non avrebbe potuto comunque beneficiare dell’integrale risarcimento nella sua qualità di trasportato, e ciò per il fatto che “la relativa eccezione era stata sollevata non già nell’atto di appello (…), ma solo in comparsa conclusionale in questo grado di giudizio”. 3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria propone ricorso C.C. , con atto affidato a tre motivi. Resiste la Fondiaria SAI s.p.a. con controricorso.
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1227, 2043 e 2054 cod. civ., oltre a contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe errato nel porre a carico del conducente del motociclo il venti per cento della responsabilità del sinistro. La circostanza che su di un ciclomotore viaggino due persone anziché una sola, come imposto dalla relativa omologazione, può avere rilievo, infatti, solo se tale circostanza sia ritenuta influente ai fini della decisione. Nella specie, al contrario, la sentenza ha riconosciuto che il comportamento di guida tenuto dal G. aveva avuto una efficacia causale autosufficiente nella determinazione dell’incidente, sicché sarebbe contraddittoria la successiva affermazione riguardante il riconoscimento di una responsabilità concorrente anche del D. . 1.1. Il motivo non è fondato. Occorre innanzitutto rilevare che costituisce costante giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui, in tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, si concreta in un giudizio di mero fatto, che resta sottratto al sindacato di legittimità, qualora il ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico-giuridico (v., tra le altre, le sentenze 23 febbraio 2006, n. 4009, e 25 gennaio 2012, n. 1028). Nel caso in esame, la Corte d’appello ha riconosciuto la valenza primaria ed autosufficiente del comportamento del G. , conducente della vettura, nella determinazione del sinistro ed ha tuttavia ravvisato, come si è detto, un modesto concorso di colpa a carico del conducente del motociclo, nella misura del 20 per cento, in conseguenza del fatto che su quel mezzo, omologato per il trasporto di una persona, ne viaggiavano invece due, con conseguente necessaria maggiore instabilità del mezzo stesso. 1.2. L’affermazione è contestata dal ricorrente nei termini suindicati, in particolare con il richiamo, a sostegno della propria tesi, della sentenza 8 aprile 2010, n. 8366, di questa Corte, secondo la quale la violazione di una norma disciplinante la circolazione stradale – nella specie si trattava dello stesso problema (motociclo omologato per una persona sul quale ne viaggiavano due) – può essere fonte di responsabilità o di limitazione di responsabilità a condizione che abbia esplicato un’incidenza causale sull’evento dannoso. In quella pronuncia, però, si trattava di un sinistro nel quale il motociclo era finito contro il guard-rail, cioè contro un ostacolo fisso, a causa di un abbagliamento; e la sentenza di merito fu cassata per non aver chiarito l’efficacia causale della presenza di due persone sul motociclo al fine di determinare un concorso di colpa allora quantificato nella misura del 50 per cento. L’argomento, però, è stato affrontato anche nella più recente sentenza 29 novembre 2011, n. 25218, nella quale questa Corte ha affermato che non è revocabile in dubbio, al punto da costituire una massima di esperienza, il fatto che l’impianto frenante di un ciclomotore progettato per una sola persona abbia un’efficacia “ben minore quando il mezzo sia appesantito per effetto del maggior peso determinato dalla presenza di un passeggero a bordo”. Ritiene il Collegio che questa seconda pronuncia sia da condividere, anche in considerazione dei termini della vicenda odierna per come delineati dal giudice di merito. Ed infatti il sinistro non è stato determinato dall’impatto contro un ostacolo fisso, bensì dall’urto del motociclo contro un veicolo che aveva effettuato un’improvvisa e scorretta manovra; di talché la presenza di due persone sul mezzo omologato per una persona ben può avere avuto efficacia causale rilevante ai sensi dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., peraltro individuata dal giudice di merito nella misura del 20 per cento, stante l’evidente minore efficacia del sistema frenante. Da tanto consegue che la lamentata violazione di legge non sussiste, così come non è configurabile un vizio di motivazione, perché il ragionamento reso dalla sentenza impugnata, assunto nella sua globalità, da ben ragione del motivo per cui si sia attribuita una valenza largamente prevalente, ma tuttavia non esclusiva, alla colpa del conducente della vettura. Da tanto deriva il rigetto del primo motivo. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ., degli artt. 1227, 2043, 2054, 2055 e 2056 cod. civ., oltre ad illogicità della motivazione circa un punto decisivo della controversia. Rileva il ricorrente che la sentenza sarebbe errata nella parte in cui ha escluso il diritto del medesimo a conseguire l’integrale risarcimento del danno quale soggetto trasportato. Si osserva, invece, che C.C. aveva chiesto fin dal primo grado il risarcimento del danno integrale patito a causa dell’incidente stradale e che la sentenza del Tribunale era stata da lui appellata chiedendo che fosse riconosciuta l’assenza di ogni concorso di colpa da parte sua. La Corte d’appello, pur ammettendo che il trasportato ha diritto all’integrale risarcimento, l’ha poi nella sostanza negato, senza considerare che tale diritto è pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità. 3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., illogicità della motivazione nella parte in cui ha escluso l’integralità del risarcimento, osservando che l’accoglimento dei precedenti motivi darebbe diritto al ricorrente di percepire il risarcimento senza alcuna riduzione, com’è invece avvenuto. 4. I due motivi, da trattare congiuntamente in considerazione della stretta connessione che li unisce, sono entrambi privi di fondamento. 4.1. Il punto di partenza dal quale essi muovono – in particolare il secondo, poiché il terzo non è neppure tale, ma solo una conseguenza delle ragioni prospettate nel secondo – è costituito dal fatto che C.C. , essendo un trasportato a bordo del motociclo condotto dal D. , aveva comunque diritto all’integrale risarcimento, per cui la sentenza impugnata sarebbe da cassare per il fatto di aver riconosciuto come operativo anche nei suoi confronti il concorso di colpa posto a carico del conducente del mezzo. 4.2. Osserva il Collegio che la premessa teorica è esatta, ma non altrettanto le conseguenze che se ne traggono in relazione alla vicenda concreta. Il diritto del trasportato all’integrale risarcimento del danno costituisce una pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Corte (v., tra le altre, le sentenze 31 marzo 2008, n. 8292, e 20 ottobre 2014, n. 22228), a condizione che questi non sia anche proprietario del mezzo (in questo senso va rettamente intesa la sentenza 25 novembre 2008, n. 28062, citata dalla Corte d’appello). È necessario, però, che tale risarcimento sia richiesto utilizzando come causa petendi la posizione di trasportato; e ciò sia che venga fatto valere il proprio diritto al risarcimento dei danni nei confronti del solo conducente del mezzo sul quale la vittima viaggiava, sia che venga fatto valere nei confronti del conducente del mezzo antagonista, sia, infine, nell’ipotesi in cui si agisca nei confronti di entrambi. In altri termini, il danneggiato deve indicare che, proprio in quanto trasportato, egli ha diritto all’integrale risarcimento e può chiederlo, a sua scelta, a ciascuno dei responsabili. Nel caso in esame, però, come la Corte d’appello ha posto in luce con sufficiente chiarezza, la domanda giudiziale non è stata posta in questi termini; e lo stesso ricorrente indica in ricorso che l’atto di appello aveva rassegnato le proprie conclusioni nel senso di riconoscere che “nessuna responsabilità è da ascrivere agli appellanti in riferimento al sinistro per cui è causa e, pertanto, nessun concorso di colpa è loro attribuibile”. La sentenza in esame, infatti, sia pure con un linguaggio tecnicamente non impeccabile – la pronuncia a p. 10 parla di eccezione, il che non è corretto – ha detto che C.C. non poteva comunque beneficiare dell’integrale risarcimento “quale trasportato” perché tale domanda era stata proposta non nell’atto di appello, ma solo nella comparsa conclusionale del giudizio di secondo grado, benché l’argomento fosse stato affrontato dal Tribunale. Tale ratio decidendi della sentenza non è, in effetti, superata dai motivi di ricorso in esame, che si limitano a ribadire che il trasportato ha diritto all’integrale risarcimento; ciò, come si è detto, è esatto, ma occorre che la domanda giudiziale sia stata indirizzata in tal senso fin dal giudizio di primo grado. Per quanto è dato comprendere dal ricorso, invece, la causa è stata impostata con l’obiettivo di ottenere il riconoscimento della responsabilità esclusiva del conducente della vettura, con esclusione di ogni colpa da parte del conducente del motociclo sul quale l’odierno ricorrente viaggiava come trasportato; il C. ed il D. , in altre parole, hanno agito chiedendo entrambi che fosse dichiarata l’esclusiva responsabilità del G. . Impostato il giudizio in questi termini, è palese che chiedere in appello il riconoscimento del proprio diritto all’integrale risarcimento per la condizione di trasportato comporta un mutamento della causa petendi ed una sostanziale alterazione dei termini della domanda giudiziale, inammissibile in grado di appello. Che è, in sostanza, quello che la Corte d’appello ha affermato, anche se con motivazione non del tutto limpida; ma la presente pronuncia vale, per quanto necessario, anche come correzione ed integrazione della motivazione della sentenza impugnata. Da tanto deriva l’infondatezza del secondo motivo e, come automatica conseguenza, anche del terzo. 5. In conclusione, il ricorso è rigettato. A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.800, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
<…>
ha pronunciato la seguente:
sentenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 28 maggio 2013, il Tribunale di Napoli ha rigettato l’appello proposto da Carmela MMM, nella qualità di genitore esercente la potestà sulla figlia minore CCC QQQ, nei confronti della Italiana Assicurazioni s.p.a. e di Antonio RRR, avverso la sentenza del Giudice di Pace di Napoli del 19 luglio 2011, che aveva rigettato la domanda avanzata dalla stessa MMM, nella qualità, di condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni riportati dalla minore, che viaggiava come trasportata sul motoveicolo Honda di proprietà del RRR, in occasione di un sinistro verificatosi il 5 luglio 2008 alle ore 00.10.
2.- Proposto appello da parte della MMM, il Tribunale ha condiviso la valutazione delle prove effettuata dal primo giudice ed ha confermato il giudizio di carenza probatoria in ordine ai fatti posti a fondamento della domanda risarcitoria; rigettato perciò il gravame, ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del secondo grado.
3.- Avverso la sentenza Carmela MMM, quale genitore esercente la potestà sulla figlia CCC QQQ, e quest’ultima, divenuta maggiorenne nelle more, propongono ricorso con un unico articolato motivo.
Gli intimati non si difendono.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con l’unico motivo di ricorso si deduce «violazione e falsa applicazione di norme di diritLo ex art. 360 c.p.c. n. 3 e 5 violazione e falsa applicazione dell’art. 141 del Decreto Legislativo 7/09/2005 n. 209 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.- violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 Le ricorrenti, dopo avere trascritto il contenuto delle deposizioni testimoniali, richiamano l’art. 141 del decreto legislativo 7 settembre 2005 n. 209, sostenendo che sarebbe stato assolto l’onere probatorio richiesto da questa disposizione, poiché l’attrice avrebbe dimostrato: che la minore era trasportata a bordo dello scooter; che questo era caduto provocando la caduta della passeggera; che quest’ultima aveva riportato lesioni; che le lesioni erano state causate appunto dall’incidente (come da documentazione medica e testimonianze). Deducono che il Tribunale sarebbe incorso in errore gravando l’attrice dell’onere della prova della responsabilità del conducente del veicolo, in violazione della norma su richiamata, che escluderebbe invece un onere siffatto. Soggiungono che vi sarebbe altresì un vizio di motivazione, atteso che questa sarebbe affetta da numerose «illogicità, incongruenze e contraddizioni», consistenti in particolare nella lacunosa considerazione delle testimonianze.
2. – Il motivo è inammissibile per la parte in cui denuncia incongruente e contraddittoria motivazione, in guanto volto ad evidenziare l’insufficienza della motivazione in punto di attendibilità e di utilità delle deposizioni testimoniali. Il Tribunale ha valutato queste ultime ed ha concluso nel senso che non sia stato provato l’incidente, così come rappresentato dall’appellante. In sostanza, il giudice ha espresso un giudizio di inattendibilità della testimone Assunta QQQ e di inutilità della deposizione dell’altro testimone, Salvatore FFF. Quest’ultimo giudizio è basato sul fatto che lo stesso testimone ha dichiarato di non aver assistito all’incidente. Il giudizio di inattendibilità della prima testimone è basato sulla valutazione della lacunosità ed imprecisione della testimonianza, quanto allo stato dei luoghi ed al posizionamento del motociclo, nonché quanto alla dinamica del sinistro. Giova precisare che il Tribunale non ha affatto inteso sostenere che incombesse all’attrice dare la prova di questa dinamica e delle cause dell’incidente, ma si è avvalso del contenuto della testimonianza al fine di esprimere (e motivare) le proprie perplessità in merito all’attendibilità della testimone. Tanto è vero che ha aggiunto che il racconto di quest’ultima- della quale ha sottolineato il legame di parentela con le parti – non è stato riscontrato né da documenti né, come detto, dalle dichiarazioni dell’altro testimone.
2.1. – Il motivo di ricorso, per la parte in cui richiama l’art. 360 n. 5, nonché gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (la cui violazione non rileva affatto ai sensi del n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., ma, attenendo alla valutazione dei risultati ottenuti attraverso l’esperimento dei mezzi di prova, può tutt’al più ridondare quale vizio ai sensi dello stesso n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ.: cfr., tra le altre, Cass. n. 2707/04, n. 14267/06) non tiene conto della sostituzione del testo del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. operata con l’art. 54, comma primo, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito nella legge 7 agosto 2012 n. 134. A norma dell’art. 54, comma terzo, del medesimo decreto, questa disposizione si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del predetto decreto (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’il agosto 2012): quindi si applica alla sentenza impugnata, che è stata pubblicata il 28 maggio 2013. Le ricorrenti avrebbero potuto denunziare soltanto l’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», come previsto dal testo della norma applicabile ratione temporis, ovvero la mancanza assoluta di motivazione, senza che rilevi l’insufficienza di questa né la mancata od incompleta considerazione di elementi di prova (cfr. Cass. S.U. n. 8053/14). Poiché la motivazione non è mancante né apparente e l’iter logico giuridico seguito dal giudice per pervenire alle conclusioni di cui sopra è manifestamente espresso in sentenza, si conclude nel senso dell’inammissibilità delle censure relative all’apprezzamento dei fatti e delle prove.
3.- Dato ciò, il motivo è infondato quanto alla dedotta violazione dell’art. 141 del decreto legislativo n. 209/2005 e dell’art. 2697 cod. civ., in riferimento alla regola di riparto dell’onere probatorio contemplata dallo stesso art. 141 cit. Non si intende qui smentire il precedente di questa Corte n.16181/2015 col quale si è affermata che «Il terzo trasportato, che si avvalga, ai sensi dell’art. 141 del d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, dell’azione diretta nei confronti dell’impresa di assicurazioni del veicolo sul quale viaggiava ai momento del sinistro, deve provare di avere subito un danno a seguito di quest’ultimo ma non anche le concrete modalità dell’incidente allo scopo di individuare la responsabilità dei rispettivi conducenti, trattandosi di accertamento irrilevante ai fini di cui all’art. 141 cit.>> (così anche Cass. n. 10410/16). Piuttosto, va affermato che, in ossequio al disposto dell’art.2697 cod. civ., spetta comunque al terzo trasportato, che agisca in giudizio, ai sensi dell’art. 141 del d.lgs. n. 209/2005, per il risarcimento del danno, non solo provare quest’ultimo, ma anche fornire la prova dell’effettivo accadimento del sinistro e del nesso di causalità tra l’incidente ed i danni da risarcire. Questa regola di riparto dell’onere probatorio è stata seguita dal giudice di merito, che ha rigettato la domanda risarcitoria perché ha ritenuto mancante la prova, non della dinamica del sinistro al fine di individuare la responsabilità del conducente (come sostenuto col ricorso), bensì del fatto che esso si fosse verificato e che le lesioni riportate dalla minore fossero effettivamente riconducibili ad un incidente stradale nel quale era rimasta coinvolta in quanto trasportata. In conclusione, il ricorso va rigettato. Non vi è luogo a provvedere sulle spese poiché gli intimati non si sono difesi.Avuto riguardo al fatto che il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del coma 1 bis dell’art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2002.
Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d. P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
<…>
ha pronunciato la seguente:
sentenza
Svolgimento del processo
Con sentenza del 27/9/2012 la Corte d’Appello di Bologna ha respinto il gravame interposto dalla sig. Giovanna BBB in relazione alla pronunzia Trib. Rimini n. 1325/04 di rigetto della domanda dalla medesima proposta nei confronti dei sigg. Marco e Laura MMM nonché della compagnia assicuratrice Lloyd Adriatico s.p.a. di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza di sinistro stradale avvenuto il 28/4/1991 lungo la SP Taverna di Montecolombo, direzione monte mare, allorquando l’autovettura Lancia Dedra 1600 tg. XX 0X0XX – di proprietà del marito sig. Remo ( in sentenza a volte indicato come Benito) MMM e dal medesimo condotta- a bordo della quale viaggiava come trasportata, nell’affrontare una curva destrorsa usciva di strada finendo contro un’abitazione.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la BBB propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la società Allianz s.p.a., che ha presentato anche memoria.
Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1° motivo la ricorrente denunzia «violazione e falsa applicazione» degli artt. 2054 c.c., 113 c.p.c., 3 Direttiva CEE n. 84/5 del 30 dicembre 1983, in riferimento all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.; nonché «omesso esame di fatto decisivo per il giudizio», in riferimento all’art. 360,1 co. n.5 , c.p.c.
Si duole che la corte di merito non abbia considerato che «l’incidente avvenne quando la predetta Direttiva CEE era efficace mancando però ancora la conformazione normativa che sarebbe poi stata data con la novella 1992 n. 142, la quale avrebbe poi eliminato la disparità di trattamento operata nei confronti del coniuge in regime di comunione legale espressamente prevedendo anche a favore di costui la possibilità di chiedere il risarcimento del danno».
Lamenta che, come riconosciuto anche nella giurisprudenza di legittimità, «a partire dalla scadenza del termine entro il quale le norme di attuazione della direttiva avrebbero dovuto acquistare efficacia ( 31 dicembre 1988 ) l’assicuratore del vettore è tenuto a risarcire i danni alla persona patiti dal coniuge dell’assicurato trasportato sul mezzo e comproprietario del veicolo, in virtù della prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale, anche se il sinistro si sia verificato anteriormente alla legge con la quale l’Italia ha dato tardiva attuazione alla suddetta direttiva ) I. n. 142 del 1992 )>>.
Il motivo è fondato.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare in tema di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, la modifica apportata dal d.l. n. 857 del 1976, (conv. in L. n. 39 del 1977) al 2 co. dell’art. 1 L. n. 990 del 1969, ha introdotto – in base ad un’interpretazione compatibile con le direttive comunitarie in materia e che tenga conto dell’evoluzione giurisprudenziale relativa all’art. 2054 c.c.- la regola generale dell’estensione dell’assicurazione stessa ai danni prodotti alle persone dei trasportati, già prima dell’entrata in vigore dell’ulteriore modifica introdotta dalla L. n. 142 del 1992 ( v. Cass., 26/10/2009, n. 22605).
Alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza 1 dicembre 2011, Churchill Insurance/Wilkinson), giusta il principio solidaristico vulneratus ante omnia reficiendus, il proprietario trasportato ha diritto, nei confronti del suo assicuratore, al risarcimento del danno alla persona causato dalla circolazione non illegale del mezzo, essendo irrilevante ogni vicenda normativa interna e nullo ogni patto che condizioni la copertura del trasportato all’identità del conducente (“clausola di guida esclusiva”) ( v. Cass., 30/08/2013 n. 19963, e, conformemente da ultimo Cass., 19/6/2015, n. 12687 ).
A tale stregua, debbono considerarsi pertanto coperti ( nel menzionato periodo ) dall’assicurazione obbligatoria anche i danni sofferti dal coniuge, trasportato sulla vettura assicurata, comproprietario del veicolo in regime di comunione legale di beni con il conducente ( v. Cass., 26/10/2009, n. 22605 ).
Orbene, la corte di merito ha nell’impugnata sentenza del tutto disatteso il suindicato principio, in particolare là dove si è limitata a confermare la decisione del giudice di prime cure circa la mancata prova da parte dell’odierna in ordine all’irrilevante circostanza che il bene non fosse di esclusiva proprietà del marito bensì ricadente in comunione legale.
Della medesima, assorbiti gli altri motivi, s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Bologna, che in diversa composizione procederà a nuovo esame.
Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il 1° motivo di ricorso, assorbiti gli altri.
Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Bologna, in diversa composizione.
Roma, 16/3/2016
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RUSSO Libertino Alberto – Presidente –
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –
Dott. SPIRITO Angelo – rel. Consigliere –
Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 8998/2010 proposto da:
C.C. <…>, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA <…> presso lo studio dell’avvocato <…>, rappresentata e difesa dall’avvocato <…> giusta delega in atti; – ricorrente –
contro
CARIGE ASSICURAZIONI S.P.A. <…> in persona del Sig. D.G. nella sua qualità di procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, <…>, presso lo studio dell’avvocato <…>, che la rappresenta e difende giusta delega in atti; – controricorrente –
e contro
Z.L., D.P.V. (OMISSIS), L. C.; – intimati –
Nonchè da:
D.P.V. (OMISSIS), Z.L.,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA <…>, presso lo studio dell’avvocato <…>, rappresentati e difesi dall’avvocato <…> giusta delega in atti; – ricorrenti incidentali –
contro
C.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA <…>, presso lo studio dell’avvocato <…>, rappresentata e difesa dall’avvocato <…> giusta delega in atti; – controricorrente all’incidentale –
e contro
CARIGE ASSICURAZIONI S.P.A. <…>, L.C.; – intimati –
avverso la sentenza n. 195/2009 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 01/04/2009, R.G.N. 891/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
22/10/2013 dal Consigliere Dott. ANGELO SPIRITO;
udito l’Avvocato <…> per delega;
udito l’Avvocato <…>;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale assorbito il ricorso incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell’incidente occorso tra la vettura guidata dal L. (di sua proprietà ed assicurata presso la Norditalia Ass.ni spa) ed il ciclomotore guidato dalla Z. subì lesioni alla persona la C., trasportata sul ciclomotore. Il Tribunale di Teramo dichiarò improcedibile la domanda proposta dai genitori dell’infortunata contro il N. e la sua Compagnia, mentre dichiarò inammissibile la domanda dagli stessi proposta contro i genitori della Z..
Per quanto ancora interessa, la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato nel merito la prima sentenza, ritenendo: quanto al N., che non sia provata la sua responsabilità, ossia che egli abbia violato il segnale semaforico posto all’incrocio dove avvenne l’incidente; quanto alla Z., che non sia stato neppure allegato l’illecito a lei imputabile, essendosi limitati gli attori a dedurre il mancato rispetto del codice della strada per aver trasportato sul ciclomotore altra persona nonostante fosse vietato.
Quanto a quest’ultimo profilo, i giudici d’appello hanno rilavato il difetto di efficienza causale tra la suddetta violazione ed il danno lamentato.
Propone ricorso per cassazione la C. attraverso sei motivi.
Rispondono con controricorso la Carige Ass.ni spa ed i genitori della Z. ( Z.L. e D.P.V.), i quali ultimi propongono anche ricorso incidentale condizionato svolto in tre motivi. La C. risponde con controricorso al ricorso incidentale condizionato.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il primo motivo (violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) si rivolge verso i punti della sentenza in cui s’afferma che la vittima ha dedotto a fondamento della responsabilità del L. la disposizione dell’art. 2043 c.c., e che la stessa non ha neppure allegato quale sia l’illecito imputabile alla Z.. La ricorrente contesta l’esatta interpretazione della domanda e propende per un’interpretazione che riconduca il giudizio nell’ambito della disposizione dell’art. 2054 c.c..
Il secondo motivo (violazione artt. 2043, 2054, 1223, 2056 e 2697 c.c.) sostiene che, inquadrata la responsabilità nell’area d’applicazione della disposizione di cui all’art. 2054 c.c., avrebbe dovuto essere il conducente a fornire la prova del proprio esonero da responsabilità.
Il terzo motivo censura il vizio della motivazione in relazione alle testimonianze assunte ed alla valutazione che ne ha fatto il giudice nell’escludere (in ragione della contraddittorietà delle testimonianze stesse) la responsabilità del L. nell’attraversamento dell’incrocio con il segnale semaforico rosso.
Il quarto motivo censura il vizio della motivazione della sentenza nel punto in cui afferma il difetto causale tra la violazione della norma del codice della strada che proibisce il trasporto di altra persona sul ciclomotore e l’evento dannoso. Si sostiene che, invece, attraverso la lettura di due testimonianze il giudice avrebbe dovuto trarre il nesso causale tra il comportamento della conduttrice del ciclomotore ed il danno verificatosi.
Il quinto motivo censura la contraddittorietà tra i punti della sentenza in cui per un verso si ritiene sprovvista di prova la dedotta responsabilità del L. e, per altro verso, manchi la prova del nesso causale tra il comportamento della Z. e l’evento dannoso.
Il sesto motivo censura la violazione di legge nel punto della sentenza in cui s’afferma che la condotta della danneggiata, che ha disatteso il divieto di essere trasportata su un ciclomotore, costituisce l’antefatto e la concausa dell’evento.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
Occorre in primo luogo osservare che lo sviluppo dei motivi costituisce frutto di una lettura del tutto personale degli atti di causa e della sentenza stessa, volutamente diretta a sovvertire gli stessi ambiti entro i quali s’è svolto il dibattito processuale e s’è risolta la pronunzia impugnata.
Innanzitutto, occorre osservare che l’interpretazione della domanda è compito esclusivo del giudice di merito, non censurabile in cassazione se congruamente e logicamente motivato. L’errata interpretazione non si risolve, comunque, in un vizio del procedimento, quale è quello lamentato nel primo motivo. Più in particolare, in questo caso il giudice, lungi dall’interpretare la domanda, si limita ad enunciare che la responsabilità del L. (cfr. pag. 8 della sentenza) è dedotta dalla danneggiata nell’ambito della clausola generale della responsabilità aquiliana. Invano la ricorrente, trascrivendo alcuni brani della citazione, tenta di trasferire il dibattito nell’ambito normativo della disposizione dell’art. 2054 c.c.. Disposizione, questa, che istituisce una presunzione (fino a prova contraria) di corresponsabilità tra i conducenti dei veicoli venuti a scontrarsi, ma che non configura una responsabilità oggettiva dei conducenti per l’evento verificatosi.
Nel senso che, nel caso in cui non si riesca a provare l’esclusiva responsabilità di uno solo dei conducenti o la sua maggiore responsabilità nella produzione del sinistro, la legge consente di presumere che ognuno di essi abbia ugualmente concorso alla produzione dell’evento.
Nella specie, invece, il giudice, per un verso, accerta che la contraddittorietà tra le testimonianze non consente di affermare che il conducente dell’autovettura abbia attraversato l’incrocio con il segnale semaforico rosso e, per altro verso, constata che la danneggiata non ha neppure dedotto quale sia il comportamento illecito addebitabile alla Z..
Situazione, questa, che non può essere certamente ricondotta nella sfera d’applicazione della disposizione del secondo comma dell’art. 2054 c.c., la quale, come s’è visto, ha tutt’altra finalità.
Per il resto, non è ravvisabile alcun vizio nella motivazione resa dalla sentenza impugnata, la quale compie un’attenta valutazione delle testimonianze assunte, per concludere in ordine alla mancata prova della responsabilità del conducente dell’autovettura.
Quanto, poi, alla responsabilità della conducente del ciclomotore, la sentenza s’adegua al consolidato principio in ragione del quale l’inosservanza di una norma di circolazione stradale, pur comportando responsabilità sotto altro titolo per l’infrazione commessa, non è di per sè sufficiente a determinare la responsabilità civile per l’evento dannoso, ove questo non sia ricollegabile eziologicamente alla trasgressione medesima (tra le varie, cfr. Cass. 21 gennaio 1995, n. 699). Principio dal quale la sentenza deduce che la violazione della disposizione che vieta il trasporto di altre persone sul ciclomotore non è in diretto collegamento causale con l’evento prodottosi. Intendendo, così, dire che questa violazione non può consolidare la responsabilità della conducente del ciclomotore per il danno verificatosi a carico di colei che è stata illegittimamente trasportata.
Soltanto per corroborare iperbolicamente l’assunto, la sentenza spiega, poi, che l’argomento, se fosse valido, potrebbe essere ribaltato contro la vittima, nel senso che avendo violato anch’ella la stessa disposizione potrebbe essere considerata autrice del suo stesso danno. In conclusione, il ricorso principale deve essere respinto, con conseguente assorbimento di quello incidentale condizionato. La ricorrente principale deve essere condannata a rivalere i controricorrenti delle spese sopportate nel giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale condizionato. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in favore di ciascuna delle parti controricorrenti in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2013
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