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Tribunale Latina 1 INCIDENTE MORTALE LATINA 2 RISARCIMENTO 3 AVVOCATO ESPERTO BOLOGNA

CHIAMA UN AVVOCATO MOLTO ESPERTO CHE OTTIENE IL GIUSTO DANNO PER TE 

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FATTO

Con atto di citazione ritualmente notificato, M.M., in proprio e quale erede del coniuge R.V., conveniva in giudizio C.N. (nato a B., R., il (…)), quale conducente del veicolo ritenuto unico responsabile, nonché U. spa, quale assicurazione del N., e I.M. spa, quale assicurazione del conducente de cuius Vertolomo, al fine di chiedere il risarcimento di tutti i danni subìti per il sinistro occorso in T. loc. B.go H. alla via P. da B. alle ore 19,00 circa del 26 febbraio 2012, nel quale il suo coniuge, R.V., perdeva la vita dopo un apprezzabile lasso temporale, mentre l’attrice stessa, in stato di gravidanza al quinto mese, riportava – unitamente alla perdita del feto – lesioni gravissime.

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La dinamica del sinistro, meglio descritta dai verbali di p.g. in atti, rappresentava che il conducente della B. (sig. N.), in stato di alterazione alcolemica, sopraggiungendo a grande velocità, perdeva il controllo del veicolo, invadeva la corsia opposta dove transitava la vettura SMART condotta dal V. con accanto sua moglie, impattandola frontalmente. A seguito del sinistro interveniva la Polstada che, allertato il 118, trasportava l’attrice ed suo marito presso l’Ospedale Santa M.G.L.: la prima veniva accettata in Pronto Soccorso con diagnosi “Politraumatica”, mentre il V. spirava proprio allorché l’Autoambulanza giungeva presso il Pronto Soccorso. Con sentenza di condanna n. 1157/12, in atti, all’esito del procedimento R.G. GIP n. 1689/12, il GUP presso il Tribunale di Latina condannava il conducente N. alla pena di anni 8 di reclusione per i reati di omicidio colposo (ex art. 589 comma 3 n. 1 c.p.), lesioni personali (ex art. 590,comma 3 c.p.) nonché per il reato di procurato aborto (ex art. 17 L. n. 194 del 1978), con custodia cautelare in carcere e l’interdizione perpetua dai pubblici, rinviando le parti civili costituite davanti al Giudice civile per la liquidazione integrale del danno. Con sentenza del 12 dicembre 2013 n. 09663 (in atti) la Corte d’Appello di Roma Sezione Penale I, in riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Latina del 26 novembre 2012, riduceva la pena da anni otto ad anni sei di reclusione e, visto l’art. 222 comma 12 CdS, revocava la patente di guida nei confronti dell’imputato N. confermando, per il resto, la sentenza di primo grado. L’attrice chiedeva, pertanto, il risarcimento del danno biologico iure successionis quale moglie del defunto V.R. e quello morale iure successionis, nonché il danno biologico iure proprio permanente e temporaneo (assoluto e relativo), quello esistenziale e da lesione del rapporto parentale iure proprio subìto per la perdita del marito; ancora, chiedeva il risarcimento del danno patrimoniale iure proprio subìto per essere stata privata delle utilità economiche di cui beneficiava; infine, chiedeva accertarsi la responsabilità per mala gestio delle due compagnie di assicurazione con condanna anche oltre massimale, oltre interessi moratori, compensativi e corrispettivi, e rivalutazione monetaria sul dovuto, nonché spese di lite. Chiedeva, in ogni caso, la concessione di una provvisionale sui danni subìti.

COME-SI-CALCOLA-DANNO-BIOLOGICO-

EREDITA’ AVVOCATO EREDITA’ TUTTO SULL’EREDITA’ E EREDE- DIVISIONE EREDITARIA CHIAMA L’AVVOCATO SERGIO ARMAROLI

MOTIVAZIONE

Occorre a questo punto fare riferimento alla ricostruzione dell’azione ex art. 141 CdA eseguita magistralmente dalla Suprema Corte nella recente sentenza n. 4147 del 13.02.2019, così massimata: “In tema di risarcimento del danno da circolazione stradale, l’azione conferita dall’art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005 al terzo trasportato, nei confronti dell’assicuratore del vettore, postula l’accertamento della corresponsabilità di quest’ultimo, dovendosi riferire la “salvezza del caso fortuito”, di cui all’inciso iniziale della norma, non solo alle cause naturali, ma anche alla condotta umana del conducente di altro veicolo coinvolto; la relativa presunzione di legge può, tuttavia, essere superata dalla prova, a carico dell’assicuratore del vettore, della totale assenza di responsabilità del proprio assicurato, ovvero dalla dichiarazione, resa ai sensi dell’art. 141, comma 3, del D.Lgs. n. 209 del 2005 dall’assicuratore del responsabile civile intervenuto nel processo, a fronte della quale il giudice è tenuto ad estromettere l’originario convenuto, rivolgendosi “ex lege” la domanda risarcitoria dell’attore verso l’assicuratore intervenuto”. In motivazione, in un caso di domanda proposta dai trasportati superstiti di un sinistro per i danni subìti direttamente e quali congiunti di altro trasportato deceduto, la Cassazione riforma la sentenza d’appello che, nonostante avesse riconosciuto la responsabilità esclusiva nella causazione del sinistro del c.d. responsabile civile (e, conseguentemente, della sua compagnia di assicurazione), aveva poi condannato al risarcimento anche la compagnia assicuratrice del vettore. A tale scopo, la Corte – dopo aver effettuato un’analisi storica dell’art. 141 CdA e della sua forza innovativa allorquando fu introdotto nel 2005, nonché delle singole pronunce che sotto qualsiasi profilo se ne siano mai occupate – procede a una sua ricostruzione testuale “unitaria” alla luce della ratio della norma. E’, dunque, opportuno riportare quest’ultima: “Salva l’ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito, il danno subito dal terzo trasportato è risarcito dall’impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo al momento del sinistro entro il massimale minimo di legge, fermo restando quanto previsto dall’articolo 140, a prescindere dall’accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, fermo il diritto al risarcimento dell’eventuale maggior danno nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile, se il veicolo di quest’ultimo è coperto per un massimale superiore a quello minimo.” Indicata poi la proposizione diretta dell’azione da parte del trasportato nei confronti dell’assicuratore del veicolo trasportante al secondo comma, e imposti i termini di cui all’articolo 145 nel primo periodo del terzo comma, in quest’ultimo altresì si enuncia: “L’impresa di assicurazione del responsabile civile può intervenire nel giudizio e può estromettere l’impresa di assicurazione del veicolo, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato”. E infine, stabilisce il quarto comma: “L’impresa di assicurazione che ha effettuato il pagamento ha diritto di rivalsa nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile nei limiti ed alle condizioni previste dall’articolo 150”. La Suprema Corte distingue dunque tra interpretazione oggettivistica e quella innovativa, non trascurando di criticare chi abbia frammentato le sue proposizioni, giungendo ad identificare il nucleo della norma non nell’inciso “a prescindere dall’accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro”, bensì in quello che recita “Salva l’ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito”. In particolare, citando Cass. sez. 3, 30 luglio 2015 n. 16181, si sottolinea che “questo arresto interpreta, alla fine del suo percorso motivazionale, l’inciso dell’articolo 141 di cui soprattutto si avvale l’interpretazione più innovativa dell’articolo stesso, però non in relazione alla sostanza del diritto, bensì allo strumento processuale che concretizza il diritto risarcitorio, in punto di onere di prova: l’attore non è tenuto a dimostrare altro che l’esistenza del sinistro e il danno subito a seguito del sinistro, ma non deve provare le “modalità dell’incidente al fine di individuare la responsabilità dei rispettivi conducenti”. Viene poi analizzata Cass. sez. 3, ord. 5 luglio 2017 n. 16477 secondo cui “Sulla base sia del dato testuale che delle finalità della norma, che sono quelle di tutelare il terzo trasportato, in caso di scontro, per fargli avere nel modo più semplice e veloce possibile il risarcimento al quale ha diritto, individuando il soggetto sul quale allocare il rischio assicurativo in quello per lui più facilmente individuabile, deve ritenersi che l’art. 141 cod.ass. si applichi a prescindere dall’esistenza di due veicoli entrambi dotati di regolare assicurazione privata… Come già rilevato da questa Corte nell’esaminare una diversa questione relativa all’art. 141 cod.ass., il nuovo Codice delle Assicurazioni ha introdotto con esso una novità rilevante prevedendo l’azione diretta del terzo trasportato, danneggiato a seguito del sinistro stradale, nei confronti dell’impresa assicuratrice del veicolo. Lo scopo della norma è quello di fornire al terzo trasportato uno strumento aggiuntivo di tutela, al fine di agevolare il conseguimento del risarcimento del danno nei confronti dell’impresa assicuratrice, risparmiandogli l’onere di dimostrare l’effettiva distribuzione della responsabilità ai conducenti di veicoli coinvolti nel sinistro (Cass. n. 16181 del 2015)… È da dire inoltre che il regime di indennizzo diretto, introducendo un’azione aggiuntiva, non preclude in alcun modo la possibilità al trasportato danneggiato di evocare in giudizio esclusivamente il responsabile, ovvero il titolare e il conducente del veicolo antagonista e la compagnia di assicurazioni di questo, aprendo un ordinario giudizio volto al risarcimento del danno previo accertamento delle responsabilità”.

E’, dunque, indiscutibile che il trasportato danneggiato possa avvalersi sia dello strumento di cui all’art. 141 CdA che di quello avverso il responsabile civile e la sua compagnia ex art.140 CdA, come affermato anche dalla Corte Costituzionale almeno dal 2008: “L’art. 141 attribuisce al terzo trasportato … la facoltà di esercitare una azione diretta nei confronti della assicurazione del vettore sulla base della semplice allegazione e dimostrazione del fatto storico (ovvero dello scontro e del trasporto …), prescindendo dall’accertamento della responsabilità del vettore e del conducente del veicolo antagonista, salvo il caso fortuito. Il terzo trasportato, considerato soggetto debole, è legittimato quindi … ad agire direttamente nei confronti della compagnia assicuratrice del veicolo su cui viaggia, sulla base del principio vulneratus ante omnia reficiendus, e della semplice allegazione e dimostrazione del fatto storico del trasporto e del danno verificatosi a suo carico durante il trasporto, e non anche della responsabilità dei protagonisti. È una possibilità che si aggiunge, e che non fa venir meno la possibilità di far valere i suoi diritti nei confronti dell’autore del fatto dannoso e del responsabile civile di esso, sottoposta alle ordinarie regole della r.c.a. Rimane salva la possibilità dell’assicuratore del vettore di agire in rivalsa nei confronti dell’effettivo responsabile, in tutto o pro quota, sulla base della effettiva ripartizione delle responsabilità nel caso concreto”. Tuttavia, la Cassazione sottolinea il fatto che “La lettura maggioritaria è stata, per così dire, “abbagliata” dall’intento di agevolazione e accelerazione della tutela del trasportato, in tal modo distraendosi da quel che è sempre la sostanza di un intervento normativo: il bilanciamento degli interessi coinvolti…Nel Codice delle assicurazioni del 2005 il legislatore non ha ritenuto di far pendere la bilancia dell’allocazione del rischio dei sinistri stradali al punto di rendere oggettiva la responsabilità dell’assicuratore del vettore, limitandosi, sull’orma dell’articolo 2054, primo comma, c.c., a renderla oggetto di una praesumptio juris tantum. Non è d’altronde imposto né dai principi costituzionali né da quelli sovranazionali un sistema di automatismo assoluto del risarcimento, in qualunque modo lo si voglia definire (praesumptio juris et de jure, responsabilità oggettiva, no fault rule); né, infine, un testo normativo che sostituisce un testo previgente, in difetto appunto di obblighi provenienti da fonti di diritto superiori, deve apportare soltanto radicali innovazioni rispetto al precedente sistema.” Tanto premesso, “Il significato, allora, si orienta nel senso che il trasportato può anche agire ex articolo 140, come in effetti è stato riconosciuto, pure nell’intervento della Consulta. L’azione ai sensi dell’articolo suddetto è quella che viene esercitata (anche dalla compagnia, come si evince dal quarto comma) proprio secondo la tradizionale impostazione di responsabilità civile. E allora la seconda parte del primo comma dell’articolo 141 può ben essere intesa nel senso che l’azione ex articolo 141 non impedisce quella ex articolo 140, ma a differenza di quest’ultima non effettua un pieno accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti – limitandosi ad accertare l’assenza del caso fortuito, ovvero l’an nel suo paradigma della responsabilità del vettore -, e comunque non preclude al trasportato di agire in forza dell’articolo 140 per il residuo risarcimento se l’assicuratore del veicolo che non gli è stato vettore ha a disposizione “un massimale superiore a quello minimo”. Nel suo complesso, quindi, il primo comma dell’articolo 141 non è incompatibile con il concetto giuridico del caso fortuito così come tradizionalmente configurato”. Chiarito, poi, il richiamo al concetto di estromissione dell’assicurazione del vettore – che deve comunque essere disposta dal giudice – la Cassazione conclude “La regolazione della responsabilità dell’assicuratore del vettore mediante il criterio del caso fortuito genera due effetti, uno sostanziale e l’altro processuale. L’effetto sostanziale è, come si è visto, che la responsabilità dell’assicuratore del vettore non sussiste se causa del sinistro non è la condotta dell’assicurato, cioè del vettore. L’effetto processuale è che, non emergendo che il legislatore abbia derogato all’ordinario paradigma dell’onere probatorio del caso fortuito, l’attore/trasportato non ha alcun onere di prova al riguardo, perché sarebbe altrimenti gravato di una prova negativa – cioè di provare che non esiste il caso fortuito per dimostrare che esiste la responsabilità del convenuto -; è quindi il convenuto/assicuratore che ha l’onere probatorio della ricostruzione della vicenda sotto il profilo causale se intende eccepire che la sua origine eziologica sta nel caso fortuito. Il che significa – e in ciò si concretizza un evidente favor verso il trasportato – che il trasportato non è avvinto al paradigma probatorio dell’articolo 2043 c.c. e neppure a quello dell’articolo 2054, secondo comma, c.c., non essendo tenuto a dimostrare le modalità in cui si è verificato il sinistro (ut supra rilevato, ciò infatti è stato riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte: Cass. sez. 3, 30 luglio 2015 n. 16181 e, in motivazione, Cass. sez. 3, ord. 5 luglio 2017 n. 16477), dovendo soltanto provare la sua esistenza e il proprio conseguente danno. Sarà allora il convenuto, assicuratore del vettore, a dover dimostrare, per svincolarsi dall’obbligo ex adverso addotto come suo, che il caso fortuito è stata l’unica causa del sinistro…In conclusione, deve essere affermato quale principio di diritto che l’articolo 141 cod. ass., in conseguenza del riferimento al caso fortuito – nella giuridica accezione inclusiva di condotte umane – come limite all’obbligo risarcitorio dell’assicuratore del vettore verso il trasportato danneggiato nel sinistro, richiede che il vettore sia almeno corresponsabile del sinistro quale presupposto della condanna risarcitoria del suo assicuratore; una volta accertato l’an della responsabilità del vettore, non occorre accertare quale sia la misura di responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti, dovendo comunque l’assicuratore del vettore risarcire in toto il trasportato, salva eventuale rivalsa verso l’assicuratore di altro corresponsabile o di altri corresponsabili della causazione del sinistro. La totale assenza di responsabilità del vettore deve essere inoltre dimostrata dal suo assicuratore provando che il caso fortuito è stata l’unica causa del sinistro, salvo che l’assicuratore di un altro dei veicoli coinvolti non intervenga e non lo esoneri dall’obbligo risarcitorio dichiarando la esclusiva responsabilità del proprio assicurato, in tal caso il giudice dovendo subito estromettere l’assicuratore del vettore, la domanda risarcitoria attorea rivolgendosi ex lege verso l’assicuratore intervenuto”.

Alla luce di quanto sin qui affermato, e considerato ciò che si verrà ad esporre nei paragrafi successivi in tema di responsabilità del sinistro – da far risalire, ad opinione di questo giudice, in via esclusiva in capo al N., il cui comportamento ben può essere inteso quale caso fortuito “umano” – deve ritenersi che nessuna domanda risarcitoria nei confronti della I.M., compagnia assicuratrice del vettore, può trovare accoglimento. Non è però, come sopra detto, una questione di ammissibilità o improcedibilità, perché il danneggiato trasportato ben può avvalersi sia dell’azione ex art. 141 che ex 140 CdA, non conoscendo ex ante l’esito dell’istruttoria e le strategie difensive delle compagnie convenute (ciò anche ai fini della disciplina delle spese di lite: cfr. infra).

In ordine, poi, alla somma di Euro 50.000,00, pacificamente versata dalla I. in favore di M.M. prima dell’inizio del presente contenzioso, rileva questo giudice che non è stata proposta alcuna domanda di restituzione nella presente sede. Solo in conclusionale per la prima volta la difesa di I. afferma “l’U. sarà tenuta a rimborsare alla I.M. le somme tutte che la stessa sarà tenuta a corrispondere all’esito del presente giudizio, in particolare le somme corrisposte alla trasportata, sig.ra M.”, riferendosi evidentemente ad un instaurando giudizio.

Tribunale Latina, Sez. II, Sent., 17/07/2020, n. 1399

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di LATINA

Seconda Sezione Civile

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Roberta Nocella

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 300130/2013 promossa da:

M.M. (CF (…)), in proprio e quale coniuge ed erede del de cuius R.V., rappresentata e difesa congiuntamente e disgiuntamente dagli avv.ti Laura VACCARO con studio in Sora (FR) Via Cellaro ex C.M. snc, ed Emanuele TOMASSI, con studio in Roma Via Dei Quinzi, 5, ed elettivamente domiciliata in TERRACINA (B.go Hermada) Via Dei Bonificatori Della Palude Pontina snc c/o M.R.

ATTRICE

e

M.R. (CF: (…)), quale padre di M. e suocero del de cuius R.V., C.A. (CF:(…)) madre di M. e suocera del de cuius R.V., e M.M. (CF: (…)), in qualità di fratello di M. e cognato di R., tutti rappresentati e difesi congiuntamente e disgiuntamente dagli avv.ti Laura VACCARO con Studio in Sora (FR) Via Cellaro ex C.M. snc, ed Emanuele TOMASSI, con studio in Roma Via Dei Quinzi, 5, ed elettivamente domiciliati in TERRACINA (B.go Hermada), Via Dei Bonificatori Della Palude Pontina snc c/o M.R., come da procura in atti

INTERVENUTI

e

T.F. IN M. (CF: (…)), in qualità nonna di M.M., L.V. IN C. (CF: (…)), in qualità di nonna di M.M., M.R. e D.S.D., quali genitori esercenti la responsabilità genitoriale sul minore M.R. (CF: (…)), quale fratello di M.M. e cognato di R.V., M.M. e C.E., quali genitori esercenti la responsabilità genitoriale sul minore M.R. JR (CF: (…)), in qualità di nipote di M.M. e R.V., rappresentati e difesi dall’avv. Mariano Giuliano con studio in Cassino (FR), piazza Alcide De Gasperi, 41, tutti domiciliati, nel presente giudizio, in TERRACINA (B.go Hermada) Via Dei Bonificatori Della Palude Pontina snc c/o M.R.

INTERVENUTI

e

V.P. (CF (…)), V.R. (CF (…)), V.L. (CF (…)), e C.F. (C.F. (…)), rispettivamente padre, fratello, sorella e madre del de cuius R.V., nonché C.F. (C.F. (…)), C.C. (C.F. (…)), C.G. (C.F. (…)), C.C. (C.F. (…)), C.M.L. (C.F. (…)), C.N. (C.F. (…)), C.F. (C.F. (…)), C.A. (C.F. (…)), C.G. (C.F. (…)), C.C. (C.F. (…)), C.R. (C.F. (…)), C.A. (C.F. (…)), tutti n.q. di figli ed eredi della sig.ra D.R.V., (C.F. (…)) deceduta a Terracina in data 2 giugno 2018, nonna di R.V., come costituiti con memoria del 20 gennaio 2020, rappresentati e difesi, disgiuntamente e congiuntamente, dall’avv. Di Ciollo e dall’avv. Tiziana Agostini, come da procura in atti

INTERVENUTI

contro

N.C. (CF:(…)), nato a B. (R.) il (…) e residente a T. (L.) Via P., 8

CONVENUTO CONTUMACE

e

U.A. spa (CF e PI: (…)), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Elettra BRUNO (CF: (…)) nel cui studio in Formia è elettivamente domiciliata alla Via Largo Paone, 10, come da procura in atti

CONVENUTA

e

I.M. s.p.a. (CF e PI: (…)), in persona del legare rappresentate p.t. con sede a T. Via M., 67, rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Battista MARTELLI, nel cui studio in Roma, Viale Delle Milizie n. 4, è elettivamente domiciliata, come da procura in atti

CONVENUTA

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato, M.M., in proprio e quale erede del coniuge R.V., conveniva in giudizio C.N. (nato a B., R., il (…)), quale conducente del veicolo ritenuto unico responsabile, nonché U. spa, quale assicurazione del N., e I.M. spa, quale assicurazione del conducente de cuius Vertolomo, al fine di chiedere il risarcimento di tutti i danni subìti per il sinistro occorso in T. loc. B.go H. alla via P. da B. alle ore 19,00 circa del 26 febbraio 2012, nel quale il suo coniuge, R.V., perdeva la vita dopo un apprezzabile lasso temporale, mentre l’attrice stessa, in stato di gravidanza al quinto mese, riportava – unitamente alla perdita del feto – lesioni gravissime.

La dinamica del sinistro, meglio descritta dai verbali di p.g. in atti, rappresentava che il conducente della B. (sig. N.), in stato di alterazione alcolemica, sopraggiungendo a grande velocità, perdeva il controllo del veicolo, invadeva la corsia opposta dove transitava la vettura SMART condotta dal V. con accanto sua moglie, impattandola frontalmente. A seguito del sinistro interveniva la Polstada che, allertato il 118, trasportava l’attrice ed suo marito presso l’Ospedale Santa M.G.L.: la prima veniva accettata in Pronto Soccorso con diagnosi “Politraumatica”, mentre il V. spirava proprio allorché l’Autoambulanza giungeva presso il Pronto Soccorso. Con sentenza di condanna n. 1157/12, in atti, all’esito del procedimento R.G. GIP n. 1689/12, il GUP presso il Tribunale di Latina condannava il conducente N. alla pena di anni 8 di reclusione per i reati di omicidio colposo (ex art. 589 comma 3 n. 1 c.p.), lesioni personali (ex art. 590,comma 3 c.p.) nonché per il reato di procurato aborto (ex art. 17 L. n. 194 del 1978), con custodia cautelare in carcere e l’interdizione perpetua dai pubblici, rinviando le parti civili costituite davanti al Giudice civile per la liquidazione integrale del danno. Con sentenza del 12 dicembre 2013 n. 09663 (in atti) la Corte d’Appello di Roma Sezione Penale I, in riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Latina del 26 novembre 2012, riduceva la pena da anni otto ad anni sei di reclusione e, visto l’art. 222 comma 12 CdS, revocava la patente di guida nei confronti dell’imputato N. confermando, per il resto, la sentenza di primo grado. L’attrice chiedeva, pertanto, il risarcimento del danno biologico iure successionis quale moglie del defunto V.R. e quello morale iure successionis, nonché il danno biologico iure proprio permanente e temporaneo (assoluto e relativo), quello esistenziale e da lesione del rapporto parentale iure proprio subìto per la perdita del marito; ancora, chiedeva il risarcimento del danno patrimoniale iure proprio subìto per essere stata privata delle utilità economiche di cui beneficiava; infine, chiedeva accertarsi la responsabilità per mala gestio delle due compagnie di assicurazione con condanna anche oltre massimale, oltre interessi moratori, compensativi e corrispettivi, e rivalutazione monetaria sul dovuto, nonché spese di lite. Chiedeva, in ogni caso, la concessione di una provvisionale sui danni subìti.

Si costituivano in giudizio le due Compagnie Assicurative allora U. spa (quale assicurazione del N.) e I.M. spa (quale assicurazione del conducente-de cuius V.) rispettivamente con separate comparse. La prima chiedeva anzitutto che fosse integrato il contraddittorio nei confronti di tutti gli eredi del V.R., essendo essi in teoria legittimati a chiedere il risarcimento dei danni conseguenti al decesso del loro familiare. In ordine all’an, contestava la responsabilità esclusiva del suo assicurato ed eccepiva il mancato uso delle cinture di sicurezza da parte sia della M. che del suo defunto marito; in ordine al quantum, contestava i postumi asseriti dall’attrice e la loro quantificazione (in particolare, i danni biologico, morale, esistenziale e da lesione del rapporto parentale, nonché quello patrimoniale rimasto indimostrato e, quanto a quelli iure successionis, quello biologico del V., che invece era morto immediatamente a seguito del sinistro) e comunque chiedeva che la sua condanna fosse contenuta entro il massimale di polizza, pari ad Euro 3.000.000,00 contestando la asserita mala gestio. Inoltre, chiedeva che fosse scomputato l’acconto già versato all’attrice in via stragiudiziale, pari ad Euro 200.000,00. Contestava poi la domanda avente ad oggetto interessi e rivalutazione monetaria, nonché la richiesta di concessione della provvisionale. Inoltre, previo accertamento della corresponsabilità del V., svolgeva domanda di regresso nei confronti di I. s.p.a..

La seconda compagnia eccepiva l’inammissibilità e/o improcedibilità delle domande proposte dalla sig.ra M.M. nei confronti della I.M. ai sensi dell’art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005, per avere M.M. agito con lo stesso giudizio anche contro la compagnia del responsabile del danno ai sensi dell’art. 144 CdA, mentre tali azioni erano alternative; in via subordinata, eccepiva la sua assoluta carenza di legittimazione passiva in ordine alle richieste risarcitorie avanzate dalla M. quale erede del V.R., potendo la compagnia di quest’ultimo rispondere solo dei danni non patrimoniali subìti dall’attrice personalmente quale terza trasportata mentre tutte le altre pretese (iure successionis e patrimoniali) dovevano essere rivolte nei confronti della compagnia del responsabile civile. In ulteriore subordine, contestava il quantum dei danni richiesti, sia in merito al danno biologico (ritenuto non ancora stabilizzato) sia a quello morale, costituente una mera duplicazione, che alla capacità lavorativa specifica, considerato che l’attrice svolgeva le mansioni di cassiera presso il supermarket di famiglia, sia comunque all’asserito danno biologico iure successionis, per essere R.V. deceduto immediatamente nel sinistro, sia per il danno non patrimoniale da morte, sia per il danno patrimoniale subìto non essendovi prova sufficiente delle utilità godute in passato. Si opponeva dunque alla richiesta di provvisionale avanzata dall’attrice e specificava che, comunque, qualunque condanna pronunciata nei suoi confronti doveva essere contenuta entro il massimale di polizza ammontante ad Euro 3.000.000,00.

All’esito della prima udienza, dichiarata la contumacia del convenuto N.C. nonostante la ritualità della notifica, il giudice precedente assegnatario del fascicolo disponeva l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eredi del de cuius V.R. (P., Riccardo e L.V., la madre C.F. e la nonna V.D.R.), litisconsorti necessari ai sensi dell’art. 140 co. 4 D.Lgs. n. 209 del 2005.

All’udienza del 9 dicembre 2013 intervenivano col medesimo difensore V.P. (padre del de cuius), C.F. (madre del de cuius), D.R.V. (nonna del de cuius), M.R. (suocero di R. e padre di M.), C.A. (suocera di R. e madre di M.), V.R. e L. (rispettivamente, fratello e sorella di R. e cognati di M.M.); nella loro comparsa sottolineavano che, in quanto congiunti, erano titolari di un autonomo diritto al risarcimento dei danni morale e dinamico relazionale (da definitiva perdita del rapporto parentale col congiunto e col nipote mai nato) subìti. Chiedevano anche di accertarsi la mala gestio da parte delle due compagnie assicuratrici con conseguente loro condanna oltre massimale, nonché la liquidazione in loro favore di una provvisionale pari a 4/5 del risarcimento dovuto.

A scioglimento della riserva, il Giudice precedente assegnatario del fascicolo con ordinanza depositata il 16.12.2013, condannava i convenuti N., I. e U. in solido a pagare in favore dell’attrice M.M. la somma di Euro 150.000,00 equitativamente determinata, da imputarsi sulla definitiva liquidazione del danno.

All’udienza del 17 marzo 2014 il giudice si riservava anche sulla richiesta di risarcimento da parte dei prossimi congiunti, e con ordinanza depositata il 18.04.2014 concedeva a P.V., L.V., F.C. e R.V. la provvisionale di Euro 100.000,00 ciascuno oltre a interessi legali e rivalutazione monetaria alla data del sinistro, mentre con successiva ordinanza del 18.07.2014 rigettava le ulteriori richieste di provvisionali.

All’esito dell’udienza del 17.11.2014, con provvedimento del 27 marzo 2015, il giudice precedente assegnatario del fascicolo ordinava l’integrazione del contraddittorio, come richiesto da parte attrice, nei confronti di V.L. e F. Tomassi (nonne della M.), R.M. jr (ulteriore fratello) e R.M. (nipote), quali litisconsorti necessari “sul presupposto della constatata presenza di altri soggetti danneggiati-stetti congiunti di M.M., riguardo alle lesioni ed alla subita interruzione della gravidanza ex art. 17 Legge Aborto ed affini del de cuius”.

Con comparsa del 28 aprile 2014 interveniva in giudizio anche M.M. (fratello di M. e cognato di R.) chiedendo sia il risarcimento dei danni subìti in considerazione del suo grado di parentela e alla luce dell’accertamento nel frattempo svolto in sede penale, sia l’accertamento della mala gestio della U., che non aveva messo a disposizione dei danneggiati il massimale.

Con comparsa del 17 novembre 2014 M.M., il di lei padre (M.R.), la di lei madre (C.A.) ed il di lei fratello (M.M.) si costituivano con diversi difensori, ribadendo comunque le loro pregresse domande.

Con la chiusura della Sezione Distaccata di Terracina, il procedimento civile veniva trasferito presso il Tribunale di Latina (sede centrale) ed assegnato prima a un GOT, che si dichiarava incompetente alla luce del valore dell’odierna causa, e poi a un giudice togato. All’udienza del 30 novembre 2017 questo giudicante, nuovo assegnatario, disponeva l’ammissione dei mezzi istruttori.

All’udienza del 25 settembre 2018, M.M. rendeva l’interrogatorio formale e venivano sentiti gli operanti di polizia giudiziaria ass.ti N. e G.; il 4 luglio 2019 viene sentito il teste di parte attrice M.G. e a quella del 3 dicembre 2019 veniva escusso il CTP (Psicologa) N.M. in ordine alle condizioni di salute psichica degli intervenuti coniugi V.-C. (genitori del de cuius), su cui veniva inizialmente ammessa la c.t.u. psichica.

All’udienza del 14 gennaio 2020, il nominato CTU non compariva e “…l’avv. Di Ciollo insiste (va) per l’espletamento della CTU medica chiedendo termine per note illustrative sulla necessità di suo espletamento. Il G.I. melius re perpensa, rilevato che non vi è in atti documentazione attestante una malattia di natura psichica che possa essere valutata da un CTU, revoca la sua ammissione e ritenuta la causa matura per decisione, rinvia al 21.01.2020”.

All’udienza di precisazione delle conclusioni del 21 gennaio 2020, le parti concludevano come riportato in epigrafe e venivano concessi alle parti i termini di cui all’art. 190 c.p.c., successivamente sospesi dal 9.03.2020 all’11.05.2020 a causa dell’emergenza COVID-19 come disposto dall’art. 83 della L. n. 27 del 2020.

Nel merito, ritiene questo organo giudicante che le domande di attrice e intervenuti devono essere accolte nei limiti e per le ragioni che si verranno ad esporre.

  1. Le eccezioni sollevate da I.M. s.p.a..

1a) Inammissibilità e/o improcedibilità delle domande proposte da M.M. nei confronti della I.M. ai sensi dell’art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005.

M.M. ha agito nel presente giudizio al fine di ottenere il risarcimento dei danni subìti sia in proprio quale trasportata che quale erede del marito deceduto R.V., contemporaneamente nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile (U.A. S.p.A.) e nei confronti dell’assicuratore del veicolo vettore, I.M., ai sensi dell’art. 141 C.d.A.. Così la difesa di I. nella sua conclusionale: “…avendo manifestato la sig.ra M.M. sin dalla fase stragiudiziale di voler agire con l’azione diretta nei confronti della consorella U. e del responsabile civile, la stessa avrebbe dovuto citare nel presente giudizio solamente questi ultimi e non anche la I.M., atteso peraltro che le voci di danno richieste non sono opponibili alla esponente Compagnia (vedasi, tra le altre, le richieste risarcitorie avanzate in qualità di erede del de cuius sig. R.V., così come gli altri intervenuti)… il pagamento della somma di Euro 50.000,00 in sede stragiudiziale, effettuato dalla I.M. in favore della Sig.ra M. – come dalla medesima confermato nel proprio atto di citazione – non è stato di certo eseguito sulla scorta della predetta provvisionale ottenuta dalla danneggiata in sede di condanna penale del responsabile civile, bensì semplicemente ai sensi dell’art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005 ed esclusivamente con riferimento al danno non patrimoniale subito dalla trasportata. Il tutto, in attesa che la consorella U.A. S.p.A., assicuratrice del veicolo del responsabile civile, provvedesse all’assunzione della gestione e della liquidazione di tutti i danni conseguenti al sinistro de quo” ciò alla luce della palese responsabilità esclusiva del N., accertata in sede penale definitivamente. Da ciò si fa discendere l’inammissibilità dell’azione intrapresa ai sensi dell’art. 141 C.d.A. nei confronti di I.M., poiché l’assenza di responsabilità del vettore configura il “caso fortuito” che, secondo la lettera della norma richiamata, è idoneo a escludere la possibilità che l’assicuratore per la RCA del veicolo vettore non responsabile possa essere chiamato a rispondere dei danni patiti dal terzo trasportato.

Occorre a questo punto fare riferimento alla ricostruzione dell’azione ex art. 141 CdA eseguita magistralmente dalla Suprema Corte nella recente sentenza n. 4147 del 13.02.2019, così massimata: “In tema di risarcimento del danno da circolazione stradale, l’azione conferita dall’art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005 al terzo trasportato, nei confronti dell’assicuratore del vettore, postula l’accertamento della corresponsabilità di quest’ultimo, dovendosi riferire la “salvezza del caso fortuito”, di cui all’inciso iniziale della norma, non solo alle cause naturali, ma anche alla condotta umana del conducente di altro veicolo coinvolto; la relativa presunzione di legge può, tuttavia, essere superata dalla prova, a carico dell’assicuratore del vettore, della totale assenza di responsabilità del proprio assicurato, ovvero dalla dichiarazione, resa ai sensi dell’art. 141, comma 3, del D.Lgs. n. 209 del 2005 dall’assicuratore del responsabile civile intervenuto nel processo, a fronte della quale il giudice è tenuto ad estromettere l’originario convenuto, rivolgendosi “ex lege” la domanda risarcitoria dell’attore verso l’assicuratore intervenuto”. In motivazione, in un caso di domanda proposta dai trasportati superstiti di un sinistro per i danni subìti direttamente e quali congiunti di altro trasportato deceduto, la Cassazione riforma la sentenza d’appello che, nonostante avesse riconosciuto la responsabilità esclusiva nella causazione del sinistro del c.d. responsabile civile (e, conseguentemente, della sua compagnia di assicurazione), aveva poi condannato al risarcimento anche la compagnia assicuratrice del vettore. A tale scopo, la Corte – dopo aver effettuato un’analisi storica dell’art. 141 CdA e della sua forza innovativa allorquando fu introdotto nel 2005, nonché delle singole pronunce che sotto qualsiasi profilo se ne siano mai occupate – procede a una sua ricostruzione testuale “unitaria” alla luce della ratio della norma. E’, dunque, opportuno riportare quest’ultima: “Salva l’ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito, il danno subito dal terzo trasportato è risarcito dall’impresa di assicurazione del veicolo sul quale era a bordo al momento del sinistro entro il massimale minimo di legge, fermo restando quanto previsto dall’articolo 140, a prescindere dall’accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, fermo il diritto al risarcimento dell’eventuale maggior danno nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile, se il veicolo di quest’ultimo è coperto per un massimale superiore a quello minimo.” Indicata poi la proposizione diretta dell’azione da parte del trasportato nei confronti dell’assicuratore del veicolo trasportante al secondo comma, e imposti i termini di cui all’articolo 145 nel primo periodo del terzo comma, in quest’ultimo altresì si enuncia: “L’impresa di assicurazione del responsabile civile può intervenire nel giudizio e può estromettere l’impresa di assicurazione del veicolo, riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato”. E infine, stabilisce il quarto comma: “L’impresa di assicurazione che ha effettuato il pagamento ha diritto di rivalsa nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile nei limiti ed alle condizioni previste dall’articolo 150”. La Suprema Corte distingue dunque tra interpretazione oggettivistica e quella innovativa, non trascurando di criticare chi abbia frammentato le sue proposizioni, giungendo ad identificare il nucleo della norma non nell’inciso “a prescindere dall’accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro”, bensì in quello che recita “Salva l’ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito”. In particolare, citando Cass. sez. 3, 30 luglio 2015 n. 16181, si sottolinea che “questo arresto interpreta, alla fine del suo percorso motivazionale, l’inciso dell’articolo 141 di cui soprattutto si avvale l’interpretazione più innovativa dell’articolo stesso, però non in relazione alla sostanza del diritto, bensì allo strumento processuale che concretizza il diritto risarcitorio, in punto di onere di prova: l’attore non è tenuto a dimostrare altro che l’esistenza del sinistro e il danno subito a seguito del sinistro, ma non deve provare le “modalità dell’incidente al fine di individuare la responsabilità dei rispettivi conducenti”. Viene poi analizzata Cass. sez. 3, ord. 5 luglio 2017 n. 16477 secondo cui “Sulla base sia del dato testuale che delle finalità della norma, che sono quelle di tutelare il terzo trasportato, in caso di scontro, per fargli avere nel modo più semplice e veloce possibile il risarcimento al quale ha diritto, individuando il soggetto sul quale allocare il rischio assicurativo in quello per lui più facilmente individuabile, deve ritenersi che l’art. 141 cod.ass. si applichi a prescindere dall’esistenza di due veicoli entrambi dotati di regolare assicurazione privata… Come già rilevato da questa Corte nell’esaminare una diversa questione relativa all’art. 141 cod.ass., il nuovo Codice delle Assicurazioni ha introdotto con esso una novità rilevante prevedendo l’azione diretta del terzo trasportato, danneggiato a seguito del sinistro stradale, nei confronti dell’impresa assicuratrice del veicolo. Lo scopo della norma è quello di fornire al terzo trasportato uno strumento aggiuntivo di tutela, al fine di agevolare il conseguimento del risarcimento del danno nei confronti dell’impresa assicuratrice, risparmiandogli l’onere di dimostrare l’effettiva distribuzione della responsabilità ai conducenti di veicoli coinvolti nel sinistro (Cass. n. 16181 del 2015)… È da dire inoltre che il regime di indennizzo diretto, introducendo un’azione aggiuntiva, non preclude in alcun modo la possibilità al trasportato danneggiato di evocare in giudizio esclusivamente il responsabile, ovvero il titolare e il conducente del veicolo antagonista e la compagnia di assicurazioni di questo, aprendo un ordinario giudizio volto al risarcimento del danno previo accertamento delle responsabilità”.

E’, dunque, indiscutibile che il trasportato danneggiato possa avvalersi sia dello strumento di cui all’art. 141 CdA che di quello avverso il responsabile civile e la sua compagnia ex art.140 CdA, come affermato anche dalla Corte Costituzionale almeno dal 2008: “L’art. 141 attribuisce al terzo trasportato … la facoltà di esercitare una azione diretta nei confronti della assicurazione del vettore sulla base della semplice allegazione e dimostrazione del fatto storico (ovvero dello scontro e del trasporto …), prescindendo dall’accertamento della responsabilità del vettore e del conducente del veicolo antagonista, salvo il caso fortuito. Il terzo trasportato, considerato soggetto debole, è legittimato quindi … ad agire direttamente nei confronti della compagnia assicuratrice del veicolo su cui viaggia, sulla base del principio vulneratus ante omnia reficiendus, e della semplice allegazione e dimostrazione del fatto storico del trasporto e del danno verificatosi a suo carico durante il trasporto, e non anche della responsabilità dei protagonisti. È una possibilità che si aggiunge, e che non fa venir meno la possibilità di far valere i suoi diritti nei confronti dell’autore del fatto dannoso e del responsabile civile di esso, sottoposta alle ordinarie regole della r.c.a. Rimane salva la possibilità dell’assicuratore del vettore di agire in rivalsa nei confronti dell’effettivo responsabile, in tutto o pro quota, sulla base della effettiva ripartizione delle responsabilità nel caso concreto”. Tuttavia, la Cassazione sottolinea il fatto che “La lettura maggioritaria è stata, per così dire, “abbagliata” dall’intento di agevolazione e accelerazione della tutela del trasportato, in tal modo distraendosi da quel che è sempre la sostanza di un intervento normativo: il bilanciamento degli interessi coinvolti…Nel Codice delle assicurazioni del 2005 il legislatore non ha ritenuto di far pendere la bilancia dell’allocazione del rischio dei sinistri stradali al punto di rendere oggettiva la responsabilità dell’assicuratore del vettore, limitandosi, sull’orma dell’articolo 2054, primo comma, c.c., a renderla oggetto di una praesumptio juris tantum. Non è d’altronde imposto né dai principi costituzionali né da quelli sovranazionali un sistema di automatismo assoluto del risarcimento, in qualunque modo lo si voglia definire (praesumptio juris et de jure, responsabilità oggettiva, no fault rule); né, infine, un testo normativo che sostituisce un testo previgente, in difetto appunto di obblighi provenienti da fonti di diritto superiori, deve apportare soltanto radicali innovazioni rispetto al precedente sistema.” Tanto premesso, “Il significato, allora, si orienta nel senso che il trasportato può anche agire ex articolo 140, come in effetti è stato riconosciuto, pure nell’intervento della Consulta. L’azione ai sensi dell’articolo suddetto è quella che viene esercitata (anche dalla compagnia, come si evince dal quarto comma) proprio secondo la tradizionale impostazione di responsabilità civile. E allora la seconda parte del primo comma dell’articolo 141 può ben essere intesa nel senso che l’azione ex articolo 141 non impedisce quella ex articolo 140, ma a differenza di quest’ultima non effettua un pieno accertamento della responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti – limitandosi ad accertare l’assenza del caso fortuito, ovvero l’an nel suo paradigma della responsabilità del vettore -, e comunque non preclude al trasportato di agire in forza dell’articolo 140 per il residuo risarcimento se l’assicuratore del veicolo che non gli è stato vettore ha a disposizione “un massimale superiore a quello minimo”. Nel suo complesso, quindi, il primo comma dell’articolo 141 non è incompatibile con il concetto giuridico del caso fortuito così come tradizionalmente configurato”. Chiarito, poi, il richiamo al concetto di estromissione dell’assicurazione del vettore – che deve comunque essere disposta dal giudice – la Cassazione conclude “La regolazione della responsabilità dell’assicuratore del vettore mediante il criterio del caso fortuito genera due effetti, uno sostanziale e l’altro processuale. L’effetto sostanziale è, come si è visto, che la responsabilità dell’assicuratore del vettore non sussiste se causa del sinistro non è la condotta dell’assicurato, cioè del vettore. L’effetto processuale è che, non emergendo che il legislatore abbia derogato all’ordinario paradigma dell’onere probatorio del caso fortuito, l’attore/trasportato non ha alcun onere di prova al riguardo, perché sarebbe altrimenti gravato di una prova negativa – cioè di provare che non esiste il caso fortuito per dimostrare che esiste la responsabilità del convenuto -; è quindi il convenuto/assicuratore che ha l’onere probatorio della ricostruzione della vicenda sotto il profilo causale se intende eccepire che la sua origine eziologica sta nel caso fortuito. Il che significa – e in ciò si concretizza un evidente favor verso il trasportato – che il trasportato non è avvinto al paradigma probatorio dell’articolo 2043 c.c. e neppure a quello dell’articolo 2054, secondo comma, c.c., non essendo tenuto a dimostrare le modalità in cui si è verificato il sinistro (ut supra rilevato, ciò infatti è stato riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte: Cass. sez. 3, 30 luglio 2015 n. 16181 e, in motivazione, Cass. sez. 3, ord. 5 luglio 2017 n. 16477), dovendo soltanto provare la sua esistenza e il proprio conseguente danno. Sarà allora il convenuto, assicuratore del vettore, a dover dimostrare, per svincolarsi dall’obbligo ex adverso addotto come suo, che il caso fortuito è stata l’unica causa del sinistro…In conclusione, deve essere affermato quale principio di diritto che l’articolo 141 cod. ass., in conseguenza del riferimento al caso fortuito – nella giuridica accezione inclusiva di condotte umane – come limite all’obbligo risarcitorio dell’assicuratore del vettore verso il trasportato danneggiato nel sinistro, richiede che il vettore sia almeno corresponsabile del sinistro quale presupposto della condanna risarcitoria del suo assicuratore; una volta accertato l’an della responsabilità del vettore, non occorre accertare quale sia la misura di responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti, dovendo comunque l’assicuratore del vettore risarcire in toto il trasportato, salva eventuale rivalsa verso l’assicuratore di altro corresponsabile o di altri corresponsabili della causazione del sinistro. La totale assenza di responsabilità del vettore deve essere inoltre dimostrata dal suo assicuratore provando che il caso fortuito è stata l’unica causa del sinistro, salvo che l’assicuratore di un altro dei veicoli coinvolti non intervenga e non lo esoneri dall’obbligo risarcitorio dichiarando la esclusiva responsabilità del proprio assicurato, in tal caso il giudice dovendo subito estromettere l’assicuratore del vettore, la domanda risarcitoria attorea rivolgendosi ex lege verso l’assicuratore intervenuto”.

Alla luce di quanto sin qui affermato, e considerato ciò che si verrà ad esporre nei paragrafi successivi in tema di responsabilità del sinistro – da far risalire, ad opinione di questo giudice, in via esclusiva in capo al N., il cui comportamento ben può essere inteso quale caso fortuito “umano” – deve ritenersi che nessuna domanda risarcitoria nei confronti della I.M., compagnia assicuratrice del vettore, può trovare accoglimento. Non è però, come sopra detto, una questione di ammissibilità o improcedibilità, perché il danneggiato trasportato ben può avvalersi sia dell’azione ex art. 141 che ex 140 CdA, non conoscendo ex ante l’esito dell’istruttoria e le strategie difensive delle compagnie convenute (ciò anche ai fini della disciplina delle spese di lite: cfr. infra).

In ordine, poi, alla somma di Euro 50.000,00, pacificamente versata dalla I. in favore di M.M. prima dell’inizio del presente contenzioso, rileva questo giudice che non è stata proposta alcuna domanda di restituzione nella presente sede. Solo in conclusionale per la prima volta la difesa di I. afferma “l’U. sarà tenuta a rimborsare alla I.M. le somme tutte che la stessa sarà tenuta a corrispondere all’esito del presente giudizio, in particolare le somme corrisposte alla trasportata, sig.ra M.”, riferendosi evidentemente ad un instaurando giudizio.

1b)Carenza di legittimazione passiva della I..

La I.M. ha altresì contestato di essere “del tutto carente di legittimazione passiva in ordine a tutte le domande avanzate nel presente giudizio, sia dalla sig.ra M.M., ai sensi dell’art. 141 del D.Lgs. n. 209 del 2005 (per la presenza in giudizio della consorella U.), sia da quest’ultima, in qualità di erede del sig. R.V. (tra le altre, a titolo esemplificativo, danno biologico iure successionis, danno alla lesione del rapporto parentale iure proprio, danno patrimoniale iure proprio in ragione delle aspettative dell’attrice in ordine al contributo economico e finanziario che avrebbe apportato il coniuge), nonché da parte degli odierni intervenienti tutti…”, potendo tali pretese essere rivolte solo ed esclusivamente nei confronti del responsabile civile e del suo istituto assicuratore, trattandosi di voci di danno non opponibili alla I.M. “che potrebbe al limite rispondere ai sensi dell’art. 141 C.d.A. (ma così non è per quanto detto in precedenza), dei soli danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dalla terza trasportata Sig.ra M.M., con totale esclusione di qualsivoglia ulteriore danno subito da soggetti terzi, siano essi danni riflessi rispetto a quelli patiti dall’attrice, oppure richieste risarcitorie avanzate in ragione del decesso del povero R.V.”. Occorre specificare che, tra gli intervenuti, a parte M.M. che ha agito solo nei confronti di U. (anche per mala gestio), V.P., Riccardo e L. e C.F., nonché gli eredi di D.R.V., M.R., Riccardo e R. jr. e C.A. hanno chiesto accertarsi la responsabilità (e la mala gestio) di entrambe le compagnie; T.F. e L.V. avevano chiesto nella loro comparsa di intervento di condannare “tutti i convenuti in solido (o secondo gli accertati profili di responsabilità) a tutti i danni morali iure proprio patiti dagli intervenuti quali parenti/affini di M.M. e per il decesso del de cuius V.R….”. Orbene, non può esservi dubbio che l’azione ex art. 141 CdA – si veda infra – è data al trasportato quale ulteriore garanzia e scelta in caso di sinistro da cui gli sia derivato un danno con esclusione del caso fortuito che includa anche il comportamento imprevedibile di un terzo. Senz’altro i soggetti intervenuti non rivestivano la qualità di “trasportati” e, conseguentemente, nessuna domanda avente ad oggetto i danni lamentati – ad es. da perdita parentale, morali per la sofferenza subìta per la mancata nascita del nascituro etc. – può essere proposta nei confronti della compagnia del vettore I.M..

Lo stesso è a dirsi per i diritti risarcitori iure hereditatis che i congiunti abbiano richiesto in qualità di eredi di R.V., deceduto e trasportato-conducente (ovvero la moglie per due terzi e i genitori e i fratelli/sorelle per il residuo terzo ex art. 582 c.c.): per la stessa ragione esposta al paragrafo che precede, anche a volersi ipotizzare un diritto del de cuius ad essere risarcito direttamente dalla propria compagnia, alla luce della ricostruzione della responsabilità nel senso di addebitarla in via esclusiva al N., nulla potrebbe essere chiesto alla I., bensì solo ai sensi dell’art. 140 CdA al responsabile civile del sinistro e alla sua assicurazione.

Alla luce di quanto affermato nel presente paragrafo (nonché nel n. 3 in tema di modalità dell’incidente), le reciproche domande di regresso proposte da U. s.p.a. nei confronti di I.M. s.p.a. e da quest’ultima (cfr. conclusionale) per l’ipotesi in cui fosse stata condannata al risarcimento all’esito del presente giudizio sono infondate. In particolare, come già detto, la domanda di rimborso delle somme corrisposte alla trasportata, sig.ra M., è stata solo genericamente anticipata dalla I.M..

  1. Le eccezioni sollevate da U. s.p.a.

2a.Carenza di lettera di messa in mora da parte degli intervenuti in violazione dell’art. 145 CdA.

Così in conclusionale la difesa della compagnia assicuratrice del responsabile civile N.: “Di tutti 23 soggetti che hanno formulato domande risarcitorie nel presente giudizio, questa difesa non rinviene in atti alcuna richiesta stragiudiziale di risarcimento, di cui all’art. 145 cod. ass.. Né l’atto di citazione, né l’atto di intervento, né le memorie di cui all’art. 183, comma 6, n. 2, c.p.c., risultano corredate dalla suddetta richiesta e dalla relativa prova dell’avvenuta ricezione. In particolare, mai nessuna richiesta risarcitoria stragiudiziale risulta tempestivamente avanzata da F.T., V.C., R.M. e R.M. (le nonne, il fratello unilaterale e il nipote ex fratre di M.M.)”; da tale mancanza si fa discendere l’improponibilità di tali domande risarcitorie. La difesa degli intervenuti all’udienza del 4.7.2019 ha dichiarato a verbale che “l’eventuale carenza delle richieste risarcitorie può essere supplita ex art. 1310 c.c. trattandosi di obbligazione solidale”.

Al riguardo, occorre sottolineare che proprio la U. nella sua comparsa rilevava il difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eredi (oltre alla moglie) di R.V., tutti in ipotesi legittimati a chiedere il risarcimento e pertanto “litisconsorti necessari per espressa previsione dell’art. 140 co. 4 D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 (codice delle assicurazioni)”. Proprio da tale rilievo è sorta la chiamata di terzi su ordine del giudice ex art. 102 co. 2 c.p.c., posta da quest’ultimo a carico della parte attrice nelle sue ordinanze datate 8.07.2013 (per gli eredi del V.) e successivamente 27.03.2015 (per i congiunti potenzialmente danneggiati, anch’essi definiti litisconsorti necessari, su richiesta dell’attrice, come si dice espressamente nell’ordinanza richiamata). Ritiene questo giudicante che tale meccanismo sia di per sé incompatibile con quello di cui all’art. 145 CdA, che prevede “1. Nel caso si applichi la procedura di cui all’articolo 148, l’azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all’impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, anche se inviata per conoscenza, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti all’articolo 148. 2. Nel caso in cui si applichi la procedura di cui all’articolo 149 l’azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto alla propria impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, inviata per conoscenza all’impresa di assicurazione dell’altro veicolo coinvolto, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti dagli articoli 149 e 150”. In caso di chiamata iussu iudicis, infatti, da un lato il litisconsorte – che, secondo il meccanismo, riceve la notifica dell’atto da parte del soggetto a cui il giudice abbia indicato l’integrazione del contraddittorio – ha il termine per costituirsi in giudizio (20 giorni prima dell’udienza fissata) e potrebbero intercorrere solo 90 giorni tra la notifica e la data indicata per l’udienza stessa ex art. 163bis c.p.c.; dall’altro, secondo la tesi di U., avrebbe dovuto inviare una missiva di costituzione in mora con allegata la documentazione richiesta dal art. 148 del Codice delle Assicurazioni private e poi, trascorsi infruttuosamente 60 giorni per il risarcimento dei danni a cose, o 90 giorni per il risarcimento dei danni alla persona, biologici o da morte, tale soggetto potrebbe esercitare l’azione giudiziale. Ben si comprende che i termini si sovrapporrebbero e, pertanto, gli oneri di cui all’art. 145 CdA non possono essere imposti a chi si sia trovato in giudizio perché chiamato. L’eccezione di improcedibilità deve dunque essere respinta.

In ogni caso, nella sua memoria conclusionale di replica la difesa degli intervenuti V., C.F. ed eredi di D.R. richiama le raccomandate spedite alle due compagnie per M.M. il 2.05.2012, per gli intervenuti V., C.F. ed eredi di D.R., nonché per M.R., M.M. e C.A. le raccomandate sempre il 2.05.2012 ed infine per gli intervenuti V., C.F. ed eredi di D.R. l’ulteriore raccomandata inviata a U. il 26.09.2013 ritualmente ricevuta. Questo giudice – premesso che i fascicoli delle parti sono tutti connotati da un estremo disordine, ed ancor più risultano lacunosi gli indici – ha rinvenuto nel fascicolo di M.R., M.M. e C.A. la lettera di messa in mora datata 13.11.2014, spedita dal difensore per conto di M.R., L.V., T.F. e per M.R. jr. rappresentato dai suoi genitori in quanto minore; in quello di M.M. la raccomandata datata 2.05.2012, inviata ad entrambe le compagnie per conto di M.R., M.M. e C.A.. L’eccezione è, pertanto, infondata.

2b. Contestazione della qualità di eredi di D.V. (nonna di V.) in capo ai 12 soggetti intervenuti.

All’udienza del 4.07.2019 il difensore degli intervenuti dichiarava di aver depositato “in ottemperanza all’ordine del giudice, in data 2.07.2019 in PCT documentazione attestante la legittimazione attiva degli intervenuti”. Risultano depositati: la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà per T.F. (nonna di M.M. dal lato paterno), L.V. (nonna di M.M. dal lato materno) e R.M. (fratello di M.M.); estratto per riassunto dell’atto di nascita di C.A., madre dell’attrice; il certificato di stato di famiglia e certificato di nascita di M.M. e della stessa M.M..

Quanto agli eredi di D.R.V., risulta agli atti il certificato di morte di quest’ultima allegato alla comparsa di costituzione depositata il 20.01.2020, ovvero poco prima dell’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni (fissata al 21.01.2020); la difesa dei suoi eredi nulla ha ribattuto in ordine alla contestazione sulla dimostrazione della loro qualità, né tanto meno risultano prodotte – neppure, ad es., unitamente alle repliche, a seguito dell’insistenza sull’eccezione da parte della difesa U. ancora nella sua conclusionale – almeno dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, tanto meno la dichiarazione di successione.

Sul punto, in linea generale si veda Cass. civ., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11276 del 10/05/2018, secondo cui “Colui che, assumendo di essere erede di una delle parti originarie del giudizio, intervenga in un giudizio civile pendente tra altre persone, ovvero lo riassuma a seguito di interruzione, o proponga impugnazione, deve fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., oltre che del decesso della parte originaria, anche della sua qualità di erede di quest’ultima; a tale riguardo la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000, non costituisce di per sè prova idonea di tale qualità, esaurendo i suoi effetti nell’ambito dei rapporti con la P.A. e nei relativi procedimenti amministrativi, dovendo tuttavia il giudice, ove la stessa sia prodotta, adeguatamente valutare, anche ai sensi della nuova formulazione dell’art. 115 c.p.c., come novellato dall’art. 45, comma 14, della L. n. 69 del 2009, in conformità al principio di non contestazione, il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere, con riferimento alla verifica della contestazione o meno della predetta qualità di erede e, nell’ipotesi affermativa, al grado di specificità di tale contestazione, strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto della dichiarazione sostitutiva suddetta”.

Tuttavia, la necessità di provare la qualità di erede deve essere valutata anche alla luce della posizione della Suprema Corte secondo cui “Il mancato adempimento dell’onere di provare la qualità di erede da parte di colui il quale si costituisce in giudizio come successore a titolo universale di una delle parti, qualora nessuna contestazione sul punto sia stata svolta dalla controparte nelle udienze successive alla costituzione, e neppure in sede di precisazione delle conclusioni, non può essere fatto valere per la prima volta solo nella comparsa conclusionale o nei successivi gradi del giudizio” (Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 15031 del 21/07/2016): nella specie, come detto sopra, posto che l’intervento degli eredi della D.R. è avvenuto il giorno prima di quello per la precisazione delle conclusioni, comunque in sede di udienza la difesa della U. nulla aveva eccepito né si era riservato di farlo. Pertanto, l’eccezione sollevata solo in conclusionale deve ritenersi tardiva.

  1. An del sinistro.

Parte attrice e quelle intervenute sostengono la responsabilità in via esclusiva nella causazione del sinistro di cui si tratta in capo al conducente della B., il convenuto contumace N.; la U. (compagnia assicuratrice di quest’ultimo) ha sempre sostenuto, e ribadito in conclusionale, che in assenza di prova della mancanza di qualsiasi colpa in capo al V. (conducente della Smart), si applica la presunzione di cui all’art. 2054 co. 2 c.c. in caso di scontro tra veicoli (a tale fine richiama quella consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui “In tema di responsabilità derivante da circolazione stradale, nel caso di scontro tra veicoli, ove il giudice abbia accertato la colpa di uno dei conducenti, non può, per ciò solo, ritenere superata la presunzione posta a carico anche dell’altro dall’art. 2054, comma 2, c.c., ma è tenuto a verificare in concreto se quest’ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida corretta”: da ultimo Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 7479 del 20/03/2020).

Ritiene questo giudice che, contrariamente a quanto afferma la difesa di U., la prova della correttezza della condotta di guida tenuta dal V. e, quindi, dell’assenza di ogni sua colpa, vi è ed è ricavabile dagli atti, come peraltro già valutato dal giudice penale in primo e secondo grado.

Infatti, il Tribunale di Latina – Sezione GUP nel procedimento numero di RG. GIP 1689/2012, ha pronunciato la sentenza n. 1157/2012 del 26/11/2012, depositata in cancelleria il 28/2/2013 (prodotta da parte attrice limitatamente al dispositivo e nella sua interezza dall’intervenuto M.M. quale doc. n. 3), con la quale dichiarava N.C. responsabile dei reati ascrittigli ex artt. 81575-56-575 c.p., 18 L. n. 194 del 1978 e 186 co 2 lett. c. CdS, e lo condannava alla pena di anni otto di reclusione con interdizione perpetua dai pubblici uffici e interdizione legale per la durata dell’espiazione della pena, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia in carcere. Il Tribunale condannava, altresì, il N. al risarcimento dei danni patiti dalle parti civili M.M., in proprio e nella qualità di erede di V.R., V.P., C.F., V.R., V.L., D.R.V., M.R., M.M. e C.A., rimettendo le medesime davanti al giudice civile per la liquidazione, con rigetto della richiesta di provvisionale per tutte le parti civili ad eccezione di M.M., in favore della quale veniva liquidata, a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, l’importo di Euro 120.000,00. Tale sentenza veniva impugnata dall’imputato innanzi alla Corte di Appello di Roma – Sezione I^ Penale, procedimento recante numero di RG. 7017/2013, che con la sentenza n. 9663/2013 (doc n. 1 fasc. M.M.), riformava parzialmente la sentenza appellata riducendo la pena ad anni sei di reclusione, con condanna al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile costituita liquidate in Euro 1.500,00, confermando nel resto la sentenza appellata. Tale sentenza è diventata irrevocabile.

Sebbene la convenuta U. contesti gli accertamenti contenuti in tale pronunce anche già per il fatto di non aver partecipato a tali giudizi (assumendo di essere stata esclusa dal giudizio ex art. 87 c.p.p.), deve anzitutto rilevare questo giudice che esse hanno il valore “oggettivo” stabilito dall’art. 651 c.p.p., rubricato “Efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile o amministrativo di danno”: “La sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale. La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata a norma dell’articolo 442, salvo che vi si opponga la parte civile che non abbia accettato il rito abbreviato”. Nella specie, l’imputato, inizialmente rinviato a giudizio immediato, è stato su sua richiesta (chiaramente per ottenere un favor nella pena) ammesso a quello abbreviato; è, pertanto, irrilevante che non vi sia stato dibattimento, data l’equiparazione, ai fini che qui interessano, tra tale rito e quello abbreviato ai sensi della disposizione sopra riportata.

Quindi è ormai incontestabile l’accertamento della sussistenza del fatto e l’affermazione che l’imputato lo ha commesso; segnatamente, appare opportuno riportare i seguenti passi della sentenza di primo grado: “Risulta infatti incontroverso che il sinistro stradale nel quale V.R. ha perso la vita e la moglie M.M. ha riportato le gravissime lesioni, oltre alla perdita del bambino di cui era incinta al 5 mese di gravidanza, sia attribuibile alla responsabilità del N., che ha perso il controllo dell’autovettura che stava guidando esclusivamente a causa della velocità e dello stato di ubriachezza. Sia gli accertamenti eseguiti sul posto che le successive ricostruzioni della dinamica del fatto conducono alla medesima conclusione: l’autovettura dell’imputato, che viaggiava a velocità superiore a quella consentita, ha senza una ragione etero-indotta urtato con il fianco destro sul limite destro della sua carreggiata, “sbagliando” l’ingresso di una curva e ha iniziato a uscire di strada; successivamente, per effetto del “rimbalzo” dovuto all’urto, si è spostata a sinistra e ha invaso la corsia opposta collidendo con l’autovettura che proveniva in senso contrario. Il conducente di quest’ultima nulla ha potuto fare per evitare l’impatto, sicché al V. – deceduto nel sinistro – non è addebitabile alcun profilo di colpa, nemmeno a titolo di concorso, nell’incidente stradale in esame. Ulteriore dato incontrovertibile è lo stato di ubriachezza dell’imputato al momento del sinistro: dalle analisi del sangue compiute al momento del ricovero al pronto soccorso il N. risultava aver superato abbondantemente il limite consentito dall’art. 185 del codice della strada, poiché a fronte di un limite massimo di 0,5 g/l nel suo caso è stata riscontrata la presenza di alcol nel sangue in percentuale di 2,58 g/l. Tale dato, particolarmente impressionante, basta a ritenere che proprio lo stato di totale ubriachezza in cui il N. versava sia la spiegazione della sua perdita di controllo dell’autovettura e, conseguentemente, la causa del sinistro e delle sue funeste conseguenze sugli occupanti dell’autovettura che viaggiava sulla corsia opposta. A ciò va aggiunto che, secondo i calcoli effettuati dal consulente tecnico del Pubblico Ministero, l’autovettura dell’imputato ha affrontato la curva, oltre la quale ha perso il controllo, alla velocità di 125 Km/h, in un tratto in cui la velocità massima consentita (e ritenuta sicura) è di 50 Km/h …Anche lo stesso N., nel corso dell’interrogatorio reso al GIP dopo l’applicazione a suo carico della misura cautelare, ha dichiarato di aver bevuto alcol e di avere perso il controllo dell’autovettura…”.

Ancor più interessante è, poi, la motivazione della pronuncia di appello, poiché essa – data l’impugnativa della difesa del N. che aveva chiesto la sua assoluzione assumendo l’esclusiva imputabilità dell’evento al fatto che i soggetti che viaggiavano sulla Smart non indossavano le cinture di sicurezza, tema a suo dire non sufficientemente chiarito dalla consulenza espletata dal P.M. nel corso delle indagini preliminare – è stata costretta a prendere in esame analiticamente tale punto, così statuendo: “Ed invero, la dinamica dell’incidente stradale che ci occupa, non contestata dal difensore e della quale ora si dirà, rende ampia ragione dell’irrilevanza delle condizioni d’uso ed anche dell’allacciamento delle cinture di sicurezza da parte dei componenti l’equipaggio dell’autovettura Smart, dovendosi ricondurre l’incidente medesimo e relative disastrose conseguenze all’esclusiva responsabilità dell’odierno appellante…l’illuminazione pubblica era funzionante ed il N. conduceva l’autovettura alla velocità di circa km/h 125 e, dunque, superiore di oltre il doppio quella massima consentita. Parimenti accertato era che il N. si trovasse alla guida della menzionata vettura in stato di grave ebbrezza acolica…L’urto tra le due autovetture è avvenuto all’interno (circa due metri) della corsia di marcia percorsa dalla vittima…Orbene ritiene questa Corte territoriale che gli atti acquisiti al fascicolo processuale consentono di ritenere, con tranquillante certezza, l’irrilevanza di ogni questione relativa alle condizioni d’uso ed all’utilizzo delle cinture di sicurezza da parte delle persone che si trovavano all’interno dell’autovettura Smart al momento dell’incidente che ci occupa. Vuole qui farsi riferimento in particolare alla violenza dell’impatto frontale tra le due autovetture, al mancato ricorso da parte di entrambi a manovre d’emergenza, né all’uso dei rispettivi apparati frenanti (il V., verosimilmente, neppure si è accorto di quanto stava accadendo o si è accorto dell’inevitabile impatto quando si era già per lui consumato il c.d. “tempo utile di reazione”, in quanto stava affrontando una curva avente un raggio di circa m. 120 a visuale libera volgente a sinistra, allorché sul suo senso di marcia ha visto “piombarsi addosso” l’autovettura condotta dal N. a velocità elevatissima…) alla doverosa sommatoria delle velocità tenute dalle due autovetture al momento dell’impatto, ed infine alle stesse fotografie dell’autovettura SMART subito dopo l’impatto (la parte anteriore sinistra è sostanzialmente mancante) ed alla consulenza tecnica sui mezzi che tra l’altro, ha accertato un ribaltamento dell’autovettura condotta dal V. all’esito dell’urto. A ciò devono aggiungersi gli accertamenti medici eseguiti sul cadavere del V. e sulla moglie di quest’ultimo…giunto cadavere all’ospedale Fiorini di Terracina … è stato accertato un gravissimo trauma toracico encefalico, con diffusa raccolta emorragica in sede sub aracnoidea a destra, e un altrettanto gravissimo trauma toracico con fratture costali multiple bilaterali, emopneumotorace a sinistra, emitorace a destra, rottura del cuore, rottura dell’aorta toracica, lesioni epatiche, spleniche e renali, frattura del bacino con disarticolazione a destra, frattura dell’arto superiore sinistro e inferiore destro. Con riferimento alla signora M….è stata quindi sottoposta ad intervento di chirurgia vascolare…di chirurgia generale per lesioni al fegato e del diaframma, ad intervento di taglio cesareo con estrazione del feto morto per distacco placentare post-traumatico…”.

Orbene, rileva questo giudice che, se è vero che la sentenza di condanna del giudice penale non fa stato per le compagnie assicurative – non avendo queste ultime partecipato al giudizio – è anche vero che la condanna penale è utilizzabile a livello indiziario di una responsabilità esclusiva del sinistro da parte del conducente danneggiante avendo superato la certezza (“al di là di ogni ragionevole dubbio”) ex art. 533 c.p.p..

In ogni caso, anche qualora si volesse prescindere dalle statuizioni delle due sentenze emesse all’esito del giudizio penale (con statuizione ormai irrevocabile), dall’esame delle prove documentali e testimoniali prodotte ed espletate nel presente giudizio questo giudice non potrebbe che giungere alle medesime conclusioni. Al riguardo, è opportuno menzionare la giurisprudenza della Suprema Corte che ritiene che “Nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice, potendo porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche, è legittimato ad avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, così come delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali” (cos’ Cass. civ., sez. II, 20/01/2017, n. 1593, conforme, ex plurimis, a Cass. civ. Sez. 1, Sentenza n. 17392 del 01/09/2015 sez. III, 26/06/2015 n. 13229). Sono, pertanto, utilizzabili gli atti delle indagini preliminari eseguite dalla Procura di Latina; in particolare, in ordine alle due principali cause che hanno provocato il sinistro – lo stato di ubriachezza del N. ed il suo eccesso di velocità – è opportuno richiamare la Relazione della Polstrada di Terracina datata 27.02.2012 (doc. n. 13 all. citazione) dov’è rappresentato (dopo aver descritto lo stato dei luoghi e ricostruito la dinamica del sinistro) che “gli operatori, mentre effettuavano i rilievi ed accertavano le modalità della dinamica del sinistro (causato dall’indagato), e constatata l’impossibilità di poter procedere mediante apparecchiatura alcooltest o per sintomatologia, tramite l’operatore radio, facevano fare al personale sanitario, analisi cliniche di laboratorio per verificare eventuali alterazioni psicofisiche del conducente. Conclusi i rilievi di rito, presso il Pronto Soccorso, attraverso gli esami ematici, diagnosticavano un importante stato di ebbrezza (presentava 258 mg/dl di alcol nel sangue, pari in proporzione, a 2,58 g/l, abbondantemente al di sopra del limite imposto per legge di 0,5 g/l)”. Sul punto è opportuno richiamare anche le deposizioni rese all’udienza del 25 settembre 2018 dai testi N.R. e G.F.P., ovvero gli agenti che, intervenuti sul posto perché in transito, redigevano il verbale sopra richiamato: entrambi hanno confermato la dinamica così come ricostruita nel rapporto nonché hanno confermato di aver richiesto al personale sanitario per il N. il test alcolemico.

In particolare, la dinamica del sinistro era così descritta nel citato rapporto: “…dove la carreggiata si presenta rettilinea, pianeggiante, a doppio senso di circolazione in buono stato di manutenzione, con illuminazione pubblica funzionante, a causa dello stato psico-fisico alterato, dovuto ad

assunzione di sostanze alcoliche ed in conseguenza della velocità non prudenziale, N.C. invadeva la corsia opposta di marcia andando ad impattare violentemente contro l’autovettura Smart…L’urto di forte entità avveniva nella corsia di pertinenza di quest’ultimo veicolo e si concretizzava tra la parte anteriore destra della B. contro la parte anteriore centrale sinistra della Smart. In conseguenza del violento impatto, l’autovettura Smart subiva un movimento a ritroso in senso orario, capovolgendosi ed arrestandosi sul fianco destro in posizione obliqua all’asse stradale…Sul manto stradale non venivano rilevate tracce di frenata ma il presumibile punto d’urto ed alcune tracce di scarrocciamento gommoso riconducibili al veicolo B….”.

Proprio in relazione alla velocità tenuta dal N. occorre richiamare l’elaborato del consulente del PM, il perito L.M., che nella sua relazione (doc. 14 fasc. att.; cfr. pag. 27 ss.) ha ricostruito la cinematica prendendo in esame lo stato dei luoghi (come da foto), i danni riportati dalle vetture (come da foto), il calcolo delle rispettive velocità di entrata e quella persa nella fase di ribaltamento dalla Smart, fino ad arrivare a ritenere che quest’ultima viaggiava a 50 km/h ovvero nel rispetto del limite segnalato (come da segnaletica rappresentate nelle foto in atti), come d’altronde rilevato dal “tachimetro rimasto bloccato nell’impatto”, mentre la B. ad almeno 107 km/h e, quindi, oltre il doppio del limite, che era di 50 km/h; il perito concludeva ritenendo che “la causa del sinistro sia da ricercare nella velocità in curva risultata superiore al limite di aderenza trasversale degli pneumatici. Poi al paragrafo relativo alla “condotta di comune prudenza e responsabilità dei conducenti”, così concludeva: “N.C., conducente dell’autovettura B., procedeva in stato di forte ebbrezza alcoolica ad una velocità molto superiore al limite massimo esistente, non adeguata alle caratteristiche della strada quando, nell’affrontare una curva volgente a sinistra, a causa della velocità superiore al limite di aderenza degli pneumatici, deviava dalla traiettoria normale di marcia ed urtava con la ruota posteriore destra del veicolo contro il cordolo in rialzo di destra che delimitava la carreggiata; dopo l’urto deviava verso sinistra, invadeva la corsia opposta e veniva a violenta collisione con l’autovettura Smart che sopraggiungeva dal senso contrario. Nella circostanza, essendosi messo alla guida in forte stato di ebbrezza alcoolica (ubriachezza) e avendo proceduto a velocità sostenuta, ha evidenziato un comportamento contrario alla comune prudenza, inosservante delle prescrizione del C.d.S. rendendosi protagonista dell’evento infortunistico. (Rif.to Artt. 140 comma 1+ 186 comma 1+ 141 comma 1-2+ 142 comma 1-9 del C.d.s.). V.R., invece, conducente dell’autovettura Smart procedeva nella corsia di pertinenza a velocità moderata, rientrante nel limite massimo esistente di 50 Km/h. Ciononostante in sede di valutazione tecnica è emerso che l’invasione della corsia di pertinenza da parte del veicolo antagonista si è realizzata a brevissima distanza per cui non ha avuto tempo e spazio per poter evitare l’urto od effettuare una manovra di emergenza. Si ritiene che il predetto sia esente da responsabilità e non si rilevano a suo carico infrazioni di C.D.S.”. E’ una facile conclusione quella di porre in relazione l’eccesso di velocità con l’elevatissimo tasso alcolemico del N. (oltre 5 volte quello consentito), poiché è una tipica conseguenza dello stato di alterazione da alcol il non essere più in grado di rendersi conto delle situazioni e dello stato dei luoghi.

Sebbene la difesa di U. abbia contestato l’opponibilità a sé della perizia suddetta non avendo partecipato al suo espletamento, in ogni caso essa contiene un dato oggettivo, ovvero che il tachimetro della Smart si è fermato alla velocità di km 50/h (come da foto allegata alla perizia): da ciò deve desumersi che alcun rimprovero potesse muoversi al V. in ordine alla velocità tenuta.

Quanto, poi, alla circostanza se il V. e la M. indossassero o no le cinture di sicurezza, si è già rilevato che l’attrice ne era esonerata in quanto al quinto mese di gravidanza, come previsto dall’art. 172, co. 8 lett. f) CdS. Relativamente al V., da tutti gli elementi del sinistro – velocità tenuta dalla B.; mole di tale veicolo; il fatto che la Smart stava uscendo da una curva volgente a sinistra; il punto d’impatto rinvenuto nella corsia percorsa dalla Smart – nonché dalle sue devastanti conseguenze sui veicoli e sulle persone coinvolte, non può che desumersi che, se anche avesse indossato le cinture di sicurezza, ciò non gli avrebbe evitato l’effetto letale dell’impatto. Sarebbe sufficiente vedere lo stato in cui era ridotta la Smart come si evince dalle foto in atti per concludere che, anche ove la cintura avesse potuto mantenere il V. “attaccato” al sedile, questi sarebbe comunque rimasto schiacciato dall’auto che è “piombata” proprio sul lato guidatore della Smart (come attestano le foto).

Concludendo sul punto, questo giudice civile può così statuire all’esito dell’istruttoria documentale (relazione della Polizia Stradale intervenuta sui luoghi; sentenze penali di primo e secondo grado; rilievi risultanti dalla relazione cinematica del CT del PM) ed orale (testi agenti verbalizzanti intervenuti quasi nell’immediatezza del sinistro) espletata: nessuna colpa può ascriversi né alla trasportata M.M. – che in quanto in stato di gravidanza al quinto mese era esonerata dall’indossare le cinture di sicurezza – né al deceduto V. – che, data la gravità della condotta tenuta dal N., accertata in base ad elementi oggettivi ed comprovati quali il suo stato di ubriachezza e il superamento del limite di velocità in curva, con invasione della corsia opposta e investimento del veicolo (peraltro una Smart e quindi di dimensioni molto più piccole di quelle del mezzo investitore) condotto dal de cuius, nulla avrebbe potuto fare non solo per evitare lo scontro frontale stesso, ma addirittura per attutirne le conseguenze. In altre parole, anche ove avesse indossato la cintura di sicurezza o avesse posto in essere una manovra di frenata (di cui non vi è traccia data la repentinità e inaspettatezza dell’investimento), il peso del veicolo che si è schiantato addosso al V. a velocità elevatissima avrebbe prodotto le medesime conseguenze che si sono in effetti verificate – con conseguente superamento della presunzione di cui all’art. 2054 co. 2 c.c., dovendosi desumere dai dati certi – che si ripete, al di là della sentenza penale, sono quelli di cui al rapporto della Polizia e desumibili dai danni che si sono verificati – che il V. non avrebbe potuto fare nulla per evitare il danno, con conseguente esclusione di qualsiasi cooperazione colposa.

Quanto sopra riportato consente ampiamente di ritenere superata (e, anzi, soddisfatta) la posizione della Corte di Cassazione secondo cui: “nei rapporti tra giudizio penale e civile, l’efficacia di giudicato della condanna penale di una delle parti che partecipano al giudizio civile, risarcitorio e restitutorio, investe, ex art. 651 cod. proc. peri., solo la condotta del condannato e non il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile, anche se l’accertamento della responsabilità abbia richiesto la valutazione della correlata condotta della vittima”.

E’, pertanto, irrilevante e superflua qualsiasi c.t.u. sull’uso delle cinture di sicurezza, già rigettata da questo giudice con ordinanza del 4.07.2019, chiesta dalla difesa U. (punto 5 della memoria ex art. 183 co. VI n. 2 c.p.c.).

  1. I singoli risarcimenti.

Premessa.

E’ opportuno richiamare alcuni principi generali, quanto alla risarcibilità dei danni non patrimoniali, che devono ritenersi consolidati a partire da Cass. SS.UU. civ. n. 26972/2008; in particolare, quello della “necessaria integralità del risarcimento, con la conseguente necessità di evitare gli effetti delle duplicazioni risarcitorie in merito a voci di danno che, in via meramente descrittiva, sono menzionate in diverso modo, ma i cui indici di sofferenza, tuttavia, non rappresentano altro che i medesimi componenti del complesso pregiudizio che va integralmente ed unitariamente risarcito” (ribadito di recente da Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 9320 del 08/05/2015); ancora, “Il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi “previsti dalla legge”, e cioè, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ.: (a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, ancorché privo di rilevanza costituzionale; (b) quando ricorra una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale anche al di fuori di una ipotesi di reato (ad es., nel caso di illecito trattamento dei dati personali o di violazione delle norme che vietano la discriminazione razziale); in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dei soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto al risarcimento (quali, rispettivamente, quello alla riservatezza od a non subire discriminazioni); (c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale; in tal caso la vittima avrà diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di tali interessi, che, al contrario delle prime due ipotesi, non sono individuati “ex ante” dalla legge, ma dovranno essere selezionati caso per caso dal giudice”.

Orbene, quanto alla modalità di calcolo, è opportuno ricordare da un lato che la Suprema Corte (cfr. Cass. 7/6/2011 n. 12408 e Cass. 22/12/2011 n. 28290) ha fatto riferimento alle tabelle elaborate dall’Osservatorio per la Giustizia civile di Milano nel 2009 aggiornate al marzo 2018, adottate anche da questo Tribunale per la liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c. del danno non patrimoniale derivante da lesione dell’integrità psico-fisica. Facendo applicazione dei principi enunciati dalle menzionate sezioni Unite della Suprema Corte n. 26792 dell’11.11.2008, le richiamate tabelle propongono una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente a lesione medico legale, sia nei suoi risvolti anatomo/funzionali sia relazionali, e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di dolore o sofferenza soggettiva, in via di presunzione in riferimento ad un dato tipo di lesione, vale a dire la liquidazione congiunta dei pregiudizi in passato liquidati a titolo di c.d. danno biologico standard, c.d. personalizzazione per particolari condizioni soggettive del danno biologico e c.d. danno morale. Si veda più di recente Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 20895 del 15/10/2015, secondo cui “Nella liquidazione del danno non patrimoniale non è consentito, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso ad una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obiettivi, i soli idonei a valorizzare le singole variabili del caso concreto e a consentire la verifica “ex post” del ragionamento seguito dal giudice in ordine all’apprezzamento della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell’entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d’animo, dovendosi ritenere preferibile, per garantire l’adeguata valutazione del caso concreto e l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, l’adozione del criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, al quale la S.C. riconosce la valenza, in linea generale e nel rispetto dell’art. 3 Cost., di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c., salva l’emersione di concrete circostanze che ne giustifichino l’abbandono”.

D’altro canto, non può trascurarsi l’insegnamento della Corte costituzionale (sentenza 235/2014, punto 10.1 e ss.) e il recente intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 C.d.A. come modificati dall’art. 1, comma 17, della L. 4 agosto 2017, n. 124 – la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”), ed il cui contenuto consentono di distinguere, secondo un’interpretazione letterale che renderebbe inutile il ricorso agli ulteriori criteri interpretativi, definitivamente il danno dinamico-relazionale causato dalle lesioni da quello morale (si veda in particolare l’art. 138, lettera e), secondo cui “al fine di considerare la componente del danno morale da lesione all’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico stabilita in applicazione dei criteri di cui alle lettere da a) a d) è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione complessiva della liquidazione”). Si veda, per una maggiore chiarezza in tema di distinzione tra aspetto dinamico relazionale e sofferenza interiore che ciascuna lesione di un diritto costituzionalmente tutelato presenta, Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 901 del 17/01/2018 che, partendo proprio dal concetto di centralità della persona e di integralità del risarcimento del valore uomo elaborato dalle sentenze del 2008 e richiamando espressamente la pronuncia della Corte costituzionale n. 235/2014, ha affermato che “Oggetto della valutazione di ogni giudice chiamato ad occuparsi della persona e dei suoi diritti fondamentali è, nel prisma multiforme del danno non patrimoniale, la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto…Queste considerazioni confermano la bontà di una lettura delle sentenze del 2008 condotta, prima ancora che secondo una logica interpretativa di tipo formalistico-deduttivo, attraverso una ermeneutica di tipo induttivo che, dopo aver identificato l’indispensabile situazione soggettiva protetta a livello costituzionale (oltre alla salute, il rapporto familiare e parentale, l’onore, la reputazione, la libertà religiosa, il diritto di autodeterminazione al trattamento sanitario, quello all’ambiente, il diritto di libera espressione del proprio pensiero, il diritto di difesa, il diritto di associazione e di libertà religiosa ecc.), consenta poi al giudice del merito una rigorosa analisi ed una conseguentemente rigorosa valutazione, sul piano della prova, tanto dell’aspetto interiore del danno (la sofferenza morale in tutti i suoi aspetti, quali il dolore, la vergogna, il rimorso, la disistima di sé, la malinconia, la tristezza,) quanto del suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana (il danno cd. esistenziale, in tali sensi rettamente interpretato il troppe volte male inteso sintagma, ovvero, se si preferisca un lessico meno equivoco, il danno alla vita di relazione)… Restano così efficacemente scolpiti i due aspetti essenziali della sofferenza: il dolore interiore, e/o la significativa alterazione della vita quotidiana. Danni diversi e perciò solo entrambi autonomamente risarcibili, ma se, e solo se, provati caso per caso, con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (tra cui il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni) al di là di sommarie quanto impredicabili generalizzazioni”. In tema di prova del danno sotto il suo duplice profilo, si veda già Cass. civ., sez. III, sent. n.11851/2015, secondo cui “La questione si sposta così sul piano della prova del danno, la cui formazione in giudizio postula, va sottolineato ancora una volta, la consapevolezza della unicità e irripetibilità della vicenda umana sottoposta alla cognizione del giudice, altro non significando il richiamo “alle condizioni soggettive del danneggiato” che il legislatore ha opportunamente trasfuso in norma. Prova che, come efficacemente rammentato della sentenze delle sezioni unite del 2008, potrà essere fornita senza limiti, e dunque avvalendosi (anche) anche delle presunzioni e del notorio. E di tali mezzi di prova il giudice di merito potrà disporre alla luce di una ideale scala discendente di valore dimostrativo, volta che essi, in una dimensione speculare rispetto alla gravità della lesione, rivestiranno efficacia tanto maggiore quanto più sia ragionevolmente presumibile la gravità delle conseguenze, intime e relazionali, sofferte dal danneggiato.”

Le opposte difese di parti attrice e intervenute e della convenuta I.M. hanno in effetti riassunto (si vedano le rispettive conclusionali) le posizioni apparentemente contrastanti in tema di separata risarcibilità del danno morale. Ritiene questo giudice necessario tentare di ricondurre ad unità l’apparente contraddizione: è sì applicabile, in quanto ha concretizzato e “standardizzato” il criterio equitativo, la Tabella Milanese del 2018; tuttavia, non può ritenersi assoluta l’affermazione contenuta nella relazione che l’accompagna, laddove a pag. 6 afferma che, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte (evidentemente anteriori), il punto “danno non patrimoniale” è comprensivo di quello biologico e di quello morale (ferma la possibilità di loro personalizzazione in considerazione delle particolari condizioni soggettive entro un range ovvero una percentuale di aumento dei valori medi riportati dalla tabella milanese “laddove il caso concreo presenti peculiarità che vengano allegate e provate”). Al contrario, alla luce dei più recenti e maturi sviluppi giurisprudenziali e normativi (ed in attesa di una probabile modifica delle tabelle milanesi), non potrà negarsi che, sebbene il punto “danno non patrimoniale” sia comprensivo dell’aspetto dinamico relazionale della lesione al bene salute, laddove ad esso si assommi anche una sofferenza morale che sia indice della lesione di un ulteriore bene costituzionalmente protetto, ben potrà il giudice procedere alla sua separata liquidazione. Si veda, sul punto, la recentissima Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 28988 del 11/11/2019, secondo cui “In tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, la misura “standard” del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato negli uffici giudiziari di merito (nella specie, le tabelle milanesi) può essere incrementata dal giudice, con motivazione analitica e non stereotipata, solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna “personalizzazione” in aumento”. Né, ad opinione di questo giudice, contrasta con quanto sopra riportato – in sintesi: liquidazione unitaria del “danno non patrimoniale” anche secondo misure standard, salva la sua personalizzazioni in caso di allegazione e prova di specifiche condizioni soggettive del danneggiato – la recentissima ordinanza della Cassazione n. 7753 dell’8 aprile 2020 che (peraltro in tema di micropermanenti) consente la liquidazione separata del danno morale rispetto a quello biologico-esistenziale, ma proprio in termini di prova di una specifica sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, non diversa dalla personalizzazione del danno non patrimoniale.

  1. Attrice M.M..

M.M. ha domandato il risarcimento:

  1. a) del danno alla salute e morale (iure proprio);
  2. b) del danno da perdita del rapporto parentale e del feto (iure proprio);
  3. c) del danno patrimoniale per la perdita della propria capacità di lavoro e per le spese sostenute (iure proprio);
  4. d) del danno tanatologico o biologico, morale e per la perdita del feto subìti da R.V., non deceduto immediatamente (iure hereditatis);
  5. e) del danno patrimoniale per la perdita “delle legittime aspettative di un contributo economico” da parte del marito (iure hereditatis).

E’ opportuno analizzarli separatamente.

a)Danno alla salute e morale iure proprio.

Come correttamente rilevato dalla difesa della compagnia assicurativa nella sua comparsa conclusionale, l’esistenza del danno alla salute di M.M. è innegabile. E’ comunque opportuno richiamare le numerose relazioni che, esaminata la copiosa documentazione medica e visitata la giovane donna, hanno confermato il nesso di causalità tra le lesioni subìte e l’incidente oggetto di causa. In particolare: 1) nell’immediatezza del fatto (deposito in data 17.05.2012) il P.M. in sede di indagini ha conferito incarico al perito dott.ssa S. (di cui si tornerà adire infra); 2) sempre il PM, in ordine all’avvenuta interruzione della gravidanza ex art.17 della L. n. 194 del 1978 ed al relativo accertamento del nesso causale tra il sinistro e la morte del feto, conferiva incarico al dott. F.M., che redigeva e depositava in data 17.05.2012 una “Relazione di consulenza medico legale di ufficio su placenta di feto di sesso femminile alla ventisettesima settimana di gestazione estratto in via chirurgica dalla puerpera M.M. alle ore 22.26 del 26.02.2012 presso il reparto di ostetricia e ginecologia del presidio ospedaliero Santa M.G.L.”; 3) la consulenza redatta dal fiduciario della U., dott.ssa V., datata 5.12.2013 e depositata dall’assicurazione convenuta in adempimento dell’ordine di questo Giudice; 4) da ultimo, a seguito della richiesta della difesa U. nella memoria ex art. 183 co. VI n. 2 c.p.c., è stata ordinata a parte attrice “l’esibizione ed il deposito del certificato di compiuta guarigione con postumi dell’attrice M.M., del certificato di stato di famiglia attuale della medesima, oltre che il deposito delle dichiarazioni dei redditi della medesima dal 2008 sino alla data odierna”; la difesa attorea ha depositato (tra le altre cose) in data 21.09.2018 la relazione redatta dal dott. F.D.P.. Orbene, poiché da tutte le relazioni menzionate emerge una sostanziale uniformità nella valutazione del danno biologico permanente (tra il 60 e il 70%: si vedano la relazione della fiduciaria della U. e quelle di parte attrice, inclusa quella di natura psicodiagnostica effettuata sulla persona della M. dalla dott.ssa B.: cfr. doc. n. 3 fasc. att.), ritiene questo giudice del tutto corretto fare riferimento alla relazione più recente nel tempo, ovvero quella del dott. D.P., il cui deposito è stato sollecitato dalla stessa compagnia assicuratrice al fine di poter valutare il danno ormai stabilizzato. Ebbene, il dott. D.P. (ma, si ripete, le valutazioni non si discostano da quelle degli altri medici) dopo aver elencato le lesioni riportate dall’attrice a seguito al violento incidente subìto (cfr. pag. 9 dell’elaborato), così descrive la situazione: “Dopo un calvario di sofferenze e cure riabilitative, M.M. è giunta alla stabilizzazione dei postumi, ed è ora affetta da menomazioni permanenti e invalidanti che incidono cospicuamente sulla integrità psico-fisica della sua persona e consistono in: esiti di trauma cranico contusivo-commotivo con cefalee ricorrenti e turbe della cenestesi; esiti di rottura dell’istmo dell’aorta con endoprotesi vascolare; esiti di lacerazione epatica e del diaframma con turbe dispeptiche e aderenze viscerali ad alterato transito intestinale; esiti di trauma rachideo con limitazione funzionale cervicale, rettilineizzazione ed esiti di frattura del margine antero-superiore del soma L4 e dei processi traversi di L1(dx e sin) ed L2 con rigidità della cerniera lombo-sacrale per contratture dolorose; esiti della frattura femorale sinistra al 1\3 superiore con dismetria d’arto trattata con F.E., limitazione dell’articolazione dell’anca; esiti di trombosi venosa profonda dell’arto inferiore sinistro con linfedema, esisti di ematoma di coscia; esiti di frattura del polso destro con limitazione funzionale; complesso cicatriziale multiplo con effetto deturpante e pregiudizio alla funzione estetica (cicatrice del labbro inferiore, cicatrice al vertice del capo, cicatrice ventrale 30cm xifo-pubica diastasata, cicatrice ascellare sinistra, cicatrici nummulari su tronco e addome. Cicatrici sull’arto inferiore sinistro di cm 9, cm 8, cm 7, per alta apprezzabilità e riverbero in soggetto femminile di giovane età con riflessi sulla vita di relazione e il modo di essere della persona. Infine come già si è detto M.M. è affetta da: sindrome psico-emotiva post-traumatica, disturbo depressivo maggiore, disturbo d’ansia con fobie per il grave e ricorrente riverbero dell’esperienza luttuosa vissuta con perdita del coniuge e del prodotto del concepimento nonché l’autosservazione della sua condizione invalidante, che determinano sulla personalità dell’offesa turbe del controllo emotivo, dell’ideazione e dell’affettività, con angoscia profonda e ripiegamento dell’umore, intrusioni e polarizzazioni ricorrenti, fantasie di morte e incubi comuni. Infatti in lei si sono materializzate tutte insieme esperienze di grande risonanza affettiva tali da sconvolgere il corso della vita; così che ora ella presenta disturbi dell’umore con sentimenti di profonda tristezza, crisi di malinconia e depressione reattiva, disinteresse e distacco relazionale ma anche ansia e sentimenti di risentimento e rabbia, polarizzazione angosciosa per la rottura esistenziale di ritmi e abitudini consolidanti e sereni, di progetti e speranze, con marcato coinvolgimento doloroso al vissuto traumatico oltreché funesto per la perdita violenta del compagno della vita e del feto che suscitava emozioni e del quale ella già percepiva i messaggi, ma anche per l’introiezione sulle menomazioni indotte dalle sue infermità e dalla condizione invalidante che riverbererà certamente col passare degli anni con effetti di danno futuro alquanto probabile. In tale contesto è ingente la condizione di allarme con senso di ansia e panico che vive ogni qual volta ella deve salire in auto per riprodurre una qualsiasi esperienza di viaggio”. Così, dunque, conclude: “…posso concludere che il complesso morboso delle infermità determina menomazione della integrità psico-fisica della persona M.M. che incide sul bene-salute nella misura del 68% della totale validità in riferimento al parametro di danno biologico. nella valutazione, poi, della personalizzazione del danno, del danno morale e del danno futuro, non si può sottovalutare che la protesi dell’aorta costituisce materiale estraneo che alimenta concretamente il rischio funzionale, il rischio di infezione e il rischio protrombotico come ci insegna la letteratura internazionale, come pure non è nota la durata di una protesi impiantata in un soggetto di 29 anni perché manca un follow-up proiettato sulla prospettiva di vita. infine il momento delle lesioni ha determinato un periodo di prognosi che può essere quantificato in giorni 200 come invalidita’ temporanea assoluta ed in giorni 100 come invalidita’ parziale al 75%”.

Applicando, dunque, il punto “danno non patrimoniale” come quantificato dalle tabelle del Tribunale di Milano aggiornate al 2018, considerato che M.M. è nata l'(…) e pertanto aveva 29 anni al momento del sinistro (26.02.2012),il danno alla salute va così quantificato:

-euro 663.941,00 per l’invalidità permanente;

-euro 19.600,00 per l’inabilità temporanea assoluta (200 giorni) ed Euro 7.350,00 per quella relativa (100 giorni al 75%) ove si consideri che secondo la tabella milanese per ogni giorno di inabilità devono essere risarciti Euro 98,00, così per complessivi Euro 690.891,00.

Alla luce di quanto sopra affermato in tema di aspetti dinamico-relazionale ed intimo del dolore provato dall’attrice, deve ritenersi che quanto per comune esperienza lo stato in cui la M. è stata gettata da un momento all’altro (comunque ben descritto nella relazione riportata) – sostanziale impossibilità di muoversi per 300 giorni, sottoposizione a una molteplicità di interventi, consapevolezza che, ove mai si fosse ripresa come poi fortunatamente è stato, il suo progetto di vita era necessariamente ormai azzerato e da ricostruire dalle fondamenta, le numerose cicatrici sul corpo (si vedano le foto in atti) di una donna di soli 29 anni, vera e propria testimonianza della sua storia – senz’altro impone una personalizzazione (consentita, come sopra detto, dalla stessa tabella milanese) nella misura del 25% come chiesto dalla stessa parte attrice in riferimento sia all’invalidità permanente che all’inabilità temporanea e, pertanto, l’attrice avrà diritto a tale titolo al risarcimento di complessivi Euro 863.613,00, somma che deve essere rivalutata, trattandosi di obbligazione di valuta, secondo gli indici ISTAT dal marzo 2018 (essendo le tabelle di Milano aggiornate a tale data) sino alla pubblicazione della presente sentenza e sulla somma così rivalutata devono essere calcolati gli interessi al tasso legale sino al saldo effettivo.

In ordine, poi, al danno morale chiesto dall’attrice, rileva questo giudice che, ferma la possibilità della sua separata risarcibilità (cfr. par. “Premessa” supra) purché provato “con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (tra cui il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni)”, rileva questo giudice che nella specie il fatto illecito è astrattamente – anzi, con sentenza ormai irrevocabile come sopra detto – configurabile come reato, di talché la vittima ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale scaturente dalla lesione dell’interesse della persona tutelato proprio dalla norma che ha previsto la punibilità della fattispecie penale (nella specie, lesioni gravissime colpose e procurato aborto). Vale la pena richiamare le parole contenute nella relazione della dott.ssa S. – a prescindere dal fatto che la U. non partecipò a tali operazioni peritali: trattasi comunque di un documento ritualmente acquisito in giudizio e valutabile almeno come indizio: cfr. ex plurimis Cass. civ., Sez. 5, Ordinanza n. 33503 del 27/12/2018 – che nell’immediatezza del sinistro esaminò la M.: non solo affermava che la donna aveva corso pericolo di vita, ma aggiungeva: “la gravida è una donna tutta speciale, e non esiste in natura un corrispettivo che anche lontanamente le assomigli; è in atto in tutto il suo essere un cambiamento, una trasformazione in tempi veloci e le donne che stanno compiendo il percorso nascita-gestazione-parto- puerperio-allattamento rappresentano una categoria a parte da tutte le donne…Sin dall’inizio della gravidanza, le variazioni nella produzione ormonale evidenziano in lei, a livello profondo, uno stato di consapevolezza del figlio; esistono obiettive modificazioni fisiche e psichiche provocate in lei dalla presenza stessa del figlio…occorre tenere presente che, se da un lato l’aumento della produzione ormonale aiuta la donna favorendo e promuovendo processi di adattamento relativi alla nuova situazione, così come quelli di apertura, di accoglienza e l’attaccamento al bambino, dall’altro la rende particolarmente sensibile, emotiva e quindi molto più fragile e particolarmente disarmata dinanzi alla comunicazione della perdita del figlio. Nel complesso percorso della gestazione, di per se stesso già così costellato di cambiamenti, perdite e riadattamenti alle nuove realtà che via via si presentano, ciò che primariamente sostiene la madre di un bambino è proprio il pensiero dell’incontro con lui…Questa donna, già così tanto madre del proprio figlio, dovrà far fronte e superare una prova che lei sa non porterà come frutto niente altro che il dolore…La perdita di un figlio durante la gravidanza rappresenta una frattura esistenziale che richiede notevoli sforzi per adattarsi all’evento e poterlo poi elaborare…In questa dolorosissima situazione inoltre M.M. ha perso la sua bambina ed il padre di sua figlia, ed il percorso del suo lutto è già da definire complicato”. La sofferenza morale conseguita ai subìti reati deve, in conclusione, essere risarcita equitativamente in ulteriori Euro 150.000,00 attuali, somma a cui devono aggiungersi gli interessi al tasso legale con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo effettivo.

Non occorre, pertanto, alcuna ulteriore consulenza tecnica, contrariamente a quanto chiesto dalle compagnie intervenute.

  1. b) danno da perdita del rapporto parentale e del feto (iure proprio).

In merito al danno da perdita del rapporto parentale (con motivazioni che trovano applicazione anche nel caso di danno da lesione del rapporto parentale) è stato efficacemente affermato da tempo che “il soggetto che chiede iure proprio il risarcimento del danno subito in conseguenza della uccisione di un congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale lamenta l’incisione di un interesse giuridico diverso sia dal bene salute, del quale è titolare (la cui tutela ex art. 32 cost., ove risulti intaccata l’integrità psicofisica, si esprime mediante il risarcimento del danno biologico), sia dall’interesse all’integrità morale (la cui tutela, ricollegabile all’art. 2 cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo), e ciò in quanto l’interesse fatto valere è quello alla intangibilità della sfera degli effetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 229 e 30 cost. Trattasi di interesse protetto, di rilievo costituzionale, non avente natura economica, la cui lesione non apre la via ad un risarcimento ai sensi dell’art. 2043 c.c., nel cui ambito rientrano i danni patrimoniali, ma ad una riparazione ai sensi dell’art. 2059 c.c., senza il limite ivi previsto in correlazione all’art. 185 c.p. in ragione della natura del valore inciso, vertendosi in materia di danno che non si presta ad una valutazione monetaria di mercato” (Cass., n. 2557/11). È chiaro, tuttavia, che, dal punto di vista delle conseguenze della lesione (si veda la sopra citata Cass. civ. n. 901/2018), il pregiudizio in discorso può manifestarsi come sofferenza interiore o come sconvolgimento delle abitudini e delle aspettative di vita dei superstiti danneggiati: vale a dire come danno morale o danno esistenziale. Laddove, poi, la sofferenza psichica si sia “cristallizzata” in una vera e propria patologia nosograficamente apprezzabile, si configurerà un danno biologico, suscettibile di liquidazione secondo il criterio c.d. tabellare, salva l’opportuna “personalizzazione” dei relativi valori, al fine di adeguare il risarcimento alle peculiarità del caso concreto.

Si tratta, dunque, di valutare gli elementi che sono stati (allegati e) provati da attrice e intervenuti, con riguardo alla singola fattispecie concreta, posto che “il danno biologico, il danno morale ed il danno alla vita di relazione rispondono a prospettive diverse di valutazione del medesimo evento lesivo, che può causare nella vittima e nei suoi familiari, un danno medicalmente accertato, un dolore interiore e un’alterazione della vita quotidiana, sicché il giudice di merito deve valutare tutti gli aspetti della fattispecie dannosa, evitando duplicazioni, ma anche “vuoti” risarcitori, e, in particolare, per il danno da lesione del rapporto parentale, deve accertare, con onere della prova a carico dei familiari della persona deceduta, se, a seguito del fatto lesivo, si sia determinato nei superstiti uno sconvolgimento delle normali abitudini tale da imporre scelte di vita radicalmente diverse” (Cass., n. 19402/13).

Ancora in via generale non pare inutile ricordare che, come più volte ribadito dalla Suprema Corte, il danno esistenziale da perdita del rapporto parentale non può considerarsi in re ipsa, in quanto ne risulterebbe snaturata la funzione del risarcimento, che verrebbe ad essere concesso non in conseguenza dell’effettivo accertamento di un danno (per il rilievo che ben può accadere, sia pur non frequentemente, che la perdita di un congiunto non cagioni danno relazionale o danno morale o alcuno di essi v. Cass., 7/6/2011, n. 12273Cass., 20/11/2012, n. 20292, e, da ultimo, Cass., 3/10/2013, n. 22585) bensì quale pena privata per un comportamento lesivo (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26973Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26974Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26975). Esso va dal danneggiato allegato e provato, secondo la regola generale ex art. 2697 c.c. (v. Cass., 16/2/2012, n. 2228Cass., 13/5/2011, n. 10527). Con riferimento ai mezzi di prova, si osserva che la prova del danno non patrimoniale da uccisione (o anche solo da lesione: v. Cass., 6/4/2011, n. 7844) dello stretto congiunto può essere data anche a mezzo di presunzioni (v. Cass., 31/05/2003, n. 8827Cass., 31/05/2003, n. 8828Cass., 19/08/2003, n. 12124Cass., 15/07/2005, n. 15022Cass., 12/6/2006, n. 13546 ), che in argomento assumono anzi “precipuo rilievo” (v. Cass., Sez. Un., 24/3/2006, n. 6572). Le presunzioni valgono in realtà sostanzialmente a facilitare l’assolvimento dell’onere della prova da parte di chi ne è onerato, trasferendo sulla controparte l’onere della prova contraria (v. Cass., 12 giugno 2006, n. 13546). Costituendo un mezzo di prova di rango non inferiore agli altri, in quanto di grado non subordinato nella gerarchia dei mezzi di prova e dunque non “più debole” della prova diretta o rappresentativa, ben possono le presunzioni assurgere anche ad unica fonte di convincimento del giudice (v. Cass., Sez., Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., Sez, Un., 24/3/2006, n. 6572, Cass., 12/6/2006, n. 13546, Cass., 6/7/2002, n. 9834), costituendo una “prova completa”, sulla quale può anche unicamente fondarsi il convincimento del giudice (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546). Incombe poi alla parte a cui sfavore opera la presunzione dare la prova contraria idonea a vincerla.

Nel caso in esame, l’amputazione improvvisa del rapporto di M.M. con il marito e la figlia nascitura – posto che entrambi tali decessi sono stati posti in nesso di diretta causalità con l’evento dannoso costituito dall’incidente causato dal N.: si veda la relazione del dott. M. sub doc. n. 15 fasc. att., che l’esame autoptico della dott.ssa S. sulla salma del V. sub doc. n. 17 fasc. att. – hanno senza dubbi provocato un mutamento del suo progetto esistenziale, nonché si può quanto meno presumere uno sconvolgimento emotivo, ove si consideri che almeno secondo l’id quod plerumque accidit una giovane coppia che concepisce un figlio si trova in una fase di serenità e vuole così consolidare la relazione. Come già sopra accennato, dalle parole della dott.ssa S. sulla M. si desume come la perdita di un figlio è il lutto più grande a cui sia sottoposto l’essere umano, soprattutto la madre, proprio per il legame emotivo esistente: nella specie, “sognato”, “immaginato” e non ancora sperimentato. Ed infatti la Suprema Corte, in un caso non dissimile, ha affermato “In materia di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, non è adeguatamente motivata la sentenza del giudice di merito che, facendo applicazione dei parametri previsti al riguardo dalle tabelle elaborate dal tribunale di Milano, abbia liquidato, per il pregiudizio subito dai genitori in ragione della nascita di un feto morto, una somma pari ai valori più elevati della forbice risarcitoria ivi contemplata, senza considerare che essa, in quanto dichiaratamente calcolata in ragione della qualità e quantità della relazione affettiva con la persona perduta, non è di per sé utilizzabile nel caso del figlio nato morto, dove tale relazione è solo potenziale” (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 12717 del 19/06/2015).

Poiché la già richiamata Tabella del Tribunale di Milano liquida al genitore per la perdita di un figlio e al coniuge non separato per la perdita del marito/moglie, rispettivamente, da Euro 165.960,00 ad Euro 331.920,00, ritiene questo giudice equo liquidare in favore di M.M. – anche tenendo conto del fatto che la donna ha poi avuto un bambino in data 10.11.2014 ed evidentemente una nuova relazione, circostanza che può solo ridurre il dolore delle subìte perdite, e mai eliminarlo: solo banalizzando le vite degli altri si potrebbe ritenere che il trascorrere del tempo e i nuovi avvenimenti possano cancellare quelli passati; il danno alla capacità procreativa, peraltro, non è mi stato chiesto – Euro 100.000,00 per la perdita della nascitura ed Euro 200.000,00 per quella del marito R.V., somme già attuali su cui devono essere calcolati gli interessi al tasso legale con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo effettivo.

  1. c) danno patrimoniale per la perdita della propria capacità di lavoro e per le spese sostenute (iure proprio).

Parte attrice ha anzitutto domandato, quale danno emergente di natura patrimoniale, il rimborso delle spese mediche sostenute dopo l’incidente subìto, quantificate in Euro 10.204,79 come da documentazione prodotta ed allegata alla memoria istruttoria ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c.. Tali spese non sono state in alcun modo contestate dalle parti convenute e, pertanto, risultano rimborsabili; sulle medesime andrà applicata, trattandosi di obbligazione di valore, la rivalutazione secondo gli indici ISTAT annuali relativi alle date in cui sono state sostenute, sino alla data attuale, e sulla somma così rivalutata andranno conteggiati gli interessi al tasso legale sino al saldo effettivo. Non sono state previste spese future neppure dal dott. D.P., consulente della stessa parte attrice, sebbene abbia sottolineato i rischi della protesi dell’aorta.

Non risultano provate le spese funerarie, inizialmente richieste ma su cui la difesa attorea non ha successivamente insistito (cfr. conclusionale).

La difesa attorea ha poi chiesto, a titolo di lucro cessante, il danno per la lesione della capacità lavorativa specifica, richiamando la stessa relazione della c.t.p. dott.ssa V., fiduciaria dell’U., che l’aveva quantificata nel 25%. Ritiene, tuttavia, questo giudice che tale voce di danno non possa essere accordata per le ragioni che si verranno ad esporre.

Secondo la migliore (e consolidata) giurisprudenza della Suprema Corte “Il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura – non necessariamente in modo proporzionale – qualora la vittima già svolga un’attività lavorativa. Tale presunzione, peraltro, copre solo l'”an” dell’esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all’art. 1226 c.c., perché esso riguarda solo la liquidazione del danno che non possa essere provato nel suo preciso ammontare, situazione che, di norma, non ricorre quando la vittima continui a lavorare e produrre reddito e, dunque, può dimostrare di quanto quest’ultimo sia diminuito” (Cass. civ., Sez. 3, Ordinanza n. 15737 del 15/06/2018). Nel caso di specie, la difesa attorea ha da sempre affermato che la M. svolgeva le mansioni di commessa (o cassiera) nel supermercato di famiglia; dalle dichiarazioni dei redditi prodotte in atti (cfr. allegati dep. il 21.09.2018) relative agli anni dal 2009 al 2017 risulta che l’attrice ha sempre avuto un reddito da lavoro dipendente a tempo indeterminato inferiore ad Euro 10.000,00 salvo che nel 2017 in cui il reddito è stato di circa Euro 40.000,00 (la difesa non ne ha specificato le ragioni). Il teste indicato da parte attrice, G.M., si è limitato ad affermare che la M. dava una mano anche con le merci anteriormente al sinistro, mentre “ora può fare solo lavoro d’ufficio; la mattina arriva col fratello”, così non smentendo che l’attrice continua a lavorare, sebbene abbia cambiato almeno parzialmente le sue mansioni. A ciò si aggiunga che il perito di U. si era limitato, nella sua relazione, a dichiarare che “trattasi di soggetto di scolarità media inferiore, all’epoca dei fatti commessa presso azienda a gestione familiare…i postumi…determinando una incapacità lavorativa specifica nella misura percentuale pari al 25% valore che si esprime rapportato alla mansione che essa ricopre…”: in altre parole, proprio in tanto in quanto ad oggi la donna non svolge più mansioni di commessa ma nell’azienda familiare le sono state assegnati nuovi compiti, per i quali è sempre stata retribuita, non si vede quale danno – inteso come perdita – abbia subìto, stando all’onere probatorio disegnato dalla Cassazione sopra citata.

  1. d) Danni iure hereditatis.

Parte attrice (e gli intervenuti eredi del deceduto V.: i genitori, il fratello e la sorella; dalla comparsa conclusionale sembra che la richiesta si fatta anche per gli eredi D.R., che era la nonna del de cuius) chiedono a titolo ereditario il risarcimento del danno tanatologico o biologico, morale e per la perdita del feto subìti da R.V., ovvero di “poste attive” acquisite nel patrimonio di quest’ultimo, non essendo egli deceduto immediatamente dopo il sinistro ma dopo un certo lasso di tempo.

Orbene, dall’istruttoria espletata è risultato che in effetti il V. era ancora vivo al momento del trasporto in ambulanza, come è stato affermato da R.N., uno dei verbalizzanti intervenuti nell’immediatezza del fatto, che ha dichiarato “l’ambulanza è giunta sul posto dopo pochi minuti dal nostro intervento e dopo le operazioni di estrazione dalle lamiere da parte dei Vigili del Fuoco il V. è stato caricato sull’ambulanza…noi siamo intervenuti in loco non a seguito di chiamata ma perché eravamo in transito…noi stessi abbiamo chiamato sia l’ambulanza che i Vigili del Fuoco…nel giro di pochi minuti sono arrivati entrambi, stante la vicinanza delle rispettive sedi al luogo del sinistro…”. Il teste F.P.G., anch’egli agente intervenuto, ha confermato che il V. fu caricato agonizzante sull’ambulanza, aggiungendo che i soccorsi arrivarono dopo 7/10 minuti e che l’operazione di estrazione durò una decina di minuti. Dal referto di pronto soccorso risulta che l’ingresso è stato alle 19,51 e che l’evento è avvenuto alle 19,18, mentre l’ora di redazione del referto, in cui è scritto “giunto cadavere in P.S.”, è le 20.23. Pertanto, deve concludersi con certezza che il V. non rimase in vita, dopo lo schianto, più di 30-35 minuti. Orbene, resta da chiedersi se, secondo la giurisprudenza, in tale lasso temporale il de cuius abbia maturato dei diritti risarcitori (biologico, catastrofale/morale e parentale per avere anch’egli perso la figlia nascitura) da trasmettere ai propri eredi.

Sul punto, è opportuno in via preliminare richiamare il frutto dell’elaborazione giurisprudenziale; segnatamente, ex plurimis, Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 19133 del 20/09/2011 secondo cui “In tema di risarcimento del danno non patrimoniale, quando all’estrema gravità delle lesioni, segua, dopo un intervallo temporale brevissimo (nella specie due giorni), la morte, non può essere risarcito il danno biologico “terminale” connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute, ma esclusivamente il danno morale, dal primo ontologicamente distinto, fondato sull’intensa sofferenza d’animo conseguente alla consapevolezza delle condizioni cliniche seguite al sinistro”; ancora, Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 7126 del 21/03/2013 ha affermato “In caso di illecito civile che abbia determinato la morte della vittima, il danno cosiddetto “catastrofale”, conseguente alla sofferenza dalla stessa patita – a causa delle lesioni riportate – nell’assistere, nel lasso di tempo compreso tra l’evento che le ha provocate e la morte, alla perdita della propria vita (danno diverso sia da quello cosiddetto “tanatologico”, ovvero connesso alla perdita della vita come massima espressione del bene salute, sia da quello rivendicabile “iure hereditatis” dagli eredi della vittima dell’illecito, poi rivelatosi mortale, per avere il medesimo sofferto, per un considerevole lasso di tempo, una lesione della propria integrità psico-fisica costituente un autonomo danno “biologico”, accertabile con valutazione medico legale) deve comunque includersi, al pari di essi, nella categoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ., ed è autonomamente risarcibile in favore degli eredi del defunto”. Ancora più chiaramente, Cass. civ., Sez. 3, Ordinanza n. 21837 del 30/08/2019 è stata così massimata: “In tema di danno non patrimoniale risarcibile in caso di morte causata da un illecito, il danno morale terminale e quello biologico terminale si distinguono, in quanto il primo (danno da lucida agonia o danno catastrofale o catastrofico) consiste nel pregiudizio subìto dalla vittima in ragione della sofferenza provata nel consapevolmente avvertire l’ineluttabile approssimarsi della propria fine ed è risarcibile a prescindere dall’apprezzabilità dell’intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e il decesso, rilevando soltanto l’intensità della sofferenza medesima; mentre il secondo, quale pregiudizio alla salute che, anche se temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, sussiste, per il tempo della permanenza in vita, a prescindere dalla percezione cosciente della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della stessa, ma richiede, ai fini della risarcibilità, che tra le lesioni colpose e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo…”. Tale pronuncia ha distinto tra danno morale terminale (o da lucida agonia o catastrofico) e danno biologico terminale, richiedendo, quale condizione di risarcibilità, per il primo che il soggetto abbia provato una sofferenza nell’avvertire consapevolmente l’approssimarsi della propria fine a prescindere dal fatto che essa sia durata per un lasso di tempo apprezzabile; per il secondo, invece, trattandosi di pregiudizio alla salute che è massimo quando conduce alla morte, è richiesto che intercorra un sia pur limitato, ma apprezzabile, lasso di tempo durante il quale il danneggiato abbia subìto, anche non coscientemente, la gravissima lesione alla sua integrità personale.

Nel caso in esame, non sussiste né l’uno né l’altro requisito: sebbene sia emerso che respirava in agonia, non è stata offerta alcuna prova (né dalla difesa attorea, né da quella degli intervenuti) del fatto che il V. avesse una qualunque lucidità che lo abbia condotto a rendersi conto della catastrofe a cui andava incontro e, anzi, è proprio la modalità del sinistro sopra ricostruita – come sottolineato dalla Corte d’Appello di Roma nella sua pronuncia – a fare escludere che si sia persino reso conto di ciò che è avvenuto, sia immediatamente prima (infatti non vi è stata alcuna reazione, ad es. frenata o sterzata), che immediatamente dopo lo scontro (nessuno ha mai sostenuto che fosse cosciente). Quanto al danno biologico c.d. terminale, è richiesto un seppur minimo lasso di tempo di sopravvivenza: nella giurisprudenza si discute in termini di giorni, mentre nel caso in esame di minuti.

Concludendo sul punto, deve essere rigettata la domanda sia dell’attrice che degli altri eredi (e tanto meno della nonna D.R.V. e poi dei suoi eredi, non essendo la nonna erede del nipote coniugato con genitori e germani ai sensi dell’art. 582 c.p.c.) di risarcimento di danni non patrimoniali tramessi iure hereditatis dal V..

  1. e) danno patrimoniale iure hereditatis.

La difesa attore ha, da ultimo, chiesto il risarcimento del danno alla lesione della capacita’ lavorativa specifica del de cuius ex artt. 2056, 1223 cod. civ.), quantificato in Euro 30.420,00 (cfr. conclusionale), specificando che, in assenza di parametri di riferimento, esso va risarcito con “una somma non inferiore a tre volte l’ammontare annuo della pensione sociale (Cass. civ. 4 maggio 2016 n. 8896). Nell’anno 2020 la pensione sociale mensile è pari ad Euro 780,00 moltiplicato per 13 mensilità e per ulteriori tre anni”. Ebbene, pare di comprendere che il danno cui si riferisce la difesa attorea consista nella perdita futura della contribuzione del de cuius al menage familiare; tuttavia è mancata in atti qualsiasi prova relativa al fatto che il V. mantenesse la moglie/sostenesse la famiglia, anche in considerazione della circostanza, come sopra detto, che la stessa M. lavorava, nonché della misura in cui facesse ciò, ove si consideri che non è stato prodotto alcun documento anche solo attestante i guadagni del V..

La relativa domanda non merita, quindi, accoglimento.

  1. Gruppo c.d. M.: intervenuti M.R. (padre di M. e suocero di R.), C.A. (madre di M. e suocera di R.), M.M. (fratello di M. e cognato di R.), M.R. (fratello minore di M., rappresentato dai genitori M.R. e D.S.D. quali genitori esercenti la responsabilità genitoriale essendo nato il (…)), R. jr. (figlio di M. e nipote di M., di cui essa era madrina, rappresentato dai genitori M.M. e C.E., essendo nato il (…)), T.F. in M. e L.V. in C. quali nonne di M.M..

I prossimi congiunti di M.M. hanno chiesto il risarcimento dei seguenti pregiudizi:

  1. a) il danno morale iure proprio patito indirettamente in conseguenza dei reati di lesioni gravissime riportate e interruzione della gravidanza della parente M.M., nonché per la morte del loro affine R.V.;
  2. b) il danno parentale iure proprio conseguente sia alle lesioni riportate da M.M. che al decesso del loro affine R.V..

Ritiene questo giudice opportuno, ancora una volta, richiamare nuovamente Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 901 del 17/01/2018 in tema di tipologia di danni conseguenti ad un certo evento, fermo il principio dell’integralità del risarcimento: identificata “la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale (oltre alla salute, il rapporto familiare e parentale, l’onore, la reputazione, la libertà religiosa, il diritto di autodeterminazione al trattamento sanitario, quello all’ambiente, il diritto di libera espressione del proprio pensiero, il diritto di difesa, il diritto di associazione e di libertà religiosa ecc.)” spetta al giudice del merito “una rigorosa analisi ed una conseguentemente rigorosa valutazione, sul piano della prova, tanto dell’aspetto interiore del danno (la sofferenza morale in tutti i suoi aspetti, quali il dolore, la vergogna, il rimorso, la disistima di sé, la malinconia, la tristezza,) quanto del suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana (il danno cd. esistenziale, in tali sensi rettamente interpretato il troppe volte male inteso sintagma, ovvero, se si preferisca un lessico meno equivoco, il danno alla vita di relazione)”. Tale posizione è stata ribadita da Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 28989 del 11/11/2019, secondo cui “In tema di pregiudizio derivante da perdita o lesione del rapporto parentale, il giudice è tenuto a verificare, in base alle evidenze probatorie acquisite, se sussistano uno o entrambi i profili di cui si compone l’unitario danno non patrimoniale subito dal prossimo congiunto e, cioè, l’interiore sofferenza morale soggettiva e quella riflessa sul piano dinamico-relazionale, nonché ad apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l’età delle parti ed ogni altra circostanza del caso. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza d’appello che – in parziale riforma della pronuncia di primo grado – aveva erroneamente liquidato una somma a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale soggettivo patito dai congiunti della vittima deceduta in aggiunta ad un ulteriore importo a titolo di danno morale)”.

Sembra a questo giudice che i danni sub a) e b) abbiano ad oggetto proprio l’aspetto “interno” e quello “esterno” della sofferenza che viene inflitta ai parenti di colui che abbia subìto un danno ingiusto, fermo restando che il diritto costituzionalmente tutelato può essere quello all’integrità del proprio nucleo familiare, del proprio rapporto col figlio, etc., come anche quello alla propria salute. Si veda, sul punto, la recentissima ord. Cass. 21 novembre 2019 – 8 aprile 2020, n. 7748, secondo la cui motivazione “In astratto, come è stato precisato da questa corte, “il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della condotta” Cass. 11212/2019; Cass. 2788/2019; Cass. 17058/2017). La decisione della corte di merito, in realtà, è errata nella premessa: essa postula, invero, che il danno risarcibile ai congiunti per le lesioni patite dal parente, vittima primaria dell’illecito, sia solo quello consistente nel “totale sconvolgimento delle abitudini di vita”, limitazione che non ha in realtà alcuna ragion d’essere. Dalle lesioni inferte a taluno possono derivare, in astratto, per i congiunti sia una sofferenza d’animo (danno morale) che non produce necessariamente uno sconvolgimento delle abitudini di vita, sia un danno biologico (una malattia), anche essa senza rilevanza alcuna sulle abitudini di vita”. Aggiunge poi la Suprema Corte che anche il danno al congiunto è “diretto, non riflesso, ossia è la diretta conseguenza della lesione inferta al parente prossimo, la quale rileva dunque come fatto plurioffensivo, che ha vittime diverse, ma egualmente dirette. Ed anche impropriamente allora, se non per mera esigenza descrittiva, si parla di vittime secondarie. Con la conseguenza che la lesione della persona di taluno può provocare nei congiunti sia una sofferenza d’animo sia una perdita vera e propria di salute, come una incidenza sulle abitudini di vita”.

In altre parole, viene “bocciata” la posizione secondo cui, affinché anche i congiunti della vittima di un danno possano chiedere un risarcimento, debba essere stata sconvolta la loro vita, essendo sufficiente anche la sola sofferenza interiore che essi hanno provato, desumibile anzitutto dal rapporto di stretta parentela.

Fermo il fatto che non occorre più, ai fini della sua risarcibilità, dimostrare la convivenza col parente (o affine), certamente è onere del richiedente dimostrare almeno l’esistenza di un rapporto col danneggiato in via diretta, di talché possano desumersi (o presumersi) quei mutamenti di vita sotto il profilo dinamico-relazionale e quello sconvolgimento interiore/intimo di cui s’è detto. Quanto più la prova sarà specifica, tanto meglio sarà al fine di ritenere la sussistenza dell’an e del quantum del danno alla lesione del bene costituzionalmente tutelato che è l’integrità della famiglia.

Nel caso in esame, senza dubbio per M.R. (padre di M.), C.A. (madre di M.), M.M. (fratello di M.) e M.R. (fratello minore di M., rappresentato dai genitori M.R. e D.S.D. quali genitori esercenti la responsabilità genitoriale essendo nato il 6 settembre 2007) proprio in nome del rapporto di stretta parentela – in assenza di prova contraria: ad es., dell’interruzione dei rapporti di frequentazione, dell’esistenza di liti in famiglia, etc. – deve presumersi la lesione del loro diritto ad avere una famiglia integra e serena: si pensi anche solo che i primi due stavano per diventare nonni e gli ultimi due zii, e che tale aspettativa è andata frustrata in modo tragico con conseguente indubbio mutamento delle loro esistenze, per non parlare del fatto che i genitori hanno visto la loro figlia in serio pericolo di vita e, scampato quello, hanno dovuto assistere al lungo calvario medico subìto da quest’ultima.

Le tabelle del Tribunale milanese offrono una quantificazione minima e massima del danno subìto per la perdita di un figlio, genitore, fratello e nonno/nipote; come sopra detto la giurisprudenza è concorde nel ritenere che sia sufficiente anche la lesione del diritto alla salute del congiunto perché il danno si configuri. Appare, dunque, equo (riducendo le somme previste dalla richiamate tabelle in caso di morte, e quantificando il danno non patrimoniale sia sotto l’aspetto interiore che relazionale) riconoscere in favore di M.R. e C.A., rispettivamente, Euro 130.000,000 ed Euro 160.000,00 attuali, nonché Euro 20.000,00 attuali in favore di ciascuno dei fratelli M. e R.. Rileva questo giudice che la difesa T.+altri ha prodotto sub doc. D) ed E) un certificato cumulativo situazione di famiglia e residenza, da cui si evince che la M. conviveva (insieme al marito) con la madre C.A. (separata dal marito, che aveva creato un nuovo nucleo familiare), nonché col fratello M. fino almeno alla sua emigrazione nel Comune di Monte San Biagio a fine 2011. Proprio in ragione di tale convivenza si è ritenuto equo aumentare il danno non patrimoniale subìto dalla C., che evidentemente si configurava una vita dedita alla nascitura nipotina, in aiuto alla figlia puerpera. Il fratello M., invece, al momento del sinistro già non conviveva più con la sorella e quindi non vi sarebbe alcuna particolare ragione di aumentarne il risacrimento.

Quanto alle nonne (ex latere padre e madre) di M.M., T.F. in M. e L.V. in C., ritiene questo giudice equo riconoscere il danno non patrimoniale subìto nella misura di Euro 15.000,00 attuali per ciascuna (in assenza, nello specifico, di qualsiasi prova volta a dimostrare uno speciale rapporto di M.M., e quindi della sua futura prole, con le nonne). Su tutte le somme riconosciute devono essere calcolati gli interessi al tasso legale con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo effettivo.

In ordine, infine, al nipote R. jr. M., nonostante le allegazioni della sua difesa secondo cui egli era cresciuto in famiglia avendo la stessa età del fratello minore di M. (R.), non si vede quale danno gli si possa riconoscere, in assenza di qualsiasi prova specifica sul rapporto con M. (e tanto meno col marito di quest’ultima, R.V.).

Lo stesso è a dirsi, in generale, per il danno non patrimoniale richiesto iure proprio per la perdita del legame con l’affine deceduto, R.V.. La questione non è tanto se esso sia o meno configurabile in astratto, bensì in punto di prova è mancata, nella specie, qualsiasi dimostrazione della “specialità” del legame col medesimo (ad es., col suocero/a o coi cognati, etc.). La difesa si è limitata a volere provare l’intensità di tale legame sulla base del fatto che il V. lavorava insieme alla moglie nell’azienda della famiglia di quest’ultima (cfr. cap. a pag. 7 della memoria attorea ex art. 183 co. VI n. 2 c.p.c.), ma tale circostanza (che ben potrebbe essere dovuta, ad es., motivi economici contingenti) nulla dimostra in ordine alla sofferenza interiore e al mutamento delle abitudini di vita degli affini a seguito del suo decesso. Nessuna voce di danno può, pertanto, essere riconosciuta a tale titolo.

  1. Gruppo c.d. “V.”: intervenuti C.F., V.P., V.R., V.L., rispettivamente nella qualità di madre, padre e germani di V.R., e C.F., C.C., C.G., C.C., C.M.L., C.N., C.F., C.A., C.G., C.C., C.R., C.A., quest’ultimi tutti nella qualità di figli e eredi di D.R.V., deceduta il 2/6/2018, nonna del defunto V.R..

Nell’atto di intervento essi hanno dichiarato di pretendere il risarcimento di tre diversi pregiudizi:

a)il danno biologico-psichico iure proprio patito da V.P. e C.F. in conseguenza della morte del proprio congiunto.

  1. b) il danno morale iure proprio patito in conseguenza della morte del proprio congiunto e del ferimento della propria affine (M.M.);
  2. c) i danni patiti da R.V., il cui credito risarcitorio sarebbe stato ereditato da ascendenti, fratello e sorella ex  582c.c..

Orbene, in merito ai danni sub c) deve richiamarsi integralmente quanto disposto nel paragrafo A)d) a proposito della simile richiesta avanzata dall’attrice M.M. quale moglie e pertanto erede del marito. La richiesta non può essere accolta perché, in relazione ai parametri giurisprudenziali richiamati, non vi è alcuna prova che alcuna posta attiva a titolo di danno non patrimoniale fosse entrata nel patrimonio del V. prima della sua morte. In particolare per V.D.R., nonna di R.V., ed attualmente per i suoi eredi essendo essa nel frattempo deceduta, neppure sussiste la legittimazione non essendo essa erede del nipote.

I coniugi V./C. hanno chiesto il risarcimento del danno biologico psichico iure proprio; a tale fine la loro difesa ha chiesto (cfr. conclusionale) la rimessione della causa sul ruolo affinché possa essere espletata la c.t.u. psicologica sulle loro persone, inizialmente ammessa ma poi revocata da questo giudice. Anche rileggendo tutti gli atti di causa, deve confermarsi l’ordinanza emessa all’udienza del 14.01.2020. Ed invero, dall’escussione della teste N.M., che ha redatto la perizia in atti su incarico dei genitori del de cuius, si evince che è senz’altro vero che la coppia mutò profondamente le abitudini di vita dopo il decesso del figlio, smettendo di frequentare amici con cui andavano a ballare e piuttosto iniziando a frequentare (soprattutto la C.) la Parrocchia ove trovare conforto al trauma subìto. Ancora, la teste ha confermato disturbi del sonno ed alimentari; tuttavia, alla specifica domanda se fossero mai arrivati ad assumere psico-farmaci o comunque ad intraprendere una terapia per curarsi, la psicologa ha dovuto ammettere che non le risultava, così come essi non avevano mai frequentato il centro di salute mentale di zona né erano andati da neuropsichiatri. Nessuna prova, dunque, di un vero e proprio danno alla salute intesa come integrità psichica è stato raggiunto, neppure in termini di depressione, che è ormai assodato doversi ritenere una malattia che richiede specifiche cure.

La relazione redatta dalla dottoressa, ampiamente riportata dalla difesa nella sua comparsa conclusionale, ben può essere, invece, utilizzata al fine di personalizzare il danno non patrimoniale di natura parentale, morale ed esistenziale, patito dai genitori per la perdita del figlio che stava per renderli nonni.

Passando, infatti, all’esame del danno sub b), come già detto infra, è innegabile che dalla stretta relazione di parentela possa desumersi l’esistenza del danno al diritto alla conservazione e non alterazione del rapporto familiare (tutelato dall’artt. 229 e 30 Cost., ma anche dall’art. 8 della CEDU che tutela l’intangibilità della famiglia) come esistente prima del fatto illecito del terzo. Si intende richiamato integralmente quanto riportato al paragrafo B) per il nucleo familiare M.. La differenza più consistente è, chiaramente, che il gruppo V. si trova a vedere definitivamente rescisso il rapporto con colui che era figlio/fratello/nipote e con la potenziale nipotina, di cui non potranno mai più godere. Proprio da questi elementi deve desumersi la gravità del danno dai medesimi subìto: le tabelle milanesi prevedono in caso di perdita del congiunto una “forbice” tra il risarcimento minimo e massimo e questo giudice ritiene che, alla luce delle circostanze del caso concreto e soprattutto del fatto che i richiedenti non potranno mai divenire nonni e zii (come stava per avvenire) di un figlio di R., la somma riconosciuta per il dolore provato – sia di natura intima, che in termini di cambiamento definitivo del corso delle loro vite – debba essere massima. Pertanto, U.A. s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, e N.C. devono essere condannati a versare in favore di C.F. e V.P., rispettivamente, Euro 331.920,00 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT dal marzo 2018 ad oggi; in favore di V.R. e V.L., fratelli del de cuius, si ritiene equo riconoscere – in assenza di prove più specifiche relative all’intensità del loro rapporto e, d’altro canto, alla luce del presumibile dolore che essi certamente provano nel vedere i genitori “distrutti” e delle età loro e dei genitori – Euro 100.000,00 attuali ciascuno (pari, peraltro, alla provvisionale che è stata loro riconosciuta). Infine, deve essere riconosciuto in favore di D.R.V., nonna del V., e dunque in favore dei suoi eredi C.F., C.C., C.G., C.C., C.M.L., C.N., C.F., C.A., C.G., C.C., C.R., C.A., in relazione alle rispettive quote ereditarie, l’importo di Euro 30.000,00 attuale – equitativamente determinato, in assenza di qualsiasi prova specifica in ordine allo specifico rapporto col nipote ed al fatto che la donna è deceduta dopo pochi anni dal sinistro, di talché la sua pena è stata quanto meno breve – a titolo di danno non patrimoniale subìto.

Su tutte le somme suddette devono essere calcolati gli interessi al tasso legale con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo effettivo.

E’ opportuno specificare che il massimale della polizza (all. mem. U. ex art. 183 co. VI n. 2 c.p.c.) intercorsa tra U. e N., pari ad Euro 3.000.000,00 per sinistro ed Euro 2.500.000,00 per danni alle persone, non viene superato dalla sommatoria dei danni riconosciuti ad attrice e intervenuti.

  1. La mala gestio delle compagnie assicuratrici.

Parte attrice e gli intervenuti sia del “gruppo” che del “gruppo” V. – anche se per questi ultimi occorre sottolineare che non se ne fa menzione negli atti conclusivi – hanno chiesto l’accertamento della mala gestio da parte di entrambe le compagnie assicuratrici che, pur messe in mora, non hanno mai messo a disposizione i massimali e comunque hanno risposto e versato gli acconti/provvisionali in ritardo.

La difesa attorea richiama (cfr. conclusionale) Cass. civ. sez. III, 17 febbraio 2016 n. 3014 secondo cui “…la responsabilità ultramassimale dell’assicuratore nei confronti della parte danneggiata trova titolo in un comportamento dell’obbligato ingiustificatamente dilatorio, a fronte della richiesta di liquidazione avanzata dal danneggiato, trascorso il termine di cui all’art. 22 della L. n. 990 del 1969, (e, attualmente, i termini di cui all’art. 145 del D.Lgs. n. 209 del 2005), alla cui scadenza l’assicuratore è da considerare in mora, sempreché sia stato posto in grado con la detta richiesta di determinarsi in ordine all’an e al quantum della somma dovuta a titolo di risarcimento. Ciò significa che l’assicuratore il quale, in linea di principio, è obbligato verso il danneggiato non oltre il limite del massimale e il cui debito è chiaramente di valuta e non di valore, si può trovare obbligato oltre il limite del massimale, ex art. 1224 c.c., senza necessità di altra prova del danno, quanto agli interessi legali maturati sul massimale per il tempo della mora, e anche oltre il limite del saggio legale, in presenza di allegazione e prova (se del caso, mediante ricorso a presunzioni) del “maggior danno” di cui al cit. art. 1224, comma 2.Peraltro, proprio perché la responsabilità da colpevole ritardo, nell’ambito del rapporto tra assicuratore e danneggiato, è fondata sulla costituzione in mora del primo ex art. 22 della L. n. 990 del 1969, non è necessario che il danneggiato, per ottenere la corresponsione degli interessi, e della rivalutazione oltre il limite del massimale, formuli una specifica domanda, essendo sufficiente che abbia chiesto l’integrale risarcimento del danno (cfr. cfr. Cass. civ. 30 ottobre 2007, n. 22883Cass. civ. 24 gennaio 2006, n. 1315) ovvero, anche, che abbia richiesto il pagamento degli interessi (cfr. Cass. civ. 28 giugno 2010, n. 15397)”.

Sembra, dunque, che l’accertamento richiesto abbia ad oggetto la c.d. mala gestio impropria. Si veda Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 4892 del 14/03/2016, secondo cui “L’assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, ove ritardi colposamente il pagamento della somma dovuta a titolo di risarcimento in favore del terzo danneggiato (incorrendo così nell’ipotesi di cd. “mala gestio” impropria), è tenuto alla corresponsione degli interessi sul massimale ed, eventualmente, del maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c. (che può consistere anche nella svalutazione monetaria). Tale responsabilità per “mala gestio” tuttavia può comportare la responsabilità ultramassimale dell’assicuratore solo per gli interessi e per il maggior danno (anche da svalutazione monetaria, per la parte non coperta dagli interessi) ma non per il capitale, rispetto al quale il limite del massimale è insuperabile”.

Nel caso in esame, anzitutto deve essere esclusa qualsiasi responsabilità in capo alla I. (che infatti nei propri atti respingeva ogni addebito, affermando che non si erano verificati ingiustificati ritardi nell’adempimento degli obblighi perché essa non aveva alcun ruolo nella definizione del sinistro, interamente gestito dalla consorella U.: l’infondatezza della domanda ex art. 141 CdA, come sopra detto, le ha dato ragione), che comunque si è tempestivamente adoperata in favore dell’attrice trasportata, in attesa dell’avocazione del sinistro da parte della consorella U., avendole comunque versato l’importo di Euro 50.000,00.

Quanto alla U., ritiene questo giudice che non ricorrano gli estremi del comportamento dilatorio o inadempiente: si consideri che, ricevuta la diffida, la compagnia ha in data 5.12.2013 sottoposto a visita la M., cui aveva già versato nell’aprile 2013 la somma di Euro 200.000,00 (la circostanza è stata ammessa in sede di interrogatorio formale dell’attrice) ovvero una somma anche superiore alla provvisionale disposta dal GIP con la sentenza n. 1157/12 del 26.11.2012.

Quanto agli intervenuti, è opportuno sottolineare che nel caso in esame, aa seguito di successive integrazioni del contraddittorio, si è giunti a coinvolgere gli interi due nuclei familiari rimasti coinvolti nel sinistro. Orbene, non sarebbe stato semplice per la compagnia assicuratrice quantificare – a giudizio, peraltro, ormai iniziato – i singoli risarcimenti (anche alla luce del susseguirsi delle pronunce giurisprudenziali, in quegli anni, in tema di risarcimento di danni non patrimoniali e soggetti che vi avevano diritto).

La domanda, pertanto, non merita accoglimento.

  1. Le provvisionali già concesse.

Risulta per tabulas ed è comunque pacifico che il GUP in sede penale con la pronuncia del 26.11.2012 aveva concesso a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, l’importo di Euro 120.000,00 in favore di M.M.; ancora, il giudice civile con i Provv. del 16 dicembre 2013 e del Provv. 18 aprile 2014 condannava in solido i convenuti N.C., U.A. SPA e I.M. a pagare, in favore di M.M., la somma di Euro 150.000,00 e, in favore di V.P., C.F., V.R., V.L., la somma di Euro 100.000,00 ciascuno, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria dalla data del sinistro al saldo effettivo da imputarsi sulla definitiva liquidazione del danno.

Quanto ai versamenti eseguiti, U. ha affermato (cfr. conclusionale) di aver già versato le seguenti cifre:

-a M.M.:

Euro 200.000 mediante assegno emesso il 23.4.2013 ed incassati in data 30-04-2013, a titolo di acconto (a seguito di diffida e in sostanziale coincidenza con l’inizio della presente causa);

Euro 150.000 mediante assegno emesso in data 13.1.2014 ed incassato in data 16.1.2014 in esecuzione provvisionale del 16-12-2013;

Euro 200.000 mediante assegno emesso in data 19.05.2014 ed incassato in data 26.5.2014 quale avente diritto di V.R..

Tuttavia, occorre sottolineare che in sede di interrogatorio formale M.M. reso all’udienza del 25.09.2018 ha ammesso si avere percepito solo Euro 200.000,00 nell’aprile 2013 (nonché di essere stata sottoposta a visita dal medico fiduciario della U.).

Considerando che la memoria in cui erano formulate le memorie è datata 4.04.2014, non può escludersi che vi siano stati dei versamenti in epoca successiva; tuttavia parte attrice non ne dà conto nella sua memoria di replica conclusionale e la convenuta U. non ha prodotto in giudizio le copie degli assegni. Per concludere sul punto, le provvisionali potranno essere scomputate dal dovuto complessivo in tanto in quanto siano state effettivamente versate dalla compagnia assicuratrice.

  1. ha corrisposto ai sensi dell’art. 141 CdA ulteriori Euro 50.000,00, di cui si è già detto al par. 1), che non possono essere qui conteggiate non essendo oggetto di alcuna domanda restitutoria da parte della compagnia assicuratrice del vettore, nonostante la sua responsabilità non sia invocabile, come sopra chiarito.

-ai congiunti di V.R.:

V.D.R. (nonna) Euro 10.000,00 mediante assegno emesso in data 19.5.2014 ed incassato il 9-6-2014;

P.V. (padre) Euro 200.000,00 mediante bonifico del 20-5-2014 (importo comprensivo della provvisionale di Euro 100.000 oltre di ulteriori Euro 100.000,00 quale acconto);

F.C. (madre) Euro 200.000,00 mediante bonifico del 20-5-2014 (importo comprensivo della provvisionale di Euro 100.000 oltre di ulteriori Euro 100.000,00 quale acconto);

R.V. e L.V. (fratelli): Euro 100.000 ciascuno mediante bonifico del 20-5-2014, in esecuzione della provvisionale.

Anche per tutte le cifre menzionate è opportuno sottolineare che, sebbene manchi una specifica contestazione da parte delle difese degli intervenuti, tuttavia manca anche la prova documentale degli eseguiti versamenti. Si ripete, essi potranno essere scomputati dai risarcimenti liquidati solo in tanto in quanto siano stati effettivamente versati.

Le cifre versate devono tutte essere rivalutate secondo gli indici ISTAT annuali da quando sono state corrisposte sino alla data della presente decisione, e defalcate dalle somme complessive (già attualizzate) come sopra liquidate. E’ opportuno specificare che per i fratelli del V., che hanno ricevuto ciascuno la provvisionale di Euro 100.000,00 nel 2014 e a cui è stata riconosciuta proprio tale somma a titolo risarcitorio, alcuna differenza dovrà intendersi esistente.

  1. Spese legali.

La disciplina delle spese di lite segue la soccombenza ed esse sono liquidate come da tabelle di cui al D.M. n. 55 del 10 marzo 2014.

La richiesta di U. – che le spese di lite siano liquidate tenendo conto, ai sensi dell’art. 4 del citato D.M., della sostanziale unitarietà delle posizioni processuali delle controparti, dello scarso pregio giuridico degli atti depositati ex adverso, e della loro ripetitività di contenuti – può essere accolta solo nei seguenti limiti: se è vero che le posizioni processuali degli intervenuti M.R., C.A. e M.M., difesi dallo stesso difensore (comune a parte attrice) nonché degli intervenuti T.+3, sono le medesime, tuttavia deve tenersi conto dell’aumento previsto dall’art. 4 co. 2 dal difensore che assista più soggetti.

I difensori dell’attrice e degli intervenuti M.R., C.A. e M.M., nonché quelli di i C.F., V.P., V.R., V.L. ed eredi di D.R.V. (C.F., C.C., C.G., C.C., C.M.L., C.N., C.F., C.A., C.G., C.C., C.R., C.A.) si sono dichiarati antistatari.

Deve essere dichiarata la compensazione delle spese tra I.M. s.p.a., nei cui confronti sono state respinte tutte le domande, e l’attrice e gli intervenuti che le avevano proposte, poiché solo l’esito del giudizio – che è stato comunque indispensabile – ne ha escluso qualsiasi responsabilità.

Infine, va disposta la compensazione delle spese legali anche tra R.M. jr., rappresentato dai genitori M.M. e C.E. essendo minore, e le parti convenute, alla luce del fatto che la questione avente ad oggetto quali siano i soggetti che possono chiedere il risarcimento del danno è da sempre sottoposta all’esame della giurisprudenza, anche con notevole variabilità della stessa.

P.Q.M.

Il Tribunale di Latina, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

A)condanna in solido U.A. s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, e N.C. a risarcire a titolo di danno non patrimoniale in favore di M.M. Euro 863.613,00, somma che deve essere rivalutata, trattandosi di obbligazione di valuta, secondo gli indici ISTAT dal marzo 2018 (essendo le tabelle di Milano aggiornate a tale data) sino alla pubblicazione della presente sentenza e sulla somma così rivalutata devono essere calcolati gli interessi al tasso legale sino al saldo effettivo; a titolo di danno morale, Euro 150.000,00 attuali oltre interessi al tasso legale con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo effettivo; a titolo di danno parentale Euro 300.000,00 attuali oltre interessi al tasso legale con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo effettivo; a titolo di danno patrimoniale, Euro 10.204,79 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT annuali relativi alle date in cui sono state sostenute, sino alla data attuale, e sulla somma così rivalutata andranno conteggiati gli interessi al tasso legale sino al saldo effettivo;

  1. B) condanna in solido U.A. s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, e N.C. a risarcire a titolo di danno non patrimoniale: in favore di M.R. e C.A., rispettivamente, 130.000,000 ed Euro 160.000,00 attuali; Euro 20.000,00 attuali in favore di ciascuno dei fratelli M. e R.M. rappresentato dai genitori M.R. e D.S.D. quali genitori esercenti la responsabilità genitoriale; in favore di T.F. in M. e L.V. in C., Euro 15.000,00 attuali per ciascuna. Su tutte le somme riconosciute devono essere calcolati gli interessi al tasso legale con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo effettivo;
  2. C) condanna in solido U.A. s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, e N.C. a risarcire a titolo di danno non patrimoniale in favore di C.F. e V.P., rispettivamente, Euro 331.920,00 oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT dal marzo 2018 ad oggi; in favore di V.R. e V.L. Euro 100.000,00 attuali ciascuno; in favore di D.R.V., e dunque dei suoi eredi C.F., C.C., C.G., C.C., C.M.L., C.N., C.F., C.A., C.G., C.C., C.R., C.A., Euro 30.000,00 attuali; su tutte le somme rivalutate o attuali devono essere calcolati gli interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della presente sentenza sino al saldo effettivo;
  3. D) dispone che da tutti gli importi riconosciuti come da punti A), B) e C) siano scomputati gli acconti ricevuti dai singoli soggetti secondo quanto indicato al par. 6 della motivazione;
  4. E) condanna in solido U.A. s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, e N.C. a rimborsare le spese di lite, che si liquidano, rispettivamente, per parte attrice e parti intervenute M.R., C.A. e M.M., in favore dei difensori che si sono dichiarati antistatari, in Euro 550,00 per spese ed Euro 25.664,4 per compensi, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali come per legge; per gli intervenuti T.F., L.V. e M.R. in Euro 8.704,8 per compensi, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali come per legge; per gli intervenuti C.F., V.P., V.R., V.L. ed eredi di D.R.V. (C.F., C.C., C.G., C.C., C.M.L., C.N., C.F., C.A., C.G., C.C., C.R., C.A.), in favore dei difensori che si sono dichiarati antistatari, in Euro 17.109,00 per compensi, oltre i.v.a., c.p.a. e spese generali come per legge;

spese legali compensate tra parti attrice e intervenute e I.M. s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore; spese legali compensate tra R.M. jr., rappresentato dai genitori M.M. e C.E. essendo minore, e le parti convenute.

Conclusione

Così deciso in Latina, il 16 luglio 2020.

Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2020.

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