appalto ocntratto

SEPARAZIONE CONIUGI BOLOGNA VICENZA:ADDEBITO? Colpa? Quando? Perche’?

In via generale, questa Corte ha affermato che la pronuncia di addebito della separazione non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posti dall’art. 143 c.c. a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare che tale violazione, lungi dall’essere intervenuta quando era già maturata una situazione in cui la convivenza non era più tollerabile, abbia assunto efficacia causale nel determinare la situazione di intollerabilità (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 18074 del 20/08/2014).

L’indagine sull’intollerabilità della convivenza deve, peraltro, essere svolta sulla base della valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non potendo la condotta dell’uno essere giudicata senza un raffronto con quella dell’altro, consentendo solo tale comparazione di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano riservato, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi matrimoniale (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 14162 del 14/11/2001)

Le principali ipotesi di addebito della separazione includono:

  1. Infedeltà coniugale: La violazione del dovere di fedeltà è una delle cause più comuni di addebito. Tuttavia, l’infedeltà deve essere direttamente collegata alla crisi del matrimonio e non avvenuta, ad esempio, dopo che il rapporto era già compromesso.
  2. Violazione del dovere di assistenza morale e materiale: Se uno dei coniugi non sostiene l’altro, né dal punto di vista economico né dal punto di vista affettivo, può essere imputata una responsabilità. Questo include la mancanza di aiuto in momenti di difficoltà, come la malattia.
  3. Comportamenti violenti o lesivi della dignità dell’altro coniuge: Violenza fisica o psicologica, offese gravi e comportamenti che umiliano o ledono la dignità dell’altro coniuge possono portare a un addebito.
  4. Abbandono del tetto coniugale: Se uno dei coniugi abbandona il tetto coniugale senza una valida ragione, ciò può essere considerato una violazione del dovere di convivenza e portare all’addebito.
  5. Condotte lesive verso i figli: Comportamenti inadeguati verso i figli o la mancata cura e protezione dei figli possono portare all’addebito.

Se viene pronunciato l’addebito, il coniuge ritenuto responsabile perde alcuni diritti, come l’eventuale diritto agli alimenti, e può essere obbligato a risarcire i danni.


 

  1. SEPARAZIONE DEI CONIUGI
  2. In genere

Cass. civ., Sez. I, Ord., (data ud. 15/11/2023) 24/04/2024, n. 11032

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. ROSARIO Caiazzo – Consigliere

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso n. 19579/2022

promosso da

A.A., elettivamente domiciliato in Roma, via Quintino Sella 41, presso lo studio dell’avv. Camilla Bovelacci, rappresentato e difeso dall’avv. Brunella Bertani, in virtù di procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

B.B., elettivamente domiciliata in Guastalla, piazza Garibaldi 9, presso lo studio dell’avv. Vera Sala, che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 157/2022, pubblicata in data 27/01/2022;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/11/2023 dal Consigliere ELEONORA REGGIANI;

letti gli atti del procedimento in epigrafe.

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 845/2020, il Tribunale di Reggio Emilia, dopo aver pronunciato sentenza parziale di separazione personale dei coniugi A.A. e B.B., che avevano celebrato il loro matrimonio nel 1981 (dal quale erano nati due figli, entrambi maggiorenni ed economicamente autosufficienti), definiva il giudizio in primo grado, rigettando le domande di addebito della separazione reciprocamente proposte dalle parti e ponendo a carico del A.A. il pagamento di un contributo al mantenimento della moglie di Euro 500,00 mensili, da rivalutarsi annualmente su base ISTAT.

Avverso tale pronuncia proponeva appello A.A., impugnando la statuizione di primo grado nella parte in cui aveva respinto la domanda di addebito della separazione alla moglie e previsto il contributo al mantenimento in favore di quest’ultima.

Nel contraddittorio delle parti, l’impugnazione veniva respinta dalla Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 157/2022, pubblicata il 27/01/2022.

A.A. ha, quindi, proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi di impugnazione.

L’intimata si è difesa con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza ex art. 360n. 4 c.p.c. per avere la Corte d’appello di Bologna pronunciato ultrapetita in violazione dell’art. 112c.p.c., affermando l’esistenza di una pregressa disaffezione di entrambi i coniugi in data antecedente all’abbandono da parte di B.B. della casa coniugale, senza che vi fosse una allegazione in tal senso della difesa di quest’ultima.

Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 151, comma 1, e 158 c.c., in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto la disaffezione del marito nei confronti della moglie esistente prima che la stessa si allontanasse dall’abitazione familiare, dando rilievo all’avvenuta sottoscrizione un accordo di separazione consensuale, mai omologato, e al fatto che il ricorrente aveva atteso oltre un anno dall’abbandono del tetto coniugale da parte della moglie prima di depositare il ricorso per separazione giudiziale con addebito.

Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 143, 146 e 151 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto che l’allontanamento di B.B. dalla casa familiare, in data 11 giugno 2016, non avesse avuto nessuna efficienza causale rispetto alla frattura coniugale, sul presupposto erroneo che fosse già preesistente una crisi della coppia, provata dalla circostanza secondo cui la B.B., un mese prima di lasciare la casa, aveva comunicato al marito, a mezzo di lettera del proprio legale, la propria volontà di separarsi, con ciò postulando una inammissibile interpretazione abrogativa dell’art. 146 c.c.

Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione agli artt. 146 c.c. e 151 c.c., avendo la Corte d’Appello ritenuto che incombesse sul marito l’onere di provare l’esistenza di un buon rapporto tra i coniugi (per fare valere la violazione dell’obbligo di convivenza da parte della moglie, ai fini dell’addebito), e non alla moglie (l’onere di provare che il suo allontanamento era privo di efficacia causale in forza di una pregressa crisi coniugale).

  1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

2.1. Com’è noto ai sensi dell’art. 151 c.c. “La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole. Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.”

In via generale, questa Corte ha affermato che la pronuncia di addebito della separazione non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri posti dall’art. 143 c.c. a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare che tale violazione, lungi dall’essere intervenuta quando era già maturata una situazione in cui la convivenza non era più tollerabile, abbia assunto efficacia causale nel determinare la situazione di intollerabilità (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 18074 del 20/08/2014).

L’indagine sull’intollerabilità della convivenza deve, peraltro, essere svolta sulla base della valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non potendo la condotta dell’uno essere giudicata senza un raffronto con quella dell’altro, consentendo solo tale comparazione di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano riservato, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi matrimoniale (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 14162 del 14/11/2001).

L’anteriorità della crisi della coppia rispetto alla violazione di tali obblighi, quale causa di esclusione del nesso causale, integra comunque un’eccezione in senso lato, ed è pertanto rilevabile d’ufficio, purché siano allegati dalla parte a ciò interessata i fatti che ne suffragano l’esistenza e i menzionati fatti risultino provati dal materiale probatorio comunque acquisito al processo (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 20866 del 21/07/2021).

Con specifico riferimento alla violazione dell’obbligo di coabitazione, questa Corte ha ritenuto che il volontario abbandono del domicilio familiare da parte di uno dei coniugi contiene di per di per sé tutti i requisiti per configurare l’addebito della separazione personale, tenuto conto che obiettivamente a seguito di tale condotta la convivenza non è più possibile, fermo restando che l’addebito deve essere escluso, ove risulti che esso sia stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile e che, anzi, l’allontanamento del coniuge costituisca una conseguenza di tale intollerabilità (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 648 del 15/01/2020).

A prescindere da qualsivoglia elemento di addebito, in applicazione dell’art. 151 c.c., la separazione dei coniugi deve comunque trovare causa e giustificazione in una situazione di intollerabilità della convivenza, intesa come fatto psicologico squisitamente individuale, riferibile alla formazione culturale, alla sensibilità e al contesto interno della vita dei coniugi, purché oggettivamente apprezzabile e giuridicamente controllabile. A tal fine non è necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere da una condizione di disaffezione al matrimonio di una sola delle parti, che renda incompatibile la convivenza e che sia verificabile in base ai fatti obiettivi emersi in giudizio (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8713 del 29/04/2015; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 16698 del 05/08/2020).

Ovviamente, l’apprezzamento circa la responsabilità di uno o di entrambi i coniugi, nel determinarsi della intollerabilità della convivenza, è un accertamento in fatto riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità in presenza di una motivazione che non sia viziata (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 18074 del 20/08/2014).

2.2. In tale quadro, deve tenersi conto che il giudice di merito incorre nel vizio di extrapetizione quando attribuisce alla parte un bene non richiesto, perché non compreso neppure implicitamente o virtualmente nelle deduzioni o allegazioni, e non quando pone a fondamento della decisione risultanze dell’istruttoria che naturalmente si offrono alla valutazione del giudice (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 12014 del 07/05/2019).

2.3. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha statuito come segue: “Il punto centrale sta nell’impossibilità di ricondurre causalmente la definitiva rottura dell’unione coniugale all’allontanamento da casa della sig.ra B.B.. Appare evidente che l’affectio coniugalis, almeno per quanto riguarda la moglie, era già cessata, avendo ella manifestato al marito, con l’assistenza del legale, la volontà di separarsi. Peraltro, all’invio della comunicazione e al successivo allontanamento non è seguita, da parte del marito, alcuna reazione, fino alla proposizione del ricorso per separazione.

 

 

Al contrario, è agli atti la scrittura privata denominata “separazione A.A. /B.B.”, del 10 dicembre 2016 (doc. 12 allegato alla comparsa di costituzione in primo grado B.B.), sottoscritta dai coniugi diversi mesi prima della data in cui il marito ha presentato il ricorso introduttivo del giudizio di separazione (6 luglio 2017). Con la scrittura in esame i coniugi prendono accordi in vista della separazione, decidendo, tra l’altro, di vendere la casa coniugale cointestata dividendo il ricavato, donare il negozio cointestato alla figlia e, soprattutto, prevedono l’impegno del marito di versare alla moglie la somma di Euro 300,00 mensili a titolo di contributo al mantenimento. È evidente che la tesi di una responsabilità della moglie per la rottura dell’unione, che avrebbe determinato la negazione di qualunque diritto ad un contributo, non era stata allora neppure presa in considerazione, e che i coniugi ritenevano di addivenire ad una intesa per regolare concordemente la “fine”, già, nei fatti, avvenuta, del matrimonio.

 

Solo in seguito, il marito ha, evidentemente, cambiato idea, presentando ricorso con richiesta di addebito, ma la condotta di un coniuge che attribuisce la rottura dell’unione al comportamento dell’altro, non è quella tenuta dal A.A. dopo l’allontanamento della B.B.. Egli ha atteso oltre un anno dall’asserito improvviso abbandono, per lamentarsene solo con la proposizione del ricorso, nel frattempo preparando accordi che non presupponevano affatto condotte di violazione dei doveri coniugali. Il suo “ripensamento”, come sottolinea la B.B., appare piuttosto come un tentativo di sottrarsi al pagamento di un contributo, piuttosto che la reazione di un marito improvvisamente abbandonato.

Peraltro, la semplice lettura della memoria integrativa di primo grado del sig. A.A. chiarisce quali sarebbero le condotte della moglie che avrebbero integrato i presupposti dell’addebito; vi si legge che, non avendo mai il marito collaborato alle faccende domestiche, perché impegnato fuori casa per lavoro, si sarebbe trovato (dopo il ricevimento della lettera preannunciante la separazione e il successivo allontanamento della moglie) in una situazione di difficoltà nella gestione della quotidianità; la moglie avrebbe in tal modo violato il dovere di coabitazione e di assistenza.

 

Non una parola si legge sulle precedenti condizioni della vita matrimoniale che possa confermare la sussistenza di un buon rapporto tra i coniugi.” (p. 7 e ss. della sentenza impugnata).

Il giudice del gravame ha, in sintesi, ritenuto provata una condizione di disaffezione, quantomeno da parte della donna, già prima dell’allontanamento di quest’ultima dalla casa coniugale, dato che la donna aveva già prima comunicato al marito la volontà di separarsi per il tramite di un legale e poi aveva lasciato la casa coniugale, aggiungendo che il marito, sottoscrivendo la scrittura di separazione, risulta avere condiviso la decisione di separarsi, regolando convenzionalmente le conseguenze della separazione, compresa l’attribuzione di un assegno in favore della moglie, peraltro senza rappresentare negli atti di causa una condizione di vita matrimoniale in cui la comunione di vita fosse, invece, esistente.

Si tratta di un accertamento in fatto, operato dal giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità che, in virtù di quanto sopra evidenziato, non può essere considerato frutto di extrapetizione.

Lo stesso A.A., nel ricorso per cassazione, ha riportato per esteso le allegazioni della moglie, contenute nella memoria di costituzione per l’udienza presidenziale in Tribunale, ove, nel richiedere l’addebito della separazione al marito, aveva allegato atteggiamenti violenti, tradimenti e comportamenti denigratori dell’uomo nei suoi confronti, oltre che condotte contrarie al dovere di assistenza morale durante la grave malattia della donna, fino alla decisione di quest’ultima di allontanarsi della casa coniugale, dietro suggerimento dei familiari, per timore di reazioni aggressive del marito, che ormai si era reso conto della volontà della moglie di separarsi (p. 14 del ricorso per cassazione).

Si tratta di condotte precedenti all’allontanamento della donna dalla casa coniugale, da quest’ultima avvertite, e dedotte, come causa di una pregressa intollerabilità della convivenza.

Il medesimo ricorrente ha, inoltre, evidenziato che, in appello, la moglie aveva dato rilievo alla missiva inviata dal suo legale, con cui aveva chiesto la separazione, e alla scrittura di separazione sottoscritta da entrambi i coniugi il 10/12/2016, per affermare che in tale occasione i coniugi erano assolutamente consci della crisi coniugale e d’accordo sulla necessità di addivenire ad una soluzione condivisa, entrambi consapevoli che il matrimonio era “finito” (p. 16 del ricorso per cassazione).

Anche tali allegazioni costituiscono argomenti che la donna ha posto a supporto della intollerabilità della convivenza precedente all’allontanamento della donna.

Il giudice di merito, valutando in fatto le risultanze di causa, ha ritenuto provata la obiettiva intollerabilità della convivenza, avvertita dalla donna prima dell’allontanamento da casa, e non contrastata dal marito, anche se non ha accertato i fatti che la stessa ha posto come causa della menzionata condizione di disaffezione.

In altre parole, la Corte di merito ha fatto proprie solo in parte le allegazioni della donna, che aveva dedotto la pregressa intollerabilità della convivenza per fatto imputabile al marito, ritenendo provata, per le ragioni in fatto sopra indicate, semplicemente la ritenuta impossibilità di vivere ancora insieme, percepita dalla moglie e non contrastata dal marito.

  1. Il secondo motivo è inammissibile.

3.1. Parte ricorrente ha censurato la decisione impugnata nella parte in cui la Corte di merito ha desunto il venire meno dell’affectio coniugalis anche in capo al A.A. prima del 6 giugno 2016 (data in cui la Sig.ra B.B. ha lasciato la casa coniugale) da due sue condotte successive.

In primo luogo, il ricorrente ha evidenziato che la Corte d’appello ha dato rilievo al fatto che il A.A. aveva sottoscritto il documento con il quale i coniugi avevano concordato alcuni aspetti di una loro separazione consensuale, prevedendo anche la corresponsione da parte del marito di euro 300,00 mensili a titolo di contributo al mantenimento della moglie, con ciò dimostrando di non avere preso neppure in considerazione una eventuale responsabilità di quest’ultima per la fine della unione coniugale (in quanto le aveva riconosciuto un diritto che, se vi fossero stati i presupposti per l’addebito, non le sarebbe spettato).

In secondo luogo, il ricorrente ha rilevato che la Corte di merito ha stigmatizzato la circostanza che il A.A. aveva atteso oltre un anno prima di instaurare la procedura di separazione giudiziale, con ciò manifestando un palese disinteresse per l’abbandono da parte della moglie.

3.2. Si tratta, tuttavia, di valutazioni in fatto di comportamenti della parte, e non di valutazioni giuridiche dell’efficacia degli atti, sicché la censura, pur prospettata come violazione di legge, si risolve in una critica ad un giudizio che attiene al merito come tale non sindacabile in cassazione se non per assenza di motivazione (nelle diverse forme in cui i può manifestare), nella specie non formulata.

  1. Il terzo motivo è infondato.

4.1. Come già evidenziato, la condizione di intollerabilità della convivenza può essere intesa anche in senso soggettivo, non essendo necessario che sussista una situazione di conflitto riconducibile alla volontà di entrambi i coniugi, ben potendo la frattura dipendere dalla condizione di disaffezione e distacco di una sola delle parti, che sia verificabile in base a fatti obiettivi (così Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8713 del 29/04/2015; v. anche v. ancora Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 16698 del 05/08/2020).

In tale ottica, questa Corte ha di recente ritenuto dimostrata tale preesistente intollerabilità della convivenza dalla presentazione stessa del ricorso per separazione e dal successivo comportamento processuale, con particolare riferimento alle risultanze negative del tentativo di conciliazione, dovendosi ritenere venuto meno, al ricorrere di tali evenienze, quel principio del consenso che caratterizza ogni vicenda del rapporto coniugale (v. ancora Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 16698 del 05/08/2020; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8713 del 29/04/2015).

Non si tratta di un’interpretazione che abroga la previsione normativa del dovere di coabitazione, perché, comunque, l’allontanamento presuppone l’accertamento di una condizione anche personale, non necessariamente condivisa tra i coniugi, che risulti comunque da dati obiettivi e, ovviamente, non sia la conseguenza della violazione di un altro obbligo matrimoniale da parte di chi compia tale scelta.

La coabitazione, infatti, non è convivenza, perché quest’ultima si connota per una condivisione di vita che non è richiesta nella prima.

La coabitazione, ove la convivenza sia divenuta intollerabile anche per una sola persona della coppia, perde di significato coniugale, per il declino dei diritti e doveri reciproci che connotano il rapporto matrimoniale, e non può essere imposta come mero artificio esteriore.

4.3. Nel caso di specie la Corte d’appello ha dato applicazione ai principi enunciati, dando rilievo alla missiva inviata dal legale della moglie prima dell’allontanamento della casa coniugale, in cui quest’ultima ha manifestato la volontà di separarsi, la quale costituisce una obiettiva e inequivoca rappresentazione dell’impossibilità per la donna di continuare a vivere con il marito, seguita, dopo pochi mesi dall’allontanamento, dalla sottoscrizione da parte di entrambi i coniugi di un accordo che regolava le condizioni di separazione e prevedeva un assegno di mantenimento in favore della donna, cui si è aggiunta anche la constatazione, da parte del giudice di appello, che non una parola si leggeva negli atti difensivi del marito su eventuali condizioni della vita matrimoniale che avrebbero potuto rendere imprevedibile la scelta della donna (v. supra e p. 7 e ss. della sentenza impugnata).

  1. Il quarto motivo è infondato.

Parte ricorrente ha dedotto che il coniuge che domanda l’addebito per violazione del dovere di coabitazione non è tenuto a provare l’incidenza causale dell’altrui condotta di abbandono sulla crisi matrimoniale, essendo piuttosto onere del coniuge, che ha posto in essere tale condotta, dimostrare che essa è stata determinata dal comportamento dell’altro coniuge ovvero è intervenuta quando la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di ciò.

Parte ricorrente non ha tenuto conto che, come sopra evidenziato, anche nel caso di allontanamento dalla casa coniugale, l’anteriorità della crisi della coppia rispetto alla violazione di tale obbligo, quale causa di esclusione del nesso causale tra la condotta violativa degli obblighi derivanti dal matrimonio e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, integra un’eccezione in senso lato ed è dunque rilevabile d’ufficio, purché sia allegata dalla parte a ciò interessata e risulti dal materiale probatorio acquisito al processo (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 20866 del 21/07/2021).

Nel caso di specie, nello stesso ricorso per cassazione sono riportate le allegazioni della B.B. che hanno rappresentato situazioni di estrema gravità, verificatisi negli anni di matrimonio ed anche prima della decisione di allontanarsi, che hanno reso impossibile per la donna la prosecuzione della convivenza e il giudice ha dato rilievo ad alcuni elementi per confermare tale obiettiva condizione.

Ogni censura attiene alla valutazione di merito in questa sede non sindacabile.

  1. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
  2. Le spese di lite seguono la soccombenza.
  3. In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
  4. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell’art. 52D.Lgs. n. 196 del 2003.

P.Q.M.

La Corte

rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla controricorrente, che liquida in Euro 5.000,00 per compenso, oltre Euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge; dà atto, in applicazione dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto;

dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.

Conclusione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 15 novembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 24 aprile 2024.

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