CAPARRA CONFIRMATORIA, PRELIMINARE, ABUSO EDILIZIO, AVVOCATO BOLOGNA CAPARRA CONFIRMATORIA, PRELIMINARE, ABUSO EDILIZIO, AVVOCATO ESPERTO DIRITTO IMMOBILIARE AVVOCATO BOLOGNA
1. Il (OMISSIS) tra P.F., promittente acquirente, e F.- Z., promittenti venditori, interveniva un preliminare di vendita di un immobile, di un magazzino e di due appezzamenti di terreno adiacenti per complessivi metri quadri 6.313 in Scandicci al prezzo di 180 milioni di L. Veniva versata una caparra di 30 milioni ed il promittente acquirente specificamente dichiarava di essere a conoscenza della natura abusiva della costruzione, esonerando da ogni garanzia al riguardo i promittenti venditori e dichiarando specificamente che anche in caso di mancato condono il contratto preliminare non si sarebbe risolto.
2. Il promittente acquirente P. il 22 gennaio 2001 conveniva in giudizio i promittenti venditori avanti al Tribunale di Firenze per inadempimento al preliminare in questione in ragione della mancata concessione in sanatoria, chiedendo la risoluzione del contratto e la restituzione della caparra, con risarcimento del danno subito da liquidarsi in separata sede.
3. Il Tribunale di Firenze rigettava la domanda e in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dai promittenti venditori dichiarava risolto il contratto preliminare per colpa dell’attore con diritto dei convenuti alla ritenzione della caparra. Osservava in particolare che non poteva ritenersi nullo il preliminare di immobile avente ad oggetto immobili abusivi, trattandosi di contratto ad effetti obbligatori e non ad effetti reali. Osservava altresì il Tribunale che il contratto preliminare non poteva ritenersi nullo per non essere inficiato da invalidità originaria, posto che al momento della stipula non si era ancora verificata la condizione della mancata concessione in sanatoria alla quale era subordinata la validità del contratto definitivo.
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- Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata presenterebbe una motivazione insufficiente e contraddittoria, in ordine alla sussistenza di un inadempimento del promittente venditore. In particolare, il ricorrente specifica che le coordinate della questioni sono: a) che le parti dopo aver concordato la data del 30 settembre 1991 per la stipula del contratto concordarono un differimento per poter procedere ad una serie di adempimenti senza, tuttavia, fissare una nuova data; b) il 20 gennaio 1993 veniva conclusa la pratica di sanatoria, ma a quella data emergeva la necessità dell’autorizzazione del Giudice tutelare per la vendita atteso che una quota del bene promesso in vendita risultava intentato alla figlia del P. , all’epoca era minorenne; c) nel frattempo e prima ancora che venisse rilasciata l’autorizzazione del Giudice tutelare la moglie e la figlia del L. , che in un incontro presso il notaio rappresentavano il L. chiedevano una riduzione del prezzo della compravendita, una richiesta che non veniva accettata. Pertanto, specifica il P. non essendo stato fissato un termine per l’adempimento, non poteva sussistere inadempimento del promittente per non aver adempiuto nei termini.
- Né sarebbe corretta l’affermazione della Corte di merito secondo cui:
- a)l’inadempimento del P. sarebbe risolutorio in quanto nell’ultimo incontro dal notaio ammesso pure che la moglie e la figlia del L. si fossero offerte di pagare l’intero prezzo, comunque, il P. non era in grado di stipulare il contratto perché mancava l’autorizzazione del Giudice tutelare che fu rilasciata il 25 agosto 1994 perché quell’incontro non era stato programmato per la stipula del contratto, ma per valutare la proposta dell’ulteriore riduzione del prezzo e per valutare la correttezza della richiesta autorizzazione al Giudice tutelare in vista della vendita dell’immobile a nuovo contraente del tutto estraneo al promissario acquirente.
- Piuttosto, dalle dichiarazioni del Notaio emergeva che la data della stipula del contratto non era stata più fissata non per il mancato espletamento della pratica presso il Giudice tutelare ma per la pretesa del promissario acquirente di pagare un prezzo inferiore a quello convenuto.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II
SENTENZA 11 febbraio 2014, n. 3089
Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Chiavari con sentenza n. 283 del 2004 rigettava la domanda proposta da L.A. (promissario acquirente di un fabbricato abitativo sito in (omissis) località (omissis) , per la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del promittente venditore P.M. e per la condanna di quest’ultimo alla restituzione del doppio della caparra, nonché dell’ulteriore acconto di L. 10.000.000 e al risarcimento danni, In accoglimento della domanda riconvenzionale avanzata da P.M. dichiarava risolto il contratto preliminare di vendita per l’inadempimento del promissario acquirente L. e il diritto del promittente venditore di trattenere le somme ricevute a titolo di caparra confirmatoria, condannava l’attore al rimborso delle spese del giudizio.
Avverso questa sentenza proponeva appello L. , deducendo essenzialmente un’erronea ricostruzione delle trattative, nonché dei rapporti intercorsi tra le parti. Chiedeva la totale riforma della sentenza e l’accoglimento delle domande, già dispiegate in primo grado.
Si costituiva P. assumendo che le valutazione del primo giudice erano corrette e condivisibili, dovendosi individuare nel promissario acquirente L. il contraente inadempiente, chiedeva, pertanto, il rigetto dell’appello.
La Corte di appello di Genova con sentenza n. 1146 del 2007 accoglieva l’appello, e in riforma della sentenza impugnata, dichiarava la risoluzione del contratto preliminare di compravendita per inadempimento del promittente venditore P. , rigettava l’originaria domanda riconvenzionale del P. e condannava quest’ultimo al rimborso delle spese giudiziali del primo e del secondo grado. Secondo la Corte di Genova il Tribunale aveva erroneamente interpretato le risultanze istruttorie. Piuttosto, i ripetuti ritardi nella stipula del definitivo dipeso tutti da responsabilità del promittente venditore il quale non si era preoccupato prima della regolarità edilizia dell’immobile e poi, risolta tale questione, del fatto che, appartenendo l’immobile pro quota ad un minore, occorreva apposita autorizzazione giudiziale alla vendita.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da P.M. con ricorso affidato a due motivi. L.A. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria. Gli eredi di P. nell’imminenza dell’udienza pubblica hanno depositato memoria ex art. 378 cpc, con elezione di nuovo procuratore con procura a margine della suddetta memoria.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo P.M. lamenta l’errata applicazione dell’art. 1385 cc. ed omessa applicazione dell’art. 1455 in relazione all’art. 360 n. 3 cpc.
Secondo il ricorrente la Corte di Genova avrebbe omesso una valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento attribuito a P. , valutazione alla quale era tenuta anche di ufficio, considerato che, ai sensi dell’art. 1455, il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza avuto riguardo all’interesse dell’altro.
Si chiede, pertanto a questa Corte di chiarire se nel caso di specie, avendo una delle parti contraenti esercitato il recesso ex art. 1385 cc, deducendo l’inadempimento risolutorio dell’altra parte, il Giudice per poter dichiarare la legittimità dell’operato recesso doveva applicare l’art. 1455 cc. e, quindi accertare anche di ufficio la non scarsa importanza dell’inadempimento avuto riguardo all’interesse dell’altra parte, trattandosi di elemento che attiene al fondamento stesso della domanda? E non avendo effettuato tale accertamento non poteva, in applicazione dell’art. 1385 cc, dichiarare sciolto il contratto per legittimo recesso con i conseguenti oneri a carico del convenuto.
1.1.- La censura è fondata e va accolta.
Appare opportuno premettere che come, pure, afferma la dottrina e la giurisprudenza anche di questa Corte Suprema, ai fini della legittimità del recesso ex art. 1385 cod. civ., come della risoluzione, non è sufficiente l’inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., dovendo il giudice tenere conto della effettiva incidenza dell’inadempimento sul sinallagma contrattuale e verificare se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l’utilità del contratto alla stregua dell’economia complessiva dello stesso. Per altro, la mancata indicazione di un termine essenziale non vale ad escludere che i ritardi nella stipula del definitivo possano costituire di per sé un inadempimento di non scarsa importanza, ove concretamente i ritardi nell’adempimento superino ogni ragionevole limite di tolleranza da apprezzarsi discrezionalmente dal giudice di merito in relazione all’oggetto del contratto e alla natura del medesimo.
Ora, nel caso concreto la Corte di Genova nel dichiarare la risoluzione del preliminare di vendita oggetto della controversia ha accertato l’inadempimento del P. ma non ha chiarito – e lo avrebbe dovuto fare – se l’inadempimento di cui si dice fosse oggettivamente e nella situazione specifica non di scarsa rilevanza.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’errata applicazione del’art. 1385 cc, in relazione agli artt. 1455 e 1460 cc, Contraddittorietà ed insufficienza della motivazione sul dedotto inadempimento del promittente.
Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata presenterebbe una motivazione insufficiente e contraddittoria, in ordine alla sussistenza di un inadempimento del promittente venditore. In particolare, il ricorrente specifica che le coordinate della questioni sono: a) che le parti dopo aver concordato la data del 30 settembre 1991 per la stipula del contratto concordarono un differimento per poter procedere ad una serie di adempimenti senza, tuttavia, fissare una nuova data; b) il 20 gennaio 1993 veniva conclusa la pratica di sanatoria, ma a quella data emergeva la necessità dell’autorizzazione del Giudice tutelare per la vendita atteso che una quota del bene promesso in vendita risultava intentato alla figlia del P. , all’epoca era minorenne; c) nel frattempo e prima ancora che venisse rilasciata l’autorizzazione del Giudice tutelare la moglie e la figlia del L. , che in un incontro presso il notaio rappresentavano il L. chiedevano una riduzione del prezzo della compravendita, una richiesta che non veniva accettata. Pertanto, specifica il P. non essendo stato fissato un termine per l’adempimento, non poteva sussistere inadempimento del promittente per non aver adempiuto nei termini.
Né sarebbe corretta l’affermazione della Corte di merito secondo cui:
l’inadempimento del P. sarebbe risolutorio in quanto nell’ultimo incontro dal notaio ammesso pure che la moglie e la figlia del L. si fossero offerte di pagare l’intero prezzo, comunque, il P. non era in grado di stipulare il contratto perché mancava l’autorizzazione del Giudice tutelare che fu rilasciata il 25 agosto 1994 perché quell’incontro non era stato programmato per la stipula del contratto, ma per valutare la proposta dell’ulteriore riduzione del prezzo e per valutare la correttezza della richiesta autorizzazione al Giudice tutelare in vista della vendita dell’immobile a nuovo contraente del tutto estraneo al promissario acquirente. Piuttosto, dalle dichiarazioni del Notaio emergeva che la data della stipula del contratto non era stata più fissata non per il mancato espletamento della pratica presso il Giudice tutelare ma per la pretesa del promissario acquirente di pagare un prezzo inferiore a quello convenuto.
E di più, la Corte di Genova ha omesso di valutare l’inadempimento del promissario anche in relazione all’art. 1460 cc. In sostanza, la Corte di appello affermava un inadempimento del P. o senza per altro indicare esattamente né i termini di tale inadempimento né la gravità dello stesso e pur ammettendo l’inadempimento di controparte ometteva totalmente un giudizio di comparazione tra i comportamenti delle parti indispensabile per stabilire quale delle due abbia con il proprio contegno reso impossibile la stipula.
Il fatto decisivo, conclude il ricorrente, sul quale quindi la motivazione è insufficiente e contraddittoria ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc e 366 bis è che il rifiuto da parte del L. di provvedere al pagamento del prezzo convenuto si poneva come inadempimento impeditivo della stipula del contratto nonché della stessa presentazione dell’istanza al Giudice tutelare con conseguente illegittimità dell’operato recesso da parte, proprio, del contraente che non intendeva adempiere alla obbligazione principale del pagamento del prezzo.
2.1.- Il motivo rimane assorbito dal precedente, atteso che la valutazione relativa all’inadempimento del P. non può che coinvolgere anche l’inadempimento del L. e una comparazione tra gli stessi.
In definitiva, va accolto il ricorso, cassata la sentenza impugnata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Genova anche per il regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Genova, anche per le spese del presente giudizio di cassazione
- Occorre in primo luogo rilevare che correttamente il Tribunale prima e la Corte d’appello poi hanno affermato che non poteva dichiararsi la nullità del contratto preliminare, avente ad oggetto immobile abusivo, trattandosi di contratto ad effetti obbligatori ed essendo la nullità prevista solo per gli atti ad effetti reali.
- Conseguentemente, correttamente entrambi i giudici di merito hanno concluso che potesse essere esaminata la domanda di risoluzione nel solco della prevalente giurisprudenza di questa Corte, che ha avuto occasione, anche di recente, di affermare che “Ove un contratto preliminare abbia ad oggetto la vendita di una porzione di un comprensorio immobiliare risultato privo del requisito della edificabilità, tale elemento – che integra gli estremi del vizio della cosa – costituisce idonea causa di risoluzione del preliminare per inadempimento”. (Cass. 2010 n. 21229-rv 614617).
- La Corte territoriale ha però concluso che la espressa pattuizione assunta dalle parti all’interno dello stesso contratto di non risolubilità del contratto preliminare per effetto della mancata sanatoria edilizia, consentiva di giungere all’ulteriore conclusione secondo la quale doveva ritenersi intercorso tra le parti un contratto aleatorio, del quale appunto era esclusa la risolubilità in conseguenza della mancata sanatoria. La Corte poi ha confermato la sentenza impugnata, che aveva pronunciato la risoluzione del contratto per colpa del promittente acquirente, che aveva “espressamente e ripetutamele manifestato la sua volontà di non addivenire alla stipula del contratto definitivo”.
- Il ricorrente censura tale conclusione, non potendosi evidentemente affermare che, una volta stipulato un contratto preliminare di compravendita di un immobile non commerciabile, pur essendo valido il contratto preliminare, si debba essere costretti poi a stipulare coattivamente un contratto che si ponga in contrasto con la legge. Nè tale conclusione viene scalfita dall’aver qualificato il contratto come aleatorio, perchè comunque non sarebbe stato possibile procedere al contratto definitivo stante il divieto normativo.
- SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 28 febbraio 2013, n. 5033
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FELICETTI Francesco – Presidente –
Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –
Dott. MANNA Felice – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 30720/2006 proposto da:
P.F. – (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A POLLIO 30, presso lo studio dell’avvocato CARAMANICO GIUSTINO, rappresentato e difeso dagli avvocati RISPOLI GREGORIO e Elda COLOMBO, come da procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
F.D., Z.R., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA T. CAMPANELLA 3, presso lo studio dell’avvocato ASINARI DI BERNEZZO RAFFAELLA, rappresentati e difesi dall’avvocato BISEGNA ANTONIO, come da procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1140/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/08/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/11/2012 dal Consigliere Dott. IPPOLISTO PARZIALE;
udito il Procuratore Generale Dott. Pierfelice Pratis, che conclude per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Il (OMISSIS) tra P.F., promittente acquirente, e F.- Z., promittenti venditori, interveniva un preliminare di vendita di un immobile, di un magazzino e di due appezzamenti di terreno adiacenti per complessivi metri quadri 6.313 in Scandicci al prezzo di 180 milioni di L. Veniva versata una caparra di 30 milioni ed il promittente acquirente specificamente dichiarava di essere a conoscenza della natura abusiva della costruzione, esonerando da ogni garanzia al riguardo i promittenti venditori e dichiarando specificamente che anche in caso di mancato condono il contratto preliminare non si sarebbe risolto.
2. Il promittente acquirente P. il 22 gennaio 2001 conveniva in giudizio i promittenti venditori avanti al Tribunale di Firenze per inadempimento al preliminare in questione in ragione della mancata concessione in sanatoria, chiedendo la risoluzione del contratto e la restituzione della caparra, con risarcimento del danno subito da liquidarsi in separata sede.
3. Il Tribunale di Firenze rigettava la domanda e in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dai promittenti venditori dichiarava risolto il contratto preliminare per colpa dell’attore con diritto dei convenuti alla ritenzione della caparra. Osservava in particolare che non poteva ritenersi nullo il preliminare di immobile avente ad oggetto immobili abusivi, trattandosi di contratto ad effetti obbligatori e non ad effetti reali. Osservava altresì il Tribunale che il contratto preliminare non poteva ritenersi nullo per non essere inficiato da invalidità originaria, posto che al momento della stipula non si era ancora verificata la condizione della mancata concessione in sanatoria alla quale era subordinata la validità del contratto definitivo.
4. La Corte d’appello, adita dal promittente acquirente, confermava la sentenza impugnata, osservando che non era in questione la nullità del contratto, ma il solo inadempimento dell’obbligazione assunta, posto che per principio pacifico in giurisprudenza (Cass. 2002 n. 59) la sanzione della nullità prevista dalla L. 1985 n. 47, art. 40 è relativa soltanto agli atti di trasferimento con effetti reali e non a quelli con efficacia obbligatoria quale il preliminare di vendita, dovendosi invece a quest’ultimo applicare la diversa norma di cui alla L. n. 10 del 1977, art. 15 secondo la quale la nullità in tali contratti, se relativi ad immobili privi di concessione, “non può essere fatta valere in giudizio qualora risulti che il promissario acquirente fosse a conoscenza delle circostante della mancata concessione e che tale conoscenza emerga inequivocabilmente dal contenuto dell’atto” (Cass. 2001 n. 10831).
Osservava la Corte territoriale che sussistevano entrambe le indicate condizioni, posto che non solo l’acquirente era a conoscenza dell’abuso, ma che tale circostanza risultava formalmente anche dall’atto di vendita.
Inoltre in tale atto lo stesso P. aveva espressamente esonerato la parte promittente venditrice da ogni responsabilità per il caso in cui non fossero rilasciate le concessioni in sanatoria e aveva dichiarato che anche il mancato rilascio delle concessioni “non potrà comportare in alcun caso la risoluzione della presente promessa di vendita”. La Corte, quindi, concludeva che in forza della clausola appena richiamata il preliminare non era risolvibile con la conseguenza che il promittente acquirente “aveva inteso stipulare un contratto ad indubbio profilo aleatorio, accettando – in relazione al pretto complessivo dei beni promessi in vendita (180 milioni di L., esiguo in relazione all’ubicazione e alla consistenza dei beni…) il rischio della mancata futura regolarizzazione degli immobili”. In definitiva il promittente acquirente “consapevole dell’alea che connotava l’esistenza dei fabbricati (e dell’ottimo affare che avrebbe compiuto in caso di rilascio delle richieste sanatorie)… ha espressamente convenuto con la controparte la non – risolvibilità in ogni caso del preliminare da loro stipulato” (pagina 4 della sentenza, esclusa l’intestazione).
4. Il ricorrente articola due motivi di ricorso. Resistono con controricorso gli intimati.
Motivi della decisione
1. – Va in primo luogo rilevato che il difensore della ricorrente, avv. Gregorio Rispoli, è deceduto durante il giudizio di cassazione e che l’altro difensore, con poteri disgiunti, avv. Elda Colombo ha comunicato alla cancelleria, con nota depositata il 12 agosto 2012, che il ricorrente in data 15 marzo 2012 le ha revocato il mandato.
L’avviso di udienza è stato regolarmente notificato al domiciliatario. In presenza di due difensori con poteri disgiunti l’avvenuto decesso, in corso di giudizio, di uno di essi non priva la parte del suo diritto di difesa, mentre la revoca operata oltre sei mesi prima dell’udienza pubblica, non determina alcun effetto, sia per il principio della perpetuatio dell’ufficio del difensore di cui all’art. 85 cod. proc. civ., sia per il lasso di tempo avuto a disposizione dalla parte per fornirsi di nuovo difensore.
2.1 motivi del ricorso.
2.1 Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la “violazione degli artt. 1362, 1363, 1418, 1351, 1453 e 1460 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.
Secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare se l’incommerciabilità del bene promesso in vendita viziava anche la validità del preliminare, avendo raggiunto al riguardo conclusioni non condivisibili, posto che non è “possibile ipotizzare che i contraenti di un contratto preliminare che abbia come oggetto l’obbligo di stipulare un contratto contra legem possano essere obbligati a concluderlo coattivamente”. Nè poteva al riguardo soccorrere la qualificazione come contratto aleatorio del preliminare, posto che tale interpretazione era contraria, ai sensi dell’art. 1362 c.c., alla Comune volontà delle parti che era quella di vendere e acquistare un immobile con terreni circostanti.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso viene dedotta la “violazione degli artt. 1385, 1453 e 1418 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”. La ritenzione della caparra postula la validità del contratto preliminare che doveva invece essere considerato nullo per essere il bene incommerciabile.
3. Il ricorso è fondato e va accolto nei limiti che di seguito si chiariscono.
Occorre in primo luogo rilevare che correttamente il Tribunale prima e la Corte d’appello poi hanno affermato che non poteva dichiararsi la nullità del contratto preliminare, avente ad oggetto immobile abusivo, trattandosi di contratto ad effetti obbligatori ed essendo la nullità prevista solo per gli atti ad effetti reali.
Conseguentemente, correttamente entrambi i giudici di merito hanno concluso che potesse essere esaminata la domanda di risoluzione nel solco della prevalente giurisprudenza di questa Corte, che ha avuto occasione, anche di recente, di affermare che “Ove un contratto preliminare abbia ad oggetto la vendita di una porzione di un comprensorio immobiliare risultato privo del requisito della edificabilità, tale elemento – che integra gli estremi del vizio della cosa – costituisce idonea causa di risoluzione del preliminare per inadempimento”. (Cass. 2010 n. 21229-rv 614617).
La Corte territoriale ha però concluso che la espressa pattuizione assunta dalle parti all’interno dello stesso contratto di non risolubilità del contratto preliminare per effetto della mancata sanatoria edilizia, consentiva di giungere all’ulteriore conclusione secondo la quale doveva ritenersi intercorso tra le parti un contratto aleatorio, del quale appunto era esclusa la risolubilità in conseguenza della mancata sanatoria. La Corte poi ha confermato la sentenza impugnata, che aveva pronunciato la risoluzione del contratto per colpa del promittente acquirente, che aveva “espressamente e ripetutamele manifestato la sua volontà di non addivenire alla stipula del contratto definitivo”. Il ricorrente censura tale conclusione, non potendosi evidentemente affermare che, una volta stipulato un contratto preliminare di compravendita di un immobile non commerciabile, pur essendo valido il contratto preliminare, si debba essere costretti poi a stipulare coattivamente un contratto che si ponga in contrasto con la legge. Nè tale conclusione viene scalfita dall’aver qualificato il contratto come aleatorio, perchè comunque non sarebbe stato possibile procedere al contratto definitivo stante il divieto normativo.
La censura appare fondata anche quanto all’interpretazione data dalla Corte territoriale alla volontà delle parti, posto che certamente lo scopo comune del contratto era quello di consentire il trasferimento del bene. Parimenti fondato, in relazione alle conclusioni appena raggiunte, è il secondo motivo di ricorso, dovendosi provvedere sulla caparra all’esito del giudizio di risoluzione.
In definitiva occorre affermare il seguente principio di diritto:
concluso tra le parti un contratto preliminare diretto alla stipulazione di un definitivo avente ad oggetto il trasferimento di un immobile, la pattuizione, nell’atto di programmazione preparatoria, di una clausola escludente la risoluzione per colpa del promettente venditore, pur quando risulti l’insanabilità urbanistica del bene oggetto del contratto, non vale, di per sè, a rendere il preliminare un contratto aleatorio. Peraltro, l’abusività dell’immobile per mancato rilascio della concessione preclude, per impossibilità sopravvenuta, la stipulazione del definitivo, e quindi legittima il promissario acquirente a richiedere al promettente la restituzione della caparra che abbia versato in occasione del preliminare, essendo la ritenzione di questa divenuta senza titolo.
4. Il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in altra composizione, che si atterrà ai principi di diritto affermati e regolerà le spese anche quanto al giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione e rinvia alla Corte d’appello di Firenze in altra composizione, anche per le spese.
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