MORTE PER INFEZIONE  OSPEDALIERA DANNO

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INFEZIONI OSPEDALIERE

Causate dalla presenza di microrganismi patogeni opportunisti in ambiente ospedaliero, le infezioni ospedaliere – nell’acronimo inglese H.C.A.I. (Health Care Acquired Infections) – sono, per definizione, quelle infezioni che non erano presenti (quindi non erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione) all’ingresso del paziente nell’ambiente di ricovero o di assistenza, ed insorgono durante il ricovero e la degenza o, più raramente, dopo le dimissioni del paziente.

In primo luogo, la Corte precisa che l’azione esperita dai congiunti della donna, tesa ad ottenere dalla struttura sanitaria il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, dev’essere qualificata come azione di responsabilità extracontrattuale proposta iure proprio. Difatti, alla luce del principio generale di cui all’art. 1372 c.c., il contratto atipico di spedalità tra il paziente e la struttura sanitaria non produce, di regola, effetti protettivi nei confronti dei terzi, salvo che per il circoscritto ambito delle prestazioni afferenti alla procreazione. Pertanto, l’inadempimento della struttura sanitaria può rilevare nei confronti dei parenti della paziente solo come illecito aquiliano con conseguente applicazione della relativa disciplina.

Richiamando la sua precedente giurisprudenza, la S.C. si sofferma sui profili attinenti all’onere della prova. In particolare, in caso di infezioni nosocomiali, alla struttura sanitaria spetterà provare: 1) di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l’insorgenza di patologie infettive; 2) di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso concreto.

La suprema Corte con due sentenze pubblicate a meno di una settimana l’una dall’altra (la n. 5808 del 27.2 e la n. 6386 del 3.3.2023) affronta in maniera compiuta la tematica delle infezioni nosocomiali e del relativo onere della prova in giudizio, precisando in maniera dettagliata gli obblighi a carico delle strutture sanitarie in materia di prevenzione delle infezioni nosocomiali ed individuando le figure apicali sui quali gli stessi gravano.

Corte di Cassazione, Sentenza n. 6386/2023, Sulla responsabilità della struttura sanitaria in caso di infezioni nosocomiali

appalto ocntratto 1 

Cass. civ. sez. III, sentenza del 3 marzo 2023, n. 6386

Pres. Travaglino G., Est. Rubino L.

  1. Responsabilità sanitaria – Infezione nosocomiale – Risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale – azione dei congiunti iure proprio – Effetto protettivo verso terzi del contratto di spedalità – Non sussiste – Responsabilità extracontrattuale.
  2. Onere della prova – La struttura sanitaria deve provare di aver applicato tutte le cautele e i protocolli di prevenzione necessari – Criterio temporale – Criterio topografico – Criterio clinico.
  3. Errore di diritto nell’accertamento del nesso causale – occorre applicare il criterio probabilistico in luogo di quello della certezza – Cassata con rinvio.
  4. La fattispecie posta all’attenzione della Corte ha riguardato il caso di una donna deceduta a seguito di un’infezione contratta nell’ambito di una struttura ospedaliera, nella quale si era recata per effettuare un’operazione di routine.

 

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Di quanto può essere un risarcimento di infezione nosocomiale

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Quesito CTU infezione nosocomiale

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Risarcimento danni infezione post operatoria

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Risarcimento danni per sepsi

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La Corte di Cassazione nell’affrontare la tematica delle infezioni ha quindi richiamato la precedente pronuncia del 23/02/2021, n.4864: “In applicazione dei principi sul riparto dell’onere probatorio in materia di responsabilità sanitaria, secondo cui spetta al paziente provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre alla struttura sanitaria compete la prova di aver adempiuto esattamente la prestazione o la prova della causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione, con riferimento specifico alle infezioni nosocomiali, spetterà alla struttura provare: 1) di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle legis artis, al fine di prevenire l’insorgenza di patologie infettive; 2) di dimostrare di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico. 22 giugno 2023 1 PROF.SSA PAOLA FRATI – COORDINATORE SEZIONE DIPARTIMENTO MEDICINA LEGALE SAPIENZA INFEZIONI CORRELATE ALL’ASSISTENZA – COMMENTO SENTENZE 2023 Occorrerà, inoltre, che siano rispettati: –  il criterio temporale ovvero il numero di giorni trascorsi dopo le dimissioni dall’ospedale  – il criterio topografico ovvero l’insorgenza dell’infezione nel sito chirurgico interessato dall’intervento in assenza di patologie preesistenti e di cause sopravvenute etiologicamente rilevanti, da valutarsi secondo il criterio della c.d. “probabilità prevalente“ – il criterio clinico ovvero quali tra le necessarie misure di prevenzione era necessario adottare. Novità invece della sentenza commentata, è un dettagliato elenco degli oneri probatori da assolvere, gravanti sulla struttura sanitaria per attestare che le misure di prevenzione siano state rispettate: a) L’indicazione dei protocolli di disinfezione, disinfestazione e sterilizzazione di ambienti e materiali b) L’indicazione delle modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria  c) L’indicazione delle forme di smaltimento dei rifiuti solidi e dei liquami d) Le caratteristiche della mensa e degli strumenti di distribuzione di cibi e bevande e) Le modalità di preparazione, conservazione ed uso dei disinfettanti f) La qualità dell’aria e degli impianti di condizionamento g) L’attivazione di un sistema di sorveglianza e di notifica h) L’indicazione dei criteri di controllo e di limitazione dell’accesso ai visitatori i) Le procedure di controllo degli infortuni e delle malattie del personale e le profilassi vaccinali j) L’indicazione del rapporto numerico tra personale e degenti k) La sorveglianza basata sui dati microbiologici di laboratorio l) La redazione di un report per comunicare alle direzioni sanitarie il monitoraggio dei patogeni-sentinella m) L’indicazione dell’orario della effettiva esecuzione delle attività di prevenzione del rischio

Struttura sanitaria  oneri da assolvere seocndo cassazione

Qualora sia altamente probabile l’origine nosocomiale dell’infezione, la struttura e/o il medico, per andare esenti da responsabilità, devono provare il corretto adempimento dei loro doveri e, sul piano generale, l’adozione di tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis per scongiurare l’insorgenza di patologie infettive a carattere batterico, al fine della salvaguardia delle condizioni igieniche dei locali e della profilassi della strumentazione chirurgica adoperata; sul piano individuale, va provata la prestazione di corretta terapia profilattica pre e post-intervento ad opera del personale medico.

Ma il passaggio più interessante della sentenza che commentiamo oggi è quello concernente l’onere della prova gravante sulla struttura sanitaria.

Qualora sia altamente probabile l’origine nosocomiale dell’infezione, la struttura e/o il medico, per andare esenti da responsabilità, devono provare il corretto adempimento dei loro doveri e, sul piano generale, l’adozione di tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis per scongiurare l’insorgenza di patologie infettive a carattere batterico, al fine della salvaguardia delle condizioni igieniche dei locali e della profilassi della strumentazione chirurgica adoperata; sul piano individuale, va provata la prestazione di corretta terapia profilattica pre e post-intervento ad opera del personale medico.

di dimostrare di aver applicato i protocolli di prevenzione nel caso specifico, di tal che la relativa fattispecie non integra un’ipotesi di responsabilità oggettiva”.

Ai fini dell’affermazione della responsabilità della struttura rilevano, secondo la Corte:

  • il criterio temporale, cioè il numero di giorni trascorsi dopo le dimissioni dall’ospedale
  • il criterio topografico, cioè l’insorgenza dell’infezione nel sito chirurgico interessato dall’intervento, in assenza di patologie preesistenti e di cause sopravvenute prevalenti, e
  • il criterio clinico, in modo che, in ragione della specificità dell’infezione, sarà possibile verificare quali misure di prevenzione era concretamente necessario adottare.

Quanto ai criteri applicabili ai fini dell’affermazione della responsabilità della struttura – che, come specificato dalla Corte, non integra un’ipotesi di responsabilità oggettiva – rilevano: il criterio temporale, cioè il numero di giorni trascorsi dopo le dimissioni dall’ospedale; il criterio topografico, ovverosia l’insorgenza dell’infezione nel sito chirurgico interessato dall’intervento in assenza di patologie preesistenti e di cause sopravvenute eziologicamente rilevanti, da valutarsi secondo il criterio della “probabilità prevalente”; nonché il criterio clinico, finalizzato a verificare quali misure di prevenzione era necessario adottare, in ragione della specificità dell’infezione. Competerà, poi, al CTU medico-legale accertare la causalità, tanto generale quanto specifica, da un lato, escludendo, se del caso, la sufficienza delle indicazioni di carattere generale in ordine alla prevenzione del rischio clinico; dall’altro, esaminando la storia clinica del paziente, la natura e la qualità dei protocolli, le caratteristiche del microrganismo e la mappatura della flora batterica presente nei singoli reparti.

Nel caso di specie, la S.C. rileva un duplice errore di diritto compiuto dalla Corte territoriale, la quale, nel verificare la sussistenza del nesso causale, da un lato, ha effettuato il giudizio controfattuale limitatamente al comportamento dei sanitari, senza considerare il dato obiettivo della contrazione dell’infezione nosocomiale all’interno dell’ospedale; dall’altro, ha utilizzato un criterio di valutazione eziologica non conforme al diritto, cioè quello della certezza del rapporto causa-effetto in luogo di quello probabilistico. La sentenza impugnata viene, dunque, cassata con rinvio.

La morte per reinfezione ospedaliera può verificarsi a seguito di infezioni contratte durante il ricovero, note come infezioni correlate all’assistenza sanitaria (ICA) o infezioni nosocomiali. Queste infezioni possono essere causate da batteri, virus o altri microrganismi presenti negli ambienti ospedalieri, e si verificano spesso in pazienti già vulnerabili.

Cause principali di decesso:

  1. Infezioni resistenti agli antibiotici: Batteri come Klebsiella pneumoniae, Escherichia coli, o Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA) sono tra i più difficili da trattare.
  2. Sepsi: Un’infezione che si diffonde nel sangue può causare una risposta infiammatoria grave, portando a insufficienza d’organo e morte.
  3. Infezioni polmonari: La polmonite, soprattutto quella associata a ventilazione meccanica, è una causa comune di decesso.
  4. Complicanze post-operatorie: Infezioni delle ferite chirurgiche o dei siti di inserzione di cateteri.
  5. Condizioni preesistenti: Pazienti immunocompromessi, anziani o con malattie croniche sono particolarmente a rischio.

Prevenzione

  • Igiene rigorosa: Lavaggio delle mani e sterilizzazione degli strumenti.
  • Uso prudente degli antibiotici: Ridurre l’uso inappropriato per prevenire la resistenza.
  • Monitoraggio continuo: Sorveglianza delle infezioni ospedaliere e interventi rapidi.
  • Vaccinazione: Proteggere pazienti e personale contro agenti patogeni comuni.

In caso di un evento di questo tipo, l’identificazione tempestiva della causa dell’infezione e un trattamento mirato sono fondamentali. Vuoi approfondire su un aspetto specifico?

DECESSO OSPEDALIERO INFEZIONE CAUSA

Un decesso ospedaliero causato da un’infezione può verificarsi quando un’infezione grave, contratta durante il ricovero, compromette irreversibilmente le funzioni vitali. Le infezioni ospedaliere più frequenti responsabili di decessi includono:

Principali infezioni responsabili:

  1. Sepsi: Una risposta infiammatoria sistemica a un’infezione che può evolvere in shock settico e insufficienza multiorgano.
  2. Polmonite associata alla ventilazione meccanica (VAP): Comune nei pazienti ricoverati in terapia intensiva.
  3. Infezioni del sangue (batteriemia): Spesso legate a dispositivi medici come cateteri venosi centrali.
  4. Infezioni delle vie urinarie (IVU): Legate all’uso di cateteri urinari, che possono evolvere in infezioni più gravi.
  5. Infezioni delle ferite chirurgiche: Possono causare complicanze locali o setticemia.

Fattori che contribuiscono al decesso:

  • Resistenza antimicrobica: Infezioni da batteri multiresistenti come MRSA o Klebsiella pneumoniae carbapenemasi-resistente (KPC).
  • Condizioni del paziente: Età avanzata, immunodepressione, malattie croniche come il diabete o insufficienza renale.
  • Tempestività e adeguatezza del trattamento: Ritardi nella diagnosi o terapie non appropriate aumentano il rischio di mortalità.
  • Complicazioni secondarie: Disseminazione dell’infezione ad altri organi o sviluppo di emboli settici.

Casi frequenti in cui può verificarsi:

  • Durante interventi chirurgici complessi.
  • In pazienti ricoverati a lungo in terapia intensiva.
  • Per infezioni contratte in ambienti con scarse pratiche di igiene.

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SENTENZA CASSAZIONE SU MORTE PER INFEZIONE OSPEDALE

La Corte di Cassazione ha affrontato la responsabilità delle strutture sanitarie in caso di infezioni nosocomiali, particolarmente nella sentenza n. 6386 del 2023, che rappresenta un punto di riferimento importante. Secondo questa pronuncia, l’onere della prova per evitare la responsabilità ricade sulla struttura sanitaria, che deve dimostrare di aver adottato tutte le misure di prevenzione richieste dalle normative e dai protocolli medici (es. sterilizzazione, disinfezione, controllo microbiologico). La responsabilità della struttura non è oggettiva, ma si basa su omissioni o carenze nei protocolli preventivi.

Nel caso specifico analizzato, un paziente aveva contratto un’infezione nosocomiale che si era rivelata fatale. La Corte ha sottolineato che il nesso causale tra l’infezione e il decesso può essere dimostrato attraverso il criterio della “probabilità prevalente”, anziché quello della certezza assoluta. Pertanto, la struttura deve provare di aver adottato le misure necessarie e che l’evento dannoso non era prevedibile o evitabile con mezzi ragionevoli.

In questa sentenza si evidenzia anche un “decalogo” delle misure preventive che le strutture sanitarie devono adottare, incluse la formazione del personale, la sterilizzazione e la sorveglianza epidemiologica​.

SENTENZE CASSAZIONE SU MORTE OSPEDALE PER INFEZIONE

La Corte di Cassazione si è espressa in diverse sentenze riguardo alla responsabilità delle strutture sanitarie in caso di infezioni nosocomiali (ossia contratte in ospedale). Un caso particolarmente rilevante è la sentenza n. 6386/2023, che ha rafforzato l’obbligo per le strutture di dimostrare di aver adottato tutte le misure preventive necessarie per evitare queste infezioni. La Corte ha sottolineato che la responsabilità delle strutture sanitarie è di natura contrattuale, e non oggettiva: il paziente deve provare che l’infezione è stata contratta in ospedale, mentre spetta alla struttura sanitaria dimostrare di aver seguito i protocolli richiesti e di aver operato secondo gli standard professionali.

Tra le misure che le strutture devono dimostrare di aver rispettato ci sono la sterilizzazione degli strumenti, la corretta gestione dei rifiuti, il controllo della qualità dell’aria, e l’attivazione di sistemi di sorveglianza. Se queste misure risultano non adeguatamente implementate o documentate, la struttura può essere ritenuta responsabile e obbligata a risarcire i danni al paziente o ai suoi familiari. Questo risarcimento può includere danni biologici, morali, ed esistenziali, a seconda della gravità delle conseguenze dell’infezione​

In sintesi, la giurisprudenza si concentra sulla necessità di dimostrare, da parte della struttura, l’adozione di tutte le cautele possibili, nonché il rispetto delle leggi e dei protocolli per la prevenzione delle infezioni. Per un’analisi approfondita del proprio caso, è consigliabile rivolgersi a un legale esperto in diritto sanitario.

Cass. sez. III, 23/02/2021, n.4864:

In applicazione dei principi sul riparto dell’onere probatorio in materia di responsabilità sanitaria, secondo cui spetta al paziente provare il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica ( o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre alla struttura sanitaria compete la prova di aver adempiuto esattamente la prestazione o la prova della causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione, con riferimento specifico alle infezioni nosocomiali, spetterà alla struttura provare: 1) di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l’insorgenza di patologie infettive; 2) di dimostrare di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico.

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L’elenco degli oneri probatori

Su questa fattispecie i Supremi Giudici elencano gli oneri probatori gravanti sulla struttura sanitaria per attestare che le misure di prevenzione siano state rispettate:

  • a) L’indicazione dei protocolli relativi alla disinfezione, disinfestazione e sterilizzazione di ambienti e materiali;
  • b) L’indicazione delle modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria;
  • c) L’indicazione delle forme di smaltimento dei rifiuti solidi e dei liquami
  • d) Le caratteristiche della mensa e degli strumenti di distribuzione di cibi e bevande;
  • e) Le modalità di preparazione, conservazione ed uso dei disinfettanti;
  • f) La qualità dell’aria e degli impianti di condizionamento;
  • g) L’attivazione di un sistema di sorveglianza e di notifica;

Quanto alla struttura sanitaria, la Corte, richiamando la propria sentenza n. 4864/2021, ha evidenziato che essa deve provare:

1) di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l’insorgenza di patologie infettive;

2) di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico;

osservando che ai fini dell’affermazione della responsabilità della struttura sanitaria, rilevano:

  1. il criterio temporale, vale a dire il numero di giorni trascorsi dopo le dimissioni dall’ospedale;
  2. il criterio topografico, cioè l’insorgenza dell’infezione nel sito chirurgico interessato dall’intervento in assenza di patologie preesistenti e di cause sopravvenute eziologicamente rilevanti,
  3. il criterio clinico, una volta che, in ragione della specificità dell’infezione, sarà possibile verificare quali, tra le necessarie misure di prevenzione era necessario adottare.

Entrando nel dettaglio, la Cassazione ha osservato che, a fronte della prova (presuntiva) che la contrazione dell’infezione è avvenuta in ambito ospedaliero e per dimostrare di aver adottato tutte le misure utili alla prevenzione delle infezioni stesse, la struttura sanitaria avrà l’onere di fornire specifica documentazione attinente:

Cassazione civile sez. III, 14/11/2024, (ud. 27/09/2024, dep. 14/11/2024), n.29451

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Intestazione

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Ia.Cr., alla fine del suo periodo di gravidanza, è andata all’ospedale Veneziale di Isernia, dove aveva deciso di partorire e dove al tampone vaginale, eseguito il 12 Febbraio 2008, è risultata positiva allo streptococco. Il 22 febbraio dello stesso anno la donna ha partorito il piccolo Te.Pi., che però è morto in ospedale il successivo 10 giugno a causa di una infezione da streptococco.

Ia.Cr., il marito To.Ni. e la figlia To.Ma. hanno citato in giudizio i medici che hanno avuto in cura la donna, nonché l’Azienda Sanitaria Regionale del Molise, ritenendoli entrambi responsabili della morte del piccolo Pietro, per non aver curato tempestivamente l’infezione da streptococco né alla madre né al figlio.

L’azienda sanitaria regionale ha chiamato in giudizio la propria compagnia di assicurazioni, la Assicuratori Lloyds di Londra, che si è costituita a sua volta.

Gli attori hanno successivamente rinunciato alla domanda nei confronti dei medici mantenendola nei riguardi della sola azienda regionale.

2.- Il giudice del Tribunale di Campobasso ha disposto consulenza tecnica, ha istruito la causa, e, all’esito della istruzione, ha rigettato la domanda, con l’argomento che non era stata fornita prova sufficiente del nesso di causa.

Questa decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Campobasso.

3.- Ricorrono per cassazione i tre originari attori con un solo motivo di ricorso. Si sono costituiti in giudizio sia l’Azienda sanitaria regionale del Molise che la compagnia di assicurazione dei Llody’s ed hanno chiesto il rigetto della impugnazione. Entrambi i controricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- La Corte di appello ha ritenuto, conformemente a quanto deciso dal giudice di primo grado, che non era stata raggiunta la prova del nesso di causa. In particolare, se è rimasto appurato che la morte era stata causata dalla infezione di streptococco, non era tuttavia emerso con chiarezza in che modo e in che tempi il neonato avesse contratto il batterio.

I consulenti tecnici avevano formulato ipotesi alternative al riguardo, che andavano dal contagio verticale, ossia per mezzo di trasmissione da parte della madre, a quello orizzontale, vale a dire attraverso contatto con altre persone, sia fuori che dentro lo stesso ospedale.

Il difetto di prova in ordine alla esatta dinamica causale ha indotto i giudici d’appello a rigettare la domanda, posto che erano gli attori a dovere fornire tale prova.

5.- Questa ratio è contestata dai ricorrenti con un motivo di censura, che prospetta violazione degli articoli 2697,1218,1176,2236 del codice civile, nonché 116 del codice di procedura civile.

I ricorrenti censurano la ratio decidendi in relazione ad entrambe le ipotesi formulate dai consulenti tecnici e ritenute dai giudici di merito come semplicemente ipotetiche, ma non suffragate da sufficiente prova.

La prima ipotesi è che il batterio sia stato trasmesso al neonato dalla madre.

Secondo i ricorrenti, i giudici di appello hanno fatto affidamento sulle conclusioni del consulente tecnico, ma in modo errato. Il CTU, infatti, aveva concluso nel senso che, nell’ipotesi di contagio verticale, ossia da madre a figlio, la terapia antibatterica praticata dalla madre e stata, sì, inadeguata, ma comunque non avrebbe scongiurato l’esito.

I ricorrenti contestano alla Corte di appello di aver fatto affidamento su questo giudizio, quando invece vi erano elementi per decidere il contrario, ossia la circostanza che la terapia era stata iniziata tardivamente alla trentanovesima settimana anziché tra la trentaquattresima e la trentaseiesima, come prescritto dalle linee guida, ed inoltre la circostanza secondo cui i medici avrebbero dovuto prescrivere alla madre una serie di cautele, come il divieto di allattamento, di cui invece non hanno fatto avviso.

Ciò significa, secondo i ricorrenti, che la Corte ha fatto cattivo governo delle regole che presiedono all’accertamento del nesso causale, ed in particolar modo della regola che impone di considerare come causa quella più probabile delle altre.

Quanto invece alla ipotesi di contagio per via orizzontale, pure formulata dal consulente tecnico, viene censurata la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso che ci fossero prove a favore di tale ipotesi, negando erroneamente rilievo a due circostanze decisive la prima è costituita dal fatto che, circa un mese dopo, un’altra bambina è morta nello stesso ospedale per la medesima infezione, circostanza che avrebbe dovuto indurre a ritenere non sufficientemente sterile l’ambiente ospedaliero; la seconda circostanza è che era emerso dall’istruttoria che non era stata fatta alcuna sterilizzazione degli ambienti.

Anche in tal caso i ricorrenti censurano la violazione delle regole che presiedono all’accertamento del nesso di causalità, ed in particolar modo della regola probabilistica, già citata, e ritengono che, se applicata correttamente, tale regola avrebbe portato i giudici di merito a ritenere più probabile che non l’avvenuto contagio in ospedale.

Queste censure sono infondate.

Come si è detto, la ratio decidendi della decisione impugnata è nel senso che non è stato approvato adeguatamente il nesso di causalità, e cioè nel senso che non è chiaro dove e come sia stato contratto il batterio che ha portato poi alla morte del neonato.

Su tale nesso di causa i consulenti tecnici, e cioè sia il perito nominato in questa causa, che quelli nominati nel processo penale, che è seguito alla morte del neonato, hanno fatto diverse ipotesi senza ritenere l’una preponderante sull’altra.

In altri termini, secondo l’accertamento dei giudici di merito non è stato possibile stabilire quale sia stata la reale causa del contagio i ctu hanno infatti fornito diverse ipotesi, comprese alcune non riconducibili alla condotta dei convenuti, ma senza dare preponderanza ad una di esse.

Questo accertamento è qui incensurabile, perché è l’accertamento di un fatto, ossia di quale sia stata la reale causa dell’evento. Non è in discussione il criterio giuridico di accertamento del nesso di causa, che invece è correttamente richiamato dai giudici di merito essi, infatti, fanno applicazione della regola giurisprudenziale del “probabile che non”, ed è proprio in applicazione di tale regola che ritengono che non sia stata raggiunta la prova del nesso di causa.

Questo giudizio, vale a dire se, in base al criterio giuridico probabilistico, può dirsi raggiunta o meno la prova del nesso di causa, è un giudizio di fatto, che non attiene al criterio con cui il nesso di causa si accerta, ma che riguarda per l’appunto l’accertamento concreto di quel nesso.

Inoltre, l’incertezza sul nesso di causa è dimostrata dallo stesso motivo di ricorso che si premura di valutare entrambe le ipotesi di probabile contagio.

Né può dirsi che la Corte di appello avrebbe dovuto ritenere comunque raggiunta la prova del nesso causale semplicemente in quanto una delle due ipotesi era comunque sufficiente a spiegare l’evento, nel senso che avrebbe dovuto ritenersi indifferente l’origine del contagio, bastando a spiegare l’evento il contagio medesimo.

In realtà, le due diverse ipotesi indicano due relazioni causali diverse, alle quali vanno riconnesse due obbligazioni cautelari diverse se la causa del contagio è stata verticale allora i medici avrebbero dovuto contenerla o evitarla in un determinato modo, adottando cioè cautele diverse da quelle che avrebbero dovuto adottare ove il contagio si fosse verificato non da madre a figlio ma da parte di altre persone o dello stesso personale sanitario.

È dunque evidente che l’individuazione di quale fosse l’origine del contagio era decisiva ai fini della spiegazione causale del fatto, perché era decisiva ai fini della individuazione della condotta alternativa lecita, cioè di quella condotta che avrebbe evitato l’evento se fosse stata posta tempestivamente e correttamente in essere.

Né ovviamente può accedersi alla tesi secondo cui è sufficiente che il danneggiato alleghi il titolo del suo diritto, in questo caso il contratto con l’ospedale, e che alleghi l’evento affinché la prova di tutto il resto, nesso causale e colpa, vada poi a gravare sui convenuti.

È noto, infatti, che chi agisce per l’inadempimento deve dimostrare il nesso di causa tra quest’ultimo e il danno subito (v. Cass. n. 29315 del 7/127/2017, proprio in tema di responsabilità medica e di incertezza sul nesso di causalità).

Il ricorso va pertanto rigettato ma le spese del presente giudizio di legittimità, in ragione della difficoltà di accertamento del fatto, vanno compensate.

Va disposto che, ai sensi dell’articolo 52 D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi dei ricorrenti e del loro congiunto deceduto.

PQM

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Dispone l’oscuramento dei dati come in motivazione.

Così deciso in Roma il 27 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2024.

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