ACCERTAMENTO DI PATERNITA’ – DANNO ENDOFAMIGLIARE TRIBUNALE BOLOGNA
LE DOMANDE
1) accertare e dichiarare che YY, nato il (omissis).(omissis).1971 a (omissis), (Austria), codice fiscale (omissis), residente a Bologna Via (omissis) n. (omissis), è il padre naturale di JJ, nato il (omissis).(omissis).1999 ad (omissis), residente a Pesaro (PU) Via (omissis) n. (omissis), codice fiscale (omissis), e per l’effetto:
2) condannare YY al risarcimento del danno endofamiliare, per perdita del rapporto parentale, in quell’ammontare che risulterà dovuto in corso di causa, da determinarsi eventualmente anche in via equitativa;
3) porre a carico di YY un assegno mensile quale contributo al mantenimento del figlio JJ, dell’importo di € 400,00, o quello maggiore o minore che il Tribunale riterrà di giustizia, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici ISTAT come per legge, da corrispondersi entro il giorno 5 di ogni mese, alla sig.ra XX;
4) condannare YY al pagamento in favore della Sig.ra XX di quella somma che risulterà dovuta in corso di causa a titolo di rimborso delle spese sostenute, sin dal momento della nascita, per il mantenimento del figlio JJ;
DANNO ENDOFAMILIARE NEGATO PERCHE’ NON PROVATO
Circa la domanda formulata al punto 2, cioè la richiesta di condannare il convenuto “al risarcimento del danno endofamiliare, per perdita del rapporto parentale, in quell’ammontare che risulterà dovuto in corso di causa, da determinarsi eventualmente anche in via equitativa“, si osserva che il convenuto, nella comparsa di costituzione tempestivamente depositata, ha contestato l’esistenza della relazione sentimentale con l’attrice e dell’allegato rapporto di paternità, cioè gli unici fatti, di quelli allegati da parte attrice, che fossero a lui noti, non potendo ritenersi che l’onere di contestazione su di lui gravante si estendesse alle conseguenze dannose della mancanza della figura paterna nella vita del figlio, pure allegate in quella sede dagli attori («L’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti.» Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14652 del 18/07/2016 e successive conformi).
Pertanto parte attrice era onerata di fornire la prova delle suddette conseguenze, cioè del fatto che JJ sia cresciuto senza una figura paterna (che, in ipotesi, avrebbe anche potuto essere un eventuale nuovo compagno della madre) e di questo abbia sofferto, nonché la prova dell’allegato nesso causale con l’asserito disturbo dell’apprendimento, dal quale JJ sarebbe affetto, e con l’abbandono degli studi a 16 anni; circostanze, anche queste, meramente allegate, ma sfornite di prova.
Non è stato nemmeno allegato che la madre, né il figlio, abbiano mai cercato di mettersi in contatto col convenuto, prima dell’intervento del legale, a febbraio 2018; non è nemmeno chiaro quando e in quali circostanze la madre abbia rivelato al figlio l’identità del padre; al riguardo il teste G. D. D., nonno materno di JJ, ha dichiarato: “..solo dopo tanti anni ho saputo che il padre di JJ era vivo, quando JJ ha cominciato ad andare a scuola, l’ ho saputo da mia moglie o da mia zia, non ricordo bene. il cognome di quest’uomo l’ho saputo solo quando mi sono rivolto allo studio dell’avvocatessa Lupi. Mi sono rivolto a lei perché mio nipote voleva rintracciare il padre.“.
La Cassazione ha recentemente ribadito: «Ora, in ordine alla sussistenza dell’illecito endofamiliare dedotto in giudizio, attinente al rapporto filiale, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore, con disinteresse, protratto nel tempo, del genitore nei confronti del figlio, deve osservarsi che la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole può integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, in primis l’art.30 Cost., così dandosi luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità ed anche per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, sorgendo, sin dalla nascita, il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori (Cass. 5652/2012). Tuttavia, il mancato riconoscimento dei figli, per poter configurare un danno risarcibile, dovrà possedere i caratteri tipici dell’illecito civile.
Dovrà quindi essere causalmente determinante, colpevole e cagionare un danno ingiusto.» (Cass. 22496 del 2021).
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che l’allegato danno endofamiliare, nel caso di specie non risulti provato e che quindi la domanda sub 2 non possa essere accolta.
RICONOSCIMENTO
Inoltre, circa la prescrizione: «La sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi dell’art. 277 cod. civ., e, quindi, a norma dell’art. 261 cod. civ., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ex art. 148 cod. civ. La relativa obbligazione si collega allo “status” genitoriale e assume di conseguenza pari decorrenza, dalla nascita del figlio, con il corollario che l’altro genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere del mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato (secondo i criteri di ripartizione di cui al citato art. 148 cod. civ.), ha diritto di regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dall’art. 1299 cod. civ. nei rapporti fra condebitori solidali. Tuttavia, in considerazione dello stato di incertezza che precede la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il diritto al rimborso “pro quota” delle spese sostenute dalla nascita del figlio, spettante al genitore che lo ha allevato, non è utilmente esercitabile se non dal momento della sentenza di accertamento della filiazione naturale, con la conseguenza che detto momento segna altresì il “dies a quo” della decorrenza della prescrizione del diritto stesso.» (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15756 del 11/07/2006 e successive conformi; di recente: Cass. civ., Sez. I, 31 luglio 2020, n. 16561).
Nel caso di specie, non vi è dubbio che la madre si sia sempre fatta carico, senza alcun aiuto da parte del padre, di tutte le esigenze del figlio, dalla nascita e fino all’introduzione del presente giudizio (giugno 2018), per un periodo totale di 18 anni e 9 mesi; circa il quantum, si può presuntivamente ritenere che ella abbia speso in media una somma di circa euro 500,00 mensili, comprensiva anche delle spese straordinarie, il che corrisponde, per il suddetto periodo, alla somma di euro 112.500,00, dei quali il convenuto deve quindi essere condannato a rimborsarle la metà, pari ad euro 56.250,00, già comprensivi del danno da ritardo rappresentato dalla mancato tempestivo soddisfacimento del proprio credito, subìto dalla attrice, in quanto somma liquidata con criterio equitativo; su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo effettivo.
Si soggiunge che, sebbene non sia stata fornita la prova che il figlio abbia subìto un danno risarcibile a causa dell’assenza della figura paterna, si ritiene, comunque, che il convenuto fosse consapevole del rapporto di paternità e ciò sulla base della testimonianza di C. R., gestore di un bar frequentato da entrambe le parti all’epoca del concepimento e della nascita di JJ, teste assolutamente indifferente e pertanto attendibile, il quale, oltre a confermare l’esistenza di una relazione sentimentale fra i due, ha dichiarato che un pomeriggio, non molto tempo dopo la nascita di JJ, la XX era arrivata nel locale con una foto del bambino e l’aveva fatta vedere sia a lui che al convenuto, che si trovava nel locale; in particolare ha dichiarato: “..lei aveva la foto del bimbo e l’ha fatta vedere sia a me che a YY, io gli dissi “YY è uguale a te”, la somiglianza era evidente. Poi io mi sono allontanato mentre loro parlavano.“.
CONCLUSIONI
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
1 – Accerta e dichiara che YY, nato il (omissis).(omissis).1971 a (omissis), (Austria), codice fiscale (omissis), residente a Bologna Via (omissis) n. (omissis), è il padre di JJ, nato il (omissis).(omissis).1999 ad (omissis) [ recte : località della Sardegna ; Nota redazionale ], residente a Pesaro (PU) Via (omissis) n. (omissis), codice fiscale (omissis), con ogni conseguenza di legge;
dispone la comunicazione del presente provvedimento all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di (omissis) [ recte : predetta località della Sardegna ; Nota redazionale ] (luogo di nascita) e di Pesaro (luogo di residenza), per quanto di competenza;
2 – dalla data della domanda, pone a carico del padre l’obbligo di contribuire al mantenimento ordinario del figlio versando entro il giorno 5 di ogni mese la somma di euro 150,00 alla madre, su conto corrente intestato alla medesima che gli verrà tempestivamente comunicato; tale somma sarà rivalutata annualmente secondo l’indice ISTAT; pone a carico di ciascuno dei genitori le spese straordinarie per i figli nella misura del 50% ciascuno; si applica il vigente Protocollo del Tribunale di Bologna, che di seguito integralmente si riporta:
spese ricomprese nel contributo ordinario al mantenimento:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA
PRIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Bruno Perla – Presidente
dott. Silvia Migliori – Giudice
dott. Francesca Neri – Giudice Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 11231/2018
avente ad oggetto
“dichiarazione giudiziale di paternità”
promossa da:
JJ (c.f. omissis), con il patrocinio dell’avv. Danilo Del Prete e dell’avv. Laura Lupi (c.f. omissis); elettivamente domiciliato in via San Decenzio, 16 Pesaro, presso il difensore avv. Danilo Del Prete
XX (c.f. omissis), con il patrocinio dell’avv. Danilo Del Prete e dell’avv. Laura Lupi (c.f. omissis); elettivamente domiciliato in via San Decenzio, 16 Pesaro, presso il difensore avv. Danilo Del Prete
ATTORI
contro
YY (c.f. omissis), con il patrocinio dell’avv. Gabriella Cassibba, elettivamente domiciliato in via Belvedere, 10 Bologna, presso il difensore avv. Gabriella Cassibba
CONVENUTO
con l’intervento del Pubblico Ministero
INTERVENUTO
CONCLUSIONI
Parte attrice:
“Voglia l’Ill.mo Giudice adito, respinta ogni contraria richiesta, eccezione e conclusione, così provvedere:
1) accertare e dichiarare che YY, nato il (omissis).(omissis).1971 a (omissis), (Austria), codice fiscale (omissis), residente a Bologna Via (omissis) n. (omissis), è il padre naturale di JJ, nato il (omissis).(omissis).1999 ad (omissis), residente a Pesaro (PU) Via (omissis) n. (omissis), codice fiscale (omissis), e per l’effetto:
2) condannare YY al risarcimento del danno endofamiliare, per perdita del rapporto parentale, in quell’ammontare che risulterà dovuto in corso di causa, da determinarsi eventualmente anche in via equitativa;
3) porre a carico di YY un assegno mensile quale contributo al mantenimento del figlio JJ, dell’importo di € 400,00, o quello maggiore o minore che il Tribunale riterrà di giustizia, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici ISTAT come per legge, da corrispondersi entro il giorno 5 di ogni mese, alla sig.ra XX;
4) condannare YY al pagamento in favore della Sig.ra XX di quella somma che risulterà dovuta in corso di causa a titolo di rimborso delle spese sostenute, sin dal momento della nascita, per il mantenimento del figlio JJ;
5) rigettare le domande formulate da parte convenuta in quanto infondate e comunque non provate.
Vinte le spese.“.
Parte convenuta:
“– nella ipotesi in cui venga riconosciuta la paternità del convenuto relativamente al Sig. YY, respingersi la richiesta di mantenimento in considerazione di quanto detto in narrativa, nonché delle condizioni economiche e di salute del Sig. YY, nonché la richiesta di risarcimento del danno da illecito endofamiliare in quanto infondate in fatto ed in diritto per tutti i motivi esposti in narrativa;
– In via subordinata: nella ipotesi in cui venga riconosciuta la paternità del convenuto relativamente al Sig. YY, respingersi la richiesta di risarcimento del danno da illecito endofamiliare in quanto infondata in fatto ed in diritto, e, nella denegatissima ipotesi in cui venga riconosciuto l’obbligo del convenuto di corresponsione del mantenimento, riconoscere l’intervenuta prescrizione delle somme oggetto di mantenimento e comunque la attuale sospensione di tale obbligo in ragione delle condizioni economiche e di salute del Sig. YY.
– In ogni caso: con vittoria di spese e dei compensi di causa, oltre agli accessori di legge, determinabili secondo il DM N 55/2014.“.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato nel mese di giugno 2018, JJ, nato a (omissis) [ recte : località della Sardegna ; Nota redazionale ] il (omissis) 1999, e XX, nata a Pesaro il (omissis).1976, entrambi residenti a Pesaro in Via (omissis) n. (omissis), allegavano che il JJ fosse figlio della XX e del convenuto YY; in particolare la XX esponeva di avere avuto una relazione sentimentale col convenuto dalla fine del 1997 sino al 1999, quando, essendo in attesa di un figlio da lui, nel mese di luglio aveva lasciato Pesaro, dove entrambi vivevano, per recarsi a partorire in Sardegna, secondo la tradizione della propria famiglia, di origine sarda, con l’accordo che sarebbe rientrata a Pesaro il prima possibile; tuttavia, una volta tornata effettivamente a Pesaro dopo poche settimane dalla nascita del figlio, apprendeva da una vicina di casa del YY che egli si era trasferito e non riusciva più a rintracciarlo, nonostante si fosse rivolta, per cercarlo, a tutti gli amici comuni; si era quindi occupata da sola di crescere il figlio, con l’aiuto dei propri genitori; allegava, in particolare:
Trovandosi priva di occupazione e con il figlio di appena quindici giorni da crescere, la sig.ra XX stabiliva la residenza propria e quella del figlio JJ presso l’abitazione dei genitori in Pesaro, sino all’anno 2008.
In tutto il periodo la sig.ra XX, pur non disponendo di una stabile occupazione, affrontava una vita sacrifici, svolgendo pesanti lavori stagionali, prendendosi cura in via esclusiva del mantenimento e della educazione del figlio.
Infatti, il sig. YY mai prendeva contattati con la sig.ra XX, non contribuiva in alcun modo alle spese necessarie al mantenimento del figlio, e neppure ne faceva la conoscenza.
Ad oggi la sig.ra XX è occupata solamente durante il periodo estivo e percepisce € 600,00 mensili circa, con cui deve far fronte anche al mutuo contratto per l’acquisto della abitazione in cui vive con il figlio JJ dall’anno 2008.
JJ, nel corso degli anni, anche a causa della totale assenza della figura paterna, ha dovuto affrontare gravi sofferenze psichiche e fisiche, sfociate peraltro in disturbi di apprendimento che si sono manifestati sin dalla età della scolarizzazione e concretatisi in difficoltà di lettura, problemi a denominare in modo rapido e corretto oggetti anche di uso comune, oppure a organizzare le sequenze di suoni nelle parole, nonché difficoltà attentive.
Detti disturbi specifici di apprendimento (cosiddetti “dsa”), con cui JJ ha dovuto convivere sin dalla tenera età, hanno portato nell’anno 2016 alla decisione di abbandonare il percorso di studio intrapreso (scuola agraria).
Attualmente, JJ frequenta un corso di termoidraulica presso il (omissis) di Pesaro, ma pur avendo raggiunto la maggiore età è privo di occupazione ed economicamente non autosufficiente: ancora oggi è la madre a provvedere in via esclusiva al suo mantenimento.
Formulava, pertanto, le domande già sopra riportate.
Si costituiva il convenuto, negando di avere mai avuto una relazione con l’attrice diversa da una semplice amicizia e negando di essere il padre del ragazzo.
In corso di causa erano assunte varie testimonianze che confermavano l’esistenza della relazione (R. L. e C. R.), pertanto era disposta ctu genetica, dalla quale emergeva con certezza la sussistenza del rapporto di paternità.
Va, pertanto, accolta la domanda formulata dagli attori al punto 1.
Circa la domanda formulata al punto 2, cioè la richiesta di condannare il convenuto “al risarcimento del danno endofamiliare, per perdita del rapporto parentale, in quell’ammontare che risulterà dovuto in corso di causa, da determinarsi eventualmente anche in via equitativa“, si osserva che il convenuto, nella comparsa di costituzione tempestivamente depositata, ha contestato l’esistenza della relazione sentimentale con l’attrice e dell’allegato rapporto di paternità, cioè gli unici fatti, di quelli allegati da parte attrice, che fossero a lui noti, non potendo ritenersi che l’onere di contestazione su di lui gravante si estendesse alle conseguenze dannose della mancanza della figura paterna nella vita del figlio, pure allegate in quella sede dagli attori («L’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti.» Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14652 del 18/07/2016 e successive conformi).
Pertanto parte attrice era onerata di fornire la prova delle suddette conseguenze, cioè del fatto che JJ sia cresciuto senza una figura paterna (che, in ipotesi, avrebbe anche potuto essere un eventuale nuovo compagno della madre) e di questo abbia sofferto, nonché la prova dell’allegato nesso causale con l’asserito disturbo dell’apprendimento, dal quale JJ sarebbe affetto, e con l’abbandono degli studi a 16 anni; circostanze, anche queste, meramente allegate, ma sfornite di prova.
Non è stato nemmeno allegato che la madre, né il figlio, abbiano mai cercato di mettersi in contatto col convenuto, prima dell’intervento del legale, a febbraio 2018; non è nemmeno chiaro quando e in quali circostanze la madre abbia rivelato al figlio l’identità del padre; al riguardo il teste G. D. D., nonno materno di JJ, ha dichiarato: “..solo dopo tanti anni ho saputo che il padre di JJ era vivo, quando JJ ha cominciato ad andare a scuola, l’ ho saputo da mia moglie o da mia zia, non ricordo bene. il cognome di quest’uomo l’ho saputo solo quando mi sono rivolto allo studio dell’avvocatessa Lupi. Mi sono rivolto a lei perché mio nipote voleva rintracciare il padre.“.
La Cassazione ha recentemente ribadito: «Ora, in ordine alla sussistenza dell’illecito endofamiliare dedotto in giudizio, attinente al rapporto filiale, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore, con disinteresse, protratto nel tempo, del genitore nei confronti del figlio, deve osservarsi che la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole può integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, in primis l’art.30 Cost., così dandosi luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità ed anche per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, sorgendo, sin dalla nascita, il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori (Cass. 5652/2012). Tuttavia, il mancato riconoscimento dei figli, per poter configurare un danno risarcibile, dovrà possedere i caratteri tipici dell’illecito civile.
Dovrà quindi essere causalmente determinante, colpevole e cagionare un danno ingiusto.» (Cass. 22496 del 2021).
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che l’allegato danno endofamiliare, nel caso di specie non risulti provato e che quindi la domanda sub 2 non possa essere accolta.
Quanto alla domanda sub 3 (porre a carico di YY un assegno mensile quale contributo al mantenimento del figlio JJ, dell’importo di € 400,00, o quello maggiore o minore che il Tribunale riterrà di giustizia, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici ISTAT come per legge, da corrispondersi entro il giorno 5 di ogni mese, alla sig.ra XX), la legittimazione attiva a richiedere il versamento di un contributo al mantenimento del figlio, maggiorenne ma non ancora economicamente autosufficiente, a carico del padre, sussiste senz’altro in capo all’altro genitore convivente.
Nel caso di specie, il figlio è ancora relativamente giovane (21 anni compiuti) e sta ancora completando la sua formazione professionale, frequentando un corso presso il (omissis) di Pesaro; il convenuto avrebbe potuto facilmente verificare tale circostanza, sulla quale, invece, non ha formulato contestazioni; tali elementi inducono a ritenere congruo porre a carico del padre, dalla data della domanda, un contributo al mantenimento ordinario del figlio di euro 150,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie.
Infatti, occorre considerare che il convenuto non si trova certo in una situazione economica florida; egli, infatti, è nato il (omissis)-(omissis)-1971, è stato dichiarato invalido civile al 75% con decorrenza dal 4-1-2019, risulta iscritto al Centro per l’Impiego e proprietario del solo immobile in cui vive (un’abitazione di categoria catastale A 4 con rendita catastale di euro 418,33, acquistata nel 2011 contraendo un mutuo ipotecario, di cui non risultano con precisione le condizioni), nonché ammesso all’applicazione di tariffa agevolata per gas ed elettricità dall’aprile 2019 e per un anno, nonché ammesso al PSS, e risulta avere svolto nella propria vita lavorativa, il mestiere di animatore turistico, e poi agente di commercio, e poi di Operatore Socio Sanitario e infine di gestore di un pubblico esercizio di vendita di cibi e bevande su concessione pubblica, posto di fronte allo Stadio “(omissis)”, fino alla cessazione di tale attività avvenuta nel 2018.
D’altra parte, è anche vero che la madre del ragazzo, secondo quanto dichiarato dal padre della stessa in sede di deposizione testimoniale, risulta anche lei affetta da patologie che non le consentono di svolgere, da circa tre anni, alcuna attività lavorativa, mentre in precedenza aveva comunque sempre svolto lavori stagionali o comunque a tempo determinato, nell’agricoltura e nella ristorazione; anche lei può comunque contare sulla proprietà dell’abitazione dove vive insieme al figlio, grazie al contributo dal proprio padre, per come dal medesimo dichiarato.
Sulla richiesta di cui al punto 4, ovvero: 4) condannare YY al pagamento in favore della Sig.ra XX di quella somma che risulterà dovuta in corso di causa a titolo di rimborso delle spese sostenute, sin dal momento della nascita, per il mantenimento del figlio JJ, si rammenta che è pacifico che il diritto al regresso sorge fin dalla nascita del figlio, posto che il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale, retroagisce a questo momento; il diritto ad ottenere il regresso può essere azionato solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di accertamento giudiziale della paternità; cfr. da ultimo Cass. civ. Sez. I Sent., 28/03/2017, n. 7960 che afferma: «La sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi dell’art. 277 c.c., e, quindi, giusta l’art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ex art. 148 c.c. La relativa obbligazione si collega allo “status” genitoriale ed assume, di conseguenza, pari decorrenza, dalla nascita del figlio, con il corollario che l’altro genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere del mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato (secondo i criteri di ripartizione di cui al citato art. 148 c.c.), ha diritto di regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dall’art. 1299 c.c. nei rapporti fra condebitori solidali.».
Inoltre, circa la prescrizione: «La sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento, ai sensi dell’art. 277 cod. civ., e, quindi, a norma dell’art. 261 cod. civ., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ex art. 148 cod. civ. La relativa obbligazione si collega allo “status” genitoriale e assume di conseguenza pari decorrenza, dalla nascita del figlio, con il corollario che l’altro genitore, il quale nel frattempo abbia assunto l’onere del mantenimento anche per la porzione di pertinenza del genitore giudizialmente dichiarato (secondo i criteri di ripartizione di cui al citato art. 148 cod. civ.), ha diritto di regresso per la corrispondente quota, sulla scorta delle regole dettate dall’art. 1299 cod. civ. nei rapporti fra condebitori solidali. Tuttavia, in considerazione dello stato di incertezza che precede la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il diritto al rimborso “pro quota” delle spese sostenute dalla nascita del figlio, spettante al genitore che lo ha allevato, non è utilmente esercitabile se non dal momento della sentenza di accertamento della filiazione naturale, con la conseguenza che detto momento segna altresì il “dies a quo” della decorrenza della prescrizione del diritto stesso.» (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15756 del 11/07/2006 e successive conformi; di recente: Cass. civ., Sez. I, 31 luglio 2020, n. 16561).
Nel caso di specie, non vi è dubbio che la madre si sia sempre fatta carico, senza alcun aiuto da parte del padre, di tutte le esigenze del figlio, dalla nascita e fino all’introduzione del presente giudizio (giugno 2018), per un periodo totale di 18 anni e 9 mesi; circa il quantum, si può presuntivamente ritenere che ella abbia speso in media una somma di circa euro 500,00 mensili, comprensiva anche delle spese straordinarie, il che corrisponde, per il suddetto periodo, alla somma di euro 112.500,00, dei quali il convenuto deve quindi essere condannato a rimborsarle la metà, pari ad euro 56.250,00, già comprensivi del danno da ritardo rappresentato dalla mancato tempestivo soddisfacimento del proprio credito, subìto dalla attrice, in quanto somma liquidata con criterio equitativo; su tale somma sono dovuti gli interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo effettivo.
Si soggiunge che, sebbene non sia stata fornita la prova che il figlio abbia subìto un danno risarcibile a causa dell’assenza della figura paterna, si ritiene, comunque, che il convenuto fosse consapevole del rapporto di paternità e ciò sulla base della testimonianza di C. R., gestore di un bar frequentato da entrambe le parti all’epoca del concepimento e della nascita di JJ, teste assolutamente indifferente e pertanto attendibile, il quale, oltre a confermare l’esistenza di una relazione sentimentale fra i due, ha dichiarato che un pomeriggio, non molto tempo dopo la nascita di JJ, la XX era arrivata nel locale con una foto del bambino e l’aveva fatta vedere sia a lui che al convenuto, che si trovava nel locale; in particolare ha dichiarato: “..lei aveva la foto del bimbo e l’ha fatta vedere sia a me che a YY, io gli dissi “YY è uguale a te”, la somiglianza era evidente. Poi io mi sono allontanato mentre loro parlavano.“.
Le spese legali seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, secondo i valori medi delle cause di valore compreso fra euro 26001 e 52.000, per tutte le fasi; le spese di ctu vanno compensate integralmente fra le parti, in quanto adempimento necessario a fini di giustizia.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
1 – Accerta e dichiara che YY, nato il (omissis).(omissis).1971 a (omissis), (Austria), codice fiscale (omissis), residente a Bologna Via (omissis) n. (omissis), è il padre di JJ, nato il (omissis).(omissis).1999 ad (omissis) [ recte : località della Sardegna ; Nota redazionale ], residente a Pesaro (PU) Via (omissis) n. (omissis), codice fiscale (omissis), con ogni conseguenza di legge;
dispone la comunicazione del presente provvedimento all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di (omissis) [ recte : predetta località della Sardegna ; Nota redazionale ] (luogo di nascita) e di Pesaro (luogo di residenza), per quanto di competenza;
2 – dalla data della domanda, pone a carico del padre l’obbligo di contribuire al mantenimento ordinario del figlio versando entro il giorno 5 di ogni mese la somma di euro 150,00 alla madre, su conto corrente intestato alla medesima che gli verrà tempestivamente comunicato; tale somma sarà rivalutata annualmente secondo l’indice ISTAT; pone a carico di ciascuno dei genitori le spese straordinarie per i figli nella misura del 50% ciascuno; si applica il vigente Protocollo del Tribunale di Bologna, che di seguito integralmente si riporta:
spese ricomprese nel contributo ordinario al mantenimento:
spese necessarie alla soddisfazione delle esigenze primarie di vita dei figli: quindi vitto, alloggio, abbigliamento ordinario , mensa scolastica e spese per l’ordinaria cura della persona.
Spese straordinarie da non concordare preventivamente in quanto ritenute in via generale nell’interesse dei figli:
- spese corrispondenti a scelte già condivise dei genitori e dotate della caratteristica della continuità, a meno che non intervengano a causa o dopo lo scioglimento dell’unione tra i genitori documentati mutamenti connessi a primarie esigenze di vita tali da rendere la spesa eccessivamente gravosa. A titolo esemplificativo : spese mediche precedute dalla scelta concordata dello specialista, ivi comprese le spese per i trattamenti e i farmaci prescritti; spese scolastiche costituenti conseguenza delle scelte concordata dai genitori in ordine alla frequenza dell’istituto scolastico; spese sportive, precedute dalla scelta concordata dello sport (ivi incluse le spese per l’acquisto delle relative attrezzature e corredo sportivo); spese ludico – ricreativo – culturali, precedute dalla scelta concordata della attività (ivi incluse le spese per l’acquisto delle relative attrezzature).
- Campi scuola estivi , baby sitter , pre scuola e post scuola se necessitate dalle esigenze lavorative del genitore collocatario e se il genitore non collocatario, anche per tramite della rete famigliare di riferimento (nonni, etc) non offre tempestive alternative.
- Spese necessarie per il conseguimento della patente di guida.
- Abbonamento mezzi di trasporto pubblici.
- Spese scolastiche di iscrizione e dotazione scolastica iniziale come da indicazione dell’istituto scolastico frequentato; uscite scolastiche senza pernottamento.
- Visite specialistiche prescritte dal medico di base; ticket sanitari e apparecchi dentistici o oculistici ivi comprese le lenti a contatto, se prescritti; spese mediche aventi carattere d’urgenza.
Tutte le altre spese straordinarie vanno concordate tra i genitori, con le seguenti modalità.
Il genitore che propone la spesa dovrà informarne l’altro per iscritto ( raccomandata, fax o mail) anche in relazione all’entità della spesa. Il tacito consenso dell’altro genitore sarà presunto decorsi trenta giorni dalla richiesta formale se quest’ultimo non abbia manifestato il proprio dissenso per iscritto (raccomandata, fax o mail) motivandolo adeguatamente, salvo diversi accordi.
Rimborso delle spese straordinarie
Il rimborso delle spese straordinarie a favore del genitore anticipatario avverrà dietro esibizione di adeguata documentazione comprovante la spesa.
La richiesta di rimborso dovrà avvenire in prossimità dell’esborso.
Il rimborso dovrà avvenire tempestivamente dalla esibizione del documento di spesa e non oltre quindici giorni dalla richiesta, salvo diversi accordi.
La documentazione fiscale deve essere intestata ai figli ai fini della corretta deducibilità della stessa.
Gli eventuali rimborsi e/o sussidi disposti dalla Stato e/o altro Ente Pubblico o Privato per spese scolastiche e/o sanitarie relative alla prole vanno a beneficio di entrambi i genitori nella stessa proporzionale quota di riparto delle spese straordinarie.
3 – accertato il diritto dell’attrice ad ottenere dal convenuto il pagamento pro quota, in ragione del 50%, di tutte le spese, ordinarie e straordinarie, sostenute per il mantenimento del figlio, dalla nascita fino all’introduzione del presente giudizio, per l’effetto condanna il convenuto a versare all’attrice la somma di euro 56.250,00 oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo effettivo;
4 – compensa integralmente fra le parti le spese di ctu;
5 – condanna il convenuto a rifondere all’attrice le spese legali che si liquidano in euro 545 per spese, euro 7.254 per compensi, oltre spese generali e accessori come per legge.
Così è deciso in Bologna nella camera di consiglio del 9 marzo 2022.
Il Giudice Relatore
dott. Francesca Neri
Il Presidente
dott. Bruno Perla
LA CASSAZIONE SULDANNO ENDOFAMIGLIARE
, di assumersi le proprie responsabilità conseguenti al concepimento di una creatura”. 4.6 – Risulta agevole quindi constatare come, sulla base di tali emergenze processuali, la corte territoriale abbia correttamente affermato la responsabilità del D. , derivante dalla volontaria, grave e reiterata sottrazione agli obblighi tutti derivanti dal rapporto di filiazione, con conseguente risarcibilità – sia pure nei limiti della riduzione del petitum, sulla base della interpretazione della domanda così come operata dai giudici del merito, vale a dire1 con la limitazione, per ragioni che sfuggono a qualsiasi tentativo di comprensione, al pregiudizio sofferto nel periodo successivo al raggiungimento della maggiore età – dei danni di natura non patrimoniale “per la subita lesione dei fondamentali diritti della persona inerenti la qualità di figlio”. 4.7 – Le questioni che la presente vicenda pone, per le numerose implicazioni giuridiche, meriterebbero ampia disamina, inserendosi esse nella più vasta problematica della responsabilità aquiliana nei rapporti familiari che negli ultimi anni è stata interessata da una vasta rielaborazione sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali della persona; l’esame, tuttavia, dovrà essere, nel rispetto dell’economia del presente giudizio, limitato agli aspetti enucleati nei quesiti di diritto validamente proposti. 4.8 – Viene in primo luogo in considerazione la tesi secondo cui il riconoscimento della paternità, o, come sembra di capire, quanto meno la proposizione della relativa domanda, costituiscano il presupposto della responsabilità aquiliana scaturente dalla violazione dei doveri inerenti al rapporto di filiazione. Tale assunto è all’evidenza infondato, in quanto contrastante con il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui l’obbligo del genitore naturale di concorrere nel mantenimento del figlio insorge con la nascita dello stesso, ancorché la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza (Cass., 20 dicembre 2011, n. 27653; Cass., 3 novembre 2006. n. 23596), atteso che la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento e quindi, ai sensi dell’art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell’art. 148 c.c., ricollegandosi tale obbligazione allo status genitoriale e assumendo, di conseguenza, efficacia retroattiva (Cass., 17 dicembre 2007, n. 26576 pari decorrenza, dalla nascita del figlio (Cass., 11 luglio 2006, n. 15756; Cass., 14 maggio 2003, n. 7386; Cass., 14 febbraio 2003, n. 2196). La sussistenza di tale obbligo, raccordata alla consapevolezza del concepimento, come sopra evidenziata, esclude la fondatezza della tesi secondo cui la responsabilità del D. dovrebbe escludersi in assenza di specifiche richieste provenienti dalla S. o dal figlio. Prescindendo dal rilievo inerente all’inutilità di richieste successive dopo un rifiuto iniziale espresso in termini categorici, soccorre il principio secondo cui l’obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 c.c.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda, sicché nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori (Cass., 2 febbraio 2006, n. 2328). 4.9 – Quanto alla dedotta insussistenza di un diritto al risarcimento del danno, per violazione del complesso dei doveri facenti capo al genitore naturale, e limitati nella presente vicenda al periodo compreso fra il raggiungimento, da parte del figlio, della maggiore età ed il conseguimento dell’autosufficienza sul piano economico, premesso che la relativa liquidazione, costituendo questione di merito, non può essere sindacata in questa sede, non essendosi per altro validamente prospettati, come sopra evidenziato, vizi motivazionali, deve ribadirsi come la violazione di obblighi cui corrispondono, nel destinatario, diritti primari della persona, costituzionalmente garantiti, comporta la sussistenza di un illecito civile certamente riconducibile nelle previsioni dell’art. 2043 c.c. e segg.. Nell’ambito di un vasto orientamento, formatosi sia in dottrina, che nella giurisprudenza, tanto di merito (Trib. Venezia, 30 giugno 2004; Corte app. Bologna, 10 febbraio 2004), quanto di legittimità (Cass., 7 giugno 2000, n. 7713; Cass., 10 maggio 2005, n. 9801, fino alla recente Cass., 15 settembre 2011, n. 18853), è stato, da tempo enucleata la nozione di illecito endofamiliare, in virtù della quale la violazione dei relativi doveri non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c.. Il riferimento del ricorrente alla nota decisione delle Sezioni unite di questa Corte n. 26972 del 2008, proponendone una lettura riduttiva e fondata su un rilevo di carattere nominalistico, non coglie nel segno, essendosi al contrario con essa ribadito come, al di là del ricorso a varie figure di danno, diversamente denominate per meri fini descrittivi, debba affermarsi, in base a un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., la risarcibilità del pregiudizio di natura non patrimoniale, quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale. Non può dubitarsi, con riferimento al caso di specie, come il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, manifestatosi per lunghi anni e connotato, quindi, dalla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determini un vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole ed anche, purtroppo, ineliminabili, a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano nella carta costituzionale (in part., artt. 2 e 30), e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela
Sez. 1^ Civile, Sentenza n. 5652 del 10 Aprile 2012 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente – Dott. DIDONE Antonio – Consigliere – Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere – Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere – Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: S.G.C.M. domiciliato in Roma, presso la cancelleria della Suprema Corte di cassazione; rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. ARENA LINA; – ricorrente – contro D.I. , Elettivamente domiciliato in Roma, via dei Gracchi, n. 187, nello studio dell’avv. MAGNANO GIOVANNI di San Lio; rappresentato e difeso dall’avv. Emilio Monfrini, giusta procura speciale a margine del controricorso. – controricorrente – nonché sul ricorso proposto da: D.I. come sopra rappresentato; – ricorrente in via incidentale – contro S.G.C.M. come sopra rappresentato; – controricorrente a ricorso incidentale – avverso la sentenza della Corte di appello di Catania, n. 654, depositata in data 13 maggio 2008; sentita la relazione all’udienza del 10 gennaio 2012 del consigliere Dott. Pietro Campanile; Sentito l’avv. Arena, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso; Udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto Dott. Costantino Fucci, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso principale e dell’incidentale; Lette le osservazioni scritte dell’avv. Arena. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1 – Con atto di citazione notificato in data 24 gennaio 2002 S.G. esponeva di essere figlio naturale riconosciuto di S.I. , essendo nato – il (omesso) – da una relazione della stessa con D.I. . Aggiungeva che costui, venuto a conoscenza del concepimento, aveva interrotto ogni rapporto con la donna, rifiutandosi, anche in seguito, di riconoscere il figlio e di mantenerlo, così costringendolo a un’esistenza, considerate le misere condizioni della madre, piena di stenti e di privazioni, nel corso della quale andava incontro a varie vicissitudini (come esperienze di natura penale e la contrazione del virus HIV), poi superate con la costituzione di un proprio nucleo familiare. Tanto premesso, chiedeva che il Tribunale di Catania, accertata detta filiazione naturale, disponesse a proprio favore un assegno mensile a titolo di alimenti ponendolo a carico del convenuto, condannando altresì costui a corrispondergli ” a titolo di restituzione o risarcimento del danno una somma pari all’assegno alimentare dovuto dal raggiungimento della maggiore età fino alla data della domanda”. 1.1 – Costituitosi il D. , che chiedeva il rigetto delle domande, contestando principalmente di essere il padre naturale dell’attore, il Tribunale adito, con sentenza depositata il 20 gennaio 2006, sulla base delle prove acquisite e del sostanziale rifiuto del convenuto di sottoporsi al prelievo per l’esecuzione della disposta consulenza ematologica, accoglieva lei domanda di dichiarazione di paternità; rigettava la richiesta di assegno alimentare e, in parziale aiccoglimento della pretesa risarcitoria, in considerazione del pregiudizio di natura esistenziale inerente al periodo compreso – sulla base della specifica limitazione contenuta nell’atto introduttivo del giudizio – fra il raggiungimento della maggiore età e il momento in cui non era più configurabile un obbligo di mantenimento, liquidava, in via equitativa, la somma di Euro 25.000, con interessi e rivalutazione dalla data della domanda. 1.2 – Avverso tale decisione proponeva appello il D. , eccependone in primo luogo la nullità, per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti della propria moglie e dei suoi figli legittimi, ritenuti litisconsorti necessari, e deducendo, nel merito, l’assenza di validi elementi probatori per il riconoscimento della paternità (tenuto anche conto dei seri impedimenti che si erano verificati in occasione delle date in cui erano stati disposti i prelievi), e che, in ogni caso, non vi era stato alcun rifiuto di assistere lo S. , in quanto la madre, dopo un incontro nel corso del quale egli le aveva manifestato di ritenere di non essere il padre del bambino, non si era fatta più vedere, così radicando in lui tale convinzione. D’altra parte, lo S. , che aveva intrapreso il giudizio dopo aver superato il quarantesimo anno di età, risultava proprietario di un appartamento, titolare di pensione e coniugato con figli, uno dei quali già dedito ad attività lavorativa. Instauratosi il contraddittorio, lo S. chiedeva il rigetto dell’appello proposto dal D. , proponendo a sua volta impugnazione incidentale con cui, oltre a dolersi dell’incongruità per difetto della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, sosteneva che la richiesta di un assegno alimentare doveva essere interpretata come una componente del ristoro del pregiudizio, e, più precisamente, come rendita vitalizia ex art. 2057 c.. 1.3 – La Corte di appello di Catania, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava tanto l’appello principale quanto quello incidentale, compensando le spese processuali. Ritenuta infondata la tesi secondo cui il coniuge e i figli del D. erano da considerare litisconsorti necessari, in quanto priva di qualsiasi riscontro sul piano normativo, si osservava che il complesso delle risultanze probatorie era stato correttamente valutato nel senso del riconoscimento della paternità naturale in capo all’appellante principale. Da un lato venivano richiamati i riferimenti di natura documentale e testimoniale circa la relazione amorosa fra il D. e I..S. all’epoca del concepimento dell’appellato, non omettendosi di sottolineare i comportamenti tenuti anche dai congiunti del D. , come quello del fratello avvocato, il quale aveva consegnato la somma di lire 500.000 alla donna, dicendole di non farsi più vedere; dall’altro veniva evidenziato il carattere pretestuoso della mancata comparizione del convenuto per sottoporsi ai prelievi ematici, così tenendo un comportamento dal quale desumere, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, significativi elementi di prova. Quanto agli aspetti di natura risarcitoria, si e-sprimeva in primo luogo un giudizio di correttezza in merito all’interpretazione della domanda effettuata in primo grado, evidenziandosi il carattere di novità della richiesta di una rendita vitalizia. Ribadita l’insussistenza dei presupposti per l’attribuzione di un assegno alimentare, si confermava la statuizione inerente all’accoglimento della pretesa risarcitoria in relazione alla violazione, ritenuta consapevole, di un diritto fondamentale della persona, quale quello, facente capo al figlio, di ricevere dai propri genitori assistenza materiale e morale. Tenuto conto della limitazione della domanda al periodo successivo al raggiungimento della maggiore età dello S. , valutate anche le condizioni in cui egli concretamente versava, è le difficoltà incontrate negli anni giovanili, le vicissitudini che gli avevano minato anche la salute, si esprimeva un giudizio di congruità in relazione alla somma determinata in via equitativa dal Tribunale a titolo di ristoro del pregiudizio subito dall’attore, precisandosi, anche con riferimento a difformi interprefazioni del dispositivo di condanna emerse in sede esecutiva, che la rivalutazione ed il calcolo degli interessi legali sulla somma attribuita dovevano effettuarsi a partire dalla data della domanda. 1.4 – Per la cassazione di tale decisione lo S. propone ricorso, affidato a due motivi. Il D. si difende con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, affidato a due motivi, cui lo S. resiste con controricorso. La difesa del ricorrente ha presentato osservazioni scritte all’esito delle conclusioni del pubblico ministero, ai sensi dell’art. 379 c.p.c., u.c.. MOTIVI DELLA DECISIONE 2 – Deve preliminarmente disporsi la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima decisione. 2.1 – Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia “errata e comunque ingiusta valutazione equitativa del danno”. Si duole lo S. dell’omessa considerazione delle conseguenze della violazione dei doveri inerenti all’assistenza, alla cura, al mantenimento e all’istruzione del figlio, nonché della contraddizione consistente nella descrizione, nella sentenza impugnata, dei pregiudizi di natura esistenziale e patrimoniale subiti soprattutto durante la sua sfortunata giovinezza e della modestia dell’importo liquidato, specificandosi che la limitazione nella domanda del termine iniziale da considerare ai fini risarcitori, fatto coincidere con il raggiungimento della maggiore età, voleva “significare che il danno lamentato era un danno permanente legato alla perdita di chances per un inserimento dignitoso nella vita sociale e quindi lavorativa”. Sotto tale profilo si evidenzia che la richiesta modalità di liquidazione non costituiva, come erroneamente ritenuto dai giudici del merito, una domanda nuova. Viene quindi formulato il seguente quesito: “Postocché l’attore ha dimostrato con le prove documentali ed orali ivi compresa la mancata presentazione a rendere l’interrogatorio formale del convenuto D.I. , il risarcimento del danno patrimoniale e morale conseguente alle sofferenze inflitte e costituite dalla lesione di valori inerenti alla persona e costituzionalmente garantiti dovrà essere supportato da una motivazione congruente e logica da giustificare un risarcimento adeguato ai valori della vita contemporanea. I principi di diritto vengono attinti dall’art. 1226 c.c. e art. 2057 c.c.. La motivazione offerta dalla Corte di appello di Catania e fedelmente ricopiata da quella data dal Tribunale di Catania con la sentenza n. 136/06 non si può ritenere adeguata, coerente o proporzionata a sorreggere e giustificare il capo di sentenza con il quale è stata accordata la liquidazione del danno nella misura di Euro 25.000,00, sia perché il danno è stato limitato a pochi anni di insufficiente capacità lavorativa del figlio, mentre le prove offerte davano una visione definitiva e radicale del danno esistenziale e biologico da intendere o riferire all’intero arco della vita, sia perché tra i due momenti decisori si intravede una scissione ed una contraddizione che non si possono ricondurre al principio della valutazione equitativa del danno”. 2.2 – Con il secondo motivo si afferma che la compensazione delle spese del giudizio di secondo grado sarebbe errata ed ingiusta, con riferimento all’omessa considerazione dell’assoluta infondatezza dei motivi di appello formulati dal D. . Viene indicato il seguente; quesito di diritto: “In considerazione dell’assoluta infondatezza e pretestuosità dell’atto di impugnazione della sentenza di primo grado pronunciata dal tribunale di Catania in data 20 gennaio 2006, le spese e gli onorari del giudizio debbono essere posti a carico della parte che ha promosso il giudizio di appello ancorché l’appellato abbia proposto appello incidentale su una questione di rilevante valore morale e sociale che il giudice di primo grado aveva valutato ed accolto sia pure parzialmente”. 3 – Il ricorso principale è inammissibile. Debbono, infatti, trovare applicazione, per essere stata impugnata una sentenza depositata in data 13 maggio 2008, le disposizioni del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, (in vigore dal 2 marzo 2006 sino al 4 luglio 2009), con particolare riferimento all’art. 6, che ha introdotto l’art. 366 bis c.p.c.. Alla stregua di tali disposizioni – la cui peculiarità rispetto alla già esistente prescrizione della indicazione nei motivi di ricorso della violazione denunciata consiste nella imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto al fine del miglior esercizio della funzione nomofilattica – l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto che, riassunti gli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito e indicata sinteticamente la regola di diritto applicata da quel giudice, enunci la diversa regola di diritto che ad avviso del ricorrente si sarebbe dovuta applicare nel caso di specie, in termini tali per cui dalla risposta che ad esso si dia discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame. Analogamente, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione del motivo deve contenere (cfr. ex multis: Cass. Sez. Un. n. 20603 del 2007; Cass., n. 16002 del 2007; Cass., n. 8897 del 2008) un momento di sintesi – omologo del quesito di diritto – che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. 3.1 – Tanto premesso, deve porsi in evidenza come il quesito relativo al primo motivo, così riflettendo, anzi, accentuando quella mescolanza di questioni di merito con pretese violazioni di legge che caratterizza l’intera illustrazione delle doglianze, e in tal modo configurando piuttosto un treno di generiche lamentazioni che una censura formulata nel rispetto dei canoni normativi, contiene, in maniera indistinta, riferimenti sia alla motivazione della decisione impugnata, sia ai principi di diritto, per il vero non perspicuamente individuati, asseritamente violati, in maniera tale da non consentire, non essendo concepibile alcuna risposta di segno positivo o negativo, di accedere all’esame delle questioni che si agitano nell’ambito di una così dolorosa vicenda. Le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, “rispondono alla esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie. Il quesito di diritto costituisce, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata, e quindi – non ammissibile, l’investitura stessa del Giudice di legittimità” (per tutte, Cass. S.U. n. 3519 del 2008; n. 22640 del 2007; n. 14385 del 2007). Pertanto, ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso deve consentire l’individuazione del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera di questa Corte di Cassazione possa condurre ad una decisione di segno diverso. Il quesito deve poi costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del Giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. La giurisprudenza di questa Corte esclude, quindi, che possano proporsi motivi cumulativi e, comunque, che si concludano con un quesito che non permetta di riferirlo in modo chiaro ed univoco ad uno di essi (Cass. n. 5471 del 2008; n. 1906 del 2008) e che non evidenzi l’elemento strutturale della norma che si assume violata, non consistendo in una chiara sintesi logico – giuridica della questione sottoposta, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (Cass. S.U., n. 20360 del 2007). 3.2 – Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione al secondo motivo, non senza rilevare che la censura non sembra cogliere la ratio decidendi, fondata, ai fini della compensazione delle spese processuali, sulla reciproca soccombenza. 4 – Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia violazione ed errata interpretazione dell’art. 276 c.c., ribadendosi l’eccezione di nullità per omessa integrazione del contraddittorio nei confronti della moglie e dei figli legittimi del D. . Si sostiene che nella specie ricorrerebbe un’ipotesi di litisconsorzio necessario, in quanto la sfera giuridica dei predetti soggetti sarebbe interessata dal riconoscimento di uno status diverso da quello originario derivante dall’accoglimento della domanda principale proposta dallo S. . Viene formulato il seguente quesito di diritto: “Se è vero che l’art. 276 c.c., indica come soggetto passivo dell’azione di dichiarazione giudiziale di paternità il solo presunto genitore e, solamente in mancanza di costui, i suoi eredi, non è meno vero che la tutela dello “status” di figlio legittimo possa non essere considerata altrettanto necessaria. La presenza in giudizio dei figli legittimi (anche se la norma in esame li considera contrad-dittori solo in assenza del presunto genitore) serve a tutelare il loro status, ad evitare che possa introdursi in famiglia, con conseguenti riflessi personali e patrimoniali un “presunto” figlio, specie ove il presunto genitore evita di sottoporsi alle prove ematologi che per favorire l’estraneo, per ragioni in contrasto con la famiglia legittima. Ove vi fosse collusione fra il “presunto genitore” e il “presunto figlio” ai figli legittimi non resterebbe che impugnare la sentenza ex art. 404 c.p.c.”. 4.2 – Il motivo, per come formulato, presenta vari profili di inammissibilità, in quanto, limitandosi a proporre una mera esegesi dell’art. 276 c.c. (per altro in senso difforme dal costante insegnamento di questa Corte, secondo cui, in base al chiaro disposto dell’art. 276 c.c., comma 1, legittimato passivo nel giudizio per l’accertamento della paternità naturale è il presunto genitore, ovvero, in caso di mancanza di questo, i suoi soli eredi, mentre la posizione di altri soggetti, portatori di interessi patrimoniali o non patrimoniali contrari all’accertamento della filiazione è disciplinata dal secondo comma della stessa disposizione, che attribuisce loro la legittimazione a contraddire alla domanda intervenendo nel processo, e non anche quella ad essere citati in giudizio come contraddittori necessari (Cass., Sez. Un., 3 novembre 2005, n. 21287, in motivazione; Cass., 28 aprile 1993, n. 8915; 17 febbraio 1987, n. 1693), non indica quale principio risulta applicato dalla corte territoriale e la diversa regula iuris ritenuta corretta (Cass., Sez. un., 20 maggio 2010, n. 12339), ne’, soprattutto, gli elementi concreti della fattispecie, ragion per cui qualsiasi risposta non consentirebbe la risoluzione della controversia. 4.3 – Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia: “Errato condannatorio per danni non patrimoniali – danno esistenziale subito dallo S. . Carenza del presupposto essenziale per addebito della responsabilità e, quindi, violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Errata valutazione delle prove acquisite e, quindi, violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Inconcepibilità del danno definito esistenziale”. Vengono formulati i seguenti quesiti di diritto: “Dica la Corte se può addebitarsi al genitore naturale la responsabilità del mancato contributo al mantenimento di un presunto figlio naturale, se nessuna richiesta di accertamento della paternità è stata esercitata dal genitore che ha la potestà sul minore, e ciò dalla nascita del presunto figlio sino al raggiungimento della maggiore età, ed anche dopo da parte del figlio divenuto maggiorenne? Può addebitarsi responsabilità al presunto genitore che non ha ricevuto alcuna formale richiesta per il riconoscimento del presunto figlio e ciò per oltre 40 anni e che, quindi, non si è sottratto ad alcun obbligo di mantenimento, essendo inesistente la prova (o comunque t l’accertamento in corso) della paternità. Può emettersi condanna al risarcimento del danno “esistenziale” – per il periodo dal raggiungimento della maggiore età alla data di inizio dell’azione di accertamento della paternità – nel caso in esame promossa dopo 43 anni dalla nascita – a carico del presunto padre e, quindi, in assenza di alcun obbligo al mantenimento (elemento soggettivo per la declaratoria di responsabilità) e senza fornire la prova del danno in violazione dell’art. 2059 c.c. – tanto più che dopo un anno dal raggiungimento della maggiore età il presunto figlio si è sposato, costituendo autonomo nucleo familiare, acquisendo per donazione materna una casa, di abitazione – e, quindi, esistendo agli atti la prova della inesistenza del preteso danno esistenziale, in ogni caso non addebitatile al presunto padre che, dopo l’iniziale richiesta informale di riconoscimento, nulla ha più saputo circa la vita di relazione del presunto figlio. I principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza circa il danno esistenziale riguardano lo status di figlio già riconosciuto e non uno status accertato ex post (nel caso in esame dopo 40 anni)”. 4.4 – Deve preliminarmente rilevarsi come, a fronte di un motivo che contiene rilievi sia in merito alle valutazioni giuridiche operate nella decisione impugnata che alla motivazione della stessa, viene proposto un quesito di diritto, articolato in più punti, che attiene esclusivamente alla violazione o all’interpretazione delle norme applicate dal giudice del merito. Deve pertanto trovare applicazione il principio secondo il quale è ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto, qualora lo stesso si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (Cass., Sez. Un., 31 marzo 2009, n. 7770). Attesa, quindi, l’ammissibilità del ricorso per Cassazione che denunzi con unico motivo vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto (Cass., sez. 1^, 18 gennaio 2008, n. 976), ogni censura deve ritenersi ammissibile nella parte in cui sia corredata da un idoneo quesito o dall’indicazione del fatto controverso, nei termini più volte ribaditi da questa Corte. Nel caso in esame, pertanto, il motivo deve ritenersi ammissibile nella parte in cui risultano formulati, quanto alle violazioni di legge, validi quesiti di diritto, mentre deve rilevarsi l’inammissibilità delle censure attinenti a vizi della motivazione, in quanto non sorrette da una corretta illustrazione di quel momento di sintesi, omologo del quesito di diritto, richiesto dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, come sopra richiamata. 4.5 – Deve pertanto ritenersi non più controvertibile la ricostruzione della vicenda così come operata dalla corte territoriale, sia con riferimento all’accertamento della paternità naturale, per il vero non adeguatamente contestata, sia in relazione agli aspetti, di certo rilevanti in materia aquiliana, di natura psicologica, nel senso che, come si legge nella decisione impugnata, il D. era “ben a conoscenza dell’esistenza del figlio”, del quale si era totalmente disinteressato “nonostante, quanto meno fino a una certa epoca, avesse ricevuto specifiche richieste, da parte della S. , di assumersi le proprie responsabilità conseguenti al concepimento di una creatura”. 4.6 – Risulta agevole quindi constatare come, sulla base di tali emergenze processuali, la corte territoriale abbia correttamente affermato la responsabilità del D. , derivante dalla volontaria, grave e reiterata sottrazione agli obblighi tutti derivanti dal rapporto di filiazione, con conseguente risarcibilità – sia pure nei limiti della riduzione del petitum, sulla base della interpretazione della domanda così come operata dai giudici del merito, vale a dire1 con la limitazione, per ragioni che sfuggono a qualsiasi tentativo di comprensione, al pregiudizio sofferto nel periodo successivo al raggiungimento della maggiore età – dei danni di natura non patrimoniale “per la subita lesione dei fondamentali diritti della persona inerenti la qualità di figlio”. 4.7 – Le questioni che la presente vicenda pone, per le numerose implicazioni giuridiche, meriterebbero ampia disamina, inserendosi esse nella più vasta problematica della responsabilità aquiliana nei rapporti familiari che negli ultimi anni è stata interessata da una vasta rielaborazione sotto il profilo della tutela dei diritti fondamentali della persona; l’esame, tuttavia, dovrà essere, nel rispetto dell’economia del presente giudizio, limitato agli aspetti enucleati nei quesiti di diritto validamente proposti. 4.8 – Viene in primo luogo in considerazione la tesi secondo cui il riconoscimento della paternità, o, come sembra di capire, quanto meno la proposizione della relativa domanda, costituiscano il presupposto della responsabilità aquiliana scaturente dalla violazione dei doveri inerenti al rapporto di filiazione. Tale assunto è all’evidenza infondato, in quanto contrastante con il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui l’obbligo del genitore naturale di concorrere nel mantenimento del figlio insorge con la nascita dello stesso, ancorché la procreazione sia stata successivamente accertata con sentenza (Cass., 20 dicembre 2011, n. 27653; Cass., 3 novembre 2006. n. 23596), atteso che la sentenza dichiarativa della filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento e quindi, ai sensi dell’art. 261 c.c., implica per il genitore tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ai sensi dell’art. 148 c.c., ricollegandosi tale obbligazione allo status genitoriale e assumendo, di conseguenza, efficacia retroattiva (Cass., 17 dicembre 2007, n. 26576 pari decorrenza, dalla nascita del figlio (Cass., 11 luglio 2006, n. 15756; Cass., 14 maggio 2003, n. 7386; Cass., 14 febbraio 2003, n. 2196). La sussistenza di tale obbligo, raccordata alla consapevolezza del concepimento, come sopra evidenziata, esclude la fondatezza della tesi secondo cui la responsabilità del D. dovrebbe escludersi in assenza di specifiche richieste provenienti dalla S. o dal figlio. Prescindendo dal rilievo inerente all’inutilità di richieste successive dopo un rifiuto iniziale espresso in termini categorici, soccorre il principio secondo cui l’obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 c.c.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda, sicché nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori (Cass., 2 febbraio 2006, n. 2328). 4.9 – Quanto alla dedotta insussistenza di un diritto al risarcimento del danno, per violazione del complesso dei doveri facenti capo al genitore naturale, e limitati nella presente vicenda al periodo compreso fra il raggiungimento, da parte del figlio, della maggiore età ed il conseguimento dell’autosufficienza sul piano economico, premesso che la relativa liquidazione, costituendo questione di merito, non può essere sindacata in questa sede, non essendosi per altro validamente prospettati, come sopra evidenziato, vizi motivazionali, deve ribadirsi come la violazione di obblighi cui corrispondono, nel destinatario, diritti primari della persona, costituzionalmente garantiti, comporta la sussistenza di un illecito civile certamente riconducibile nelle previsioni dell’art. 2043 c.c. e segg.. Nell’ambito di un vasto orientamento, formatosi sia in dottrina, che nella giurisprudenza, tanto di merito (Trib. Venezia, 30 giugno 2004; Corte app. Bologna, 10 febbraio 2004), quanto di legittimità (Cass., 7 giugno 2000, n. 7713; Cass., 10 maggio 2005, n. 9801, fino alla recente Cass., 15 settembre 2011, n. 18853), è stato, da tempo enucleata la nozione di illecito endofamiliare, in virtù della quale la violazione dei relativi doveri non trova necessariamente sanzione solo nelle misure tipiche previste dal diritto di famiglia, discendendo dalla natura giuridica degli obblighi suddetti che la relativa violazione, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, possa integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c.. Il riferimento del ricorrente alla nota decisione delle Sezioni unite di questa Corte n. 26972 del 2008, proponendone una lettura riduttiva e fondata su un rilevo di carattere nominalistico, non coglie nel segno, essendosi al contrario con essa ribadito come, al di là del ricorso a varie figure di danno, diversamente denominate per meri fini descrittivi, debba affermarsi, in base a un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., la risarcibilità del pregiudizio di natura non patrimoniale, quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale. Non può dubitarsi, con riferimento al caso di specie, come il disinteresse dimostrato da un genitore nei confronti di un figlio, manifestatosi per lunghi anni e connotato, quindi, dalla violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, determini un vulnus, dalle conseguenze di entità rimarchevole ed anche, purtroppo, ineliminabili, a quei diritti che, scaturendo dal rapporto di filiazione, trovano nella carta costituzionale (in part., artt. 2 e 30), e nelle norme di natura internazionale recepite nel nostro ordinamento un elevato grado di riconoscimento e di tutela. 5 – In considerazione della reciproca soccombenza vanno compensate le spese processuali relative al presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsa; dichiara inammissibile il ricorso principale, rigetta l’incidentale. Dichiara interamente compensate le spese processuali relative al presente giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 gennaio 2012. Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2012
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