AVVOCATO PENALE TRIBUTARIO BOLOGNA AVVOCATO PENALE TRIBUTARIO LE PRESUNZIONI LEGALI CHE SI APPLICANO NEL PROCESSO TRIBUTARIO NON TROVANO SPAZIO NEL PENALE

E’ difatti pacifico che in tema di reati tributari, in sede penale non possono applicarsi le presunzioni legali o i criteri validi in sede tributaria, essendo onere della pubblica accusa fornire la prova della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato. E’ quindi indubitabile che “ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di

https://studiolegale-bologna.it/atti-persecutori-stalking-arresto-tribunale-bologna-avvocato-penale/

https://studiolegale-bologna.it/atti-persecutori-stalking-arresto-tribunale-bologna-avvocato-penale/

E difatti, l’eccezione di irregolarità della notifica del decreto di citazione a giudizio in primo grado non può ritenersi dedotta con l’atto di appello, nel quale si sosteneva soltanto, del tutto genericamente, che l’imputato non aveva avuto notizia del procedimento a suo carico e che erroneamente era stato dichiarato irreperibile. Stante l’assoluta mancanza di specificità del relativo generico motivo di appello, la corte d’appello non era tenuta a motivare specificatamente il suo rigetto. La corte d’appello, peraltro, ha osservato che il decreto di citazione a giudizio in primo grado era stato ritualmente notificato mediante tempestiva e rituale consegna al difensore dell’imputato, stante la dichiarata irreperibilità del B., a nulla rilevando ovviamente che, dopo oltre due anni, l’estratto contumaciale della sentenza di appello gli sia stato notificato a mani proprie.

https://studiolegale-bologna.it/atti-persecutori-stalking-arresto-tribunale-bologna-avvocato-penale/

https://studiolegale-bologna.it/atti-persecutori-stalking-arresto-tribunale-bologna-avvocato-penale/

E’ invece fondato il primo motivo.
E’ difatti pacifico che in tema di reati tributari, in sede penale non possono applicarsi le presunzioni legali o i criteri validi in sede tributaria, essendo onere della pubblica accusa fornire la prova della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato. E’ quindi indubitabile che “ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di

procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario” (Sez. 3, 26.2.2008, n. 21213, De Cicco, m. 239984; Sez. 3, 26.11.2008, n. 5490 del 2009, Crupano, m. 243089; Sez. 3, 18.5.2011, n. 36396, Mariutti, m. 251280). In particolare, si è osservato che il giudice penale può anche ricorrere all’accertamento induttivo dell’imponibile quando la contabilità imposta dalla legge sia stata tenuta irregolarmente (Sez. 3, 18.12.2007, n. 5786 del 2008, D’Amico, m. 238825) e che l’accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può, invero, rappresentare, “un valido elemento di indagine per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge, a condizione che il Giudice non si limiti a constatarne l’esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in essi evidenziati, ma proceda a specifica autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti aliunde” (Sez. 3, 21.12.1999, n. 1904 del 2000, Zarbo, m. 215694; Sez. 3, 28.4.2011, n. 24811, Rocco, m. 250647; Sez. 3, 28.11.2012, n. 48813, Urso, non mass.). In altre parole, “per stabilire se vi sia stata evasione e se la stessa abbia raggiunto le soglie determinate dalla legge … , però, è indispensabile che il giudice non arresti il proprio esame alla constatazione dell’esistenza di detto accertamento e ad un apodittico richiamo di uno dei singoli dati posti a fondamento del medesimo, ma proceda ad una specifica valutazione di tutti gli estremi tenuti in considerazione dall’ufficio finanziario e di ogni altro eventuale indizio acquisito, sicchè deve ripercorrere in modo chiaro e puntuale, anche se sintetico, prima l’apprezzamento di ognuno di essi ad esprimere successivamente una valutazione globale di questi ultimi, rendendo inoltre chiari i passaggi della motivazione da lui adottata, per consentire di verificare la esistenza effettiva e la sua coerenza logica” (Sez. 3, 20.10.1995, n. 11223, Perillo, m. 203217).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente –
Dott. FRANCO Amedeo – rel. Consigliere –
Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere –
Dott. ACETO Aldo – Consigliere –
Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.G.;
avverso la sentenza emessa il 17 dicembre 2013 dalla corte d’appello di Campobasso;
udita nella pubblica udienza del 15 luglio 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco; udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. ROMANO Giulio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Campobasso confermò la sentenza emessa il 1 marzo 2010 dal giudice del tribunale di Campobasso, che aveva dichiarato B.G. colpevole del reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5 perchè, nella qualità di legale rappresentante dellaxxxx., al fine di evadere le imposte sul valore aggiunto, non presentava la dichiarazione annuale IVA relativa all’imposta del 2005, risultando l’imposta evasa pari ad Euro 706.114,00, e lo aveva condannato alla pena sospesa di mesi 8 di reclusione.

Osservò, tra l’altro, la corte d’appello che l’accertamento induttivo effettuato prendendo a base la dichiarazione per il 2004 era attendibile “non solo perchè determinato sulla base della dichiarazione annuale dei redditi e del

bilancio di esercizio, ma anche perchè conforme alle stime di settore prodotte all’Agenzia delle Entrate (che hanno la caratteristica di assegnare gli indici mediani una valenza probatoria significativa) e, peraltro, non smentito da alcuna documentazione che il prevenuto avrebbe potuto e dovuto produrre”.

L’imputato, a mezzo dell’avv. Massimo Rizzo, propone ricorso per cassazione deducendo:
1) violazione del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5 e vizio di motivazione. Lamenta che erroneamente la corte d’appello ha ritenuto provato il superamento della soglia economica di punibilità sulla scorta dell’accertamento induttivo. Secondo la giurisprudenza in sede penale l’accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può rappresentare un valido elemento di indagine per stabilire se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge, a condizione che il Giudice non si limiti a constatarne l’esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in essi evidenziati, ma proceda a specifica autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti aliunde. Lamenta che nel caso di specie è mancata proprio questa verifica in concreto. Inoltre, la corte d’appello ha operato un inammissibile inversione dell’onere della prova ed ha omesso di confrontarsi con le controdeduzioni, formulate in sede propria, comunque versate in atti. Invero, la contesta omissione si è consumata in una condizione fallimentare della società contribuente ed è stata ricostruita dall’Amministrazione solo sulla scorta di formalistiche presunzioni.
Il ricorrente allega quindi il ricorso con il quale la Curatela fallimentare ha contrastato nella competente sede l’accertamento presupposto della condanna. Lamenta poi che la corte d’appello non ha considerato che la società aveva chiesto, in tempo immediatamente precedente, un rimborso IVA; elemento certamente in controtendenza rispetto a quello secondo il quale si è ipotizzata una condizione debitoria superiore alla soglia di rilevanza penale.

2) violazione dell’art. 159 c.p.p. e art. 178 c.p.p., lett. e).
Osserva che la sentenza impugnata da atto che l’estratto contumaciale è stato regolarmente notificato all’imputato presso il suo domicilio in ______. Dal certificato anagrafico in atti, risulta che il ricorrente, dal _______ è stato residente in _____, successivamente, dal 26.7.2006, ha trasferito la propria residenza in _____ ed è in quel luogo che gli si sarebbe dovuto notificare anche il decreto di citazione a giudizio per il processo di primo grado, il quale invece fu notificato al vecchio indirizzo di _____. Pertanto il decreto di irreperibilità emesso il 9.1.2009, che ancora, impropriamente, faceva riferimento all’indirizzo di _____, è illegittimo. Di modo che, vista la nullità del decreto di irreperibilità, si sarebbe dovuto considerare nulla anche la conseguente notificazione del decreto di citazione per il giudizio di primo grado e la relativa sentenza, come lamentato dal difensore con l’appello, illegittimamente rigettato sul punto.

Motivazione

Il secondo motivo, che va esaminato preliminarmente, è manifestamente infondato. E difatti, l’eccezione di irregolarità della notifica del decreto di citazione a giudizio in primo grado non può ritenersi dedotta con l’atto di appello, nel quale si sosteneva soltanto, del tutto genericamente, che l’imputato non aveva avuto notizia del procedimento a suo carico e che erroneamente era stato dichiarato irreperibile. Stante l’assoluta mancanza di specificità del relativo generico motivo di appello, la corte d’appello non era tenuta a motivare specificatamente il suo rigetto. La corte d’appello, peraltro, ha osservato che il decreto di citazione a giudizio in primo grado era stato ritualmente notificato mediante tempestiva e rituale consegna al difensore dell’imputato, stante la dichiarata irreperibilità del B., a nulla rilevando ovviamente che, dopo oltre due anni, l’estratto contumaciale della sentenza di appello gli sia stato notificato a mani proprie.

E’ invece fondato il primo motivo.
E’ difatti pacifico che in tema di reati tributari, in sede penale non possono applicarsi le presunzioni legali o i criteri validi in sede tributaria, essendo onere della pubblica accusa fornire la prova della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato. E’ quindi indubitabile che “ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di

procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario” (Sez. 3, 26.2.2008, n. 21213, De Cicco, m. 239984; Sez. 3, 26.11.2008, n. 5490 del 2009, Crupano, m. 243089; Sez. 3, 18.5.2011, n. 36396, Mariutti, m. 251280). In particolare, si è osservato che il giudice penale può anche ricorrere all’accertamento induttivo dell’imponibile quando la contabilità imposta dalla legge sia stata tenuta irregolarmente (Sez. 3, 18.12.2007, n. 5786 del 2008, D’Amico, m. 238825) e che l’accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può, invero, rappresentare, “un valido elemento di indagine per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge, a condizione che il Giudice non si limiti a constatarne l’esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in essi evidenziati, ma proceda a specifica autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti aliunde” (Sez. 3, 21.12.1999, n. 1904 del 2000, Zarbo, m. 215694; Sez. 3, 28.4.2011, n. 24811, Rocco, m. 250647; Sez. 3, 28.11.2012, n. 48813, Urso, non mass.). In altre parole, “per stabilire se vi sia stata evasione e se la stessa abbia raggiunto le soglie determinate dalla legge … , però, è indispensabile che il giudice non arresti il proprio esame alla constatazione dell’esistenza di detto accertamento e ad un apodittico richiamo di uno dei singoli dati posti a fondamento del medesimo, ma proceda ad una specifica valutazione di tutti gli estremi tenuti in considerazione dall’ufficio finanziario e di ogni altro eventuale indizio acquisito, sicchè deve ripercorrere in modo chiaro e puntuale, anche se sintetico, prima l’apprezzamento di ognuno di essi ad esprimere successivamente una valutazione globale di questi ultimi, rendendo inoltre chiari i passaggi della motivazione da lui adottata, per consentire di verificare la esistenza effettiva e la sua coerenza logica” (Sez. 3, 20.10.1995, n. 11223, Perillo, m. 203217).

Orbene, nel caso in esame è mancata da parte della corte d’appello qualsiasi concreta verifica ed autonoma valutazione degli elementi indicati nell’accertamento induttivo e qualsiasi comparazione con gli altri elementi acquisiti nel processo. La corte d’appello, infatti, si è limitata ad affermare apoditticamente che l’accertamento induttivo sarebbe “attendibile non solo perchè determinato sulla base della dichiarazione annuale dei redditi e del bilancio di esercizio, ma anche perchè conforme alle stime di settore prodotte all’Agenzia delle Entrate (che hanno la caratteristica di assegnare gli indici mediani una valenza probatoria significativa) e, peraltro, non smentito da alcuna documentazione che il prevenuto avrebbe potuto e dovuto produrre”.

In tal modo, però, la corte d’appello ha erroneamente presupposto una sorta di inversione dell’onere della prova, ammissibile in ambito tributario ma non in quello penale, nel quale spetta all’accusa l’onere di provare l’elemento costitutivo del reato rappresentato dal superamento delle soglie. Inoltre, nel caso in esame, la corte d’appello ha omesso di confrontarsi con le eccezioni sollevate dalla difesa e con le controdeduzioni dalla stessa formulate in sede propria e versate in atti. In particolare, non ha preso in esame le considerazioni contenute nel ricorso presentato dalla curatela fallimentare al giudice tributario per contrastare l’accertamento induttivo in questione. Nemmeno ha considerato l’eccezione secondo cui la contestata omissione si sarebbe consumata in una condizione fallimentare della società contribuente e che sarebbe stata ricostruita solo sulla base di formalistiche presunzioni.

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata per vizio di motivazione, con rinvio per nuovo esame alla corte d’appello di Salerno.

PQM

annulla la sentenza impugnata con rinvio alla corte d’appello di Salerno.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 15 luglio 2014. Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2014

studio legale penale difesa

studio legale penale avvocato Sergio Armaroli

studio legale penale lavoro

studio legale penale minorile milano

studio legale penale Sergio Armaroli

studio legale penale d’impresa Bologna

studio legale penale societario Bologna

studio legale penale internazionale milano

studio legale civile e penale

studio legale civile Bologna

albo avvocati civilisti bologna

studio legale bologna

avvocato penalista bologna

avvocato bologna

elenco avvocati penalisti bologna

avvocato penalista bologna

avv penale bologna

studio legale penale bologna

avvocato penalista bologna sergio armaroli diritto penale bologna bologna

avvocato civilista bologna

avvocato a bologna

compravendita immobiliare senza notaio

avvocati compravendite immobiliari

compravendita immobiliare avvocato 2015

compravendita immobiliare avvocato legge

compravendite avvocati legge

atto di compravendita dall avvocato

divisione ereditaria amichevole

divisione beni mobili ereditari

successione e divisione ereditaria insieme

divisione ereditaria beni immobili

dichiarazione di successione e divisione ereditaria

dividere eredità indivisa

dividere eredità senza testamento

come dividere l’eredità tra fratelli

AVVOCATO PENALE TRIBUTARIO BOLOGNA AVVOCATO PENALE TRIBUTARIO LE PRESUNZIONI LEGALI CHE SI APPLICANO NEL PROCESSO TRIBUTARIO NON TROVANO SPAZIO NEL PENALE

Originally posted 2016-04-02 17:22:33.

Tags:

Comments are closed

CERCA NELLE PAGINE DEL SITO
Shares
Studio Legale Bologna - AVVOCATO SERGIO ARMAROLI 051 6447838