REATO DI MALTRATTAMENTI LUOGO DI LAVORO - VIOLENZA PRIVATA
https://www.altalex.com/documents/news/2013/02/06/rifiuta-il-test-del-dna-rischia-la-dichiarazione-di-paternita-naturale
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PATERNITA’ IN BASE AL SOLO DNA?

Cassazione civile, sez. I, 13 Dicembre 2018, n. 32308. Pres. Maria Cristina Giancola. Est. Caiazzo.Paternità naturale – Attribuzione in base al mero dato biologico – Art. 269 cod. civ. – Questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 3 Cost. – Manifesta infondatezza

affido condiviso-separazioni Bologna

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FATTOB.F. ha proposto appello avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Arezzo il 25.1.11 che accolse la domanda d’accertamento della paternità avanzata nei suoi confronti da M.M., che sosteneva di essere nata il (*) da una relazione avuta dal B. con sua madre, M.G..

Al riguardo, l’appellante lamentava anche che: il Tribunale avesse ritenuto provata la sua paternità solo sulla base delle dichiarazioni rese dalla madre della M. e delle ulteriori prove testimoniali assunte, prove peraltro ammesse in violazione di legge; il Tribunale avesse ritenuto rilevante il suo rifiuto di sottoporsi agli accertamenti ematici nell’ambito della ctu genetica disposta dal Tribunale.

Si è costituita l’appellata.

La Corte d’appello di Firenze ha rigettato l’appello, argomentando: che le prove orali, richieste tempestivamente e regolarmente ammesse dal giudice istruttore in primo grado, erano state correttamente utilizzate dal Tribunale; che era stato correttamente applicato l’art. 232 c.p.c., comma 1, – circa l’ingiustificata mancata comparizione dell’appellante ai fini dell’interrogatorio formale-, mentre dal rifiuto di sottoporsi agli accertamenti ematici erano stati tratti legittimi argomenti di prova.

Il B. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria.

CONSIDERAZIONI SUPREMA CORTE

Va osservato che nei giudizi promossi per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale l’esame genetico sul presunto padre si svolge mediante consulenza tecnica c.d. percipiente, ove il consulente nominato dal giudice non ha solo l’incarico di valutare i fatti accertati o dati per esistenti, ma di accertare i fatti stessi. E’ necessario e sufficiente in tal caso che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche, perchè la consulenza costituisca essa stessa fonte oggettiva di prova (Cass. n. 6155 del 13/03/2009, n. 4792 del 26/02/2013, n. del 2017). Nei giudizi in questione tale mezzo istruttorio rappresenta, dati i progressi della scienza biomedica, lo strumento più idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l’acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione naturale, e con esso il giudice accerta l’esistenza o l’inesistenza di incompatibilità genetiche, ossia un fatto biologico di per sè suscettibile di rilevazione solo con l’ausilio di competenze tecniche particolari (Cass. n. 14462 del 29/05/2008). Al contrario, gli artt. 118, 258 e 260 c.p.c., di cui il ricorrente asserisce la violazione, attengono all’ispezione corporale e sono pertanto estranei all’accertamento tecnico in questione, non costituendo il prelievo ematico (al pari del prelievo di saliva dalla mucosa buccale) un’ispezione corporale, ma un mezzo necessario per l’espletamento della consulenza genetica ed ematologica (Cass. n. 8733 del 09/04/2009; n. 13880/17).

Di conseguenza è infondata la censura di violazione di legge per aver la sentenza impugnata fatto applicazione dell’art. 118 c.p.c., comma 2, in quanto la Corte territoriale, nell’accertare la paternità naturale del B., ha valorizzato il rifiuto di quest’ultimo di sottoporsi alla prova genetica. Invero, nel giudizio diretto ad ottenere la dichiarazione giudiziale della paternità (o maternità) naturale, in tema di prova, se la volontà di sottoporsi al prelievo ematico per eseguire gli accertamenti sul DNA non è coercibile, nulla tuttavia impedisce al giudice di valutare, in caso di rifiuto, sia pur in sè legittimo, ma privo di adeguata giustificazione, il comportamento della parte, ai sensi dell’art. 116 c.p.c.. A tal riguardo è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della disposizione di cui all’art. 269 c.c., comma 2, secondo la quale la prova della paternità o maternità naturale può essere data con ogni mezzo, alla luce di un preteso contrasto con l’art. 30 Cost., comma 4, secondo il quale “La legge detta i limiti per la ricerca della paternità” (Cass., n. 8059/97). E’ stato altresì affermato che nel giudizio di disconoscimento della paternità è valutabile, come elemento indiziario di convincimento, non solo il rifiuto della parte di sottoporsi alla disposta prova genetica ed ematologica (il quale è assimilabile al rifiuto di ottemperare all’ordine d’ispezione corporale di cui all’art. 118 c.p.c., comma 2), ma anche la sistematica opposizione avverso l’istanza di detta prova, riconducibile nell’ambito del comportamento processuale di cui all’art. 116 c.p.c., comma 2 (Cass., n. 3094/85; n. 6400/80).[wpforms id=”14234″]

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